Al di là delle origini del Sistema Solare

La scienza ha sempre cercato di rispondere alle più incredibili curiosità umane usando poche ma solide basi da cui partire. Adesso grazie al pensiero scientifico possiamo affermare di aver compreso a grandi linee la nascita e perfino la morte futura dell’Universo, la nascita del Sistema Solare, fino a quando il Sole si spegnerà in una piccola nana bianca tra circa 5 miliardi di anni 1.
Grazie agli studi paleontologici, biologici, chimici e fisici, siamo riusciti a ricostruire tutta la cronistoria della Terra, da quando era un polveroso sasso senza vita fino al meraviglioso mondo che è oggi.
Eppure gli scienziati non sono ancora sazi di sapere – d’altronde è bene che non lo siano mai, ci sono quelli che si domandano cosa c’era prima del Big Bang
2 o se possono esistere universi paralleli e come questi potrebbero essere.
Gary R. Huss invece si domanda più prosaicamente: quale tipo di stella ha dato origine alla nebulosa che ha creato il nostro sistema solare?
Questa può sembrare una domanda irrisolvibile ma invece la soluzione è molto più banale di quanto si pensi.

La zona centrale della Nebulosa dell’Aquila,

Analizzando le rocce terrestri, marziane, lunari e meteoriche è stato possibile per gli scienziati di farsi un’idea abbastanza precisa sull’abbondanza di certi elementi chimici piuttosto che altri nel sistema solare.

Senza scendere nel tedioso particolare sulle analisi dei rapporti tra i vari isotopi e radionuclidi 3 4 sparsi nei più vari campioni analizzati e conoscendo abbastanza bene i meccanismi della fusione nucleare che alimentano le stelle e che producono gli atomi più complessi di cui siamo composti, si possono calcolare quali tipi di reazione nucleare possono dar luogo a certe abbondanze.

L’immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L’ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF).

L’immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L’ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF).

Appunto studiando quali radionuclidi a vita breve  5 presenti all’inizio della storia del Sistema Solare 6 e la loro abbondanza relativa rispetto ai radionuclidi a vita lunga come l’uranio 238, il torio 232, il potassio 40 e così via, si può tentare di ricostruire la composizione chimica della nebulosa che dette origine al nostro sistema solare, primo e fondamentale passo per sapere cosa ci sia stato prima, ovvero quali potrebbero essere state le caratteristiche della stella – o stelle – che ha prodotto tutti gli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno di cui tutti noi siamo costituiti.
Studiando i vari tipi di sintesi nucleare nei diversi casi di evoluzione stellare che arrivano a produrre i radionuclidi cercati, si è potuto stabilire che la massa limite va da 1 a 120 masse solari, un po’ vago come limite ma è già qualcosa.

Ma è possibile per una singola stella produrre i radionuclidi a vita breve scoperti nel sistema solare?
È poco probabile che una stella con una massa compresa tra le 20 e le 60 masse solari o una stella di massa intermedia del ramo asintotico delle giganti (AGB 7) sia la responsabile dei radionuclidi osservati.

La nebulosa “Occhio di Gatto” generata da una stella gigante tipo AGB.

Piccole stelle AGB non possono produrre abbastanza ferro 60. Una supernova di tipo II originata da una stella con una massa iniziale superiore a 20 masse solari produrrebbe troppo ferro 60 e troppo magnesio 53. Altre fonti come potrebbero essere novae, supernovae di tipo Ia, o il collasso del nucleo di una supernova O-Ne-Mg 8 o nane bianche non sembrano in grado di produrre radionuclidi a vita breve come quelli osservati nelle giuste proporzioni.
A questo punto la conclusione più probabile è che non sia stata una singola stella a generare la materia nebulare primordiale nelle proporzioni isotopiche rilevate, ma almeno due: una supernova di tipo II di massa inferiore o uguale a 11 masse solari e un’altra – probabilmente una stella di massa compresa tra 12 e 25 masse solari – che insieme hanno fornito gli elementi osservati all’incirca nelle proporzioni osservate.

Gary R. Huss. Ricercatore e direttore del laboratorio di chimica cosmica  WM Keck – Credit: Istituto  di Geofisica e Planetologia delle Hawaii.

Il traguardo che si è dato Gary Huss non è affatto semplice: ci possono essere stati molti processi che hanno potuto alterare in seguito il rapporto degli isotopi osservati nel sistema solare: la fase di preaccenzione del nostro Sole ha generato flussi di raggi X in grado di alterare molti rapporti isotopici, l’influenza dei raggi cosmici, e mille altri processi radiativi possono aver scombussolato il quadro originario della nebulosa primordiale.
Il suo sarà un lavoro terribilmente difficile ma che potrà dare immense soddisfazioni.

Comunque sarà bello scoprire che anche il Sole ha avuto due genitori.


Note:

 

 

Note:

  1. Ora più, ora meno.
  2. Uno di questi è Roger Penrose.
    Concentric circles in WMAP data may provide evidence of violent pre-Big-Bang activity.
  3. Origin of Short-lived Radionuclides in the Early Solar System.
  4. HETEROGENEOUS DISTRIBUTION OF 26Al AT THE BIRTH OF THE SOLAR SYSTEM.
  5. Anche qui gli astronomi sono un po’ particolari: per essi l’emivita breve di un radionuclide è di 100 milioni di anni!
  6. L’emivita di questi radionuclidi è estremamente breve rispetto a quella del Sistema Solare.
    Questo significa ovviamente che questi nuclidi ora non esistono più. D’altra parte, essi sono vissuti abbastanza a lungo nella nebulosa primordiale da venire inclusi nelle rocce più antiche che si sono formate in quel periodo. Per questo le tracce di radionuclidi estinti ritrovate in meteoriti primitive sono fondamentali per comprendere la cronologia degli eventi all’inizio della storia del sistema solare: la loro breve esistenza ci consente di delimitare i tempi dell’evoluzione della nebulosa primordiale, come ad esempio i momenti del collasso della nube molecolare, il frazionamento chimico, l’inizio della differenziazione planetaria etc.
  7. Le stelle AGB sono in pratica una famiglia di stelle di massa tra 0,5 e 10 masse solari quasi al termine della loro vita. Assomigliano alle giganti rosse, ma le attività nucleari all’interno sono molto diverse: qui le stelle AGB traggono energia dalla fusione del nocciolo che è carbonio degenere e da un sottile strato di elio all’esterno del nucleo (doppio guscio). Questo porta le stelle a disperdere gli strati più esterni che formano le bellissime nebulose planetarie.
  8. Supernova Ossigeno-Neon-Magnesio. Le stelle con massa da 8 a 10 volte a quella del Sole sono capaci di estendere la fusione nucleare al termine della loro vita fino ad avere un nucleo di magnesio degenere al centro circondato da un guscio di neon e un altro guscio più esterno di ossigeno. in quel momento si innescano reazioni di fusione nucleare tali da esplodere la stella in una supernova di tipo II: Nucleosynthesis in O-Ne-Mg Supernovae.

Umberto Genovese

Autodidatta in tutto - o quasi, e curioso di tutto - o quasi. L'astronomia è una delle sue più grandi passioni. Purtroppo una malattia invalidante che lo ha colpito da adulto limita i suoi propositi ma non frena il suo spirito e la sua curiosità. Ha creato il Blog Il Poliedrico nel 2010 e successivamente il Progetto Drake (un polo di aggregazione di informazioni, articoli e link sulla celebre equazione di Frank Drake e proposto al l 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo” (2012, San Marino)) e collabora saltuariamente con varie riviste di astronomia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro "Interminati mondi e infiniti quesiti" sulla ricerca di vita intelligente nell'Universo, riscuotendo interessanti apprezzamenti. Definisce sé stesso "Cercatore".

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