Global Warming: non è il Sole

Figura 1 - "Lo sport su un fiume ghiacciato" di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi.  (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Figura 1 – “Lo sport su un fiume ghiacciato” di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi. (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Esiste una certa correlazione tra il numero di macchie solari e la temperatura media del pianeta.
Il Sole è la fonte di energia che fa muovere l’intera atmosfera e  che quindi è in grado di determinare sia il tempo a breve termine (vedi le stagioni) che il clima nel lungo periodo. Pertanto è ovvio che qualsiasi cambiamento  nel tasso di energia emessa dal Sole e ricevuta dalla Terra è in grado di modificare il clima. Esiste un equilibrio dell’energia emessa dal Sole alla distanza della Terra, è la temperatura di equilibrio è di soli 255 kelvin, pari a -18° centigradi; questa sarebbe la temperatura se il pianeta non avesse una atmosfera in grado di trattenere il calore, cosa che invece per nostra fortuna ha. Infatti la temperatura media della Terra è ben più alta perché una parte della radiazione solare è trattenuta dai gas che compongono l’atmosfera, mentre complessivamente il pianeta riemette nello spazio una radiazione che corrisponde alla sua temperatura media.
Ma sappiamo anche che la temperatura media del globo non è affatto costante: variazioni nell’albedo (percentuale tra energia ricevuta e riflessa nello spazio), nell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto all’eclittica, variazioni nella composizione atmosferica, vulcanismo etc. per la Terra, mutazioni sulla quantità di energia irradiata dal Sole, come flares, macchie solari, vento solare etc. possono alterare il bilancio energetico terrestre e con questo la sua temperatura media.
Tra il 1614 e il 1715 il Sole manifestò un singolare periodo di quasi totale assenza di macchie solari (quiescenza). Questo coincise con un altrettanto singolare periodo di freddo in Europa e nel Nord America, gli unici luoghi dove i dati di temperatura erano presi con una certa continuità. Nel resto del mondo invece i dati di quel periodo erano ancora troppo discontinui per avere una certa validità scientifica. Quel periodo oggi è indicato come Minimo di Maunder.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L'intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L’intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

A partire dalla fine del Minimo di Maunder, la presenza di macchie solari durante il ciclo undecennale del Sole è tornato a crescere, fino a registrare un picco, chiamato il Grande Massimo Moderno, tra il 1950 e il 2009.
Per registrare la presenza delle macchie solari gli astronomi si avvalgono di due metodi di indagine diversi: il Wolf Sunspot Number (WSN), messo a punto da Rudolf Wolf nel 1856 che combina il numero delle macchie solari col numero dei gruppi di macchie presenti sulla superficie del Sole, e il Group Sunspot Number (GSN), un metodo di calcolo che si basa unicamente sul numero di gruppi di macchie solari visibili, pensato per essere meno influenzato dalle singole interpretazioni dell’osservatore (meno rumore) rispetto alla precedente numerazione di Wolf e che permette di utilizzare anche le osservazioni più antiche fatte attraverso uno strumento ottico (prima metà del XVII secolo).
Questi due diversi metodi di calcolo producono risultati assai diversi. Ad esempio il GNS suggerisce che negli ultimi 300 anni il numero dei gruppi di macchie solari è in continua crescita fino al presunto Grande Massimo Moderno, in netto contrasto con i dati elaborati col metodo di calcolo di Wolf.
Questo andamento di continua crescita dell’attività solare evidenziato dal metodo GNS viene spesso indicato come l’unico responsabile del riscaldamento climatico da parte dei negazionisti del Global Warming perché andrebbe a modificare proprio il bilancio energetico ricevuto dalla Terra dal Sole.
Un gruppo di scienziati guidato da Frédéric Clette, dell’Osservatorio Reale del Belgio, Edward Cliver del National Solar Observatory e Leif Svalgaard dell’Università di Stanford hanno cercato di capire perché i due metodi apparivano così incongruenti dopo una certa data e hanno scoperto che le discrepanze tra la WSN e GSN erano provocate da un grave errore di calibrazione nel sistema GSN.
La soluzione di questo problema, il Sunspot Number Version 2.0 1, è stata presentata alla XXIX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale a Honolulu (3-14 agosto 2015) e corregge tutte le discrepanze tra i due metodi, mostrando che non c’è stato nessun reale aumento progressivo nel numero dei gruppi di macchie solari dal XVIII secolo in poi [1]. Questo significa che dalla fine della quiescenza che corrispose al Minimo di Maunder, il flusso energetico solare è rimasto costante. Questo fa decadere l’ipotesi che il Global Warming sia dipeso dall’attività solare in aumento, ma allora cos’è che lo provoca?

Le analisi delle bolle d'aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \1(CO_2\) presente nell'atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm. Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014. Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Le analisi delle bolle d’aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \(CO_2\) presente nell’atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm.
Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014.
Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Come ho detto prima, il bilancio energetico della Terra può che essere alterato da due parti: dal lato Sole con l’energia irradiata, e dal lato Terra con l’energia trattenuta. I vulcani espellono quantità incredibili di aerosol e polveri nell’alta atmosfera col risultato di raffreddare temporaneamente il pianeta. L’albedo modifica la quantità di energia riflessa dal pianeta ma ad un aumento medio di temperatura corrisponderebbe in aumento del tasso di evaporazione degli oceani e quindi della copertura nuvolosa (effetto di feedback). Resta un solo altro indiziato primario: la composizione chimica dell’atmosfera; in particolare un gas: l’anidride carbonica, passata da meno di 280 ppm dell’era pre-industriale ai 400 ppm di oggi. L’anidride carbonica è in grado di trattenere la luce solare e di riemetterla a lunghezze d’onda maggiori, dove l’atmosfera è opaca.
Ecco spiegato qual’è la causa del Riscaldamento Globale, ma anche cosa la provoca: le emissioni antropiche di \(CO_2\) nell’aria che sono aumentate da quando l’umanità ha imparato ad usare le fonti di energia fossile. Più o meno le stesse quantità di anidride carbonica che gli alberi avevano sottratto dall’aria nell’arco di milioni di anni sono state liberate in appena due secoli di utilizzo dei combustibili fossili.

Il nuovo Sunspot Number Version 2.0 ha già saputo mostrarci che riguardo alle mutazioni climatiche in atto stavamo prendendo una sonora cantonata, mentre adesso si renderà necessaria una rilettura dei cicli climatici registrati nelle carote di ghiaccio e negli anelli degli alberi. Questo permetterà agli scienziati di estrapolare la storia dei cambiamenti climatici su scale temporali ben più lunghe e precise di quelle attuali, tutti strumenti necessari per lo sviluppo di nuovi e più congrui modelli climatici necessari per curare la febbre del Pianeta.


Note:

Note:

  1. Una cosa da sottolineare è l’introduzione di un numero progressivo nel nome del nuovo metodo di calcolo che non esclude ulteriori perfezionamenti futuri a fronte di nuove incongruenze ancora da scoprire.

Riferimenti:

Umberto Genovese

Autodidatta in tutto - o quasi, e curioso di tutto - o quasi. L'astronomia è una delle sue più grandi passioni. Purtroppo una malattia invalidante che lo ha colpito da adulto limita i suoi propositi ma non frena il suo spirito e la sua curiosità. Ha creato il Blog Il Poliedrico nel 2010 e successivamente il Progetto Drake (un polo di aggregazione di informazioni, articoli e link sulla celebre equazione di Frank Drake e proposto al l 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo” (2012, San Marino)) e collabora saltuariamente con varie riviste di astronomia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Interminati mondi e infiniti quesiti" sulla ricerca di vita intelligente nell'Universo, riscuotendo interessanti apprezzamenti. Definisce sé stesso "Cercatore".
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