Serendipity


Una delle cose più affascinanti della scienza è che mentre studi un fenomeno, ti imbatti in qualcosa di diverso e di inaspettato, un po’ come andare a cercare i funghi e trovare una pepita d’oro. Mentre i ricercatori dell’Ohio University stavano cercando indizi che mostrassero l’attività degli AGN (Nuclei Galattici Attivi) si sono imbattuti in un particolare fenomeno in grado di nascondere alla vista le  supernovae e che questo fenomeno probabilmente era molto più comune nel passato.

Credit: http://www.spitzer.caltech.edu/

Christopher Kochanek e i suoi colleghi stavano investigando i meccanismi dei nuclei galattici attivi (AGN) quando si sono imbattuti per caso in un nuovo, particolarissimo femomeno.

Gli AGN o nuclei galattici attivi, sono in pratica immensi buchi neri, la cui massa può variare da milioni a miliardi di masse solari,  che risiedono al centro delle galassie e sono responsabili di una vasta gamma di fenomeni solo apparentemente slegati tra loro: quasar, radiogalassie, galassie di Seyfert, getti galattici, tutti fenomeni causati dai buchi neri al centro delle galassie a seconda se siano più o meno alimentati dalla materia che li circonda e dalla posizione prospettica con cui noi osserviamo la galassia in questione. In questo caso la materia che cade nel buco nero supermassiccio crea un enorme disco di accrescimento di plasma che raggiunge le decine di milioni di gradi, dove si innescano reazioni di fusione termonucleare e radiazione di sincrotrone prima di cadere oltre l’orizzonte degli eventi. Durante la sua esistenza quindi il buco nero supermasiccio spazzola tutta la materia che trova attorno accrescendosi; quando la materia intorno al buco nero finisce, l’AGN cessa di essere tale e si acquieta.  Si pensa che tutte le galassie, quindi anche la nostra, nel lontano passato abbia avuto un AGN al centro, ora però per nostra fortuna, questo dorme.

Questi astronomi stavano cercando appunto questo, segnali di attività che rivelassero la presenza di questi dischi di accrescimento, dei punti estremamente caldi in altre galassie col telescopio spaziale Spitzer che lavora appunto nell’infrarosso. Tra le galassie studiate ce n’è stata una che pare che nel 2007 abbia ospitato una supernova tutto sommato atipica.

Questo spot apparso in una galassia distante circa 3 miliardi di anni luce non mostrava l’andamento della curva di luce previsto per un AGN e non mostrava la luminosità tipica di una supernova ma di quest’ultima ne aveva la curva d’evoluzione temporale. l’oggetto non era luminoso come una supernova ed era caldo appena un migliaio di gradi kelvin.

Come nasce una nebulosa planetaria

L’unica soluzione possibile che gli astronomi hanno trovato studiando  i dati dello Spitzer, è che si sia trattato di una supernova che ha avuto origine da una stella almeno 50 volte più grande del Sole che ha espulso due gusci concentrici.

Uno, il più antico, è stato espulso quando la stella in fase morente ha attraversato un periodo di instabilità circa 300 anni prima della sua esplosione, quando il nucleo a cominciato a fondere elementi elementi via via sempre più pesanti come neon e magnesio producendo silicio. In questa fase quindi si è creata una nebulosa planetaria piuttosto spessa, e quando la stella si è contratta ulteriormente per innescare la reazione del silicio quattro anni prima di esplodere definitivamente ha espulso altra materia che poi è stata capace di assorbire completamente la radiazione della supernova. Per questo Kochanek e il suo team hanno visto solo uno spot caldo: i gusci concentrici di materia stellare opaca hanno assorbito e convertito tutta l’energia luminosa in calore impedendoci di vedere la stella esplosa in tutto il suo splendore.

Stelle così grandi sono rare, hanno una vita brevissima  stimata in pochi milioni di anni prima di morire, ma sicuramente all’inizio del ciclo vitale delle galassie quando queste erano molto più ricche di idrogeno di adesso, quella che gli astronomi chiamano fase di bassa metallicità, probabilmente erano molto più comuni: questa è l’opinione di Krzysztof Stanek, professore di astronomia all’Ohio State, il quale confida sul fatto di sapere ora che cosa cercare per scoprire attraverso il  NASA Wide-field Infrared Explorer (WISE) almeno un centinaio di altri casi in due anni.

Ma nella nostra galassia come siamo messi? Probabilmente un caso abbastanza simile lo abbiamo dietro l’angolo, a 7500 anni luce da qui nella costellazione della Carena. Eta Carinae, di cui ho già parlato in questo articolo, potrebbe essere un prototipo abbastanza vicino per poter essere studiato in dettaglio, rappresentando le ultime fasi della vita di una stella ipergigante, di cui l’attività insolita del 1840 era forse solo l’inizio dell’ultimo atto.

Umberto Genovese

Autodidatta in tutto - o quasi, e curioso di tutto - o quasi. L'astronomia è una delle sue più grandi passioni. Purtroppo una malattia invalidante che lo ha colpito da adulto limita i suoi propositi ma non frena il suo spirito e la sua curiosità. Ha creato il Blog Il Poliedrico nel 2010 e successivamente il Progetto Drake (un polo di aggregazione di informazioni, articoli e link sulla celebre equazione di Frank Drake e proposto al l 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo” (2012, San Marino)) e collabora saltuariamente con varie riviste di astronomia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Interminati mondi e infiniti quesiti" sulla ricerca di vita intelligente nell'Universo, riscuotendo interessanti apprezzamenti. Definisce sé stesso "Cercatore".
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