Quattro vie per dire addio ai combustibili fossili

Un anno fa su Scientific American apparve un articolo 1 di Mark Z. Jacobson e Mark A. Delucchi che illustrava la fattibilità di produrre l’energia  mondiale necessaria solo col supporto delle fonti rinnovabili, ossia vento, acqua e sole (Wind Water Sun) a cui mi sento di unire anche la geotermia come importante fonte energetica pulita.  Il lavoro svolto presso l’Università di Stanford tiene conto di fattori importanti come l’impatto ambientale globale di tutta la filiera di produzione: riscaldamento globale, inquinamento, approvvigionamento idrico, uso del suolo, la biodiversità etc… .
Tenere conto di tutti i fattori che causano turbamento del delicato equilibrio planetario non è semplice, comunque questo ha di fatto eliminato tutte le fonti di approvvigionamento tradizionali come carbone, petrolio, gas e nucleare ma anche tutti i sistemi che riguardano i biocombustibili e i termogeneratori a combustione.

Energia e Combustibili

L’energia è un concetto tutto sommato astratto:  può essere qualsiasi cosa che produce un lavoro, sia esso meccanico, chimico o elettrico; tutti i combustibili quindi sono veicoli di energia: in seguito a una reazione chimica o nucleare questi rilasciano una certa quantità di energia che genera lavoro 2, 3.
Tutti i combustibili chimici che usiamo producono energia tramite la rottura dei legami chimici di molecole complesse rilasciando sottoprodotti di scarto come la CO2 4. Il problema risiede nel fatto che molti combustibili chimici  che usiamo sono di origine fossile, praticamente tutti, tranne quelli provenienti dalle biomasse attuali, originati cioè in milioni di anni da piante e animali morti che durante la loro esistenza avevano catturato il carbonio dall’ambiente. Nel momento del loro utilizzo perciò rilasciano il carbonio estratto dall’ambiente milioni di anni fa di cui erano custodi riversandolo nell’ambiente attuale. Le biomasse invece raccolgono ora il loro carbonio e ora viene liberato, quindi ad apporto virtualmente zero per l’ambiente.

A questo punto è facile intuire che i combustibili fossili sono vettori energetici che creano un grave danno all’ambiente. I biocarburanti apparentemente no, però questi non potrebbero risolvere la domanda energetica del pianeta senza distogliere all’agricoltura alimentare risorse importanti come acqua e suolo, possono essere vettori tollerabili solo  fino a quando un diverso sviluppo tecnologico con un diverso vettore non sarà diventato dominante 5.

Noi usiamo già questo terzo vettore, nelle nostre case e nelle fabbriche, negli uffici e nel tempo libero, è fondamentale per lo sviluppo tecnologico dell’umanità: si chiama elettricità.
Finora usiamo i combustibili fossili (o nucleari) per produrla, ma nuove tecnologie permettono la produzione di elettricità in grandi quantità senza intaccare l’ambiente e a costi sempre più competitivi rispetto ai metodi tradizionali, mi riferisco alle WWS + G di prima: vento, acqua, sole e geotermia.

Vento e Acqua

La centrale mareomotrice di Saint-Malo. Essa copre il 3 % del fabbisogno elettrico della Bretagna francese. Credit: Wikipedia

Il vento e l’acqua possono generare movimento, quindi energia, convertibile direttamente in elettricità esattamente come fa una turbina di una centrale a combustibile, l’unica difficoltà è che queste due risorse non sono ovunque e sempre disponibili, ma l’energia da loro prodotta può essere immagazzinata in un altro tipo di vettore (ex. idrogeno) o trasportata attraverso la rete elettrica. Non solo, essendo il vento mediamente disponibile sul pianeta, date le relativamente ridotte dimensioni e l’assenza di inquinamento dei mezzi di conversione d’energia movimento/elettricità, il suo sfruttamento si presta anche per la produzione locale di energia elettrica.
L’acqua come risorsa idroelettrica è già ampiamente sfruttata, manca solo di sfruttare l’energia resa dalle maree e dalle correnti marine 6, anche se esercizi pilota in questo senso sono già stati avviati in diverse parti del mondo.

Caos nel Mediterraneo

Preferisco più parlare di scienza che di politica, scusate se però qualche volta non mi trattengo, specie ora che i media nazionali parlano solo di bordelli e mignottume vario…

Manfestante tunisino

La situazione politica nel mediterraneo sta esplodendo: la Tunisia ha rovesciato il suo dittatore Zine El Abidine Ben Ali  il cui partito (RCD) alle elezioni del 2009 aveva riscontrato l’89.62% di consensi, più o meno come nelle vecchie finte democrazie socialiste mitteleuropee del secolo scorso (per questo si parla di percentuali bulgare), dopo che Wikileaks aveva rivelato il pensiero di dell’ambasciatore americano sul l’ex Presidente 1, 23.

Wikileaks è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma la realtà è che il paese era stremato e alla fame, senza più prospettive per il futuro, governato da una dittatura imposta dall’esterno 4 e che verso l’esterno doveva rispondere.

L’Algeria, scossa nei giorni scorsi dallo stesso furore tunisino,  in queste ore sta meditando per un rimpasto di governo 5 ma credo che non sarà sufficiente, purtroppo.

L’Egitto è teatro in queste ore di una rivolta popolare per gli stessi motivi, disoccupazione, caro vita, corruzione  e stipendi da fame contro una dittatura che non esita a sparare sui giornalisti e che taglia tutte le telecomunicazioni col mondo per non far trapelare – inutilmente- il quadro drammatico del paese 6.

Per la cronaca, lo stesso sta accadendo in Albania, più o meno per le stesse ragioni, nonostante le lodi sperticate della Banca Mondiale 7, 8.

Non sto a fare la cronaca di queste ore drammatiche, voglio però sottolineare una cosa: questi regimi hanno vissuto tutto questo tempo grazie anche al consenso dei paesi occidentali, soprattutto europei, preoccupati da un ipotetico mega-stato musulmano e dal fondamentalismo religioso, che hanno permesso a questi dittatori corrotti di rimanere al potere (a moglie delll’ex Presidente tunisino Ben Alì è scappata con 1, 5 tonnellate d’oro 9 e di depredare la popolazione.

Questa  è miopia, stoltezza. Se avessero chiesto e appoggiato più democrazia e sviluppo sociale, non esisterebbe ora un reale pericolo fondamentalista religioso musulmano  10 nella regione, la colpa è nostra perché non abbiamo obbligato le nostre classi politiche di chiedere qli stessi nostri diritti quando interagiscono con Stati non proprio liberi e non proprio trasparenti.

Sarebbe ora di incominciare a chiedere….

L’ombra di Venere

Credit:Vincent Jacques (Fr) for SpaceWeather.com

Mi dispiace che quasi nessuno abbia partecipato al gioco; in fondo la colpa è anche un po’ mia perché non era affatto facile rispondere.

Gli oggetti astronomici capaci di creare un’ombra sulla Terra sono soltanto tre – anche se chi giura che anche Marte e Giove ne siano capaci: Sole, Luna e Venere.
L’origine dell’ombra proiettata sul muro era il pianeta Venere; infatti la Luna sarebbe sorta solo in tarda mattinata (era Luna Nuova il 4, ricordate l’eclissi di Sole?)
Quella mattina, col cielo limpido e scuro, Venere brillava di magnitudine -4,4, generando così la debolissima ombra del telescopio sul muro.

Relazione tra posizione orbitale e fasi osservabili del pianeta. Credit: UAI

Dopo la massima elongazione orientale (ultimo quarto), quindi di sera, Venere si avvicina alla Terra e diviene di conseguenza più brillante. Il massimo della luminosità si ottiene circa quattro settimane dopo la massima elongazione orientale, nel momento in cui si ottiene un ragionevole compromesso tra  la diminuzione della superficie visibile del pianeta dalla Terra (fase calante), quindi la luce riflessa, e la sua distanza dalla Terra. Dopo la congiunzione inferiore (quando Venere sarà tra la Terra e il Sole) Venere sarà visibile prima dell’alba e il massimo della luminosità sarà raggiunto un mese prima della massima elongazione occidentale (primo quarto).
In quei momenti la luminosità sarà massima (magnitudine visuale -4,4 /-4,5) e in condizioni di cielo buio (quindi senza la Luna visibile e senza inquinamento luminoso) si potrà vedere l’ombra di Venere, che ha anche una particolarità interessante:
visto che Venere è comunque per noi quasi puntiforme rispetto al Sole e alla Luna, la sua ombra, anche se debolissima, avrà i contorni più netti di quella prodotta dagli altri due corpi celesti.

Amminoacidi levogiri nelle condriti

Un esemplare del meteorite Murchison esposto al National Museum of Natural History di Washington. Credit wikipedia

Le CONDRITI CARBONACEE sono piuttosto rare: appena i 4% di tutto il materiale meteorico che cade sulla Terra appartiene a questo tipo che si ritiene di natura cometaria. Esse contengono acqua e tracce di materiale organico, compresi spesso anche gli amminoacidi. Si pensa che le condriti siano materiale inalterato della nebulosa solare originaria.

La mattina del 28 settembre 1969, nei cieli australiani venne avvistato un luminoso bolide che esplose in tre corpi più piccoli. Nei giorni successivi molti di questi frammenti vennero recuperati intorno alla cittadina di Murchinson da cui poi questi frammenti presero il nome. Si ritiene che la meteora sia stata un frammento della cometa periodica Finlay.

Credit: wikipedia

CHIRALITÀ
Si chiama chirale la molecola che può esistere con entrambe le forme speculari che non sono sovrapponibili nello spazio tra loro, come ad esempio le due mani di un individuo o anche le sue scarpe. Il RACEMO è quando le proporzioni di entrambe le forme chirali di una molecola sono presenti in parti uguali (1:1) in una miscela.

Le analisi di laboratorio successive identificarono almeno un centinaio di amminoacidi comuni come la glicina, l’alanina e l’acido glutammico, e altri molto rari come l’isovalina all’interno dei frammenti del meteorite, una condrite carbonacea.
All’inizio la presenza in eguale quantità di amminoacidi chirali, detta racemo, fu considerata una prova incontrovertibile – e lo è tutt’ora, dell’origine extraterrestre del materiale organico, in quanto la Vita terrestre può generare ed utilizzare quasi soltanto amminoacidi chirali levogiri.
In seguito apparve che alcuni amminoacidi non erano racemici 1 pur essendo di chiara origine extraterrestre come mostravano anche le analisi isotopiche 2.

Nel marzo del 2009, i ricercatori della NASA’s Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, hanno scoperto un eccesso importante di isovalina levogira in alcuni campioni di condriti carbonacee ricche di acqua.
Questa scoperta, fatta attraverso l’uso di un particolare cromatografo a fluorescenza,  potrebbe spiegare perché la Vita sulla Terra prediliga la forma levogira degli amminoacidi, suggerendo che questa peculiarità abbia avuto il suo inizio nello spazio, dove  alcune condizioni chimico-fisiche particolari negli asteroidi abbiano favorito la creazione di amminoacidi levogiri.
Gli impatti meteorici di comete e asteroidi avrebbero successivamente fornito il materiale necessario allo sviluppo della Vita dotato della caratteristica levogira alla Terra 3.

Fotografia notturna

IMG_6275

Velocità otturatore: 25 sec Apertura: f/3,5 ISO: 1600

Trovo che la fotografia crepuscolare e notturna sia estremamente gratificante in quanto riesce a rivelare un altro mondo ricchissimo di luci e colori impossibile da osservare ad occhio nudo. Tra l’altro, giocando con i tempi di esposizione si possono vedere cose che altrimenti sono impossibili, come un improbabile collina assolata con le stelle del Sagittario sullo sfondo, o le macchie solari su un disco del Sole filtrato a modo. Ormai con le attuali fotocamere digitali chiunque può cimentarsi in queste tecniche di ripresa. Una volta era molto più difficile ottenere gli stessi risultati con la normale pellicola fotografica: i tempi enormi per lo sviluppo e stampa e la necessità di rivolgersi spesso ai laboratori esterni – che non di rado non stampavano le riprese più scure, rendevano questo tipo di fotografia alla portata di pochi.

Lo Scorpione. Antares è proprio nel centro della foto.

Comunque ancora oggi molte persone quando vedono una fotografia notturna che rappresenta un cielo stellato o i sentieri di stelle (quello che gli anglofoni chiamano startrails), pensano che i colori siano falsi. No, qualche volta possono essere esaltati per migliorare la resa visiva complessiva -con i moderni programmi di fotoritocco non è difficile, ma se per esempio vedreste una fotografia di Antares (α Scorpii) con questa che appare  arancione, è perché lo è, così come se fotografaste  la costellazione di Orione vedreste che la stellina (in realtà una nebulosa) al centro della spada del Cacciatore celeste notereste che M43 è di colore rosso tendente al bianco, mentre alla sua destra Rigel appare bianco-azzurra.

Tutto questo succede perché  la fisiologia dell’occhio umano non permette di discernere i colori in condizioni di scarsa illuminazione e comunque la risoluzione cromatica dell’occhio è piuttosto ristretta, mentre i colori celesti sono prodotti dalle più disparate condizioni chimico-fisiche che coprono una molto più estesa gamma di lunghezze d’onda. Per questo le stelle ci appaiono perlopiù simili nel colore ad occhio nudo di quanto non lo siano in realtà fra loro e che solo le fotocamere possono mostrarci.

The Milky Way

Il cuore della Via Lattea ripreso con un 18-55 mm senza inseguimento

Una foto stellare comunque richiede un minimo di preparazione a tavolino a seconda dei risultati che si vogliono ottenere. Se si vogliono fare delle belle foto dei sentieri stellati, basta scegliere un buon paesaggio di contorno e scattare in posa B, se questa è supportata dalla fotocamera, oppure scattare col più lungo tempo possibile e poi sommare i fotogrammi ottenuti usando il paesaggio come unico riferimento di centratura; unica accortezza sarà quella di non saturare l’immagine con la luce ambientale (Luna, inquinamento luminoso, etc.) che vanificherebbe ogni sforzo. Per questo sono importanti gli ISO e l’apertura del diaframma: un valore ISO più basso  del massimo è sempre indice di una migliore rapporto qualità/rumore nel risultato finale, anche se a volte non è possibile farne a meno.
Quindi se per ottenere l’effetto scia dalle stelle non è poi così difficile,  il peggio è ottenere una immagine puntiforme delle stelle, o  quantomeno sforzarsi il più possibile che lo siano. Il problema sussiste nel fatto che la volta celeste ruota (in realtà è la Terra che gira) e che ovviamente questo fenomeno sia più accentuato attorno all’equatore celeste (bassa declinazione) che verso i poli (alta declinazione) e che sia più percepibile coll’aumentare della lunghezza focale.
Io in genere uso la formula che riporto nello specchietto qui accanto, che da mie prove empiriche  ha sempre funzionato ogni volta che ho voluto ottenere delle riprese con stelle puntiformi; sono tempi massimi di esposizione però, per cui per prudenza mi sono sempre tenuto sotto a questi valori.
Una volta stabiliti i tempi di esposizione in base all’altezza della zona di cielo che interessa riprendere, per ottenere una foto come quella qui accanto basta riprendere una serie di scatti consecutivi e poi sommarli assieme.

Innanzitutto in questo modo il rapporto segnale/rumore (S/N) sarà maggiore di quello di un’unica ripresa: supponiamo di usare un grandangolo con 18mm di apertura focale; per la zona equatoriale del Sagittario i tempi possono allungarsi fino a 28 secondi, usiamo quindi 20 secondi per stare sicuri, tanto non è il tempo di esposizione del singolo fotogramma che serve, ma il totale. Prendiamo quindi 20 fotogrammi di 20 secondi ciascuno e sommiamoli con le opportune correzioni di centratura con un software adatto (IRIS è ottimo e gratuito): a questo punto il segnale ripreso sarà pari alla somma dei 20 secondi per scatto moltiplicato 20 scatti: 400 secondi senza avere problemi di scia apprezzabili.Non solo, applicando alcune, opportune in questo caso,  tecniche di rimozione del rumore 1 si possono ottenere risultati apprezzabilissimi disponibili mediamente con strumenti più costosi.
Se quindi si può affermare che già dopo 15 secondi il movimento celeste appare avvertibile, per quanto riguarda la Luna il discorso del movimento si può percepire molto prima: bastano circa 6 secondi per aver la ripresa mossa anche se comunque per una luna piena occorrono solo frazioni di secondo.

Arrivati a questo punto i consigli per ottenere buoni risultati sono pochi:

  • usare le impostazioni più basse possibili per la sensibilità del sensore (valore  ISO), piuttosto allungare i tempi quando è possibile
  • scegliere con cura i soggetti e lo sfondo di contorno
  • non aver paura di sperimentare e provare (oggi una immagine elettronica si vede subito e si cancella facilmente)
  • annotare sempre su un taccuino  le caratteristiche degli scatti da fare (ISO, lunghezza focale, diaframma, tempo, etc.)

Ancora un’ultima cosa: magari non sempre è disponibile il pulsante di scatto remoto, specie nelle “compattine”. Per ovviare al problema basta impostare il tempo voluto e usare l’autoscatto; usare il normale pulsante di scatto provocherebbe l’inevitabile vibrazione del corpo macchina che rovinerebbe la lunga esposizione. Per la posa B (Bulb in inglese) è comunque sempre necessario un comando remoto, sia esso un pc o il classico comando flessibile.

Buone foto a tutti.

L’ombra misteriosa

 


Nel sud della Francia, la mattina del 12 gennaio, Vincent Jacques ha fotografato quest’ombra del suo telescopio:
“Stavo osservando da un luogo assolutamente senza luci artificiali”, osserva Jacques. “Inoltre, la luna era assente dal cielo mattutino. Era buio e ho registrato l’ombra utilizzando una fotocamera digitale con una serie di esposizioni per 135 secondi a 1600 ISO. “

Il quiz per questo mese è:

qual è la sorgente luminosa che ha proiettato l’ombra nel muro?

  1. La Luna
  2. La Luce Zodiacale
  3. Venere
  4. l’Alba

Come al solito la risposta sarà pubblicata la prossima settimana ….

Kepler 10b

Kepler-10B
Exoplanet Comparison Kepler-10 b.png
confronto Dimensioni di Keplero-10B con la Terra
stella madre
Star Kepler-10
Costellazione Draco
Ascensione retta ( α ) 19 h 02 m 43 s
Declinazione ( δ ) +50 ° 14 ’29 “
magnitudine apparente ( m V ) 10.96
Distanza 564 ± 88 anni luce
(173 ± 27
parsec )
Tipo spettrale G
Massa ( m ) 0,895 ± 0,6 Masse solari
Raggio ( r ) 1,056 ± 0,021 Raggi solari
Temperatura ( T ) 5.627 ± 44 Kelvin
Metallicità [Fe / H] -0,15 ± 0,04
Età 11,9 ± 4,5 miliardi di anni
Caratteristiche fisiche
Massa ( m ) 4,545 Masse terrestri
Raggio ( r ) 1,416 Raggi terrestri
Gravità superficiale ( g ) 22 m / s ²
Densità ( ρ ) 8,8 g cm3
Elementi orbitali
Semiasse maggiore ( uno ) 0,01,684 mila UA
Eccentricità ( e ) 0
Periodo orbitale ( P ) 0.837495 d
Inclinazione ( i ) 84,4 °
Altre informazioni
Data di scoperta 2011-01-10
Scopritori Batalha et al.
Metodo di rilevazione Transito ( Missione Keplero)
Light Curve of Kepler-10b

Curva di luce di Kepler 10b - Credit: NASA

Il 10 gennaio 2011 i responsabili della missione Kepler annunciavano la scoperta del più piccolo pianeta mai individuato fino ad allora fuori  dal Sistema Solare: Kepler -10b.

Kepler-10b orbita attorno alla sua stella in appena 20 ore e dista da essa appena 2,5 milioni di chilometri; Questo fa supporre che a causa delle enormi forze mareali in gioco tra la stella e il pianeta, questo rivolga sempre lo stesso emisfero al suo sole, un po’ come fa la Luna con la Terra.

elementi solidi (in rosso), liquidi (viola), gassosi (verde) a 1600 Kelvin

Il piccolo (si fa per dire, è 4,5 volte più massiccio della Terra)  pianeta non è un posto molto ospitale per viverci; infatti esso ha una temperatura stimata tra i 1400 e i 1600 gradi Kelvin e, come potete vedere dalla tabella che propongo, sono pochi gli elementi ancora solidi con quelle temperature.
Questo dato dà una risposta alla straordinaria densità del pianeta: ben il 60% in più della Terra, infatti la maggior parte dei composti volatili a quelle temperature se n’è volato sicuramente via.

Composition of Kepler-10b

Cedit: NASA

La cosa interessante comunque è l’essere riusciti per la prima volta a percepire l’esistenza di un pianeta di taglia simile alla nostra (quasi 18.000 chilometri di diametro contro i quasi 13.000 della Terra) in orbita ad un’altra stella, per di più simile al nostro Sole (classe G), il che non è un’impresa da poco.

Ma come è stato possibile questa scoperta? Col metodo fotometrico della misurazione della curva di luce durante i transiti 1, e poi confermati con lo  strumento HIRES al WM Keck Observatory con i dati della sonda Kepler 2.

Carta del cielo di Kepler-10

Kepler-10 è una stella nella costellazione del Draco , a 560 anni luce di distanza dal nostro Sistema Solare. L’età della stella è stimata in circa 11,9 miliardi di anni , ovvero 2,5 volte quella del Sole a cui per il resto assomiglia  per dimensioni e metallicità.
L’età avanzata della stella quindi potrebbe lasciare a mio avviso aperta l’ipotesi che il pianeta potrebbe essersi formato più all’esterno e poi essersi spinto così vicino alla stella per l’effetto del decadimento orbitale; ma queste sono solo mie ipotesi che non posso verificare.

Dimenticavo: forse c’è anche Kepler-10c, ma questo non è stato confermato nè smentito: boh?

OGC Osservatorio Giuseppe Conzo

Ospito volentieri questo articolo che mostra come l’iniziativa privata e l’amore per la ricerca possono coesistere felicemente anche in questo Paese.

OSSERVATORIO ASTRONOMICO PRIVATO NASCE NEL LAZIO A RIDOSSO DEL FIUME GARIGLIANO

Scorcio di Minturno (LT) con la Luna ripresa in osservatorio dal nostro ospite Domenico Sgammato presente alla serata osservativa del 29 ottobre 2010

Una nuova finestra sull’Universo si apre nella regione Lazio in una località di mare a ridosso del fiume Garigliano. A Scauri nasce l’Osservatorio Astronomico Giuseppe Conzo (OGC) che svolge attività di osservazione visuale e, in futuro svolgerà attività di astrofotografia e ricerca pianeti extrasolari. Lo scopo dell’esistenza di tale postazione è sia quello di studiare la volta celeste e di capirne i complessi meccanismi, sia di divulgazione dell’Astronomia.

La struttura, situata a 50 metri dal mare sotto un cielo limpido che nelle migliori serate mostra la Via Lattea ad occhio nudo, è dotata di un primo telescopio adatto per osservazioni visuali. Il telescopio in oggetto è un Dobson con specchio primario da 30 cm di diametro, lunghezza focale 1524 e rapporto f5.

Particolare del telescopio OGC con Luna – Dobson Meade Lightbridge Deluxe 12”

Il setup attualmente presente in OGC è il seguente:

  • Oculare SWA 28mm Meade 2”;
  • Oculare SWA 16mm Meade 1.25”;
  • Oculare Hyperion 5mm Beader Planetarium 1.25”;
  • Lente di Barlow Televue 2x 1.25”;
  • Filtro Skyglow Beader 2”;
  • Filtro Profi-OIII Astronomik 1.25”;
  • Polarizzatore variabile colore neutro 1.25”

Il secondo telescopio (in progetto) servirà per fotografia digitale e rilevazione transiti di pianeti extrasolari. La struttura dell’osservatorio è dotata anche di una piccola parte allestita che espone campioni di meteoriti pervenuti sulla Terra di svariato genere.

Meteorite GAO_GUENIE pervenuto in OGC

In OGC si svolgono periodicamente (una volta al mese salvo casi particolari o condizioni metereologi che avverse) serate osservative pubbliche aperte a tutti, alle quali è possibile partecipare a seguito previa prenotazione.

Per tutte le altre info visitare il sito: www.ogcweb.org

Giuseppe Conzo
segreteria@ogcweb.org

Un Sole … macchiato

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Flash bias      : 0 EV
Lunghezza focale: 250.0 mm
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Qualità immagine: RAW
Risoluzione Exif: 1936 x 1288
Bilanciamento del bianco: Auto
Miniatura       : image/jpeg, 1310 Byt

Questa qui accanto è l’immagine genitrice di quella qui sopra. Attraverso una elaborazione grafica dell’immagine RAW (un formato particolare che archivia i dati grezzi ripresi dal sensore CCD della fotocamera senza alcun algoritmo di compressione) ad alta risoluzione, ho potuto tirar fuori da questa ripresa due particolari altrimenti poco o nulla visibili: i gruppi di macchie solari  n° 1140 e n° 1142.
Come risoluzione non c’è male, considerando la modestissima attrezzatura con cui è stata scattata, e per questo fonte per me di maggiore soddisfazione.

Come potete vedere, la strumentazione non era sofisticata, una fotocamera con un teleobiettivo entry level, e un filtro solare in Astrosolar  (il Coso) autocostruito.

Innanzitutto mi sono basato per la messa a fuoco manuale all’immagine riprodotta sul più agevole schermo del portatile piuttosto che alla ridotta figura data dal dorso della fotocamera, usando anche l’ingrandimento software per una più precisa messa a fuoco.
Poi ho cercato di ridurre il più possibile la luminosità del disco solare riducendo i tempi e lasciando il più aperto possibile il diaframma. Infatti pur avendo già un’immagine molto intensa del Sole, ho cercato così di non abbagliare il sensore e di raccogliere i dettagli più fini.
Il resto l’hanno fatto i software di fotoritocco che mi hanno consentito di arrivare  a questo risultato lavorando sulle curve di luce.

Il Coso montato sul teleobiettivo

Il Sole ha un diametro di 400 pixel sull’immagine non elaborata,  ciò significa che il più piccolo particolare percepito dal sensore è di circa 3500 km (diametro del disco solare /  pixel immagine == 1 391 000 km / 400).
Poi ingrandendo e rinforzando i colori non ho aumentato la risoluzione, ma ho esaltato quello che era stato ripreso: così vedo che la 1140 e più di 30 000 chilometri (anche perché è vicina al bordo e non perpendicolare alla linea visuale) e il gruppo di macchie 1142 è molto più grande: circa 70 000 chilometri (essendo molto più vicina al centro dell’astro la misura è più corrispondente al dato reale).
In confronto la nostra Terra con i suoi 12 700 e rotti chilometri di diametro è veramente poca cosa.