Il negazionismo climatico al tempo dei no-vax

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa su questo blog. L’intenzione sarebbe di scacciare questa pessima abitudine e riprendere a usare questo spazio. Per un po’ ho affidato i miei pensieri e le esternazioni ai Social, ma ora sento che ho fisicamente bisogno di un luogo dove conservarli. Non so se ci riuscirò, non resta che provare.

 

 

Indice incremento annuale dei gas serra nell'atmosfera.

A partire dal 2021, l’effetto di riscaldamento dei gas serra di lunga durata nell’atmosfera terrestre è aumentato del 49% rispetto al 1990. Rispetto all’epoca preindustriale, l’atmosfera odierna assorbe più di 3 Watt in più di energia per metro quadrato.

Dal punto di vista razionale l’ideologia dei no-vax e i negazionisti climatici hanno in comune il totale rigetto delle evidenze scientifiche che si basano sui dati.
Dati che, come ogni cosa quando si cerca di comprendere un qualsiasi fenomeno, sono sempre la base da cui partire. Non è la prima volta — e non sarà certo l’ultima — che spiego cosa sia il Global Warming e che sia la diretta conseguenza delle attività umane.
La congettura che in questi giorni va per la maggiore, pare appartenere a un professore associato dell’Università Federico II di Napoli — non cito il suo nome per non offrirgli maggiore visibilità che qui non merita.  Tale  presunzione quasi sicuramente non è nuova, è presente da diversi anni con qualche variante, nei circoli negazionisti che suppongono che il Riscaldamento Globale non esista affatto o che, al limite, sia il risultato di risonanze orbitali dei pianeti ed effetti gravitazionali ciclici. Questo  professore associato, oggi paladino dei negazionisti italiani che hanno ampio appoggio nei circoli politici del centrodestra italiano, ama raccontare di essere riuscito, nel 2018, a prevedere l’attuale siccità.
In pratica, in altri tempi, si sarebbe parlato di case astrali, di congiunzioni e opposizioni, di transiti dei pianeti su e giù per l’eclittica e di altre amenità astrologiche.

Per l’ennesima volta, l’emissione energetica del Sole è stabile da quando sono iniziate le campagne di misurazione satellitare mentre è cambiata la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e negli oceani. E le proporzioni isotopiche tra 13C e 12C [1] confermano che è anidride carbonica emessa dalla combustione di fonti fossili.

Questi sono i dati: l’atmosfera terrestre a causa dell’effetto serra innescato dalla CO2 ora trattiene 3 watt per metro quadrato in più rispetto al periodo preindustriale ed è tanto.
L’immagine di destra mostra che l’irraggiamento solare varia di neanche 2 watt tra il periodo minimo e massimo di attività solare. È un ciclo undecennale, a cui si sommano altri cicli legati a periodi di maggiore o minore quiescenza dell’attività solare, che, inn tempi storici, hanno prodotto il Minimo di Maunder (d’inverno il Tamigi divenne una pista di pattinaggio) nel XVIII secolo oppure il Massimo Medievale. Questo grafico mostra due cose: che per quanto piccolo, se protratto per lungo tempo (il Minimo di Maunder fu innescato da 50 anni di inattività solare) una variazione comunque piccola, abbiamo detto un paio di watt per metro quadrato, ha senz’altro conseguenze sul clima del pianeta. Una variazione di qualche decimo di grado dell’acqua degli oceani può alterare le correnti oceaniche e le precipitazioni, soprattutto ai tropici, con conseguente riallineamento delle correnti cicloniche dell’atmosfera. Ma, il secondo appunto, per colpa dell’eccesso di emissioni di gas serra a opera dell’Uomo, ora l’atmosfera trattiene, come ho detto prima, ben tre watt in più di energia ricevuta dal Sole. Oggi un periodo di quiescenza del Sole della durata di cinquanta anni, sarebbe notato al più come un periodo di tregua del riscaldamento globale, dando adito ai negazionisti climatici di sproloquiare che non è in atto “alcun cambiamento climatico“.

Quest’ultima immagine mostra lo storico delle temperature medie della Terra da quando sono disponibili correlandole con lo storico dell’attività solare. Qui è ancora più evidente che la temperatura media del pianeta, che prima dell’era industriale seguiva grossomodo l’attività del Sole con un fisiologico margine di latenza, mentre adesso non è più così.
E l’andamento a crescere  per ora è inarrestabile. Ne abbiamo avuto la riprova durante il lungo lock down della Pandemia.
Nonostante il fermo quasi totale delle attività umane, il brusco calo dello smog nelle aree industrializzate etc. le quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è continuata a crescere!
Magari, ancora un a volta, i negazionisti climatici avranno ancora berciato: “Vedete? Nessuna attività umana, eppure la COè aumentata! Le attività umane non sono responsabili del Global Warming!“.
I bischeri però dimenticano che gli oceani ricoprono oltre del 70% della superficie della Terra. E che essi hanno assorbito gli eccessi di CO2 presenti nell’atmosfera al ritmo di 7 miliardi di tonnellate per anno fino ad un certo punto (circa 500 dall’inizio dell’era industriale), fino a quando cioè  le acque superficiali si sono saturate 1.
Ma è in virtù della legge sui gas soluti in un liquido (Legge di Henry) — che un qualsiasi studente di chimica conosce fin dalle scuole superiori  — che, riscaldandosi, gli oceani hanno iniziato a restituire milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica all’atmosfera. Per questo il fermo delle attività industriali non ha sortito alcun cambiamento nelle emissioni di CO2. Quindi anche se adesso, da domani, cessassimo ogni ricorso alle fonti fossili per produrre energia, il Riscaldamento Globale non cesserà e sarà un tremendo problema ancora per decenni, forse secoli, prima che si ricrei un accettabile equilibrio naturale. Per questo ogni secondo, ogni singolo grammo di CO2 impunemente rilasciata nell’atmosfera è un crimine verso le future generazioni.

Ma non dovete credere per forza a me, credete ai dati. Questa è scienza, le altre ciarle sono al più un oroscopo pure malfatto.

Riflessioni serotine

Da diversi mesi ho iniziato a pubblicare alcune mie riflessioni su temi di attualità politica e ambientale su Facebook dal titolo «Riflessione serotina» seguito dalla data giuliana (un mio omaggio alle consuetudini astronomiche) per dare ad esse un minimo d’ordine temporale e farle apparire come un vero e proprio editoriale. Poi però mi sono detto: perché non ripetere qui quell’esperienza? 

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Partiamo dalle ondate di calore di questa bizzarra stagione che ha investito — e non solo — l’Europa: esse sono provocate dall’anomala espansione a nord dell’Anticiclone Nord-Africano; a sua volta questo fenomeno trae la sua origine nell’eccessivo indebolimento del Vortice Polare Nord, una vasta area di bassa pressione che arriva fin nella stratosfera e che staziona nei pressi del polo (lo dice anche il suo nome). Normalmente queste aree di bassa pressione bloccano le masse di aria fredda e secca sopra i poli, più vicino al suolo, e sono il risultato della forte differenza di temperatura tra le regioni polari e l’Equatore.
In genere questi vortici sono stabili, dal momento che le differenze di pressione e temperatura sono tali da mantenere il sistema in equilibrio. Quando i vortici sono forti l’aria fredda resta confinata nelle aree polari, mentre se invece perdono forza capita che si frammentino in una o più parti, e masse d’aria a bassa pressione e bassa temperatura si spostano verso le zone più temperate interagendo quindi con quelle più calde. Quando il vortice al Polo Nord è molto debole, le zone di alta pressione normalmente presenti alle medie latitudini migrano verso nord, facendo spostare l’aria fredda e secca verso sud.
Quando questo accade — come è successo lo scorso maggio — le temperature scendono drasticamente e si verificano forti precipitazioni, anche nevose. Però, subito dopo l’aria fredda si disperde e l’anticiclone che normalmente investe il Sahara può arrivare fino all’Europa centrale. Questo fenomeno — che io personalmente detesto perché non sopporto il caldo — è una conseguenza del cambiamento climatico indotto dalle azioni dell’uomo ed è un fenomeno del tutto naturale che non può essere fermato.
Hai voglia a dire che Noi siamo Europei, anzi Italianissimi e magari pure discendenti della Lupa (di Remo e Romolo, dimenticando che i lupanari erano i bordelli dell’Antica Roma), l’Anticiclone Africano non lo si può fermare per decreto: sudi, bevi molta acqua, mangi frutta, e non ti resta che sperare nella clemenza del prossimo inverno.
E così come non si può fermare per decreto imperio l’Anticiclone Africano, allo stesso modo non si possono fermare i flussi migratori umani[2]., che li si voglia chiamare clandestini o che altro, perché la migrazione e la perequazione appartengono alla natura intima delle cose — è anche una Legge della Termodinamica — e delle persone.

La storia insegna — e la Storia deve essere studiata e apprezzata proprio perché è la fonte principale della Saggezza, la più importante delle virtù cristiane insieme alla Carità  — che i muri che dividono popoli e nazioni non sono mai forieri di sicurezza e sviluppo sociale ma bensì di miseria e sventura.
L’età moderna del genere umano ha circa 9-11 mila anni: in questo arco di tempo sono sorte civiltà, imperi e commerci: gli uomini intanto hanno conquistato il pianeta. I commerci, gli scambi culturali e scientifici hanno diffuso e arricchito tutta l’Umanità. Quando in una regione vi era ristagno e miseria, un’altra prosperava e arricchiva il sapere umano.
Le prime operazioni di chirurgia oftalmica le svilupparono gli Arabi (sapete quegli omini buffi che immaginiamo tutti con le babbucce e il turbante e che sono musulmani?) nel X secolo in Spagna; la meccanica e l’idraulica, note ai Greci classici furono ricordate e arricchite dagli Arabi e che poi il nostro Leonardo da Vinci spacciò per sue dopo averle studiate e rimaneggiate; la matematica e l’astronomia (tutte le stelle che vediamo ad occhio nudo hanno un nome proprio arabo) senza la cultura araba non sarebbero mai arrivate a noi. Avete mai provato a far di conto coi numeri romani? Magari potrebbe essere un esercizio degno di qualche leader politico che si crede un condottiero (non ho detto Duce) e che ha molto tempo libero anche quando finge di lavorare.
Quando i successori di Pietro si diedero un titolo, scelsero Pontifex, ossia Costruttore di ponti, Colui che supera le barriere, un termine che apparteneva alla cultura romana1.
I muri, i fili spinati, i fucili spianati, sono tutti strumenti incivili e inutili, antistorici e disumani. Spesso assistiamo allo sproloquiare di alcuni figuri che reclamano l’assoluta necessità di tali strumenti per salvaguardare la purezza della razza2 o la superiorità morale e materiale di una cultura rispetto alle altre;  insensati concetti privi di ogni fondamento e chi ne fa uso non potrà mai definirsi costruttore di ponti e difensore della civiltà.

50 anni dopo lo Sbarco sulla Luna non me la sento di festeggiare.

Ormai mancano poche ore al cinquantenario dello Sbarco sulla Luna. 
Quando fu scoperta la minaccia dei clorofluorocarburi all’intero ecosistema terrestre, nel 1997 tutti gli Stati della Terra fecero fronte comune e imposero il bando totale dei CFC col Trattato di Montreal; oggi, nonostante le belle parole, ancora non vedo lo stesso impegno per scongiurare le altrettanto gravi crisi ambientali. Per questo ora non riesco a gioire come vorrei lo storico anniversario.

 

L'equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra:  Michael Collins, Neil Armstrong e  Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

L’equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra: Michael Collins, Neil Armstrong e Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

Checché alcuni allocchi continuino a sostenere il contrario, il 20 luglio del 1969 per la prima volta nella storia un essere umano mise davvero piede sulla Luna; tre uomini, eccetto uno che rimase in orbita, giunsero là dove nessuno era mai giunto prima.
Non sto a ripetere la storia delle missioni e dell’intero Programma Apollo, in questi giorni un po’ su tutte le testate giornalistiche, blog, TV e social non si parla di altro. Ma se da un lato questo mi conforta — finalmente si torna a parlare dell’esplorazione umana dello spazio in termini concreti — dall’altro mi spaventa pensare che dopo cinquanta anni, cinque decadi da quello storico momento, siamo riusciti ad arrivare sull’orlo di una crisi dell’intero ecosistema terrestre.
Mi spiego meglio: la stessa razza umana che cinquant’anni fa è riuscita a compiere quella fantastica impresa, oggi rischia di soccombere (no, non credo all’estinzione di tutto il genere umano ma al crollo della sua civiltà) per tutti gli errori e le opportunità che non ha saputo cogliere in quest’ultimo mezzo secolo.

Ci sono voluti ben tre lustri, dal 1973 al 1997, per far capire al mondo che i CFC (clorofluorocarburi) stavano distruggendo lo strato di ozono che protegge la vita sulla Terra da almeno 2 miliardi di anni. Il presidente della multinazionale Dupont (industria chimica che era fra i maggiori produttori di CFC nel mondo) bollò i primi studi come “spazzatura da fantascienza“; all’epoca i CFC erano usati dappertutto, dall’industria della refrigerazione (frigoriferi e climatizzatori per esempio) fino all’agricoltura, dall’elettronica alla lacca per capelli (bombolette spray). Eppure, dopo le prime conferme sul campo del 1985 che confermavano le responsabilità umane nella distruzione dello strato di ozono, si giunse al bando operativo su tutto il pianeta dei clorofluorocarburi. Oggi quel bando sta funzionando e,  checché ne dicano — o abbiano detto — i vari “mister Dupont” dell’epoca, quella fu la cosa giusta da fare.
Oggi la situazione è altrettanto pericolosamente grave: all’inizio del mese un’intero distretto in Giappone (Kagoshima, un milione di persone)[3] è stato costretto dalle piogge torrenziali ad abbandonare le proprie case; d’accordo, quando qui la gente aspetta ogni occasione per andare al mare per fare i primi bagni, in Giappone (giugno-luglio) è la stagione delle piogge, ma quell’evento era comunque decisamente fuori dell’ordinario anche per loro.
E anche in altri paesi e regioni climatologicamente distanti si stanno sperimentando fenomeni parossistici sempre più estremi e frequenti: l’eccezionale ondata di caldo che ha travolto l’Europa (45° vicino a Montpellier, in Francia) dopo un giugno insolitamente uggioso e fresco; 21° C. sopra il Circolo Polare Artico [4]; 50,6° C. in India appena il giugno scorso, quando qui era insolitamente fresco (nevicò in Corsica).

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli oranismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione.
Credit: XL Catlin Seaview Survey

Questi segnali dimostrano tutta la fragilità di un sistema, quello climatico, che sta pericolosamente deviando per colpa delle attività umane: nel 2016 in Siberia si raggiunsero ben 33 gradi e nella regione dello Yamal (67° N) il disgelo estivo risvegliò un mortale batterio che era rimasto inerte da chissà quanti anni: il Bacillus anthracis, meglio noto come antrace; l’infezione uccise 2000 renne e un bambino; la più grande struttura vivente, visibile pure dallo spazio, ovvero la Grande Barriera Corallina a nord- est dell’Australia da almeno tre anni registra sbiancamenti (morte dei coralli) senza precedenti nella sua storia 1.

Eppure, ancor oggi, nonostante il parere pressoché unanime degli scienziati di tutto il mondo, miliardi di dollari spesi in conferenze e dibattiti internazionali, e una miriade di parole spese in buone intenzioni, quasi nulla è cambiato. Fior di sciocchi e stolti continuano a negare l’evidenza del Global Warming, alcuni bollandola addirittura come bufala comunista studiata dai cinesi per far svenare l’Occidente con l’acquisto di inutili auto elettriche e pannelli solari (fabbricati con le Terre Rare cinesi).
Ho già illustrato su queste pagine le prove del coinvolgimento umano nel Riscaldamento Globale, tanto che parlare di Anthropogenic Global Warming non è affatto sbagliato, anzi. Dopo quasi 25 anni nel 1997 riuscimmo come genere umano a fermare la grave minaccia all’intero ecosistema terrestre rappresentato dallo spregiudicato uso che facevamo dei CFC, mentre oggi una minaccia altrettanto grave si sta palesando ogni giorno; per questo oggi nonostante il cinquantenario dello Sbarco sulla Luna mi sento sconfortato.

Tornando al Programma Apollo che  portò L’Uomo sulla Luna, al di là di tutto ricordo che ogni onere – e merito – fu frutto dell’impegno di una sola nazione. Nell’anno dello sbarco, il costo per gli Stati Uniti d’America fu di 2.4 miliardi di dollari (PDF): appena un ottavo del costo dell’impegno militare in Vietnam di quell’anno che fu di circa 20 miliardi di dollari. In totale la spesa tra il 1961 e il 1973 fu di 26-28 miliardi di dollari dell’epoca (circa 270 miliardi di oggi) [5]. Nello stesso periodo il costo dell’intero sforzo bellico in  Indocina, per gli USA si avvicinò ai 200 miliardi, circa 2000 miliardi (a spanne) di oggi.
Ma mentre ogni dollaro investito nella ricerca spaziale comportava un ritorno di almeno cento negli anni successivi, i 200 miliardi nella guerra del Vietnam ebbero costi almeno triplicati dalla crisi economica successiva, dai costi sanitari per gli invalidi, la caduta del mercato interno e soprattutto la credibilità economica internazionale ne risentì.
Provate per un attimo ad immaginare se invece il bilancio militare mondiale dal 1970 ad oggi fosse stato dedicato alla colonizzazione dello spazio 2.
Con migliaia di miliardi investiti in ricerca e sviluppo invece che a cercare il miglior modo per farci stupide guerre per l’effimero controllo di un pezzo di terra pressoché tutti i mali che ancora affliggono l’umanità potrebbero essere ora un incubo del passato; oggi avremmo saputo come trasferire nello spazio tutte le attività più inquinanti e inaugurato una nuova era di pace e comunione per il genere umano; l’inquinamento che ogni anno causa milioni di morti — molti di più di un conflitto mondiale — sul nostro pianeta sarebbe potuto non essere più una minaccia per l’intero ecosistema terrestre e quel bambino dello Yamal avrebbe avuto l’opportunità di invecchiare magari proprio sulla Luna.

Ora noi potremmo darci tutte le pacche sulle spalle che vorremmo e raccontarci quanto fummo bravi 50 anni fa a raggiungere la Luna. ma se poi tra altrettanti anni (2069) la nostra civiltà non avrà ancora occasione di festeggiare quello che sarebbe potuto essere l’inizio di una nuova era per tutto il genere umano, sarà stata tutta colpa nostra e della nostra cieca stupidità e cupidigia.

 

Global Warming for dummies (seconda parte)

Nella prima parte di Global Warming for dummies mi sono speso a spiegare come si possa senza ombra di dubbio attribuire all’uso dei combustibili fossili — e quindi in definitiva alle attività umane — la responsabilità dell’innalzamento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera fino a valori mai raggiunti nell’ultimo milione di anni.
Guardate Chernobyl dopo quasi 40 anni: lì dove l’uomo non può più arrivare sono tornate le foreste, gli orsi europei e i lupi. La natura non ha bisogno dell’uomo: siamo noi che abbiamo bisogno di lei per esistere; portiamole il rispetto che le è dovuto.

Radianza della Terra

La Terra riceve energia dal Sole. Un corpo nero ideale alla stessa distanza dalla Stella riemetterebbe quell’energia con una temperatura di 255 K. In realtà la temperatura media della Terra è un po’ più alta (288 K). Questo è dovuto all’effetto serra generato dalla sua atmosfera. Credit: Il Poliedrico

Spiegare in parole semplici cosa fosse l’effetto serra non è così facile come sembra: noi lo chiamiamo effetto serra perché l’accumulo in eccesso di calore (energia termica) provocato da alcuni tipi di gas è sostanzialmente uguale a quello che si sperimenta all’interno di una serra chiusa. Ma se la serra ricava il suo calore bloccando la convezione dell’aria al suo interno, ossia che la stessa aria viene esposta continuamente al tepore di una sorgente (il Sole o una stufa), ragion per cui il calore tende ad accumularsi, l’effetto serra atmosferico ha origini fisiche molto diverse. La comprensione di questi meccanismi deve essere alla base di qualsiasi discussione sul cambiamento climatico in atto.

Tutto ha inizio dall’energia irradiata dal Sole e la distanza che c’è tra la Terra e la Stella. Chi legge questo Blog sa che ho già illustrato questo argomento quando spiegavo cos’è una zona Goldilocks[6] insieme a Sabrina Masiero del Gal Hassin e anche in altri articoli precedenti sul medesimo argomento. Per gli altri faccio un breve riassunto: qualsiasi corpo — idealmente di corpo nero, ossia che assorbe (e poi riemette) tutta l’energia che riceve — si trova in uno stato di equilibrio termico con una sorgente di energia che è dettato unicamente dalla quantità di energia emessa da questa diviso per l’area della sfera basata sulla distanza tra il corpo e la prima1. In altre parole, se la Terra fosse distante la metà dal Sole riceverebbe quattro volte più energia mentre se fosse il doppio più lontano ne riceverebbe appena un quarto di adesso. Attualmente la Terra si trova a una distanza tale dal Sole che il suo equilibrio termico — tenendo conto di un albedo planetario di 0.30 —  è di circa 255 gradi Kelvin2, ossia circa 18° sotto lo 0 Celsius! Questo significa che tutta l’energia che riceve la Terra dal Sole, se questa fosse idealmente un corpo nero, verrebbe riemessa nel lungo infrarosso, con un picco di emissione attorno agli 11μm (vedi immagine qui a lato),  Però la temperatura mediata del Pianeta, cioè depurata dalle variazioni regionali e zonali, è di circa 288 K, ossia di circa 15° centigradi. La differenza tra 255 e 288 è il calore che che trattiene la nostra atmosfera proprio come una serra, ma l’analogia appunto finisce qui!

La composizione della nostra atmosfera ci è nota e ce la insegnano fin dalle elementari (io almeno ricordo di conoscerla fin da allora):

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Stati vibrazionali dell'anidride carbonica

La risonanza asimmetrica di dipolo delle molecole è alla base dell’effetto serra causato da queste. Il concetto vista di è da intendersi esemplificativo. Credit: Il Poliedrico

I due gas principali (azoto e ossigeno in forma molecolare, ricordiamolo) compongono da soli circa il 99% della nostra atmosfera e questo fa un po’ la differenza tra un pianeta con temperature accettabili come la Terra e e un pianeta come Venere col 95% di CO2.
Il segreto sta nella natura delle molecole diatomiche di azoto e ossigeno che possono eseguire solo vibrazioni simmetriche che non alterano il loro momento di dipolo e che quindi sono piuttosto trasparenti alla radiazione incidente. I gas più complessi, come ad esempio l’anidride carbonica, un gas triatomico, può produrre sia vibrazioni simmetriche che quelle che alterano il momento di dipolo della molecola, col risultato che queste oscillazioni la fanno entrare in risonanza ad una particolare lunghezza d’onda. Questo significa che a tali lunghezze d’onda la radiazione in ingresso viene assorbita e poi riemessa dalle molecole che entrano così in risonanza, il medesimo meccanismo che è alla base del concetto del laser. In pratica l’energia radiativa che viene catturata da quelle molecole viene poi diffusa in tutte le direzioni e intercettata da altre molecole uguali, e così via;  è così che a quella caratteristica lunghezza d’onda l’atmosfera risulta opaca. 
Questo meccanismo che brevemente ho cercato di illustrare non vale soltanto per l’anidride carbonica, ma anche per tutte le altre molecole che possono avere vibrazioni sbilanciate nel loro momento di dipolo come l’acqua (vapore acqueo, H2O), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O) e così via. In pratica tutti i gas biatomici composti da atomi differenti, come il monossido di carbonio (CO) e tutti i gas composti da 3 o più atomi, per esempio l”ozono (O3), assorbono e riemettono radiazione infrarossa.

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Come si può vedere dalla tabella qui sopra in realtà il contributo netto dell’anidride carbonica al riscaldamento globale non pare essere così rilevante quanto quello prodotto dal vapore acqueo. Ma c’è una cosa molto importante che occorre tenere bene a mente: l’acqua di superficie del pianeta, ossia mari, fiumi, ghiacciai e oceani, ricoprono più del 70% del globo. Questo significa che ogni più piccolo aumento della capacità di trattenere calore nell’atmosfera si traduce immediatamente in un aumento della quantità di vapore acqueo contenuto in essa e quindi anche dell’energia termica trattenuta. E anche se l’aumento della copertura nuvolosa provoca un aumento dell’albedo, ovvero la riflessione della radiazione solare in ingresso fino al 90%, altrettanto questa impedisce alla radiazione del pianeta di uscire, un po’ come una coperta trattiene il caldo.
Questo è un circolo vizioso: se non viene trovato il modo di fermarlo non può che peggiorare. E l’unico modo è quello di impedire che altra CO2 si accumuli nell’atmosfera e che porti alla formazione di altro vapore acqueo e anzi, sarebbe pure opportuno cercare di ridurla. E per farlo non c’è che un modo veloce, rapido e naturale: piantumare nuove foreste e rigenerare quelle già esistenti, ridurre se non proprio eliminare l’uso dei combustibili fossili e i loro derivati; insomma occorre ridurre l’impronta antropica nell’ambiente: proprio il contrario di quello che incoscientemente abbiamo fatto nell’ultimo secolo perché i primi allarmanti segnali di quello che stavamo facendo al nostro pianeta sono conosciuti da almeno altrettanto3.
Finora gli oceani sono riusciti a stabilizzare abbastanza bene il clima ma questa loro capacità è quasi arrivata al suo limite. Inoltre la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica diminuisce con l’aumentare della loro temperatura mentre l’aumento dell’acidificazione di questi è letale per gli ecosistemi più fragili come le barriere coralline che sono alla base della catena alimentare dei mari.

C’è più energia nell’aria

Rappresentazione grafica delle amplificazioni meteorologiche

Credit: Il Poliedrico

Ed eccoci al rebus che crea tanto sconcerto ai profani: come può essere in atto il Riscaldamento Climatico se qui, oggi, fa freddo?
Tralasciamo per un attimo la confusione che c’è tra clima e condizione meteorologica come  ho spiegato la volta scorsa. Spesso le persone credono che siano sinonimi ma non è affatto così: il clima si riferisce a un arco di tempo lungo, non necessariamente globale ma che comunque interessa una regione più o meno vasta o con caratteristiche simili: il clima mediterraneo, oppure tropicale o quello desertico; il tempo meteorologico invece interessa una porzione limitata nel tempo e nello spazio, ad esempio qui domenica quasi certamente pioverà mentre a Marsiglia oggi fa caldo. Allo stesso modo, se dico che nell’era pleistocenica i dati indicano che era più caldo di ora, mi riferisco all’andamento globale del clima di quel periodo e non che magari un giorno del Pleistocene accadde che nevicò sui Balcani.
Chiarito — una volta per tutte spero — questo concetto, passo ad illustrare perché proprio la settimana scorsa qui era freddo: nell’atmosfera c’è più energia; molta più energia di quanto serva a far sì che le escursioni termiche siano piccole come le vorremmo.  Immaginate di segnarvi anno dopo anno le temperature della vostra località sul calendario e poi di riportare quei valori su di un grafico; oggi le serie storiche di quasi tutto il mondo sono liberamente disponibili a chiunque: qui accanto potete vedere quella di New York. Come potete vedere quella che appare è una sinusoide: un picco minimo nella stagione più fredda e un massimo in quella più calda. 
Se l’energia atmosferica fosse contenuta, anche le oscillazioni tra il minimo e il massimo lo sarebbero. Ma con l’aumentare dell’energia intrappolata nell’atmosfera anche le escursioni termiche aumentano di conseguenza e si fanno sempre più estreme e imprevedibili, come ho cercato di illustrare nella figura qui sopra. Ecco spiegato perché qui oggi fa quasi fresco mentre in questi giorni la Cina sperimenta un’insolita ondata di calore.

Conclusione

I rapporti isotopici che inchiodano le responsabilità umane nell’aggravare il naturale effetto serra della nostra atmosfera sono lì, nell’aria che respiriamo ogni istante; essi sono disponibili a chiunque abbia interesse a volerli studiare. Certo, occorre avere accesso alle strumentazioni appropriate per leggerli oppure ci si può rivolgere a un ente terzo come il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) verso cui confluiscono tutte le serie storiche mondiali a cui generalmente i climatologi di tutto il mondo fanno riferimento, o a enti analoghi — in Italia ci sono le ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale)  — oppure a qualche università. Anche per farsi spiegare meglio di quanto abbia fatto io qual’è la differenza tra clima e tempo e cosa sia il Global Warming ci sono fior di accademici e professori — so che qualche fantademente usa questo termine in modo dispregiativo ma non me ne curo — pronti a farlo gratis.
Con queste due puntate ho tentato, e spero di esservi riuscito, a fare un po’ di luce su questo bruciante argomento; mi auguro che da adesso non vi facciate più trarre in inganno da incoscienti vestiti per bene che danno fiato alle trombe esclusivamente per i loro interessi.

Global Warming for dummies (prima parte)

Ho ascoltato con somma pazienza qualcuno affermare che a Bergamo con un paio di gradi in più si starebbe meglio.
Ma quando leggo di professori universitari o politici di una certa rilevanza — almeno mediatica — sparare castronerie come quelle che sento in questi piovosi giorni che “siccome oggi fa freddo allora il Global Warming è tutta una truffa mediatica“, vengo assalito dal tremendo dubbio se realmente stiano marciando così per propria convenienza (più probabile) o perché ne siano convinti (assai meno probabile).
Per questo ho deciso di tornare sull’argomento.

 

Articolo di giornale

Prima pagina di un (pessimo) giornale a tiratura nazionale.Il nome della testata è stato volutamente cancellato.

Nei giorni scorsi qualcuno mi fece notare la prima pagina di un quotidiano a tiratura nazionale, che qui ripropongo, per dimostrare quanto sia ancora controverso il dibattito sul Global Warming
Sì, qui ora mentre scrivo fa ancora freddo per essere metà maggio. Ma mentre qui e su più o meno tutta l’Europa centrale fa un po’ più freddo della media stagionale, in Spagna, nel sud della Francia e in Turchia la situazione è opposta. 
Coloro che denunciano l’inesistenza del Riscaldamento Globale trincerandosi dietro a una situazione meteorologica particolare hanno torto marcio. Non posso affermare se questa loro convinzione derivi dalla mancata comprensione del tema, dalla confusione che spesso viene fatta tra tempo meteorologico (locale sia nello spazio che nel tempo) e clima (andamento regionale o globale esteso nel tempo e depurato da fattori stagionali), oppure che si tratti di una scelta cosciente e ponderata.
Purtroppo propendo per questa seconda ipotesi, portata avanti da una corrente politica conservatrice e reazionaria transnazionale che si fa beffe del rischio globale che la civiltà umana in questo momento corre.
No, non penso che l’umanità corra il rischio di soccombere entro i prossimi decenni o secoli, ma tutta la nostra civiltà, il villaggio globale che faticosamente abbiamo costruito negli ultimi due secoli, potrebbe soccombere molto presto a causa della nostra scelleratezza se non abbiamo la volontà e la forza di correggere i nostri errori. 

Quindi non mi sento tranquillo quando sento gioire un uomo politico per lo scioglimento dell’Artide perché così si aprono nuove rotte commerciali[7] (dopo che il suo governo ha sempre negato che esista il Global Warming) e neppure quando vedo certi titoloni sbattuti in prima pagina come questo sopra che gioca pure sulle parole dando di fatto degli idioti a chi, in tutti questi anni, ha denunciato le pesanti responsabilità umane nell’attuale cambiamento climatico.

Dopo questa pesante filippica dove respingo ai mittenti la definizione di sciocco indirizzata verso chi si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere politiche di contenimento di un processo ormai quasi irreversibile quale è il Global Warming antropogenico, torno a spiegare cos’è e perché capita che, nonostante la tendenza al rialzo delle temperature medie del pianeta nel lungo periodo, possa in alcuni momenti fare ancora più freddo del solito.
Impiegherò un paio di puntate perché l’argomento non è difficile da comprendere ma lungo da spiegare ma spero lo stesso di riuscire nell’intento. Dopodiché sta a voi lettori cercare di spiegare agli scettici che incontrerete come stanno le cose.

Le prove che inchiodano le pesanti responsabilità umane: gli isotopi del carbonio.

Ciclo del carbonio atmosferico

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

Nessuno scienziato nega che il clima nei secoli scorsi sia stato anche molto diverso da quello attuale, ma i meccanismi di scambio gassoso con la litosfera hanno mantenuto per milioni di anni il tasso di concentrazione dell’anidride carbonica dell’atmosfera entro i 150-300 parti per milione. I complessi meccanismi alla base del ciclo naturale del carbonio (in realtà sono due: il ciclo organico e quello geologico) sono i responsabili di queste contenute oscillazioni: una minor concentrazione della CO2 atmosferica — sottratta dalle piante — porta all’abbassamento della temperatura a livello globale, ossia a una glaciazione; di conseguenza, anche le foreste che sequestrano l’anidride carbonica atmosferica trasformandola in lignina diminuiscono di pari passo con l’avanzata dei ghiacci mentre le emissioni vulcaniche intanto rimangono sempre abbastanza costanti. Questo ultimo fatto porta lentamente a un rialzo della percentuale di CO2, un riscaldamento globale naturale che sottrae di nuovo spazio ai ghiacciai e lo restituisce alle piante. E così all’infinito: cicli interglaciali caldi con alti (max 300 ppm) tassi di anidride carbonica atmosferica intervallati da periodi glaciali in cui la CO2 è più bassa (150-180 ppm).
L’anidride carbonica sequestrata dalle foreste sotto forma di lignina tramite processi di marcescenza e alte pressioni finisce per trasformarsi in carbone, mentre i medesimi processi trasformano in petrolio e gas naturale gli animali che, nella loro catena alimentare, in definitiva si sono nutriti di quelle stesse piante. Con l’inizio dell’Era Industriale tutto questo è cambiato: in appena 250 anni, e specialmente nell’ultimo secolo, l’Uomo ha imparato a sfruttare a proprio vantaggio l’energia racchiusa in quei serbatoi naturali di carbonio attraverso la combustione di quelle sostanze (combustibili fossili). Quindi buona parte di quel carbonio sequestrato dall’atmosfera in milioni di anni è stato liberato di nuovo in appena un paio di secoli e poco più.

Clima

Concentrazione della CO2 nell’atmosfera negli ultimi 800 mila anni (ppm). Credit NOAA/Il Poliedrico

La riprova di quanto ho detto sta nei rapporti isotopici del carbonio atmosferico: il 12C e il 13C sono due isotopi stabili del carbonio e poi c’è anche il 14C, un radioisotopo del carbonio che ha origine dall’interazione dell’azoto atmosferico coi raggi cosmici secondo lo schema: n+ 14Np+ 14C
Il radiocarbonio 14 (6 protoni e 8 neutroni) ha una emivita di appena 5715 anni, ossia circa la metà degli atomi di una certa quantità di 14C torna ad essere 14N (azoto 14) per effetto del decadimento β in quasi 6000 anni.  Siccome la quantità di raggi cosmici negli ultimi 100 mila anni è più o meno costante, anche la quantità di 14C atmosferico è rimasta pressappoco la stessa (circa 70 tonnellate) nel medesimo arco di tempo[8]. Il naturale decadimento radioattivo del carbonio 14 comporta che esso sia praticamente assente nei combustibili fossili, e infatti sono circa due secoli che i naturali rapporti tra gli isotopi 12C, 13C e 14C espressi negli ultimi 800 mila anni stanno mutando come conseguenza al consumo di questi 1.
Sempre rimanendo a parlare di isotopi del carbonio, occorre anche ricordare che a parità di proprietà chimiche i processi biologici prediligono sempre gli atomi più leggeri 2: per questo nell’anidride carbonica prodotta dall’uso dei combustibili fossili il δ13C è sbilanciato in favore della versione più leggera dell’atomo di carbonio (12C).
E come detto in precedenza, dalla combustione di fonti fossili è assente la versione più pesante del carbonio (14C) perché esso dopo appena 75 mila anni è ridotto a circa 1 millesimo di quanto era stato sequestrato all’inizio. Quindi, è l’analisi temporale dei rapporti fra i diversi isotopi che ci conferma che l’attuale surplus di anidride carbonica atmosferica è dovuta all’uomo e alle sue attività energivore basate sui combustibili fossili.

Non sono io, non è qualche scienziato prima di me o la ragazzina svedese Greta Thunberg a dirlo: sono gli isotopi del carbonio a farlo; i fatti, quelli su cui ogni giornale dovrebbe basarsi e sui quali qualsiasi politico dovrebbe tener conto prima di prendere una decisione che potrebbe influire sulla collettività, sono questi.


(fine prima parte)

Geoingegneria del clima per combattere il Riscaldamento Globale

Quando la gente sente parlare di geoingegneria del clima pensa subito a oscuri disegni in atto per stravolgere l’attuale equilibrio umano. In realtà ogni volta nella storia del genere umano che si è alterato il corso di un fiume, scavato un pozzo artesiano per irrigare o una diga per produrre energia, si è fatta della geoingegneria, e questa sempre ha avuto conseguenze sul clima della regione interessata  1. La deforestazione selvaggia in Amazzonia, le deviazioni artificiali dei fiumi e la creazione di nuovi canali, anche l’edificazione delle città sono tutte opere dell’uomo che durano nel tempo, ossia sono strutturali e come tali hanno tutte conseguenze sul clima. Se non riusciamo a comprendere questo, diventa inutile proseguire la lettura di questa seconda parte.

Contrasto al Riscaldamento Globale

Da quando è apparsa la specie umana, questa ha imparato molto presto a modificare l’ambiente che lo circonda: costruire strutture abitabili al posto di caverne e anfratti ne è un banale esempio. E poi strade, ponti, campi coltivati; tutto ciò che gli è potuto servire per conquistare il pianeta, l’uomo l’ha fatto. E tutto questo ha sempre avuto un impatto sull’ambiente e anche sul clima. Anche l’attuale Riscaldamento Globale è dovuto quasi esclusivamente all’opera dell’uomo.
Prendemmo piena coscienza che le azioni umane agiscono sull’atmosfera ben più di quanto avremmo voluto credere intorno al 1985, quando scoprimmo che i clorofluorocarburi interagiscono negativamente sullo strato di ozono che normalmente ci protegge dalle radiazioni ultraviolette del Sole. Quella classe di molecole era presente un po’ ovunque nella tecnologia umana: dai frigoriferi alle lacche per capelli,  giusto per rimanere negli esempi più banali. In soli due anni, 1987, la produzione e l’uso di massa dei CFC venne proibito a livello internazionale e solo oggi, a distanza di 30 anni, possiamo vedere  che quello sforzo ha probabilmente avuto successo. L’abbandono di quella classe di molecole comportò costi e sforzi mostruosi nella riconversione a tecnologie più rispettose dell’ambiente, eppure in fondo si trattava di ben misera cosa in confronto all’attuale impegno tecnologico sui combustibili fossili responsabili del Riscaldamento Globale.
È impensabile pensare a una riconversione totale verso forme di energia più pulite dall’oggi al domani. Inoltre il ciclo naturale di sottrazione dell’anidride carbonica dall’aria per tornare, non dico ai livelli preindustriali ma almeno ai livelli degli anni 50 del XX secolo, richiederà almeno un secolo o due anche se domani mattina cessassero tutte le emissioni di CO2 di origine antropica. 
Studi sui sistemi di cattura dell’anidride carbonica (carbon capture and storage o carbon capture and sequestrationcarbon control and sequestration, CCS) [9] che potrebbero aiutarci nel contrastare il Riscaldamento Globale sono in corso da anni: si va dal rendere fertili, e quindi forestabili, alcune aree oggi desertiche, alla concimazione di alghe negli oceani con concimi chimici e particelle di ferro a tecnologie di sequestro della CO2 dalle attuali centrali elettriche a combustibile 2.

Il Riscaldamento Globale sta distruggendo la biodiversità del pianeta: un delicatissimo equilibrio su cui in cima è l’uomo. Per questo penso che se grazie agli studi dei climatologi sperimentali trovassimo un  modo pulito per attenuare il perverso innalzamento della temperatura media del pianeta avremmo l’obbligo di usarlo insieme al progressivo e inevitabile distacco dall’uso delle fonti fossili di energia.
È un processo che richiede tempi superiori alla vita media di un singolo individuo. Anche se idealmente incominciassimo domani, i frutti del nostro sforzo li vedranno nel migliore dei casi i nostri nipoti o i loro figli; non noi o i nostri figli, ma i nostri discendenti. Ma ogni sforzo che potremmo compiere per salvaguardare il pianeta è nostro dovere farlo, compresa l’ingegneria climatica se questa dovesse servire.

Lo stato attuale

Un tecnico del Dipartimento dei Lavori Pubblici della Contea di Los Angeles esamina un generatore di semina delle nuvole telecomandato presso l’impianto di Kinneloa a Pasadena. Se tutto procede come previsto, i serbatoi dietro il Big Tujunga, Morris e molte altre dighe, oltre a impianti di ricarica delle acque sotterranee, potrebbero catturare una media di ulteriori 60 milioni di ettolitri di acqua piovana all’anno, sufficienti per gli standard americani per 36000 persone. Ci sono 10 sedi nelle montagne di San Gabriel tra Arcadia e Pacoima, sei a comando manuale e 4 a distanza. Credit: Howard Lipin

Alla luce di quanto affermato nel precedente articolo di questa serie, si potrebbe supporre che ci sia del vero dietro all’idea che già sia in atto un piano occulto per rielaborare scientemente il clima del pianeta. Allora in questo caso verrebbe da chiedersi se davvero le teorie del complotto delle scie chimiche siano vere. No, non esiste e non è in atto alcun piano segreto o palese che attualmente preveda il controllo del clima a livello globale.
È vero che esperimenti e tecniche di manipolazione del tempo meteorologico — che non significa manipolare il clima — esistono ormai da decenni: si chiamano inseminazione delle nuvole. In pratica si usano particelle di varia natura per nucleare l’umidità naturale di una certa area e far piovere [1.Le tecniche di inseminazione delle nuvole si basano sul fatto che la pressione di equilibrio del vapore del ghiaccio è inferiore rispetto a quello dell’acqua. La formazione di particelle di ghiaccio all’interno di nubi super raffreddate permette a queste di crescere a spese delle altre goccioline liquide. Se si verifica una crescita sufficiente, le particelle diventano abbastanza pesanti da cadere come precipitazione da nubi che altrimenti non potrebbero produrre precipitazioni. Questo processo è noto come semina “statica”. Le sostanze più comuni utilizzate per la semina delle nuvole includono ioduro d’argento, ioduro di potassio e ghiaccio secco (anidride carbonica congelata). Dopo alcuni convincenti test, sta diventando piuttosto popolare anche il più economico sale da cucina, per le sue notevoli doti igroscopiche. Lo ioduro d’argento ha invece una struttura cristallina molto simile a quella del ghiaccio, inducendo quindi una nucleazione per congelamento.]. Non tutti gli scienziati  del clima sono concordi sulla sua efficacia [10] [11] ma tale tecnologia è comunque di uso abbastanza comune in molti paesi del mondo. Ad esempio in Germania la usano per prevenire le tempeste di grandine [12], nel Sud-Est Asiatico per combattere l’inquinamento atmosferico, in Cina fu usata per la cerimonia di inaugurazione dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008 [13]. Probabilmente i sovietici usarono le tecniche della pioggia artificiale per impedire che la nube radioattiva di Chernobyl (1986) arrivasse su Mosca [14]. In California viene usata per combatttere la siccità cronica della regione [15]
Un impiego bellico di tale tecnologia si ebbe tra il 1967 e il 1972 [16] durante la Guerra del Vietnam, come riportano anche alcuni documenti del Pentagono [17] (Operazione POP EYE).

Verso la fine della I Guerra del Golfo gli irakeni incendiarono pzzi, campi e laghi petroliferi giusto per rallentare la Coalizione guidatra dagli Stati Uniti.
Si stima che dal gennaio 1991 e novembre di quell’anno fossero stati bruciati circa un miliardo di barili di petroli. Esso però equivale ad appena a una decina di giorni del consumo mondiale odierno (circa 100 milioni di barili al giorno).

Però il 18 maggio del 1977 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu stipulata una convenzione che proibisce l’uso militare di qualsiasi tecnologia per il controllo e la modifica del clima [18]. Questa fece seguito alla decisione unilaterale USA del luglio 1972 di rinunciare all’uso di tecniche di modifica del clima a fini ostili e che premette per la stipula di un accordo internazionale che coinvolgesse anche l’Unione Sovietica.
Perfino sistemi a bassa tecnologia come il fuoco e gli erbicidi, ampiamente usati da Saddam Hussein nella Prima guerra del Golfo contro il Kuwait — incendiò i pozzi petroliferi per impedirne l’uso alla Coalizione e distrusse le coltivazioni agricole kuwaitiane — potrebbero costituire violazioni della convenzione sul controllo e modifica del clima [19],  secondo la lettura che fecero Olanda e Finlandia del trattato.

Quindi supporre una qualsiasi ipotesi di complotto globale come vuole la vulgata complottista, è fuori di discussione. Non starò qui a perdere tempo per descrivere simili corbellerie, altri siti e giornali l’hanno fatto prima di me. Io ho solo cercato di esporre lo stato dell’arte su alcune ricerche serie sull’ingegneria climatica e illustrato la loro possibile utilità nel combattere un altro flagello creato dall’uomo come effetto collaterale della sua tecnologia Ed è quello che mi interessava fare.

Geoingegneria del clima fra superstizione e studi di fattibilità

Mi spiace essere assente su queste pagine così a lungo come in questo periodo. In verità è che sono concentratissimo nel portare avanti il mio antico progetto di costruire un astroinseguitore alla mia maniera, che vorrei terminare prima della eclissi di Luna di luglio. Ma torniamo a noi. Spesso purtroppo esiste un limite sottile oltre il quale molti non osano andare a guardare, un po’ come quelle vecchie signore scandalizzate che in spiaggia si turavano gli occhi alla vista di un bikini ben indossato, lasciando però aperta una sottile fessura per sbirciare meglio. Con questa metafora voglio dire che invece la scienza ha l’obbligo di vedere e di indagare anche e soprattutto è sconveniente.
La scienza è uno strumento. Intellettuale ma pur sempre e solo uno strumento. Non è di per sé buona o cattiva come taluni vogliono che si creda, e piegarla al proprio volere è negare la sua natura.

 

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Nei giorni scorsi mi è capitato di dover affrontare una spinosissima discussione che è in bilico tra le bischerate (le cosiddette fake-news per i detrattori della lingua italiana) e la scienza. Tutto parte da un vecchio servizio del TG2 RAI scritto, come loro solito sui temi di natura scientifica, coi piedi.
Il servizio fa riferimento a uno studio dell’Università di Harvard [20] che parla di test per determinare quale tipo di aerosol può essere efficace ad essere distribuito nell’atmosfera per innescare un calo della sua temperatura e sui suoi effetti sull’ambiente.

“A metà mattina di Pentecoste, l’8 giugno 1783, in un tempo sereno e calmo, una nera foschia di sabbia apparve a nord delle montagne. La nube era talmente estesa che in breve tempo si era diffusa su tutta la superficie e così densa da causare oscurità all’interno. Quella notte vi furono forti terremoti e tremori “
Jón Steingrímsson, sacerdote luterano islandese (1728, 1791)

Di per sé non è un’idea nuova. Già altri in passato avevano proposto di cospargere la troposfera con biossido di zolfo (anidride solforosa) dopo aver notato gli effetti dell’aerosol vulcanico sul clima nell’eruzione del vulcano Pinatubo del 1991 [21]. Anche se  quindi si tratta di imitare in qualche modo quello che già avviene in natura, le eruzioni vulcaniche, l’idea non è poi così innocua.
Negli anni immediatamente successivi al 1793-1794 l’intero continente europeo venne sconvolto da una terribile carestia provocata dall’eruzione del vulcano islandese Laki: le cronache inglesi e irlandesi parlarono di mesi tristi e senza sole; gli effetti furono percepiti fino in Giappone e in Egitto [22]. Furono le piogge acide e il repentino calo delle temperature a scatenare la terribile carestia che poi condusse il popolo francese ormai stremato alle rivolte che culminarono con la Rivoluzione Francese.
Inoltre,  altro effetto altrettanto importante, è la deplezione dello strato di ozono [23]. Già tutto questo dovrebbe bastare a rendere l’ipotesi di riprodurre il comportamento dei vulcani una pessima idea.
Ma questo chi studia il clima lo sa già ed è per questo che il gruppo di Harvard vuole esplorare altre vie che non prevedano la SO2, e quindi parlano di testare vapore acqueo, calcite (carbonato di calcio), ossido di alluminio (allumina) e perfino polvere di diamante su piccole aree usando banali palloni sonda con carichi di un chilogrammo. Altri studi analoghi prendono in considerazione anche altri tipi di particolato, come anche ad esempio polveri con qualità fotoforesiche 1 L’effetto prodotto da queste ricerche è quasi nullo anche per l’area interessata dagli esperimenti ma misurabile. 

Niente di cui preoccuparsi?

Nel 1783 l’eruzione del vulcano islandese Laki influenzò per quasi un decennio il clima del pianeta.

Di certo non dei test in sé, al di là di qualsiasi risultato essi diano; ho più timore dello scarso acume di chi vede in tutto questo un sinistro disegno di controllo e/o di sterminio della razza umana nascosto dietro questi test. Non è certo un chilo di polvere, per quanto strana essa sia, a doverci preoccupare. La Terra nella sua perenne corsa nello spazio raccoglie ogni giorno tonnellate di schifezze spaziali di ogni tipo  [24]. Non mi credete? State qualche giorno senza spazzare sotto il vostro letto e con la finestra aperta. Poi raccogliete la lanuggine e passatela con una calamita; vedrete alcune particelle più o meno piccole, alcune di queste saranno  addirittura microscopiche: quello è pulviscolo cosmico, resti di meteore che ogni giorno intersecano la Terra e vengono distrutte nella fase del loro ingresso nell’atmosfera e rimangono sospese nell’aria prima che si posino sotto il vostro letto.
Oppure, se vogliamo rimanere sugli effetti antropogenici, cioè quelli causati dall’uomo, basti pensare all’inquinamento atmosferico delle nostre città: i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente affermano che i decessi prematuri legati all’inquinamento atmosferico (esposizione a lungo termine al particolato, al biossido di azoto e all’ozono) che si verificano in Europa sono 487600, con il dato italiano molto al di sopra di questa media, con ben oltre 90 mila morti premature ogni anno. Tanto per notare l’entità del disastro ambientale basta salire di quota qualche centinaio di metri e osservare il panorama più in basso verso l’orizzonte. Vedrete una cappa d’aria grigiastra, una caligine mefitica ben più pericolosa per la salute pubblica di qualche test e qualche chilo di polvere sparato intenzionalmente nella stratosfera.
In realtà temo le conseguenze politiche di quei test, che nondimeno appoggio come uomo di scienza. Se quelle teorie si dimostrassero efficaci per ridurre la temperatura del pianeta e innocue per l’ambiente, qualcuno potrebbe pensare che tutto sommato potrebbe non essere una cattiva idea usarle piuttosto che spendere migliaia di miliardi di dollari per abbandonare le energie fossili non rinnovabili. Governi troppo pavidi potrebbero essere spinti a non considerare troppo l’uso delle energie rinnovabili pur di preservare precedenti investimenti nel carbone, petrolio, gas e biomasse in cambio di una spruzzatina qua e là. Senza contare il fatto, come insegna la storia delle eruzioni vulcaniche, una tale operazione per la modifica del clima su scala globale cesserebbe la sua efficacia non appena cessassero le operazioni di dispersione artificiale. Pertanto un rilassamento nelle politiche energetiche a favore delle fonti fossili riproporrebbe, accentuati, gli attuali problemi legati al Global Warming.

Studi di fattibilità

Un Aiurbus Beluga può trasportare carichi di 40 tonnellate per un raggio di 2700 km oppure di 25 per 4600 km.

Una seria analisi dei costi fu svolta nel 2012 coinvolgendo l’Aurora Flight Science Corporation, la School of Engineering and Applied Sciences and Kennedy School dell’Università di Harward e la Tepper School of Business and Department of Engineering and Public Policy dell’Università Carneige Mellon [25]
La cosa sconvolgente è che questo studio pare dimostrare che l’iniezione di SO2 nella troposfera allo scopo di innalzare artificialmente l’albedo del pianeta possa essere una strada teoricamente fattibile e dal costo non poi così elevato: infatti questo afferma che basterebbero da 1 a 5 milioni di tonnellate di materiale particellare all’anno tra i 18 e i 30 chilometri di quota per un costo annuale di soli appena 8-10 miliardi di dollari americani di quell’anno. Altri studi simili furono elaborati durante l’ amministrazione di George Bush senior 2 e nel 2009 e nel 2010. Questi essenzialmente si basano sul particolato di zolfo, che sappiamo essere comunque un agente inquinante, e prendono spunto dai normali voli di linea intercontinentali — quelli cioè che toccano quote di 10000 metri — che potrebbero usare carburante con un più alto tenore di zolfo durante la crociera, mentre nelle fasi di decollo e di atterraggio potrebbero usare il carburante più pulito, grazie al fatto che negli aerei il carburante è comunque già stoccato in diversi compartimenti fra loro indipendenti. Poi sarebbero i venti a disperdere il particolato più in alto nell’atmosfera.
Usare altri tipi di particolato, potrebbe essere ben più complicato e costoso. Mentre nel caso del biossido di zolfo questo è già presente in tracce nel comune carburante di bassa qualità disponibile per gli aerei di linea e quindi meno costoso,  per tutti gli altri casi si tratterebbe di voli studiati solo per questo scopo: occorrerebbero tra i 100 e i 200 mila voli di aerei come l’Airbus Beluga per trasportare 5 milioni di tonnellate all’anno di particolato che non sia zolfo a soli 10000 metri di quota.

Per ora termino qui la prima parte, ben immaginando che qualcuno penserà che stia diventando uno scia-chimista anch’io e nel caso potrò farmi delle grasse risate alle sue spalle. Niente paura: presto arriverà anche la seconda parte e allora capirete che non mi sto rincoglionendo! 😛
Cieli sereni!

Le responsabilità umane nel riscaldamento globale e i rischi finanziari ad esso collegati.

Negare che periodi ed epoche passate sian stati ancora più caldi o molto più freddi di oggi è stupido ma rinnegare per questo le attuali gravi responsabilità umane nel processo di riscaldamento del pianeta trovo che sia semplicemente criminale. Ritengo che il Riscaldamento Globale sia un problema reale e che vada discusso — almeno per la sua parte antropogenica — molto più seriamente di quanto politici e governi di tutto il mondo facciano o abbiano fatto finora. I vari accordi internazionali sul tema, come anche il tanto osannato ultimo di Parigi, sono soltanto acqua fresca, specie se paragonato all’accordo di Montreal del 1994 che mise al bando totale i clorofluorocarburi (CFC) responsabili della distruzione del vitale scudo di ozono. Questo confronto mostra che se esistesse una reale volontà politica mondiale, anche il Riscaldamento Antropogenico Globale potrebbe essere risolto.

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

La composizione chimica della nostra atmosfera è nota. La percentuale di anidride carbonica (CO2), ormai circa 407 parti per milione, lo è altrettanto. Essa è continuamente monitorata dal NOAA, che ha una sua stazione di rilevamento globale sul Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. Perché quel posto così lontano? Semplice, esso è abbastanza lontano da qualsiasi grande emissione di natura antropica che potrebbe falsare il risultato, anche se poi la media locale e stagionale viene studiata principalmente grazie ai satelliti.
Esiste un modo assai semplice per risalire all’origine del carbonio atmosferico. È un metodo ben conosciuto e accurato, usato di solito per stabilire l’età di un qualsiasi artefatto biologico; si chiama Metodo del Carbonio-14.
In natura esistono elementi chimici che possiedono una massa diversa rispetto ad un altro atomo dello stesso elemento; nel qual caso i due diversi atomi, detti isotopi, hanno lo stesso numero di protoni che determina le caratteristiche dell’atomo in sé, chiamato numero atomico, ma un diverso numero di neutroni che ne determina la massa finale. Nello specifico caso del carbonio, esso ha sempre 6 protoni, ma un numero che può variare da 2 a 8 di neutroni. Questi isotopi sono altamente instabili 1, solo il 12C e il 13C sono stabili. L’altro isotopo, il 14C, è prodotto in natura dai raggi cosmici, il cui flusso è abbastanza costante nel tempo 2.
Chiamato anche radiocarbonio, questo isotopo ha un’emivita di 5715 anni. Esso è assorbito come ogni altro atomo di carbonio nel naturale processo biologico, pertanto non c’è differenza tra la proporzione di radiocarbonio presente naturalmente nell’atmosfera e quella presente in un organismo biologico vivente. Quando però quest’ultimo cessa di vivere, cessa anche ogni scambio gassoso e cessa quindi di assorbire il radiocarbonio dall’atmosfera. La differenza tra la percentuale di 14C presente nell’organismo morto, che sia un tizzone di brace, un osso, oppure un coprolito, permette di risalire a quanto tempo è passato da quando tale organismo era vivo 3.

I numeri in gioco

Ora la storia si fa interessante. Quando bruciamo un legno o brucia una intera foresta, la quantità di radiocarbonio nell’atmosfera rimane pressoché invariata; non è trascorso abbastanza tempo per registrare un decadimento isotopico importante. Tanta CO2 era stata sottratta dall’atmosfera dalle piante e tanta è stata restituita all’atmosfera. Il bilancio totale finale è in pareggio. Non dico che questo sia irrilevante, perché comunque — e questo è l’aspetto più pernicioso del rilascio incontrollato di carbonio nell’atmosfera — un incendio impiega ore, se non minuti, a rilasciare tanto carbonio quanto la natura aveva messo anni e decine di anni a sequestrare dall’atmosfera.
Una fonte importante di anidride carbonica nell’atmosfera proviene dai vulcani, circa 200 milioni di tonnellate per anno (circa 55 milioni di tonnellate di carbonio). Spesso — a sproposito — i negazionisti del Global Warming la citano come l’unica fonte importante di carbonio atmosferico capace di alterare il clima. Peccato che anch’essa sia abbastanza costante nel tempo e continuamente monitorizzata. Nelle emissioni di natura geologica del carbonio il radioisotopo 14C è totalmente assente, esso decade del tutto nel giro di circa 50 mila anni, dati i tempi, geologici, del ciclo [26]. L’altra fonte è da cercarsi nella combustione dei combustibili fossili. Anche questa è esclusivamente composta dalla forma stabile del carbonio-12.
Misurando quindi le percentuali isotopiche del carbonio atmosferico è possibile notare come esso provenga per la maggior parte dall’azione antropica. Il risultato è impietoso: ogni anno vengono aggiunti circa 29 miliardi di CO2 all’atmosfera (quasi 8 miliardi di tonnellate di carbonio-12), più di 100 volte di quello prodotto dalla sola azione vulcanica. Questa è la dimostrazione definitiva della responsabilità umana nell’aumento della CO2  atmosferica.

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli organismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione. Credit: XL Catlin Seaview Survey

Certo che 29 miliardi messi al confronto coi 700 miliardi di anidride carbonica contenuti naturalmente nell’atmosfera e i circa 750 che partecipano ogni anno al ciclo naturale del carbonio paiono certo ben poca cosa, ma attualmente tutti gli oceani contribuiscono a stoccare appena circa 6 miliardi di CO2 all’anno e il dato in verità è in diminuzione a causa dell’aumento della loro temperatura [cite]10.1038/nature21068[/cite]. La distruzione della Grande Barriera Corallina, l’unica struttura biologica vivente visibile dallo spazio, ne è la prova. Il meccanismo è ovvio: un aumento di temperatura dell’acqua diminuisce allo stesso modo le sue capacità di assorbire la CO2, mentre la comunque maggiore quantità ancora assorbita ne aumenta l’acidità danneggiando irreparabilmente gli organismi più delicati e inibendo ad altri, come i foraminiferi, la capacità di creare strutture di carbonato di calcio, come per esempio i loro gusci, che catturano in modo definitivo una parte importante del carbonio assorbito dagli oceani.
Sulla terraferma il discorso generale non è poi così diverso. È vero, ogni anno circa 11 miliardi di anidride carbonica sono sequestrate dall’atmosfera dalle piante, ma il disboscamento industriale e l’agricoltura intensiva riducono significativamente questa capacità. Inoltre, una temperatura mediamente più alta comporta un aumento del rilascio del carbonio ancora intrappolato nel suolo, principalmente per effetto della decomposizione dei resti organici e per il dilavamento del suolo dalla pioggia resa più acida dall’aumento della CO2 atmosferica.
Il risultato è che almeno il 40%, circa 12 miliardi di tonnellate all’anno, delle 29 prodotte dall’uomo, sono continuamente riversate nell’atmosfera, contribuendo a ridurre le capacità del pianeta di continuare ad assorbirle.
Non sono bruscolini, anche se per alcuni sembrano esserlo. Gli oceani non possono oltre un certo grado assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera senza creare danni ambientali gravissimi e l’anossia delle acque più superficiali. È vero, potrebbe aumentare momentaneamente la quantità di alghe verdi-azzurre che potrebbero, ancora momentaneamente, assorbire una parte del carbonio atmosferico,  ma questo andrebbe a discapito di tutta la catena alimentare ittica e umana. In più, Ogni incremento della temperatura degli oceani limita la capacità di questi di sequestrare altra anidride carbonica dall’aria.
In effetti il timore, anche espresso da Stephen Hawking [27] con molta enfasi — lui se lo può permettere, di un effetto domino con conseguenze incontrollabili non è poi così remoto.

Se trascurato, il Global Warming potrebbe essere un disastro economico

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Checché ne dicano i negazionisti — e sono molti di più di quanto si creda — il rapido riscaldamento del pianeta pone due serie minacce legate al sistema finanziario. La prima è legata al  costo dei danni fisici inflitti dal Riscaldamento Globale, un prezzo già alto e che comunque tende ad aumentare coi sempre più frequenti parossismi meteorologici. 

Per esempio, la celebre compagnia assicurativa, i Lloyd di Londra, ha prodotto uno studio che prova a stimare il maggior costo dei premi assicurativi in risposta alle perdite legate al cambiamento climatico, come lo fu in seguito all’uragano Sandy [28]. Un aumento della frequenza e dei costi dei risarcimenti per i danni legati al mutamento climatico, come per le inondazioni, siccità straordinarie e altri fenomeni meteorologici estremi sta già causando miliardi di dollari di perdite per le economie delle nazioni colpite.
Ma non solo, provate a immaginare quanti turisti si recavano a visitare la Grande Barriera Corallina prima del disastro ecologico e la vastità dell’intera filiera economica locale che essa alimentava. Provate a immaginare se tutti i ghiacciai alpini diventassero un ricordo, quale danno sarebbe per le comunità montane che adesso vivono di turismo. E lo stesso discorso varrebbe per le Isole Maldive, gli splendidi atolli polinesiani oppure le nostre meravigliose città costiere, Venezia, Napoli o Genova che rischiano di cedere al mare parte del loro territorio a causa dell’innalzamento delle acque.
I costi assicurativi potrebbero salire così tanto che soltanto poche compagnie potrebbero decidere di coprirle aumentando di molto il costo dei premi mentre altre potrebbero fallire per pagare i risarcimenti dovuti. Intanto le proprietà non assicurate o inassicurabili vedrebbero crollare il loro valore espellendole dal mercato mentre gli investimenti nelle aree a rischio crollerebbero. Lo scenario economico che potrebbe profilarsi col Riscaldamento Globale incontrollato è spaventoso.

Il cambiamento Climatico è uno dei cambiamenti più importanti che [oggi] la società sta affrontando. la […] è una multinazionale che si sta impegnando attivamente nel cercare soluzioni rivolte alla mitigazione e l’adattamento verso il Cambiamento Climatico. Riteniamo che una migliore divulgazione delle informazioni sui rischi e sulle opportunità legate al clima sia di stimolo per i nostri sforzi verso un mondo sostenibile.

La seconda minaccia, più subdola, è rappresentata dagli ancora pesanti investimenti sui combustibili fossili e le tecnologie ad essi collegate. Sulla carta si tratta di investimenti di migliaia di miliardi di dollari, ma essi in fondo dipendono esclusivamente dalla fiducia degli investitori. Ma se questa fiducia dovesse venire meno, la bolla dei subprime del 2007 sembrerà lo scoppio di una miccetta paragonato a una atomica.
Già oggi alcune compagnie finanziarie e le banche nazionali [29][30] si stanno chiedendo se il loro portafoglio sia in grado di sopportare i rischi derivati dal cambiamento climatico e se sia possibile mantenere una certa stabilità finanziaria nel più fosco degli scenari possibili.
Allo scopo di studiare e prevenire le vulnerabilità finanziarie legate al mutamento climatico, nel 2015 il Financial Stability Board diede il via alla Task Force on Climate-related Financial Disclosures. Questa iniziativa ha trovato l’appoggio di grandi banche d’affari come Morgan Stanley e Barclays e di grandi multinazionali come la PepsiCo (quella della Pepsi Cola e della Seven Up) che muovono cifre di migliaia di miliardi di dollari all’anno.

Le grandi contraddizioni della finanza

Anche se apparentemente i rischi legati al mutamento climatico attirano l’attenzione del mondo finanziario globale, sono ancora molte le banche d’affari che sostengono i progetti più estremi di estrazione dei combustibili fossili (carbone, olio da sabbie bituminose e trivellazioni nell’Artico) per una cifra di circa 100 miliardi di dollari all’anno [31].
In fondo il loro mestiere è quello di finanziare i progetti più appetibili in termini di ritorno finanziario e le compagnie petrolifere finora sono ancora quelle che propongono un ritorno quasi sicuro per i prossimi 50 anni.
Ma se questo dovesse cambiare per una mutata volontà politica globale, magari in seguito a un serio incidente ecologico o un grosso scandalo, sarebbe un dramma sia per le compagnie petrolifere che per le banche d’affari che vi hanno investito su. Per questo sia, ovviamente, le compagnie petrolifere che buona parte della finanza globale mirano a mantenere lo status quo.
Mentre la finanza globale sta cercando di trovare il modo di staccarsi da questo intreccio perverso, le compagnie petrolifere cercano in ogni modo di nascondere le loro esposizioni nel timore che si scateni quel panico finanziario che potrebbe annientarle.
Intanto la Shell ha dovuto rinunciare alle trivellazioni artiche e su altri progetti che prevedevano lo sfruttamento di giacimenti bituminosi, mentre la Cina sta mostrando chiari segnali di ripensamento della sua politica energetica  basata sul carbone [32].

Conclusioni

Potrei parlare per intere ore sui tanti aspetti, rischi e prospettive legate al Global Warming. Ripeto che è da stupidi negare le naturali ciclicità — ancora non ben comprese — del clima terrestre, ma lo è altrettanto il negare le gravi responsabilità umane nell’andamento attuale. E se è su questo che abbiamo colpa, allora abbiamo anche il dovere di intervenire. Anche se fosse solo per il più semplice Principio di Precauzione. 
Segnali importanti li abbiamo avuti, curiosamente, dalla crisi economica del 2007. Negli anni immediatamente successivi si è registrato un minore apporto di carbonio nell’atmosfera, per poi riprendere quando quella crisi si è risolta.
Lo sviluppo sempre più importante di fonti energetiche rinnovabili, anche se esse sono ancora un goccia nell’oceano, inizia timidamente a farsi sentire. I prezzi dell’energia da loro prodotta sta spingendo verso il basso anche quella generata dalle fonti tradizionali, buttando fuori mercato le centrali più obsolete ed inquinanti e obbligando al ripensamento dell’intera filiera energetica.
Compagnie automobilistiche come la Volvo stanno studiando come trasferire la loro industria automobilistica verso la trazione elettrica entro 20-30 anni. L’Audi già dal prossimo anno ha deciso di partecipare attivamente nel Campionato Mondiale di Formula E, il campionato riservato alle auto da corsa elettriche. In Formula 1 sono ormai anni che vengono studiati e impiegati i KERS, sistemi di recupero dell’energia cinetica. Queste tecnologie sono impiegate oggi anche nelle normali auto ibride per il recupero dell’energia in frenata che altrimenti andrebbe persa in calore.
Sono piccoli segnali è vero, ma importanti. Anche se piccole e ottuse menti ricordano che ancora per i prossimi anni dovremmo ricorrere ai combustibili fossili per generare l’elettricità necessaria al funzionamento dei nuovi veicoli elettrici, essi non comprendono che è più semplice, immediato e sicuro sequestrare la CO2  [33] da poche unità centralizzate piuttosto che da una miriade di veicoli sparsi in ogni dove, e che questi sarebbero indipendenti dai metodi usati per produrre la loro energia. Energia che potrebbe provenire anche dalle fonti alternative ai combustibili fossili più disparate, riducendo al contempo una importante fonte di inquinamento ambientale vagante.
Città più pulite, meno rumore, meno malattie indotte dall’inquinamento e dalle polveri sottili: questi sarebbero già notevoli risultati collaterali che potremmo già presto raggiungere durante la lotta alla componente antropica del cambiamento climatico.
Alcune case automobilistiche stanno guardando a questo come una grande opportunità, alcune banche di affari e grandi assicurazioni stanno studiando il fenomeno e ne iniziano a comprendere la gravità. Ora resta da convincere i governi, le istituzioni politiche e quelle sindacali, ancora troppo timide e legate al consenso transitorio e le irrazionali paure sociali.

La fusione dei ghiacciai e il campanilismo antiscientifico

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d'acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall'articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate. Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d’acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall’articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate.
Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

La scienza  aborre i campanilismi. Ogni campanilismo.
Solo 120 anni fa la Legge di Gravitazione di Newton pareva spiegare tutto: dalla caduta di un frutto dall’albero all’orbita della Luna e dei pianeti; eccetto uno. Un pianetino poco più di un terzo più grande della nostra Luna, Mercurio, ha un moto orbitale che non può essere spiegato con le leggi di Keplero, di cui la legge di Gravitazione Universale è l’espressione matematica. Occorse attendere la Relatività Generale di Einstein per capire perché quel sassolino nello spazio, così vicino al Sole, avesse quell’orbita. Per questo affermo che la scienza aborre ogni forma di campanilismo, ogni teoria è valida finché qualche fenomeno fino ad allora inspiegabile trova una nuova spiegazione universalmente valida.

E la climatologia è una scienza.  Può non sembrare esatta perché è estremamente complessa, ma è una scienza e come tale anche lei aborrisce i campanilismi.
Giusto stamani una mia carissima amica è stata oggetto di deploro per aver condiviso un articolo che nel titolo manifesta perplessità sulla responsabilità del Riscaldamento Globale sullo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia [cite]http://goo.gl/5WBgoS[/cite] [cite]http://goo.gl/xJ70qp[/cite]. Bastava leggere l’articolo senza soffermarsi al titolo per capire che esso descrive un fatto reale e che questa forma di campanilismo è quanto di più becero e lontano che ci possa essere dalla scienza.
Pur esprimendo conclusioni che io considero opinabili, l’articolo di cui offro il link più sotto, il primo, mette in evidenza un fenomeno forse poco conosciuto dai più ma che invece ha una grande importanza sugli effetti del clima: la neve sporca.
In pratica diversi studi del ricercatore Marco Tedesco del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, indicano che è in atto da almeno un paio di decadi un meccanismo di feedback positivo causato dalla maggiore capacità dei ghiacciai di assorbire la radiazione solare che provoca la loro fusione. La causa sono le polveri presenti nell’atmosfera e che la neve raccoglie a scatenare questo meccanismo. Durante la stagione più calda la neve che man mano si scioglie aumenta per ogni unità di superficie il tasso di impurità presente e che fino ad allora era intrappolata nel manto nevoso. Queste impurità aumentano la capacità di trattenere ancora più energia e questo provoca ancora altro discioglimento. I vari cicli di fusione diurna e congelamento notturno favoriscono la creazione di cristalli di ghiaccio ancora più grandi e meno riflettenti col risultato di abbassare ancora di più l’albedo – il rapporto tra la radiazione solare riflessa e quella in arrivo – dei ghiacciai, ossia un aumento del tasso di scioglimento di questi.
Dove sia la contraddizione tra questa notizia e il Global Warming in atto non lo capisco. Il clima globale è il risultato di tanti piccoli eventi e fenomeni che presi singolarmente alcuni di essi paiono in contrasto o che sembrano slegati fra loro.
IMG_0427Qui la componente comune col Riscaldamento Globale è da ricercarsi  nelle polveri. Non è affatto un mistero che già in passato siano state rivelate tracce di polveri inquinanti di origine antropica nelle carote di ghiaccio prelevate in Antartide [cite]http://www.nature.com/articles/srep05848[/cite] e in Groenlandia [cite]http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/es970038k[/cite], dove addirittura furono trovate tracce dell’inquinamento Romano e Cartaginese. Nell’aria il pulviscolo atmosferico (quella polvere che vedete sospesa nei raggi di luce che attraversano una stanza buia e che si accumula sotto i letti e sui mobili) è in perenne movimento; ogni volta che respirate fate entrare alcune particelle prodotte giorni e mesi fa in Cina, altre in India o in Perù o in Canada. Queste possono essere di origine biologica, minerale, il prodotto di processi industriali oppure un miscuglio di tutti questi. Le precipitazioni atmosferiche intrappolano e trasportano al suolo queste polveri e nel caso delle nevi possono rimanere intrappolate anche per anni e secoli; dipende dal clima locale.
Nel caso dei ghiacciai groenlandesi questo fenomeno di rilascio sta avvenendo ora. Non è necessario vedere la neve più sporca ad occhio nudo, al meccanismo di retroazione che ho descritto più sopra non serve; avviene.  E tutti i meccanismi di retroazione positiva, come questo, sono molto difficili da controllare e bloccare. l’unica cosa veramente efficace è quella di prenderne atto e di bloccarli alla fonte. Ovviamente non si possono fermare i fenomeni naturali come le polveri provenienti dai deserti – vi è mai capitato di scoprire che dopo una pioggia il vostro balcone o la vostra auto fosse ricoperta di una patina rossastra? quella è spesso la polvere del Sahara – o le eruzioni vulcaniche o il pulviscolo biologico. Ma molte polveri originate dalle attività umane sì. Abbattitori industriali che catturano le polveri delle ciminiere, conversione degli impianti di riscaldamento a olio combustibile a forme meno inquinanti e più efficienti (i frequenti allarmi dell’inquinamento metropolitano sono causati molto più dai sistemi di riscaldamento domestico che dal traffico automobilistico, solo che fermare le auto è più facile) abbandonare la tecnologia dei combustibili fossili là dove è fisicamente possibile.

Quindi non c’è contraddizione tra Global Warming e la fusione dei ghiacciai groenlandesi, alpini e del Tibet, così come non c’è con la morte della Grande Barriera Corallina australiana. Sono tutti fenomeni in gran parte riconducibili all’inquinamento umano che ha innescato diversi meccanismi che si autoalimentano e che sono quasi impossibili da controllare.
Qui ha ragione il Presidente Barak Obama quando afferma che noi siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per fermare tutto questo.  Non voglio che questa generazione sia ricordata come quella che poteva ma che non fece.

Le (buone) ragioni del partito del NO

Sono stato indeciso fino all’ultimo se scrivere questo post o meno; e passato molto tempo da quando parlavo di politica su queste pagine. Ma adesso credo che il momento sia maturo per affrontare l’importante argomento politico del Partito del NO a tutto; un partito abbastanza trasversale (da destra a sinistra, dagli accademici più premiati ai più fessi che si possono incontrare un po’ in ogni dove).
Purtroppo la corruzione endemica di questo paese ha impedito che in più di cinquant’anni non si completassero 500 chilometri di autostrada, dove i piloni stradali crollano per l’inconsistenza dei materiali usati eppure pagati 10 volte tanto quanto ne costerebbe uno buono. Fareste costruire una centrale nucleare, una piattaforma estrattiva o una semplice galleria (guardate in proposito il valico tra Toscana ed Emilia …) a costoro?
A volte dire no in questo paese anche se forse non sembra la scelta più logica da fare, inevitabilmente si rivela col senno del poi quella più giusta.
Aggiornamento: lo studio sui costi della linea ad alta velocità Torino -Lione della Corte dei Conti francese del 2012 non è più disponibile sul sito originale ma ne esiste una copia su web.archive.org.

images (1)Un detto abbastanza comune nel mondo anglosassone “Not in my back yard!” almeno in Italia pare riscuotere molto successo. Il perché di questo è presto detto: negli ultimi anni molti comitati cittadini si sono costituiti per dire NO a tante opere e infrastrutture volute spesso imposte come necessarie ed emergenziali da un certo modo, spesso sordo e non lungimirante, di fare politica.
Ma se fino agli anni ’90 del XX secolo la notizia dell’esistenza di molti di questi comitati cittadini spesso non varcava neppure i confini della propria provincia, con l’avvento della comunicazione democratica di Internet, la notorietà di questi comitati è – giustamente – esplosa. Si possono condividere o meno le ragioni di questi comitati, ma è giusto e anche democratico scoprirne l’esistenza e conoscere i motivi della loro battaglia.
Qualche volta il valore di queste battaglie è stato usato  anche a sproposito o per fini di visibilità, onorificenze e carriere politiche, ad esempio.

NO-NUKE

Prendiamo ad esempio i due referendum sull’uso dello sfruttamento a scopo civile dell’energia nucleare. Il primo, del maggio 1986, sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl gli italiani scelsero di abbandonare quel settore, nonostante che fosse ben evidente che la centrale nucleare sovietica era ben più pericolosa di una italiana: diversi i sistemi di raffreddamento del nocciolo combustibile e gli scopi per cui era stata creata. Uno di quei promotori di quel NO al nucleare vent’anni dopo, due legislature politiche e incarichi altrettanto prestigiosi, decise che era giunto il momento per l’Italia di riconsiderare le proprie scelte energetiche e, da buon lobbista, questa volta si schierò per il ritorno del nucleare in Italia.
Si dice che è prerogativa unica degli stolti quella di non cambiare mai idea, e infatti, non mi vergogno affatto a dirlo, nel 1986 infatti votai per l’uso civile dell’energia nucleare in Italia perché non esistevano ancora alternative economicamente più vantaggiose all’uso dei combustibili fossili.
Quello che negli anni mi ha spinto a riconsiderare la mia posizione  non è legata al mio percorso scientifico, politico e formativo, quanto piuttosto alle mutate condizioni socio-economiche del nostro Belpaese.
In primis le condizioni economiche e la tecnologia per lo sfruttamento delle tecnologie rinnovabili hanno reso virtualmente improponibile una riproposizione dell’energia nucleare in questo paese. Un centrale elettronucleare ha una vita tutto sommato breve a fronte dei suoi ingenti costi di realizzazione e gestione. Adesso non siamo nella situazione molto più rosea per i conti pubblici degli anni ’90. Con un debito pubblico così alto gli incentivi economici necessari al recupero della somma investita sarebbero improponibili, scaricando così i costi su tutta la collettività, mentre invece un investimento serio su un piano di rientro energetico a lungo termine basato sulle fonti rinnovabili sarebbe molto più economico, al di là delle solite bischerate raccontate sui costi indotti di queste.
Poi c’è l’aspetto secondo me ben più importante, anche se sembra di parte: la corruzione che parte dal piccolo “Lei non sa chi sono io!” fino ai vertici politici di questo Paese che non ha abbastanza memoria per ricordare i suoi macroscopici errori, come ad esempio – e perdonatemi se parto da lontano – gli infiniti errori nella pianificazione e nella costruzione della diga del Vajont, ma anche dei piloni dei cavalcavia che crollano prima – per fortuna – dell’inaugurazione delle strade, dei controsoffitti in materiale scadente di molti edifici scolastici, delle case della New Town del dopo terremoto dell’Aquila. Fareste costruire una centrale nucleare a chi lucra sulla bontà dei materiali una centrale elettronucleare anche se questa sulla carta fosse la più sicura del mondo? Io credo proprio di no, e principalmente per questi due motivi nel 2011 mi sono apertamente schierato per dire NO al ritorno del nucleare in Italia.
Ma se il mio NO al nucleare non vi sembra supportato da buoni motivi, esiste anche il mio NO alla linea ad alta velocità in Val di Susa.

NO-TAV

 Ulteriori dettagli Rapporto Alpinfo 2010 - Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi. Credit Wikipedia

Rapporto Alpinfo 2010 – Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi.
Credit Wikipedia

Il progetto della ferrovia Torino-Lione nasce in un contesto di viabilità europea sviluppato tra gli anni ’90 e il 2000. Il mastodontico progetto da 23 miliardi di euro nacque in un quadro economico precedente alla crisi economica del 2008 e dal quale l’Italia, ben lungi dai canti di sirena dei vari governi che si sono succeduti nel frattempo,  non è mai risorta. Qui valgono le stesse motivazioni economiche del quadro precedente e dico che essa è troppo costosa per potercela permettere. Inoltre proprio li vicino esiste già un’altro tracciato ferroviario molto simile: quello del Frejus. Questo tracciato, che già collega la Francia con l’Italia nacque nel XIX secolo ma durante tutto il ‘900 e il decennio appena trascorso è stato più volte aggiornato agli standard dell’epoca. L’ultima opera di ammodernamento risale al periodo 2003-2011 per un costo complessivo ufficiale di 108 milioni di euro (alcune voci parlano che in  realtà il costo finale sia stato intorno ai 400 e non stento a crederlo) ma che per colpa dei francesi che volevano risparmiare dalla loro parte l’opera in realtà è riuscita zoppa, facendo così di conseguenza lievitare i costi di manutenzione della tratta [cite]http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=11149[/cite].
Nel frattempo l’ipotesi che rendeva apparentemente spendibile il tratto Torino-Lione, lo scambio merci principalmente tra i due paesi in un più vasto quadro di collegamenti europei, veniva meno quando già diversi rapporti internazionali indicavano in realtà un prepotente calo nel transito delle stesse. Come se questo non bastasse, anche la stessa Corte dei Conti francese dichiarava nel 2012 che il costo di questa nuova infrastruttura era ben più alto rispetto ai benefici raggiunti [gview file=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2016/03/rapport_situation_perspectives_finances_publiques_2012.pdf”]
Poi dal punto di vista ambientale ci sono i rischi ambientali legati alla natura metamorfica delle rocce in quel tratto. Uno studio del 2003 del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena [cite]http://www.spintadalbass.org/images/sienaamianto.pdf[/cite] ha evidenziato la presenza di minerali di amianto, che ricordo essere estremamente tossico per gli esseri umani, che andrebbero smaltiti in modo poi adeguato per non esporre tutte le comunità montane limitrofe alle polveri del minerale, con conseguente innalzamento spropositato dei costi delle operazioni di scavo 1.

LTF (Lyon Turin Ferroviarie) ha stimato che i due tunnel principali (il tunnel di base e il tunnel di Bussoleno), le discenderie, ecc. riceveranno un flusso cumulativo di acque sotterranee compreso tra 1951 e 3973 L/s nel caso stabilizzato. Ciò equivale a una portata compresa fra i 60 e i 125 Milioni di m3 /anno, comparabile alla fornitura d’acqua necessaria a una città di circa 1 milione di abitanti. Il drenaggio delle acque sotterranee è tutt’altro che trascurabile comparativamente al ricarico totale delle acque sotterranee nelle zone situate lungo il tunnel. (Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino,   Client : European Commission – DG-TREN [cite]http://ec.europa.eu/ten/transport/priority_projects/doc/2006-04-25/2006_ltf_final_report_it.pdf[/cite])

Altri sudi scientifici (anche dello stesso consorzio committente, la Lyon Turin Ferroviarie, presentato alla Commissione Europea) indicano che l’impatto ambientale sul sistema idreogeologico non sono poi così piccoli come spesso si vuole far credere da chi vuole quest’opera. È inutile girarci intorno, i motivi per dire NO a questa costosissima e inutile opera pubblica internazionale sono tanti, mentre a favore cantano solo coloro che vogliono realizzarla costi quel che costi, anche a scapito di tutti i pareri e degli studi scientifici e qualificati, che ne dimostrano la totale inutilità. Forse anche per questo il governo italiano (Monti) nel 2012 cessa di considerare prioritario il traffico merci per una versione a più basso costo della tratta internazionale, ma i costi comunque sarebbero ancora troppo alti rispetto ai dubbi vantaggi che può portare, soprattutto considerando l’investimento – a paragone molto più contenuto – dell’ammodernamento del Frejus che i tirchi francesi hanno cannato.
Ma se anche qui i motivi economici non bastano (chissà perché quando si tratta di far risparmiare denaro della collettività questi motivi non vengono mai ascoltati), ecco che spuntano inchieste della magistratura italiana che dimostrano che “… negli ultimi trent’anni l’Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata…” [cite]http://www.repubblica.it/cronaca/2012/03/06/news/tav_saviano-31013967/[/cite] [cite]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/25/tav-aderenze-politiche-di-imprenditore-coinvolto-in-processo-per-mafia-per-lui-interventi-del-senatore-esposito/2067985/[/cite] [cite]http://video.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/de-magistris-la-tav-imbroglio-serve-far-fare-quattrini-mafia/bf9acb26-87b3-11e5-b16f-562f60a54edb[/cite] dimostrando ancora una volta di più la mia seconda convinzione sul NO convinto al nucleare si applica esattamente anche a questo caso. Garda a volte le coincidenze!

NO-TRIV

Il caso sul prossimo referendum del 17 aprile p.v. è un vero guazzabuglio giuridico che spesso confonde gli elettori. Non entro nel merito di discutere le motivazioni storiche che hanno portato 10 regioni (in seguito 9 perché l’Abruzzo, fino ad allora in prima fila per la battaglia referendaria poi improvvisamente si è ritirato) a chiedere il referendum nazionale perché riguardano anche lo spirito politico personale di ognuno di voi e di me e io non voglio influenzare nessuno facendo una sterile campagna politica.
Nonostante vi siano molti siti internet che spiegano le ragioni del dire SI e del NO, una valutazione scientifica ed economica sono necessarie per decidere cosa scegliere di votare.
Questo è il testo del quesito referendario:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Ora andarsi a leggere tutto il decreto e le sue successive modifiche è una fatica immane che mi sento di risparmiarvi, dico solo che il bizantinismo delle leggi italiane è qualcosa di unico fatto apposta perché le persone normali non possano interpretarlo, un po’ come la supercazzola del Conte Mascetti nell’ottimo film “Amici miei“; uguale.

Questo è il quadro normativo che uscirebbe in caso di vittoria del SI 2, in neretto barrato le parti che verrebbero cancellate:

«17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l’aliquota di prodotto di cui all’articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l’olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell’incremento dell’aliquota ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione , rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino.»

Credit: il Sole 24 Ore

Credit: il Sole 24 Ore

Questo significa che ai pozzi estrattivi entro le 12 miglia marine, principalmente il giacimento di Guendalina (Eni) nel Medio Adriatico, il giacimento Rospo (Edison) davanti all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) al largo di Ragusa, debbano cessare le estrazioni al termine della durata di concessione. Sul Sole 24 Ore del 22 febbraio scorso si suggerisce che gli altri sono troppo vecchi e quasi completamente esauriti per essere interessanti o non rientrano nello spettro delle dodici miglia dalla costa: oppure no?
Ora possiamo leggere dal suddetto articolo di legge (quello toccato dal referendum) che ogni attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione 3 di idrocarburi non siano comunque consentite entro le 12 miglia marine, ma prevede anche però per le concessioni già esistenti la prosecuzione delle suddette attività per tutta la loro durata temporale. La vecchia disciplina italiana (normata dalla legge n. 9 del 1991 e n. 152 del 2006) prevedeva concessioni della durata trentennale, prorogabili per tre volte: la prima proroga sarebbe stata di dieci anni le altre due di cinque. Scaduti i 50 anni complessivi, le aziende avevano la possibilità di proseguire le trivellazioni, previa richiesta, fino all’esaurimento del giacimento senza però svolgere altre ricerche. Con la modifica imposta nella Legge di Stabilità del 2015 si è voluto estendere tutta la durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti ma, siccome il diavolo è spesso nei dettagli, questo garantisce anche la possibilità di fare nuove ricerche, prospezioni e estrarre da nuovi pozzi accanto a quelli già esauriti con la stessa concessione!
Di fatto la situazione legislativa attuale tornerebbe ad ad essere quella prevista dalle leggi del 1991 e 2006; basta. Torneranno a non essere possibili nuove ricerche, prospezioni ed estrazioni entro le dodici miglia marine per coloro che attualmente detengono una concessione entro questo limite da sfruttare, che invece in caso di vittoria del fronte del NO o di non raggiungimento del quorum sarebbero trasformate de facto in concessioni a tempo quasi indeterminato col diritto di ricerca e sfruttamento in perpetuo.

Un’argomento che ricorre spesso – a sproposito secondo me – al fronte del NO è che così in caso di vittoria del SI l’Italia rinuncerebbe a 126 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio accertate a fronte di 58 milioni di tonnellate equivalenti di consumo complessivo. Questo equivarrebbe al fabbisogno energetico di appena due anni (25 mesi appena!). Attualmente però solo il 7% del fabbisogno energetico italiano di origine fossile viene estratto nel territorio italiano. Solo appena qualche mese fa (12 dicembre 2015) e solo pochi giorni prima della pessima trovata nella Legge di Stabilità (28 dicembre) il governo italiano aveva firmato l’Accordo Internazionale sul Clima (Conferenza di Parigi) COP 21; in più, accordi interni all’Unione Europea (Accordo Europeo 2020) impegnano il nostro Paese a ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, a raggiungere entro tale scadenza il 20% (almeno) del fabbisogno energetico nazionale da fonti rinnovabili (e non coi trucchetti delle equiparate del CIP 6 che consentono di bruciare le peggio schifezze dei residuati petroliferi e la spazzatura!) e un aumento sempre del 20% almeno dell’efficienza energetica. Invece con la vittoria del NO o con il mancato raggiungimento del quorum si sta perseguendo una strada pericolosa e in netta controtendenza con le raccomandazioni e gli impegni presi dall’Italia in sede internazionale.
Molte altre sciocchezze poi sono state dette dal fronte del NO che non sto a ricordarle e ribatterle tutte; già ora ho scritto tantissimo e ho molte altre cose da dire (o sassolini da togliermi dalla scarpa).

Il bastian contrario

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l'efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illluminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c'è ancora molto da lavorare sul fronte dell'effficientamento.

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l’efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illuminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c’è ancora molto da lavorare sul fronte dell’efficientamento.

Nei giorni scorsi il direttore di una nota rivista scientifica accomunava i NO a tutto, NO-NUKE, NO-TRIV (i SI al prossimo referendum), NO-EOLICO, NO-OGM e così  via agli antivaccinisti, agli anti pesticidi e così via cantando, salvo poi giustificare poche ore dopo il suo strambo ragionamento affermando che “non esiste un pasto gratis“. È vero non esistono pasti gratis, soprattutto quando dovremmo cercare di preservare senza stravolgere inquinare e distruggere quello che abbiamo e che dovremmo preservare per le generazioni future.
Io trovo che sia demenziale distruggere un bosco, un campo o un prato per piazzarci supra centinaia di metri quadrati di pannelli solari, quando gli stessi potrebbero essere integrati ben più produttivamente sui tetti delle case e dei fabbricati industriali e rivedere in concreto il paradigma della produzione centralizzata di energia.
Trovo demenziale devastare i fianchi delle montagne per le centrali geotermiche (vedi il caso Amiata) a grande entalpia quando sarebbe ben più produttivo, ecologico e sicuro (anche come impatto ambientale e paesaggistico) costruire le nuove strutture, e adattare quelle più vecchie, allo sfruttamento del geotermico a bassa entalpia che si può usare anche in zone non geotermicamente sensibili (a Follonica (GR) esiste dal 2011 un quartiere dove le abitazioni sono virtualmente a costo zero per l’energia consumata).
Trovo addirittura idiota rendere l’intera penisola uno spazioporto per gli  assai improbabili alieni con tutta quella luce improduttiva rivolta contro il cielo; da astrofilo e uomo di scienza la trovo un insulto all’intelligenza e da italiano come un furto alle mie tasche.
Invece di volere sventrare montagne come in Val di Susa, di voler costruire improbabili centrali elettronucleari che richiedono molta acqua per funzionare (le facciamo sul PO, l’Arno o il Tevere?) e la cui produzione di energia non è né semplice – tutte le riserve mondiali di uranio e torio coprono appena un arco temporale di 50-100 anni e sono tutte in mano straniera –  e né facile da modulare (quella notturna i cari cugini d’oltralpe sono costretti a svenderla quasi sottocosto, altro che pasto gratis!), distruggere la fauna ittica (e così anche la nostra industria ittica e tutto il suo indotto di centinaia di migliaia di famiglie 4 ) entro le nostre 12 miglia per qualche bicchiere di maleodorante bitume o una sniffata di metano (come gas serra il metano è ben più pericoloso – 23 volte – dell’anidride carbonica tanto che gli allevatori neozelandesi pagano 60 centesimi l’anno per ogni bovino e ben 8 euro per ogni pecora), non crede caro direttore che sia giunta l’ora di mettersi a investire sul serio (di buzzo bono come diciamo a Siena) su soluzioni concrete al problema energetico italiano con un piano di riconversione serio che escluda – per principio – l’uso di energia fossile se non come soluzione temporanea d’emergenza?
Altri paesi si stanno ingegnando per raggiungere la piena autosufficienza energetica puntando tutto sulle risorse rinnovabili; perché non dovremmo fare altrettanto noi? La porta di questo blog sarà sempre aperta ad una sua risposta.

ps. Io, mia moglie e i miei due figli siamo tutti vaccinati, mangiamo pasta di frumento Creso e sfruttiamo l’energia solare termodinamica per lavarci tutto l’anno.
pps. Io possiedo e uso un’ottima auto ibrida …


Note: