50 anni dopo lo Sbarco sulla Luna non me la sento di festeggiare.

Ormai mancano poche ore al cinquantenario dello Sbarco sulla Luna. 
Quando fu scoperta la minaccia dei clorofluorocarburi all’intero ecosistema terrestre, nel 1997 tutti gli Stati della Terra fecero fronte comune e imposero il bando totale dei CFC col Trattato di Montreal; oggi, nonostante le belle parole, ancora non vedo lo stesso impegno per scongiurare le altrettanto gravi crisi ambientali. Per questo ora non riesco a gioire come vorrei lo storico anniversario.

 

L'equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra:  Michael Collins, Neil Armstrong e  Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

L’equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra: Michael Collins, Neil Armstrong e Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

Checché alcuni allocchi continuino a sostenere il contrario, il 20 luglio del 1969 per la prima volta nella storia un essere umano mise davvero piede sulla Luna; tre uomini, eccetto uno che rimase in orbita, giunsero là dove nessuno era mai giunto prima.
Non sto a ripetere la storia delle missioni e dell’intero Programma Apollo, in questi giorni un po’ su tutte le testate giornalistiche, blog, TV e social non si parla di altro. Ma se da un lato questo mi conforta — finalmente si torna a parlare dell’esplorazione umana dello spazio in termini concreti — dall’altro mi spaventa pensare che dopo cinquanta anni, cinque decadi da quello storico momento, siamo riusciti ad arrivare sull’orlo di una crisi dell’intero ecosistema terrestre.
Mi spiego meglio: la stessa razza umana che cinquant’anni fa è riuscita a compiere quella fantastica impresa, oggi rischia di soccombere (no, non credo all’estinzione di tutto il genere umano ma al crollo della sua civiltà) per tutti gli errori e le opportunità che non ha saputo cogliere in quest’ultimo mezzo secolo.

Ci sono voluti ben tre lustri, dal 1973 al 1997, per far capire al mondo che i CFC (clorofluorocarburi) stavano distruggendo lo strato di ozono che protegge la vita sulla Terra da almeno 2 miliardi di anni. Il presidente della multinazionale Dupont (industria chimica che era fra i maggiori produttori di CFC nel mondo) bollò i primi studi come “spazzatura da fantascienza“; all’epoca i CFC erano usati dappertutto, dall’industria della refrigerazione (frigoriferi e climatizzatori per esempio) fino all’agricoltura, dall’elettronica alla lacca per capelli (bombolette spray). Eppure, dopo le prime conferme sul campo del 1985 che confermavano le responsabilità umane nella distruzione dello strato di ozono, si giunse al bando operativo su tutto il pianeta dei clorofluorocarburi. Oggi quel bando sta funzionando e,  checché ne dicano — o abbiano detto — i vari “mister Dupont” dell’epoca, quella fu la cosa giusta da fare.
Oggi la situazione è altrettanto pericolosamente grave: all’inizio del mese un’intero distretto in Giappone (Kagoshima, un milione di persone)[1] è stato costretto dalle piogge torrenziali ad abbandonare le proprie case; d’accordo, quando qui la gente aspetta ogni occasione per andare al mare per fare i primi bagni, in Giappone (giugno-luglio) è la stagione delle piogge, ma quell’evento era comunque decisamente fuori dell’ordinario anche per loro.
E anche in altri paesi e regioni climatologicamente distanti si stanno sperimentando fenomeni parossistici sempre più estremi e frequenti: l’eccezionale ondata di caldo che ha travolto l’Europa (45° vicino a Montpellier, in Francia) dopo un giugno insolitamente uggioso e fresco; 21° C. sopra il Circolo Polare Artico [2]; 50,6° C. in India appena il giugno scorso, quando qui era insolitamente fresco (nevicò in Corsica).

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli oranismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione.
Credit: XL Catlin Seaview Survey

Questi segnali dimostrano tutta la fragilità di un sistema, quello climatico, che sta pericolosamente deviando per colpa delle attività umane: nel 2016 in Siberia si raggiunsero ben 33 gradi e nella regione dello Yamal (67° N) il disgelo estivo risvegliò un mortale batterio che era rimasto inerte da chissà quanti anni: il Bacillus anthracis, meglio noto come antrace; l’infezione uccise 2000 renne e un bambino; la più grande struttura vivente, visibile pure dallo spazio, ovvero la Grande Barriera Corallina a nord- est dell’Australia da almeno tre anni registra sbiancamenti (morte dei coralli) senza precedenti nella sua storia 1.

Eppure, ancor oggi, nonostante il parere pressoché unanime degli scienziati di tutto il mondo, miliardi di dollari spesi in conferenze e dibattiti internazionali, e una miriade di parole spese in buone intenzioni, quasi nulla è cambiato. Fior di sciocchi e stolti continuano a negare l’evidenza del Global Warming, alcuni bollandola addirittura come bufala comunista studiata dai cinesi per far svenare l’Occidente con l’acquisto di inutili auto elettriche e pannelli solari (fabbricati con le Terre Rare cinesi).
Ho già illustrato su queste pagine le prove del coinvolgimento umano nel Riscaldamento Globale, tanto che parlare di Anthropogenic Global Warming non è affatto sbagliato, anzi. Dopo quasi 25 anni nel 1997 riuscimmo come genere umano a fermare la grave minaccia all’intero ecosistema terrestre rappresentato dallo spregiudicato uso che facevamo dei CFC, mentre oggi una minaccia altrettanto grave si sta palesando ogni giorno; per questo oggi nonostante il cinquantenario dello Sbarco sulla Luna mi sento sconfortato.

Tornando al Programma Apollo che  portò L’Uomo sulla Luna, al di là di tutto ricordo che ogni onere – e merito – fu frutto dell’impegno di una sola nazione. Nell’anno dello sbarco, il costo per gli Stati Uniti d’America fu di 2.4 miliardi di dollari (PDF): appena un ottavo del costo dell’impegno militare in Vietnam di quell’anno che fu di circa 20 miliardi di dollari. In totale la spesa tra il 1961 e il 1973 fu di 26-28 miliardi di dollari dell’epoca (circa 270 miliardi di oggi) [3]. Nello stesso periodo il costo dell’intero sforzo bellico in  Indocina, per gli USA si avvicinò ai 200 miliardi, circa 2000 miliardi (a spanne) di oggi.
Ma mentre ogni dollaro investito nella ricerca spaziale comportava un ritorno di almeno cento negli anni successivi, i 200 miliardi nella guerra del Vietnam ebbero costi almeno triplicati dalla crisi economica successiva, dai costi sanitari per gli invalidi, la caduta del mercato interno e soprattutto la credibilità economica internazionale ne risentì.
Provate per un attimo ad immaginare se invece il bilancio militare mondiale dal 1970 ad oggi fosse stato dedicato alla colonizzazione dello spazio 2.
Con migliaia di miliardi investiti in ricerca e sviluppo invece che a cercare il miglior modo per farci stupide guerre per l’effimero controllo di un pezzo di terra pressoché tutti i mali che ancora affliggono l’umanità potrebbero essere ora un incubo del passato; oggi avremmo saputo come trasferire nello spazio tutte le attività più inquinanti e inaugurato una nuova era di pace e comunione per il genere umano; l’inquinamento che ogni anno causa milioni di morti — molti di più di un conflitto mondiale — sul nostro pianeta sarebbe potuto non essere più una minaccia per l’intero ecosistema terrestre e quel bambino dello Yamal avrebbe avuto l’opportunità di invecchiare magari proprio sulla Luna.

Ora noi potremmo darci tutte le pacche sulle spalle che vorremmo e raccontarci quanto fummo bravi 50 anni fa a raggiungere la Luna. ma se poi tra altrettanti anni (2069) la nostra civiltà non avrà ancora occasione di festeggiare quello che sarebbe potuto essere l’inizio di una nuova era per tutto il genere umano, sarà stata tutta colpa nostra e della nostra cieca stupidità e cupidigia.

 

Global Warming: non è il Sole

Figura 1 - "Lo sport su un fiume ghiacciato" di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi.  (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Figura 1 – “Lo sport su un fiume ghiacciato” di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi. (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Esiste una certa correlazione tra il numero di macchie solari e la temperatura media del pianeta.
Il Sole è la fonte di energia che fa muovere l’intera atmosfera e  che quindi è in grado di determinare sia il tempo a breve termine (vedi le stagioni) che il clima nel lungo periodo. Pertanto è ovvio che qualsiasi cambiamento  nel tasso di energia emessa dal Sole e ricevuta dalla Terra è in grado di modificare il clima. Esiste un equilibrio dell’energia emessa dal Sole alla distanza della Terra, è la temperatura di equilibrio è di soli 255 kelvin, pari a -18° centigradi; questa sarebbe la temperatura se il pianeta non avesse una atmosfera in grado di trattenere il calore, cosa che invece per nostra fortuna ha. Infatti la temperatura media della Terra è ben più alta perché una parte della radiazione solare è trattenuta dai gas che compongono l’atmosfera, mentre complessivamente il pianeta riemette nello spazio una radiazione che corrisponde alla sua temperatura media.
Ma sappiamo anche che la temperatura media del globo non è affatto costante: variazioni nell’albedo (percentuale tra energia ricevuta e riflessa nello spazio), nell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto all’eclittica, variazioni nella composizione atmosferica, vulcanismo etc. per la Terra, mutazioni sulla quantità di energia irradiata dal Sole, come flares, macchie solari, vento solare etc. possono alterare il bilancio energetico terrestre e con questo la sua temperatura media.
Tra il 1614 e il 1715 il Sole manifestò un singolare periodo di quasi totale assenza di macchie solari (quiescenza). Questo coincise con un altrettanto singolare periodo di freddo in Europa e nel Nord America, gli unici luoghi dove i dati di temperatura erano presi con una certa continuità. Nel resto del mondo invece i dati di quel periodo erano ancora troppo discontinui per avere una certa validità scientifica. Quel periodo oggi è indicato come Minimo di Maunder.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L'intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L’intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

A partire dalla fine del Minimo di Maunder, la presenza di macchie solari durante il ciclo undecennale del Sole è tornato a crescere, fino a registrare un picco, chiamato il Grande Massimo Moderno, tra il 1950 e il 2009.
Per registrare la presenza delle macchie solari gli astronomi si avvalgono di due metodi di indagine diversi: il Wolf Sunspot Number (WSN), messo a punto da Rudolf Wolf nel 1856 che combina il numero delle macchie solari col numero dei gruppi di macchie presenti sulla superficie del Sole, e il Group Sunspot Number (GSN), un metodo di calcolo che si basa unicamente sul numero di gruppi di macchie solari visibili, pensato per essere meno influenzato dalle singole interpretazioni dell’osservatore (meno rumore) rispetto alla precedente numerazione di Wolf e che permette di utilizzare anche le osservazioni più antiche fatte attraverso uno strumento ottico (prima metà del XVII secolo).
Questi due diversi metodi di calcolo producono risultati assai diversi. Ad esempio il GNS suggerisce che negli ultimi 300 anni il numero dei gruppi di macchie solari è in continua crescita fino al presunto Grande Massimo Moderno, in netto contrasto con i dati elaborati col metodo di calcolo di Wolf.
Questo andamento di continua crescita dell’attività solare evidenziato dal metodo GNS viene spesso indicato come l’unico responsabile del riscaldamento climatico da parte dei negazionisti del Global Warming perché andrebbe a modificare proprio il bilancio energetico ricevuto dalla Terra dal Sole.
Un gruppo di scienziati guidato da Frédéric Clette, dell’Osservatorio Reale del Belgio, Edward Cliver del National Solar Observatory e Leif Svalgaard dell’Università di Stanford hanno cercato di capire perché i due metodi apparivano così incongruenti dopo una certa data e hanno scoperto che le discrepanze tra la WSN e GSN erano provocate da un grave errore di calibrazione nel sistema GSN.
La soluzione di questo problema, il Sunspot Number Version 2.0 1, è stata presentata alla XXIX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale a Honolulu (3-14 agosto 2015) e corregge tutte le discrepanze tra i due metodi, mostrando che non c’è stato nessun reale aumento progressivo nel numero dei gruppi di macchie solari dal XVIII secolo in poi [cite]http://www.sidc.be/silso/datafiles[/cite]. Questo significa che dalla fine della quiescenza che corrispose al Minimo di Maunder, il flusso energetico solare è rimasto costante. Questo fa decadere l’ipotesi che il Global Warming sia dipeso dall’attività solare in aumento, ma allora cos’è che lo provoca?

Le analisi delle bolle d'aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \1(CO_2\) presente nell'atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm. Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014. Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Le analisi delle bolle d’aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di CO2 presente nell’atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm.
Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014.
Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Come ho detto prima, il bilancio energetico della Terra può che essere alterato da due parti: dal lato Sole con l’energia irradiata, e dal lato Terra con l’energia trattenuta. I vulcani espellono quantità incredibili di aerosol e polveri nell’alta atmosfera col risultato di raffreddare temporaneamente il pianeta. L’albedo modifica la quantità di energia riflessa dal pianeta ma ad un aumento medio di temperatura corrisponderebbe in aumento del tasso di evaporazione degli oceani e quindi della copertura nuvolosa (effetto di feedback). Resta un solo altro indiziato primario: la composizione chimica dell’atmosfera; in particolare un gas: l’anidride carbonica, passata da meno di 280 ppm dell’era pre-industriale ai 400 ppm di oggi. L’anidride carbonica è in grado di trattenere la luce solare e di riemetterla a lunghezze d’onda maggiori, dove l’atmosfera è opaca.
Ecco spiegato qual’è la causa del Riscaldamento Globale, ma anche cosa la provoca: le emissioni antropiche di CO2 nell’aria che sono aumentate da quando l’umanità ha imparato ad usare le fonti di energia fossile. Più o meno le stesse quantità di anidride carbonica che gli alberi avevano sottratto dall’aria nell’arco di milioni di anni sono state liberate in appena due secoli di utilizzo dei combustibili fossili.

Il nuovo Sunspot Number Version 2.0 ha già saputo mostrarci che riguardo alle mutazioni climatiche in atto stavamo prendendo una sonora cantonata, mentre adesso si renderà necessaria una rilettura dei cicli climatici registrati nelle carote di ghiaccio e negli anelli degli alberi. Questo permetterà agli scienziati di estrapolare la storia dei cambiamenti climatici su scale temporali ben più lunghe e precise di quelle attuali, tutti strumenti necessari per lo sviluppo di nuovi e più congrui modelli climatici necessari per curare la febbre del Pianeta.


Note:

Global Warming, New Deal and the foolishness

La differenza fra politico e statista. Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione.

Alcide De Gasperi

 

Umby

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è l’estremizzazione delle condizioni meteorologiche dovute a un  fenomeno tristemente noto come Riscaldamento Globale (Global Warming) 1.

Non è affatto facile dire di chi sia la colpa più immediata di questo fenomeno: potrebbe essere parte di un ciclo tutto sommato naturale di ampiezza secolare – la raccolta diretta delle informazioni sulla temperatura ha meno di duecento anni, oppure essere la conseguenza diretta della dipendenza della civiltà tecnologica attuale dai combustibili fossili 2.
Qualunque che sia l’origine del riscaldamento globale esso sta minacciando la nostra civiltà come nient’altro aveva fatto finora.
Per rimanere nel nostro cortile di casa, le cronache italiane di queste ore lo dimostrano ampiamente: è bastato un’ondata di maltempo generalizzato sul territorio nazionale che tutto si è paralizzato: traffico ferroviario e stradale , approvvigionamento elettrico e idrico paralizzato, rischio di esaurimento delle scorte di gas naturale per il riscaldamento … tutta una serie di incidenti che però si sono dimostrati efficaci per bloccare il paese per giorni e, in alcuni casi, per settimane.
Provate ad immaginare cosa potrebbero fare tanti singoli episodi di parossismo climatico tutti insieme: non molto tempo fa a Genova sono morte delle persone per l’imperizia di intubare un torrente nella città; piogge di 48 ore sono riuscite a paralizzare regioni intere con danni per milioni di euro: siccità che inginocchiano comunità e regioni che non vedono acqua da mesi con danni altrettanto gravi.
Eppure un minimo di prevenzione e di attenta pianificazione negli interventi sul territorio potrebbero evitare queste  spese: quello che è necessario per riparare – e ripagare – i danni è spesso molte volte il costo della semplice manutenzione e/o  messa in sicurezza del territorio. Strano che i tecnocrati prestati alla politica non mostrino di prestare abbastanza attenzione a questo.

La diga di Hoover fu costruita durante la grande depressione in maniera da fornire energia elettrica a basso costo per l'industria statunitense, fu inaugurata il 30 settembre 1935 dal presidente Franklin D. Roosevelt.

Occorre una leva per rilanciare l’economia? Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt lanciò all’interno del progetto socioeconomico conosciuto come New Deal uno strumento potentissimo, il Works Progress Administration (WPA), che impiegò milioni di disoccupati nella creazione di grandi opere pubbliche che avrebbero cambiato il volto dell’America per sempre rendendolo moderno ed efficiente.
Un piano per la messa in sicurezza del territorio e l’avvio di opere per la ristrutturazione e l’efficienza  energetica nell’edilizia pubblica e privata sotto il controllo e la gestione di un’agenzia governativa simile alla WPA porterebbe innumerevoli benefici in termini di spesa per le emergenze, una minore dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico e il rilancio dell’economia interna e l’assorbimento della disoccupazione.
Un piano simile sarebbe ancora più efficace se fosse deciso e coordinato in sede europea, ma la miopia dei politici europei interessati più alla finanza che all’economia, più alle successive elezioni che al progresso preferiscono cinesizzare 3 il sud del continente europeo piuttosto che occuparsi del benessere comune dei popoli che sono stati delegati a guidare.

Il Global Warming mette la nostra civiltà di fronte a una scelta: continuare come se niente potesse mai accadere, continuare a inseguire il mito della crescita infinita che i ciarlatani neoliberisti predicano – con successo purtroppo – alla  politica internazionale  o decidere di cambiare per il futuro della civiltà e delle prossime generazioni.
Certo è che se continueremo ad inquinare e consumare come abbiamo fatto finora il pianeta si scrollerà  di dosso la razza umana e continuerà come se questa non fosse mai esistita.

Il Global Warming esiste davvero

Credit: Il Poliedrico

 Un nuovo studio indipendente chiamato Berkeley Earth Poject (BEP) dimostra come l’effetto del riscaldamento globale sia reale al di là di qualsiasi dubbio espresso finora dagli scettici.

Nelle due pagine di presentazione del lavoro (disponibile in pdf a questo indirizzo) si dice:

Secondo un importante studio pubblicato oggi, il riscaldamento globale è reale. Nonostante le questioni sollevate dagli scettici del cambiamento climatico, lo studio condotto dal Berkeley Earth Surface Temperature trova una prova attendibile di un aumento della temperatura media mondiale terreno di circa 1 ° C rispetto alla metà del 1950.

 

Questo studio indipendente è stato avviato dal fisico dell’Università di Berkeley Richard Muller, non convinto dei metodi finora usati dagli altri ricercatori che non erano stati divulgati 1.
Tra questi ricercatori indipendenti c’era anche l’astrofisico Saul Perlmutter, fresco vincitore del Nobel per la Fisica 2011.

Il team ha usato oltre 1,6 miliardi di dati provenienti da oltre 39.000 stazioni meteorologiche di tutto il mondo, ottenendo circa gli stessi dati trovati anche da altre ricerche:

Questo grafico si vede benissimmo  quella che viene chiamata l’anomalia di temperatura, che si sviluppa dopo la metà degli anni settanta del secolo scorso, rispetto al valore medio di riferimento universalmente riconosciuto come la media dei valori di 30 anni, dal 1950 al 1980.
Qui sono riprodotti i risultati di quattro diversi studi, e come si può vedere sono tutti abbastanza concordi nel mostrare un aumento della temperatura media del pianeta, addirittura di circa un grado rispetto al  periodo di riferimento 1950-1980.
Vorei anche sottolineare come la parte a destra del grafico mostri una sostanziale stabilità verso la fine dell’ultima decade, è l’effetto che la stagnazione economica con la conseguente riduzione dei consumi globali ha avuto sul clima 2.

Ma questa ricerca indipendente da chi è stata finanziata? Non ci crederete, ma tra i principali finanziatori risulta essere  il gruppo petrolifero Koch Industries, in passato oggetto di pesanti critiche dai sostenitori del Global Warming per aver ostacolato per anni le politiche e i regolamenti volti a fermare il riscaldamento globale 3.

A questo punto anche se i negazionisti del Global Warming continueranno ottusamente a negare i fatti (altrimenti che negazionisti sono?), non potranno che prenderne atto, visti che uno dei loro leader ha di fatto finanziato una ricerca indipendente che dà loro torto.

 

Global Warming sui ghiacci polari

03[1]
ICESat 1 Cortesia NASA
Il ricercatore Thorsten Markus, del NASA Goddard Space Flight Center, ha utilizzato il satellite della NASA ICESat per monitorare lo spessore del ghiaccio marino intorno ai poli della Terra.Le misurazioni prima venivano effettuate mediante carotaggi e la loro precisione non era poi tanto accurata rispetto al monitoraggio satellitare.
I risultati da ICESat hanno dimostrato che da quando è stato lanciato nel 2003 (è stato spento all’inizio dell’anno, in attesa che venga lanciato il successore ICESat II), lo spessore del ghiaccio marino si è ridotto di oltre due metri diminuendo di oltre il 40 per cento durante questo periodo.
Il monitoraggio satellitare dell’ICESat funziona inviando impulsi laser da 600 km di altitudine e misurando il ritardo dell’impulso di ritorno dopo la riflessione della superficie, e consente misurazioni continue di appena due centimetri di scarto. Attraverso queste misurazioni è stato possibile determinare lo spessore e la variabilità stagionale dei ghiacci polari direttamente dallo spazio.
Il ghiaccio marino svolge un ruolo chiave nel sistema climatico terrestre: esso riflette la maggior parte della luce solare verso lo spazio, mentre l’acqua oceanica è molto scura e assorbe quasi tutta la radiazione incidente; pertanto, ogni variazione della copertura di ghiaccio marino ha un profondo impatto sul bilancio energetico globale.
2007-artic-ice-cap[1]
Variazione della Calotta polare Artica
dal 1979 al 2007

Quando il ghiaccio marino si forma, questo rilascia la maggior parte del suo sale nell’oceano. E l’aumento di salinità rende le masse d’acqua superiori dell’oceano più dense e pesanti, che sprofondando nel mare attivano un’immensa pompa di calore chiamata circolazione termoalina oceanica, che influenza fortemente il nostro tempo e il clima, come avevo già accennato in questo articolo: Meteorologia e riscaldamento globale.

I ghiacci si muovono grazie all’azione dei venti e delle correnti oceaniche. Quindi oltre che a fondersi localmente il ghiaccio marino artico va alla deriva nell’oceano, soprattutto nella parte orientale della Groenlandia. La quantità del ghiaccio marino artico che si disperde è immensa. Il risultato è che il ghiaccio più antico, che cioè si è depositato in più anni ed è anche quello più compatto e resistente, si è ridotto del 40 per cento dal 2003, diventando anche più mobile e, come accadde già nel 2007, può ancora succedere che i venti spingano gran parte del ghiaccio fuori l’oceano artico frenando così la circolazione termoalina della Corrente del Golfo provocando ondate di freddo intenso nell’emisfero nord.

Allarme Globale, nessun Grande Accordo? ((Global Warming: No Big Deal?)

Questo è un articolo di David Ropeik apparso sulla rivista «The Atlantic» a questo indirizzo: http://www.theatlantic.com/science/archive/2010/03/global-warming-no-big-deal/36835/, nei limiti delle mie capacità ne ho fatto la traduzione sperando che vi sia gradita.  Buona lettura.

La maggioranza  delle  persone  di  questo  mondo  concordano  sul  fatto  che  il  clima  della  Terra stia cambiando davvero in modo drammatico, che l’attività umana  ne sia almeno in parte la causa, e che noi dovremmo agire subito per risolvere il problema. Ma quando viene chiesto alle persone circa la loro disponibilità personale di fare qualcosa come pagare di più per la benzina o elettricità, oppure moderare il proprio stile di vita sociale la maggioranza si trasforma in una minoranza. Perché? I fatti sono i fatti, giusto? Beh, non proprio. Come è rischioso pensare che dipenda dal modo in cui  tali fatti siano percepiti. Le persone tendono a non preoccuparsi troppo dei rischi quando ritengono che non possano accadere a loro. Questo spiega il divario di percezione sui cambiamenti climatici. Si consideri un sondaggio dai cambiamenti climatici, una ricerca dello scienziato Anthony Leiserowitz di Yale. Nel sondaggio è stato chiesto agli americani:

Chi saranno i più colpiti dai cambiamenti climatici?

Gli intervistati ha dichiarato che il cambiamento climatico inciderebbe soprattutto:

• specie animali e vegetali: il 45 per cento
• Le future generazioni di persone: 44 per cento
• La gente nei paesi in via di sviluppo: il 31 per cento
• Le persone in altri paesi industrializzati: il 22 per cento
• La gente negli Stati Uniti: il 21 per cento
La vostra comunità locale: il 13 per cento
La vostra famiglia: l’11 per cento
personalmente: il 10 per cento

Quanto ti preoccupa personalmente il riscaldamento globale?

Meno della metà degli intervistati è “molto” preoccupato dai cambiamenti climatici vedendoli come una minaccia personale in Francia (46 per cento), Turchia (41 per cento ), Germania (30 per cento), Indonesia (38 per cento, in una nazione che comprende 6.000 isole abitate (in serio pericolo, ndt), Gran Bretagna (26 per cento), Cina (20 per cento) e, fanalino di coda, gli Stati Uniti (19 per cento)

A questo sondaggio, circa la metà degli americani e un terzo di cinesi ha risposto che non avevano paure personali sui cambiamenti climatici. Poi c’è il divario tra i credenti e non credenti. Alcuni guardano i fatti e vedono un potenziale disastro, mentre altri vedendo le stesse prove considerano il cambiamento climatico una bufala. Da dove viene questa differenza di percezione? Questa ha origine  nel momento in cui la cognizione “cultura del rischio” entra in gioco. Le decisioni da prendere su un tema come il cambiamento climatico saranno in parte un riflesso del diverso atteggiamento di base sulla società ideale. Si preferisce una società gerarchica, con linee decise di autorità e che regoli le classi economiche e sociali? Una società egualitaria, libera di imporre limitazioni economiche e sociali? Una società individualista, con scarso coinvolgimento del governo? Opure un modello di sistema comunitario, con il governo e società impegnati insieme per risolvere i problemi?I gerarchici sono spesso negazionisti del cambiamento climatico, perché le soluzioni al problema minacciano la status quo economico con il quale sono a loro agio. Gli individualisti, che, di regola si oppongono agli interventi di governo che le soluzioni al cambiamento climatico richiedono, tendono a negare il problema. Egualitari e comunitaristi, d’altra parte, in genere credono fortemente nella minaccia del cambiamento climatico, in quanto le soluzioni sfidano radicate strutture economiche e richiedono uno sforzo più importante del governo  e/o un  intervento sui costumi della società che siano in direzione del modello sociale auspicato da loro.

Le anomali perturbazioni che hanno colpito gli Stati Uniti (e l’Europa, ndt) sono un ottimo esempio di come questi fenomeni siano percepiti. I gerarchici e gli individualisti (politicamente rispettivamente l’area conservatrice e libertaria) hanno sostenuto che la recente nevicata a Washington DC smentisce il riscaldamento globale, mentre egualitari e comunitaristi (politicamente i liberali e progressisti) hanno sottolineato come la stessa neve insolitamente abbondante sia prova del fatto che il clima globale sta cambiando. Non si tratta di fatti, sono sono solo armi di una guerra tribale più profonda.

Nella cultura di guerra, la psicologia di base della percezione del rischio fornisce armi aggiuntive per entrambe le parti. In generale i rischi per i bambini per esempio, evocano più paura degli stessi rischi se questi minacciano solo gli adulti. Così, al fine di alimentare le preoccupazioni, quelli preoccupati per il riscaldamento globale sottolineano che saranno i nostri figli a soffrire di più se non riusciremmmo ad agire. E poiché le conseguenze delle azioni umane spaventano di più dei pericoli naturali, viene spesso sottolineato come il cambiamento climatico è prodotto dall’azione umana. I negazionisti del cambiamento climatico, d’altro canto,  suggeriscono che, se il clima sta cambiando, le cause possono in realtà essere naturali, il che rende il rischio più accettabile. E utilizzare gli eventi recenti, come le email trafugate agli scienziati del cambiamento climatico, o un errore rispetto al tasso di scioglimento dei ghiacciai della catena dell’Himalaya, per minare la fiducia in tutta la scienza dei cambiamenti climatici, dal momento che la fiducia gioca un ruolo importante nella percezione  maggiore  del rischio.

Ancora una volta, non si tratta di fatti. Ogni lato è intuitivamente giocato nel subconscio, dove i diversi fattori psicologici fanno percepire più o meno paura.Cosa significa? Discutere sulla questione se il cambiamento climatico sia un fatto reale (in cui il ruolo umano è importante, ndt) e la mancanza di un senso di pericolo personale, anche tra la maggioranza che conviene che invece lo sia (per sostenere le sue tesi, ndt), produce un’idea indistinta del pericolo. Come risultato, la volontà dell’agire sociale rimane debole, il che significa che il rischio politico per un leader di governo ad agire globale rimane alta. Affrontare la sfida del cambiamento climatico, quindi, richiede una comprensione non solo del clima fisico della terra, ma anche del clima psicologico delle nostre percezioni.

(per approfondimenti vedere il mio precedente articolo Meteorologia e riscaldamento globale, ndt).

David Ropeik è un istruttore presso la Harvard School of Continuing Education.