STEREO Serendipity: scoperto pianeta gemello.

Dopo aver fornito la prima immagine completa del Sole ad alta risoluzione lo scorso 2 febbraio 2011 1, il Solar Terrestrial Relations Observatory (STEREO), lanciato nell’ottobre 2006, ha compiuto un’ulteriore importante osservazione.

Parametri orbitali

Semiasse maggiore 0,97000479 UA
Perielio 0,95021731 UA
Afelio 0,96799347 UA
Circonf. orbitale 6,03185789 UA
Periodo orbitale 365,2564985 giorni
Velocità orbitale 28,593335 km/s (media)
Eccentricità 0,01
Longitudine del
nodo ascendente
215,374°
Satelliti 0 ?
Anelli 0
Dati fisici
Diametro equat. 11862,63 km
Diametro polare 11818,09 km
Diametro medio 11840,36 km
Volume 1,007382789 × 1021
Massa
5,507663 × 1024 kg
Periodo di rotazione 28,474 ore

Il sistema STEREO è costituito da due sonde gemelle, STEREO A e STEREO B, posizionate a circa 90° di distanza dalla Terra sulla sua stessa orbita, una che precede e una che segue il pianeta, quindi a 180° l’una dall’altra per consentire una visione globale della superficie del Sole. Durante un ciclo diagnostico di taratura di uno strumento a bordo di STEREO A, la sonda è stata puntata in una regione esterna al campo di vista del Sole e ha registrato quella che all’inizio si era ritenuto un grossolano errore di manovra. Ripetendo la stessa e assicurandosi che non ci siano errori nel sistema, gli scienziati hanno avuto modo di registrare la presenza di un pianeta gemello della Terra. I dati al momento sono stati confermati dalla seconda sonda STEREO B che ha ripetuto le osservazioni inquadrando la medesima porzione di cielo.

Una simulazione al calcolatore di come del nuovo pianeta STA-1 2011 Eden. Fonte: http://planetquest.jpl.nasa.gov/planetMakeover/planetMakeover.html

Il pianeta si trova a transitare vicino alla Terra ogni 1 378 723 anni, data la minore dimensione della sua orbita rispetto alla Terra, pari a 0,96 UA. E’ rimasto nascosto dal Sole e quindi alle osservazioni da Terra per un periodo di oltre 4 000 anni. Infatti, il nuovo pianeta, battezzato STA-1 2011 Eden, si sposta rispetto alla Terra di 0, 47” in un anno. Al momento è nascosto dal Sole e sarà visibile a partire dal febbraio-marzo 2013 dato che la sua velocità orbitale è di appena 1,18 km/s più lenta rispetto a quella della Terra.
Le analisi spettrali – ancora in fase di studio – mostrano la presenza di un’atmosfera più tenue di quella terrestre e di una massa un po’ inferiore a quella della Terra, pari a 0,93 volte la massa terrestre. Non sono stati rilevati satelliti naturali attorno al pianeta.

Ulteriori informazioni saranno date appena queste saranno rese disponibili.

Umberto Genovese, Sabrina Masiero,  Marco Castellani

Missione STEREO della NASA: http://www.nasa.gov/mission_pages/stereo/main/index.html
Altro link importante a questo indirizzo.


Un IFO contro al Sole

Credit: Larry Landolfi and John Stetson, Spaceweather.com

Il 26 marzo nei cieli del Maine, USA, è apparso un oggetto straordinario contro il Sole, fotografato da 2 astrofili che stavano fotografando il gruppo di macchie solari 1176. Il transito del misterioso oggetto sul disco solare è durato solo 0,65 secondi, ha detto Landolfi.
L’oggetto non è altro che la Stazione Spaziale Internazionale in orbita attorno la Terra e non ha niente di misterioso, ma solo di straordinario: è il frutto della tecnologia e dell’ingegno umano e dello spirito di collaborazione delle diverse Nazioni della Terra.
Potrete osservare i transiti organizzando le vostre osservazioni con le informazioni che potrete ricavare dal sito www.calsky.com che offre anche la posizione dei transiti con Google Map.
Sapevate che la ISS nelle più favorevoli condizioni brilla quanto Venere?

[Nota]: IFO e l’acronimo in inglese di Identified Flying Object


Quando Marte parlava a Guglielmo Marconi

 

 

 

Copyright: The New York Time

Guglielmo Marconi

Tempo fa trovai qui questo articolo in cui veniva commentato un vecchio articolo del New York Times che parlava di Guglielmo Marconi, l’inventore e fisico bolognese che per primo realizzò un sistema di comunicazione senza fili (oggi si direbbe wireless).

La cosa più mi colpì fu che Marconi si era convinto di ricevere segnali extraterrestri attribuendoli a fantastici abitanti di Marte che stavano comunicando, anche loro, per mezzo di un alfabeto composto da punti e linee come l’alfabeto Morse.
Marconi pensava che alcuni segnali spuri da lui ricevuti non fossero di origine terrestre e di questo ne nacque una discussione con gli altri scienziati impegnati nelle ricerche sulle radiotrasmissioni.

L’antenato del diodo al germanio: il coesore.

Uno di questi fu Edouard Branly, fisico francese che si era occupato dei miglioramenti dei sistemi di ricezione perfezionando il coesore, un tubetto di vetro dotato di elettrodi contenente polveri di nichel e argento e tracce di mercurio inventato da un altro fisico italiano: Temistocle Calzecchi Onesti 1.

Branly sosteneva che infatti i segnali Morse ricevuti da Marconi fossero di origine terrestre, prudentemente negando ogni ipotesi di origine  extraterrestre (esisteva un premio di 100.000 franchi francesi dell’epoca per chiunque fosse stato in grado di stabilire una comunicazione radio con altri mondi).
Altri scienziati come il direttore dell’Osservatorio di Parigi Edward Benjamin Baillaud dichiarandosi ignorante in materia affermò che le osservazioni radio svolte dalla Torre Eiffel non mostravano traccia di quei segnali.
Qualcun altro parlò di disturbi atmosferici, altri ipotizzarono una correlazione con l’attività solare, altri forse ci risero su pensando che forse questa vota il genio italiano l’aveva sparata troppo grossa 2.

Guglielmo Marconi si mosse quasi certamente dietro l’onda emotiva scatenata dalla scoperta dei canali di Marte da parte dell’astronomo Giovanni Schiaparelli che credeva di aver scorto sulla superficie del Pianeta Rosso una teoria di depressioni che chiamò canali nei suoi scritti, che, per un banale errore di traduzione in inglese, presero il nome di canals, ovvero strutture artificiali, trovando nell’astronomo americano Percival Lowell un fervente sostenitore.

Credo che invece Marconi ascoltò veramente dei segnali Morse provenienti dal cielo, ma che questi fossero di chiara origine terrestre, influenzati dall’attività solare e dal momento diurno: sono infatti convinto che Marconi stesse rivelando segnali Morse trasmessi da qualche parte sulla Terra e riflessi dalla ionosfera, scoperta solo qualche anno più tardi nel 1926 dal fisico scozzese Robert Watson-Watt, inventore del radar 3, e studiata dal fisico inglese Edward V. Appleton che gli valse il Premio Nobel.

Anche nelle storie più strampalate può esserci un pizzico di realtà.


 

Guglielmo Marconi

Guglielmo Marconi

Uno scrigno nel cielo australe

Nebulosa Tarantola. Credit: ESA/NASA

Uno dei miei desideri è quello di andare a vivere  nell’emisfero sud del mondo per qualche anno e così osservare le meraviglie celesti del cielo meridionale: le Nubi di Magellano, la Nebulosa Carena, la Croce del Sud … l’elenco è talmente vasto che occorrerebbe un atlante per contenerlo, qui non è proprio il caso.

Questa fotografia ripresa dal telescopio spaziale Hubble mostra uno di questi oggetti: la Nebulosa Tarantola o NGC2070 o 30 Doradus , a seconda di come ognuno scelga di chiamarla, situata nella Grande Nube di Magellano.
La 30 Doradus è enorme: 200 parsec 1 e dista 160-170 mila anni luce da noi: se si scambiasse di posto con la Nebulosa di Orione apparirebbe 60 volte più grande della Luna Piena e riuscirebbe proiettare ombre!
La sua natura nebulare fu riconosciuta sotanto nel 1751 dall’astronomo e abate francese  Nicolas Louis de Lacaille, noto per aver dato un nome a molte costellazioni dell’emisfero sud, prima si pensava che fosse soltanto una normale stellina di ottava grandezza.

La regione stellare R136 al centro della Nebulosa Tarantola Credit: ESA/NASA

In realtà 30 Doradus è la più grande regione di formazione stellare conosciuta nell’Ammasso Locale: una regione di idrogeno  ionizzato enorme, spazzata da venti stellari prodotti da antiche e nuove supernove e da giovani stelle blu, come quelle della regione R136 riprodotta qui a fianco.
Sono praticamente tutte delle giganti azzurre del tipo O3 2, uno scrigno di gioielli veramente unico!

Un giorno probabilmente 30 Doradus si evolverà in un ammasso globulare, uno dei tanti che circonda la nostra Galassia.

Sapete perché continuo a chiamare la nebulosa col nome di 30 Doradus? io non sopporto i ragni….

Le maree scatenano i terremoti?

Il mito della Superluna.

La teoria della Superluna: L’attrazione gravitazionale della luna piena al perigeo è in grado di deformare la crosta terrestre fino a scatenare i terremoti

In questi immediati momenti susseguenti una catastrofe naturale come il sisma in Giappone o lo tsunami del Natale 2004, ci sono strani personaggi che fantasticano sulle più disparate teorie sulle cause degli eventi e sulle certezze di poterli prevedere per il futuro.
Uno di questi – un astrologo –  chiama in causa un fenomeno lunare che lui chiama Superluna 1, ossia una luna piena che avviene al momento della minima distanza Terra-Luna chiamato perigeo.
Peccato che al momento del terremoto giapponese né l’una nè l’altra condizione si sia verificata, ma che questa si verificherà,ad esempio, il 19 di marzo 2011.

Parametri orbitali Luna
(All’epoca J2000)
Perigeo 363 104 km
Apogeo 405 696 km
Circonf. orbitale 2 413 402 km
Periodo orbitale 27,321 661 55 giorni
(27 d 7 h 43,2 min)
Periodo sinodico 29,530 588 giorni
(29 d 12 h 44,0 min)
Velocità orbitale
968 m/s (min)

1 022 m/s (media)

1 082 m/s (max)
Inclinazione
sull’eclittica
5,145396°
Inclinazione rispetto
all’equat. di Terra
da 18,30° a 28,60°
Eccentricità 0,0554

Questo è un fenomeno che, contrariamente a quanto racconta lo ‘strologo,  si verifica piuttosto spesso, ogni 413 giorni, anche se, la contemporaneità dei due eventi – l’opposizione esatta della Luna col Sole e il suo perigeo – è più difficile che combacino.
Anche l’evento del 19 non fa eccezione: infatti la luna piena sarà alle 18:06 UT, mentre il perigeo sarà alle 19:00 UT.
Il problema per la teoria della Superluna è che il terremoto  si è verificato invece proprio nel momento in cui l’azione mareale della Luna – a meno del primo quarto – e con la Luna che non era certo al perigeo (l’apogeo la Luna l’aveva raggiunto il 6 di marzo).
Questo dimostra senza ombra di dubbio che il mito della Superluna è sfatato.

Cosa sono le maree.

Le maree 2  sono alterazioni della superficie terrestre dovuti all’interazione gravitazionale dei corpi celesti con la Terra.
Le più evidenti e note sono quelle marine, che seguono l’andamento della  posizione della Luna nel cielo. Se la Terra fosse ricoperta da uno strato uniforme di acqua, queste avrebbero un’oscillazione di circa due metri, ma siccome  – per nostra fortuna – non lo è, l’escursione di una marea dipende anche da altri fattori come l’altezza dei fondali, la morfologia dei litorali etc.

La distanza media tra il centro della Luna e il centro della Terra (trascurando quindi il fatto che l’orbita lunare è ellittica) è di circa 384400 chilometri; questo significa che la parte della Terra rivolta alla Luna è 6373 chilometri più vicina e la parte opposta è altrettanto più lontana. Ponendo quindi a 1 la distanza tra la faccia rivolta alla Luna e il suo centro, la parte opposta è 1.0337 più lontana; non sembra molto, ma significa che sul lato opposto la Luna esercita un’attrazione che è il 93.58% rispetto al lato a lei rivolto.
L’effetto di questa differenza di attrazione è che entrambi i lati si gonfino, uno in direzione della Luna, l’altro dalla parte opposta.
La frizione dovuta al continuo rigonfiamento e rilascio della superficie terrestre e dei mari dissipa parte dell’energia di rotazione della Terra equivalenti a circa 1 secondo ogni 100000 anni. Se questo ritmo fosse stato costante avremmo perso circa 12 ore da quando si è formata la coppia Terra-Luna, ma il ritmo di dissipazione nel lontano passato era sicuramente molto più importante, data la vicinanza della Luna di allora rispetto alla Terra.
Infatti, rallentare la rotazione di un corpo significa una perdita del momento angolare, che per la legge di conservazione non può essere perso. Quindi questo comporta un allontanamento della Luna dalla Terra, quello che viene perso nella rotazione dalla Terra  viene recuperato in momento angolare attorno al più distante centro di gravità comune con la Luna.

Quanto incidono i corpi celesti sulla crosta terrestre.

Mentre la differenza gravitazionale tra i lati opposti del pianeta è sufficiente per una azione sensibile sulle masse liquide slegate come mari e oceani,  per quanto riguarda la parte solida della crosta terrestre, l’influenza  è molto più piccola, ma non del tutto insignificante.
L’effetto mareale dei corpi celesti si estende ovviamente anche alle parti solide della crosta, a cui si attribuiscono 55 centimetri di variazione per effetto mareale lunare e circa 15 centimetri per effetto del Sole all’equatore. Queste deformazioni della crosta sono importanti per la calibrazione dei sistemi GPS, ma anche per il corretto funzionamento degli accelleratori di particelle 3.
Anche queste, come le maree marine,  seguono lo stesso ciclo di 6 ore, ma a causa della maggiore inerzia della crosta solida le maree sulla componente solida del pianeta sono in fase con la Luna con un ritardo di circa 2 ore.
Il Sole è 27 milioni di volte più massiccio della Luna ma 389 volte più lontano,  quindi il suo effetto mareale è solo il 46% di quello lunare, mentre quello di Giove, il pianeta più massiccio del sistema solare, è appena un centesimo di quello sempre della Luna.

Se le variazioni di altezza sono evidenti  sulla componente liquida della superficie terrestre, molto meno lo sono quelli della componente solida. Ma queste sollecitazioni possono scatenare un terremoto?
Semplicemente non lo sappiamo. Certo è che la continua interazione mareale  può contribuire allo stress delle faglie tettoniche, ma è il calore interno del pianeta la principale fonte di energia delle placche.
Al loro reciproco movimento, le placche oppongono una grande resistenza che si accumula, un po’ come se cercaste di far scorrere due fogli di carta vetrata o di gomma antisdrucciolo tra loro. All’inizio questi non si muovono per l’effetto dell’attrito, ma poi uno dei due fogli cede sotto la spinta e si muove all’improvviso, senza alcun preavviso. È quindi questo che rende imprevedibile un terremoto, magari può capitare che un evento minore scateni l’energia fino ad allora accumulata da una faglia, come questa sia insensibile all’evento. Oppure un processo lubrificante come l’acqua o la composizione chimica o minerale di un punto particolare di una faglia impedisca a questa di accumulare abbastanza energia da scatenare un sisma violento; le variabili in gioco sono migliaia dove tutte sono importanti e nessuna è necessaria.

Non sono un geologo, ma non credo che possa esserci un metodo universalmente efficace e sicuro che possa aiutarci a prevedere un terremoto, né tanto meno può dircelo la posizione della Luna nel cielo.

La condivisione delle idee

Oggi non parlerò di scienza, di astronomia o politica.

Voglio solo farvi sapere che alcuni articoli de Il Poliedrico sono stati ripubblicati col mio consenso in altri siti. I siti in questione sono TuttiDentro e Gruppo Locale.
Sono orgoglioso che il lungo lavoro di ricerca e la cura che cerco continuamente di mettere nello scrivere per gli altri sia stata così ricompensata. Potrà capitare come è successo in passato che alcuni preziosi lavori di questi due siti vengano ospitati su Il Poliedrico che comunque continuerà la sua opera di divulgazione originale.

A questo punto volgo un ringraziamento a Sabrina Masiero per la sua preziosa collaborazione, invitandola a scrivere qualcosa di originale per il Blog.

La condivisione delle idee è stata fondamentale per lo sviluppo della civiltà umana.
Immaginate se la scoperta del fuoco, l’invenzione della ruota o della scrittura non fossero mai state condivise; se la matematica araba non fosse stata diffusa in Occidente, se Newton avesse raccolto e mangiato la mela 1 e avesse tenuto per sé le sue idee sulla gravitazione….
Oggi saremmo ancora vestiti di pelli d’animale, costretti a morire per un banale taglio sulla pelle e moriremmo a venti – trenta anni di vecchiaia, o forse non esisteremmo più, estinti principalmente per il nostro egoismo primitivo.
Invece oggi, abbiamo gli antibiotici 2 che ci curano dalle abrasioni, sappiamo – non tutti – leggere scrivere e far di conto, mentre tutti abbiamo le automobili con quattro ruote fatte di ferro. Il risultato è che abbiamo quasi quadruplicato la nostra aspettativa di vita e siamo una cività – nonostante i danni ambientali che purtroppo combiniamo.
Quindi tutto sommato l’aver condiviso esperienze e scoperte e avere inventato la scrittura, ci ha resi un pochino migliori di quello che eravamo.

A questo aspira anche Il Poliedrico, ad essere migliore. Cosa ne pensate voi lettori di questa nuova collaborazione?
Lasciate un commento…

La gola del Bottaccione

C’era una volta… un re!
Ehhh no, questa volta: c’era una volta un asteroide!
Un asteroide grande grande grande, era lungo più di dieci chilometri ed era in rotta di collisione con la Terra!

L’impronta del cratere di Chicxulub, dove avvenne l’impatto.

Il resto della storia credo che ormai la sappiamo tutti, 65  milioni e 638,477  anni fa 1 – giorno più giorno meno – un asteroide grande più dell’Everest si schiantò sulla Terra in quella che ora si chiama penisola dello Yucatan. Quando un’estremità toccò la superficie, l’altra era ancora fuori dell’atmosfera!
Gli effetti dell’impatto furono devastanti: quasi tutte le forme di vita sulla Terra vennero spazzate via nel giro di poche settimane, l’America del Nord fu immediatamente devastata dall’onda d’urto e dagli incendi, tsunami giganteschi spazzarono l’oceano Atlantico più volte con onde alte centinaia di metri.
Terremoti giganteschi fecero vibrare la Terra per giorni e i vulcani ripresero la loro attività preferita mentre altri nacquero. L’asteroide vaporizzò immediatamente nell’impatto e le sue polveri insieme alle ceneri vulcaniche e quelle degli incendi globali rimasero in sospensione nell’atmosfera per mesi, oscurandola in un terribile, glaciale inverno globale.
Le ceneri e le polveri si depositarono al suolo con piogge acide che inquinarono fiumi e laghi e quando tutto questo finì, arrivò una terribile estate senza fine dovuta all’anidride carbonica sprigionata dagli incendi delle foreste del pianeta.

Fu così che circa il 75% delle forme di vita del pianeta si estinse quasi immediatamente, tutti gli animali più grandi che fino ad allora avevano dominato il pianeta scomparvero, lasciando campo libero a piccoli roditori mammiferi che seppero adattarsi meglio al nuovo ambiente.
Alla Terra occorse quasi un milione di anni per riprendersi da quell’inaspettato evento, tanto fu devastante.

Le polveri prodotte dalla sublimazione dell’asteroide che avevano avvolto il pianeta nel lungo inverno artificiale ricaddero al suolo formando uno straterello grigiastro che quando fu scoperto nel 1980 dal geologo Walter Alvarez nella Gola del Bottaccione 2 vicino Gubbio, in Italia.

Credit: Il Poliedrico

Eccolo qua il significato del quiz La roccia misteriosa: la profonda fenditura rappresenta lo Strato K-T trovato da Alvarez nell’80. I forellini circolari sono saggi prelevati per studiare i dintorni dello strato.
Queste rocce si sono formate sul fondo di un antico oceano chiamato Tetide. Le rocce più antiche dello Strato K-T – sul lato destro dell’immagine – sono composte da carbonato di calcio originato dal deposito di milioni di microorganismi fossili (conchiglie e plancton), mentre le rocce più giovani – lato sinistro – sono composte da argilla, le tracce di forme di vita si interrompono immediatamente con l’Evento K-T.

Anche questa è storia, l’inizio della storia dei sopravvissuti che hanno permesso alla loro discendenza di dominare il pianeta.

Luce cinerea con sorpresina!

Qualche volta anche una banale fotografia riserva qualche sorpresa…

Credit: Il Poliedrico

Questa fotografia mostra la Luna ai primi istanti del primo quarto alle 18;44 di questa sera, 6 marzo 2011. Qui si vede la celeberrima luce cinerea, ovvero l’intero disco lunare in ombra che risalta seppur di poco dal fondo del cielo.
Essa è dovuta alla luce riflessa dalla Terra che riesce ad illuminare la parte in ombra del nostro satellite.
In pratica è un modo per misurare l’albedo del pianeta che, purtroppo, sembrava calare inesorabilmente fino a circa tre anni fa, ma che adesso, per fortuna, sembra che voglia risalire.
L’albedo è l’indice di riflessione della luce da parte di un corpo che va da 0 == massimo assorbimento, a 1 == massima riflettività.
Nel caso dei pianeti indica la quantità di luce solare che questi riflettono verso lo spazio esterno e che quindi non trattengono ad esempio come calore.
Nel caso della Terra, maggiore è l’estensione dei ghiacciai e delle nubi, maggiore è l’albedo e minore è la radiazione solare che il pianeta trattiene e che converte in calore.
Se non credete che la luce cinerea sia dovuta alla Terra, guardate qua:

Credit: Il Poliedrico

questa è la stessa fotografia rielaborata sommariamente, nella parte in ombra si intravedono i mari lunari!

Brillamenti solari e tempeste geomagnetiche

Abbiamo visto nello scorso articolo quanto le aurore polari possano rappresentare un rischio per la nostra società, ma quanto questo rischio è reale?

Credit: NASA/SDO

Se un evento ha anche una sola probabilità di accadere, in un lasso di tempo sufficientemente lungo, questo accadrà.
Nel 1859 (Evento Carrington)  una massiccia tempesta solare mise fuori uso  la rete telegrafica degli Stati Uniti e in Europa, altri eventi minori più volte hanno temporaneamente messo fuori uso la nostra tecnologia basata sull’elettricità in varie parti del mondo, dimostrando – casomai ce ne fosse ancora bisogno – di quanto sia fragile l’equilibrio su cui si regge la nostra società tecnologica.

Tutto questo ha origine dalla rotazione differenziale del Sole (la velocità di rotazione all’equatore è  maggiore che ai poli) tipica dei corpi non solidi che genera tubi di flusso magnetico al di sotto della superficie stellare (zona convettiva).
Si chiama attività solare la presenza di zone più fredde  sulla superficie del Sole con cicli di 11 anni. Queste zone più fredde paiono più scure rispetto alla fotosfera circostante, per questo sono chiamate macchie solari,  e sono provocate da questi flussi magnetici che inibiscono il riscaldamento convettivo della materia che racchiudono, al momento che raggiungono la superficie.
Le linee di questi campi magnetici a causa della rotazione differenziale, si avvolgono a tal punto che spesso si annichiliscono e  rilasciano una immensa quantità di energia sotto forma di flare e di espulsioni di massa coronale che mantengono memoria del campo magnetico che le ha generate.

Il campo magnetico del Sole – come quello terrestre – non è perfettamente allineato con l’asse di rotazione. Sotto la spinta del vento solare il flusso magnetico non si chiude subito ma si disperde nello spazio per circa 160 U.A.  creando una forma a spirale.
La componente del vento solare responsabile di questo fenomeno si chiama corrente interplanetaria diffusa.
Inoltre il flusso di vento solare è più forte verso il massimo del ciclo solare per poi ridiminuire successivamente verso il minimo, questo ha notevoli ripercussioni sia sulla magnetosfera terrestre che, curiosamente sul clima e il riscaldamento dell’atmosfera terrestre in modi davvero inaspettati 1.
La Terra quindi si viene a trovare periodicamente immersa nelle diverse polarità del campo magnetico solare e, come conseguenza, la magnetosfera terrestre si espande e si contrae ciclicamente. Questo ciclo dura 27 giorni, come un giorno solare all’equatore.
Un’altra peculiarità del campo magnetico solare è che esso inverte la propria polarità ad ogni ciclo solare.

La corrente interplanetaria diffusa è prodotta dall’influenza del campo magnetico del Sole sul plasma del mezzo interplanetario.

Per riassumere in pratica abbiamo un ciclo di campo magnetico solare di 22 anni in cui questo si inverte di polarità (11 anni o un ciclo solare) per poi ritornare alla precedente condizione (22 anni o 2 cicli solari) e un ciclo di 27 giorni dove la componente magnetica trasportata dal vento solare si inverte di segno.

Il dipolo magnetico terrestre attualmente è SN (Sud-Nord), quindi la magnetosfera terrestre è particolarmente sofferente quando la componente del campo magnetico interplanetario ha una polarità NS.
Durante i cicli di massima attività solare, la pressione del vento solare con l’opportuna polarità può far arretrare la magnetosfera fin della metà  2 per effetto della riconnessione magnetica dei due campi magnetici opposti.
A questo punto basta che la bolla di plasma liberata dal brillamento abbia l’energia sufficiente e l’opportuna polarità NS per far collassare il campo geomagnetico e lasciar campo libero al plasma solare di ionizzare l’atmosfera fino alle basse latitudini, come accadde nel 1859.
Ma cosa accadde esattamente nel 1859?

Il flare di per sè fu eccezionale, ma anche eccezionale fu la sua velocità: appena 17 ore e 40 minuti contro le normali 30 ore o più per andare dalla superficie del Sole alla Terra impiegati mediamente da altri brillamenti, un tempo relativamente breve che probabilmente impedì al plasma di perdere parte  della sua forza .

A questo punto lo scenario è semplice: un potente flare genera un bolla di plasma magnetico con la stessa polarità del mezzo interplanetario opposti però al campo magnetico terrestre.
Il risultato di questo spiacevole mix è che i raggi X generati dal flare dopo appena 8 minuti potrebbero distruggere lo strato D della ionosfera causando un blackout  nelle onde corte in tutto l’emisfero  illuminato.  Lo strato di ozono verrebbe impoverito dal  5 al 10%, provocando una maggiore insolazione ultravioletta che andrebbe a riscaldare l’atmosfera 3.
Dopo 20-30 ore la bolla di plasma farebbe collassare la magnetosfera inondando l’atmosfera del pianeta con protoni energetici, generando i magnifici colori tipici prodotti dalle interazioni di questi con gli atomi dell’aria. Le radiazioni generate da queste interazioni raggiungono  la superficie terrestre danneggiando i componenti elettrici ed elettronici che incontrano principalmente per effetto Compton.

Ice core data shows a strong spike (red bar) in the atmospheric nitrate (NOx) abundances during the 1859 storm, along with lesser spikes for many other storms since 1500

La barra rossa indica una forte concentrazione di nitrato atmosferico (NOx) prodotto durante la tempesta 1859, insieme agli eventi minori registrati a partire dal 1561. Credit: NASA

Comunque lo scenario apocalittico appena descritto potrebbe avere poche possibilità di avverarsi a breve.
Ricerche effettuate su carote di ghiaccio prelevate  in Groenlandia e in Antartide, gli scienziati Michael Smart, Donald Shea e Kennith McCracken presso l’Air Force Research Lab e l’Università del Maryland hanno mostrato che le concentrazioni di nitrati intrappolati nel ghiaccio si impennavano in concomitanza dell’attività solare. Questi marcatori sono stati chiamati Solar Event Proton 4 e hanno permesso di risalire a eventi piuttosto importanti a partire dall’anno 1561.
In queste registrazioni naturali l’unica supertempesta che si è abbattuta sul nostro pianeta è quella appunto del 1859, una soltanto in 450 anni!
Sono appena 19 le altre tempeste importanti registrate, con una media di una ogni 23 anni circa, ma non sono uniformi nel tempo come ci si dovrebbe aspettare per fare una previsione.
Gli ultimi 40 anni non si sono registrate grosse tempeste, tranne che nell’agosto del 1972 e nel marzo del 1991, cosa che è accaduta solo durante il Minimo di Maunder 5.
In confronto nei periodi tra il 1850 e il 1930 ci sono stati ben 10 eventi più intensi di quello del 1972.

A questo punto per sapere come sarà stato il Ciclo 24 e se ci saranno supertempeste dovremmo solo aspettare.