La rivoluzione di Kepler

D’estate alzate gli occhi al cielo; vedrete una grande croce sopra di voi dominata da una stella luminosa, Deneb. Quella è il Cigno e rappresenta un cigno mentra spicca il volo per sfuggire al Drago, lì accanto a destra.
Ecco, in quella minuscola porzione di spazio, il telescopio spaziale Kepler ci sta regalando migliaia di eccitanti scoperte. l’altro giorno fece scalpore la scoperta di Kepler10b
un pianeta roccioso in orbita a una stella di tipo G, simile al nostro Sole, peccato che con 1600 gradi alla superficie questo è più simile ad un girone dell’Inferno dantesco che al Paradiso.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo osservata da Kepler è circa 1/400 dell’intera volta celeste, eppure in nemmeno 2 anni dalla sua entrata in servizio, il telescopio spaziale Kepler ha rivoluzionato le nostre conoscenze del cosmo sui pianeti e la loro abbondanza.

Ora non voglio ripetere quanto già detto anche in altri siti sulla scoperta di un sistema planetario multiplo attorno ad una stella -anche questa di tipo G, chiamata Kepler-11, quanto piuttosto sulle peculiari caratteristiche dei sistemi planetari finora scoperti.
Finora sono stati scoperti i sistemi planetari con pianeti in orbita stretta alla loro stella, quindi o molto dentro rispetto all’ecosfera Goldilocks (come nel caso anche di Kepler-10 o Kepler-11) o a stelle minuscole di classe K o M, le nane rosse, dove l’influenza gravitazionale dei pianeti è abbastanza grande da influenzare visibilmente il moto della stella e dove la zona Goldilocks è a ridosso di questa proprio in virtù della scarsa  energia da essa irradiata.
Tutti questi pianeti hanno una cosa in comune che non è la loro composizione o massa o dimensione: la loro distanza dalla stella del sistema.

Una fotometria di Kepler che mostra il transito di HAT-P-7b.    Credit: NASA

Il metodo dei transiti richiede un certo numero di passaggi (almeno tre)  per poter determinare con sufficiente sicurezza l’avvenuto transito di un pianeta attorno ad una stella. Questo serve ad escludere che la variazione di luce non sia casuale, dovuta magari a un eccezionale brillamento o a una instabilità intrinseca nella stella.
Una analisi sofisticata della curva di luce poi aiuta a determinare il transito di uno o più pianeti,  ma i dati finora raccolti e analizzati coprono solo i transiti di breve periodo, quindi orbite molto più piccole rispetto a quelle che un pianeta di massa simile alla Terra dovrebbe avere se fosse dentro alla fascia Goldilocks di una stella di tipo G (un pianeta come la Terra a questa distanza dal Sole richiede circa 13 ore per attraversare il disco stellare e si ripete solo ogni anno).
Anche il tipo di segnale che un transito lascia sulla luce della stella è importante: un corpo grande molto vicino alla stella intercetta più luce dello stesso corpo posto ad una distanza molto maggiore: per rendervi conto di questo immaginate di osservare un pipistrello che vola attorno ad un lampione acceso: più questo è vicino al lampione più grande sarà la sua ombra; anche se Kepler è in grado di rivelare una variazione di 1 parte su 10.000 nella luminosità della stella, questa è una misura estremamente piccola da misurare.

Il metodo dei transiti ci dice molto sui  sistemi planetari che riesce a scoprire, ma questo funziona solo finché gli altri sistemi planetari giacciono sulla stessa linea di vista con la stella, basta che il loro piano sia più inclinato che i transiti ovviamente non siano più visibili; ma esiste un altro metodo, quello che finora è stato utilizzato dagli osservatori come ad esempio al  Keck nelle Hawaii o a quello dell’ESO in Cile: il metodo spettrometrico.
Questo sistema si basa sull’oscillazione periodica della stella rispetto al baricentro gravitazionale del sistema stellare: Giove ad esempio imprime al Sole una velocità radiale di 13 m/s intorno al baricentro gravitazionale per un periodo di 12 anni, questo vuol dire che per scoprire un altro Giove alla sua stessa distanza intorno ad un’altra stella come il Sole dovremmo prendere le misure doppler della velocità radiale per un periodo di tempo molto lungo.
Per questo finora sono stati trovati perlopiù sistemi atipici, gioviani caldi, pianeti in orbita stretta o con forti anormalità orbitali etc.
Comunque il 1 febbraio come era stato promesso a suo tempo 1 la missione Kepler ha diffuso i dati ricavati da 156.453 stelle osservate tra il  2 maggio e il  16 settembre 2009 2.  Su questo campione sono stati rivelati 1.235 possibili pianeti, appartenenti a 997 stelle.
Lo 0,64% per ora di stelle pare avere un sistema planetario associato. Un dato che può sembrare non molto incoraggiante, ma i dati finora raccolti comprendono un brevissimo lasso di tempo – appena 3 mesi e mezzo –  e in questo lasso di tempo è possibile determinare solo i sistemi planetari con orbite di cortissimo periodo. Tenendo conto che comunque Kepler vede i sistemi planetari giacenti sullo stesso piano visuale rispetto alla stella, questo è un dato invece del tutto incoraggiante.
Le caratteristiche dei pianeti finora scoperti sono:
Dimensioni Tipo Quantità %
15 -22  rT doppio di Giove 19 1,6%
6 – 15 rT come Giove 165 13,7%
2 –   6  rT come Nettuno 662 55%
1,25 -2 rT super Terra 288 23.9%
< 1,25  rT come Terra 68 5,6%
Addirittura ben 54 di questi pianeti sono all’interno della zona Goldilocks della propria stella, la zona considerata sufficientemente lontana dalla stella da permettere all’acqua di esistere allo stato liquido,  anche se questo dipende molto anche dalla composizione chimica del pianeta e della sua atmosfera.
A questo punto si può solo aspettare che altri dati che coprono una più ampia finestra temporale  siano resi disponibili.
È solo questione di tempo, ma pianeti come la nostra Terra stanno per essere finalmente svelati.

Note:

Umberto Genovese

Autodidatta in tutto - o quasi, e curioso di tutto - o quasi. L'astronomia è una delle sue più grandi passioni. Purtroppo una malattia invalidante che lo ha colpito da adulto limita i suoi propositi ma non frena il suo spirito e la sua curiosità. Ha creato il Blog Il Poliedrico nel 2010 e successivamente il Progetto Drake (un polo di aggregazione di informazioni, articoli e link sulla celebre equazione di Frank Drake e proposto al l 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo” (2012, San Marino)) e collabora saltuariamente con varie riviste di astronomia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Interminati mondi e infiniti quesiti" sulla ricerca di vita intelligente nell'Universo, riscuotendo interessanti apprezzamenti. Definisce sé stesso "Cercatore".

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