Come impacchettare un rover e mandarlo su Marte!

Credit: NASA/JPL

Razzo Atlas V - Credit: United Launch Alliance (ULA)

Volete vedere come si spedisce un rover su Marte?
Si impacchetta il rover in questione (in questo caso Curiosity), dopo aver verificato che tutto, ma proprio tutto, funzioni a dovere, nel suo bel guscio che somiglia tanto a certe sorpresine dell’Uovo di Pasqua che lo proteggerà fino alla sua destinazione su Marte. Poi si infila il tutto nell’ogiva di un razzo Atlas V.
Intanto si monta il razzo: prima il primo, poi il secondo stadio, poi i serbatoi di carburante etc. proprio come si dovesse costruire un razzo orbitale.
Infine, quando tutto è pronto, in cima al razzo ci si mette l’ogiva, che contiene il guscio della sorpresina che poi è il rover di prima.
E poi …. countdown! 😆

ESI: Earth Similarity Index

Grazie alle più che positive scoperte di Kepler e ai nuovi metodi di indagine per la ricerca di esopianeti, si è reso necessario sviluppare anche nuovi strumenti matematici che aiutino nella classificazione di questi in base alla loro somiglianza con la Terra 1.

 L’Earth Similarity Index (ESI), è un indice che esprime il grado di similitudine tra un qualsiasi pianeta extrasolare e la Terra compreso tra zero (nessuna similarità) e uno (identico alla Terra). L’ESI può essere utilizzato per dare priorità nelle osservazioni, effettuare valutazioni statistiche e sviluppare le classifiche planetarie. L’espressione di base per l’indice  ESI è
dove xi fa riferimento a una delle quattro proprietà planetarie (ex. la temperatura superficiale), xio è il corrispondente valore di riferimento terrestre (in questo caso 288 K), wi è l’indice di importanza della proprietà planetaria, n è il numero di proprietà planetaria, ed ESI ovviamente è l’indice di similarità. Gli esponenti dell’equazione sono usati per regolare la sensibilità della scala e pareggiare il suo significato tra le diverse proprietà.

l’ipotetico pianeta Gliese 581g

I pianeti simili alla Terra possono essere definiti come un qualsiasi organismo planetario con una composizione simile a quella terrestre e un’atmosfera temperata. Come regola generale, qualsiasi corpo planetario con un valore di oltre lo 0,8 ESI può essere considerato un pianeta simile alla Terra.
Ciò significa che il pianeta è roccioso in composizione (silicati) e ha un clima adatto per la maggior parte della vegetazione terrestre, compresa la vita complessa. Pianeti con valori ESI nel range 0,6-0,8 (cioè come Marte) potrebbe essere ancora abitabili, ma solo per forme di vita estremofile, in quanto sono o troppo freddi o troppo caldi, per i parametri di vita come li conosciamo.
I parametri per l’elaborazione dell’equazione ESI per raggio medio, densità, velocità di fuga, e la temperatura superficiale sono riportati nella tabella 1.
I calcoli per i pianeti solari ed extrasolari sono illustrati nella Figura 1. Esse sono divise per comodità per ascisse in base al raggio medio e la densità della massa, e per ordinata in base alla velocità di fuga e la temperatura superficiale. Questi valori sono poi combinati in un ESI globale. I valori in ordinata possono essere considerati un indice di abitabilità a causa della sua  definizione che vede la Terra come punto di arrivo (Tabella 1). Tuttavia, una formulazione simile può essere costruita per altri corpi planetari con valori di riferimento diversi (ad esempio oceano come pianeti).
Una delle applicazioni più pratiche della ESI è negli studi sulla distribuzione e la diversità di pianeti simili alla Terra (Figura 2).
I valori di ESI per  i pianeti candidati scoperti dalla Missione Kepler è mostrato in Figura 3.

Proprietà pianeta Valore di riferimento
Indice di importanza planetaria
Raggio medio  1.0 T  0.57
Densità  1.0 T  1.07
Velocità di fuga  1.0 T  0.70
Temperatura superficiale  288 K  5.58
Tabella 1. Valori di riferimento per le quattro proprietà planetarie usate per definire l’indice ESI. La scala è molto più sensibile alla temperatura superficiale rispetto alle altre proprietà planetarie.
Nota: T =Terra

Figura 1. ESI per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione) e 258 pianeti extrasolari conosciuti (blu). Solo alcuni dei corpi più importanti sono etichettati. La scala ESI opera una distinzione tra quelli rocciosi (area rossa) e la superficie temperata (area azzurra) dei  pianeti. Solo i pianeti all’interno di queste due categorie possono essere considerati simili alla Terra (area verde). Le linee tratteggiate rappresentano i valori costanti di ESI. Se confermato, solo Gliese 581 g può finora considerarsi simile alla Terra e essere nello stesso insieme.

Figura 2. Distribuzione dei valori di ESI sulla base di una previsione teorica statistica (giallo), per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione), e 258 pianeti extrasolari conosciuti (blu). Il nostro Sistema Solare coincide con le previsioni, ma le sbarre per i pianeti extrasolari conosciuti mostrano il limite delle attuali tecniche di osservazione che consentono di scoprire grandi corpi planetari (ESI valori tra 0,2 e 0,4). Questo tipo di analisi l’ESI può essere usata per predire il numero atteso di pianeti simili alla Terra in un campione di stelle.

Figura 3. Indice ESI per 47 corpi del Sistema Solare con raggio maggiore di 100 km (arancione), 258 i pianeti extrasolari conosciuti (blu) e i 1235 pianeti candidati scoperti da Kepler (verde). La massa per il calcolo dell’indice ESI è stata stimata utilizzando un rapporto generico di massa-raggio per le relazioni gas, oceano nei pianeti rocciosi prendendo come riferimento il Sistema Solare (non era indicata la massa nel set di dati). Il risultato sorprendente nell’estrapolazione dei dati di Kepler è l’abbondanza potenziale di corpi rocciosi e la presenza di due candidati pianeti simili alla Terra, oltre che a un paio molto vicini a questa categoria. Le informazioni contenute in questa candidati planetaria è molto limitata e saranno necessarie altre osservazioni su questi candidati per confermarne l’esistenza..

 

Curiosity e Maven: una risposta sul clima marziano

Curiosity Poised to Begin Ambitious Exploration

Il rover Curiosity - Credit: NASA-JPL/Caltech

Tra pochi giorni un poderoso razzo Atlas V partirà da cape Canaveral con lo scopo di lanciare la missione Mars Science Laboratory  verso Marte.
La missione MSL, ribattezzata più amichevolmente Curiosity, farà planare sulla superficie di Marte l’omonimo lander – un gigante rispetto a tutte le altre sonde semoventi sul suolo marziano – nell’agosto del 2012.
Il suo compito sarà quello di cercare di spiegare definitivamente se Marte abbia avuto o meno in passato condizioni geoclimatiche migliori per la vita di adesso e se questa sia mai espressa sul pianeta rosso.
Uno di questi strumenti è il Rover environmental monitoring station (REMS), una vera  e propria stazione meteorologica che avrà il compito di analizzare l’aria marziana e il suo andamento climatico.

Con lo scopo appunto di studiare più approfonditamente l’atmosfera di Marte, nel 2013 dovrebbe partire la Mars Atmosphere and Volatile Evolution Mission (MAVEN), una missione che cercherà di rispondere a molti quesiti importanti sul clima marziano.

The Mars Atmosphere and Volatile Evolution Mission (MAVEN), set to launch in 2013, will explore the planet’s upper atmosphere, ionosphere and interactions with the sun and solar wind. Bruce Jakosky, MAVEN’s Principal Investigator discusses the mission. Credit: NASA/Goddard/Chris Smith

Francamente quelli che abbiamo sono solo indizi su come potrebbe essere stato il clima di Marte nel lontano passato. Indizi che sembrano indicare la presenza di acqua liquida, di piccoli mari, senza però sapere se questi erano fenomeni locali e temporanei e per quanto sono durati nel tempo.
Certo che la sonda europea Mars Express ha identificato dell’acqua su Marte, ma essa è intrappolata nel suolo o nelle calotte polari insieme all’anidride carbonica congelata. Ma quando e per quanto tempo quest’acqua sia stata in superficie precisamente non lo sappiamo.
Non sappiamo di preciso se l’acqua  su Marte sia stata portata da alcune comete come sulla Terra e se il clima marziano sia mai stato in grado di sostenere un ciclo dell’acqua o se questa sia evaporata per gran parte nello spazio per opera del vento solare e la bassa gravità del pianeta, mentre la rimanente scompariva congelata nel suolo.
A queste domande sia Curiosity con la sua stazione meteorologica, che Maven dovranno trovare una risposta, una risposta che è complementare a quella della Vita su Marte:
Su Marte c’è stato un tempo in cui le condizioni climatiche erano favorevoli alla Vita?
È possibile ripristinarle anche solo in parte?

Il Grande Ghoul Galattico

Ormai è accertato: le spedizioni verso Marte sono pericolose e nascondono grandi insidie tecniche e – in almeno un caso – balordaggine. Scherzosamente questo è chiamato tributo al Grande Ghoul Galattico, fatto sta che che se un russo o un giapponese mi propone un passaggio verso Marte, cortesemente declino.

- 11/11/2011

È proprio brutto il Grande Ghoul Galattico!

Secondo le stime del NORAD, probabilmente il 26 novembre prossimo la sonda russa Phobos-Grunt 1 ricadrà sulla Terra.
Lanciata solo l’8 novembre scorso, la sonda russa che aveva il compito di raggiungere il satellite di Marte Fobos e riportare sulla Terra un campione di suolo (infatti in russo grunt significa suolo) non ce l’ha fatta a uscire dall’orbita terrestre per una mancata accensione del motore principale dovuta al non corretto assetto di volo.
Non è la prima volta che la Russia fallisce una spedizione verso Marte, anzi, è quasi un miracolo che qualche sonda russa sia riuscita a raggiungere il pianeta rosso.
La lista è molto lunga, basti pensare che su 15 missioni tra il 1960, ossia appena tre anni dopo il lancio del primo satellite artificiale Sputnik)  e il 1988, appena 3 anni prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica, solo in cinque raggiunsero Marte, solo quattro missioni restituirono qualche dato e solo una (Mars 5) funzionò per 22 giorni!
Come Federazione Russa ci fu un altro tentativo durante la finestra 2 del 1996 con la  sonda Mars 96, che però finì miseramente nel Pacifico al largo del Perù.
Phobos-Grunt tra l’altro è stato il terzo tentativo russo  di raggiungere Fobos 3: anche le due precedenti fallirono miseramente, anche se riuscirono ad andare poco più in là.

Le missioni americane hanno vissuto invece un discreto successo:  su 17 lanci solo cinque sono i fallimenti: il Mariner 3 (1964) che non si separò dal guscio protettivo di lancio, il Mariner 8 (1971) che finì nell’Atlantico, il Mars Observer (1992) perso nei pressi di Marte, Mars Climate Orbiter (1998) distrutto nell’ingresso dell’atmosfera marziana per un errore tecnico 4,  il  Mars Polar Lander (1999)   di cui si persero i contatti nei pressi del polo australe marziano.

Anche il Giappone ci provò con la sonda Nozomi (1988), ma questa finì per girellare fra Marte e la Terra in un’orbita eliocentrica senza carburante e con le batterie scariche.

All’Europa andò decisamente meglio: del Mars Express (1993) solo il lander Beagle 2 – britannico – è andato purtroppo perduto, l’orbiter invece funziona ancora.

Insomma, il tributo di sonde automatiche al Grande Ghoul Galattico è stato caro, oltre il 60% delle missioni verso Marte è andato perso. È anche vero che l’altro 40% ci ha fatto fare un balzo enorme nella comprensione del pianeta rosso e nella scienza planetaria.
La prossima missione che porterà Curiosity sul nostro vicino ci farà senz’altro sognare ancora, in barba al Grande Ghoul.

La polverosa ionosfera lunare

Avevamo già incontrato in passato il complesso ruolo della polvere lunare 1 nella fisica della superficie lunare, ma nessuno finora aveva avanzato l’ipotesi che quella polvere fosse anche responsabile della tenue ionosfera attorno alla Luna.

Credit: Science @ NASA

Fin dall’epoca delle esplorazioni umane verso la Luna si conosceva l’esistenza di un sottile strato ionizzato a qualche decina di chilometri sopra la superficie lunare.
La ionosfera 2 lunare fu osservata per la prima volta dai satelliti artificiali lunari  Luna 19 (1971) e Luna 22 (1974) che notarono un incremento della densità di particelle ionizzate fino a 1000 elettroni per  centimetro cubico, ma il meccanismo di produzione di questa ionosfera  era rimasto sconosciuto fino a oggi.

Il satellite artificiale sovietico Luna 22

Infatti la Luna non ha un’atmosfera sufficiente a spiegare la produzione di una qualsiasi ionosfera, le emissioni di gas dovuti al decadimento radioattivo delle rocce lunari sono troppo piccole per giustificare la presenza in quota di gas ionizzabile.

Durante la missione Apollo 15 (1971) gli astronauti avevano notato strani bagliori lungo l’orizzonte lunare, bagliori che avevano una spiegazione semplicissima: la polvere lunare.
E a questa si rifà l’ipotesi avanzata da Tim Stubbs del Goddard Space Flight Center pubblicata all’inizio di quest’anno per spiegare l’esistenza della ionosfera lunare.
In pratica Stubbs e colleghi affermano che la polvere lunare ionizzata dall’azione della radiazione ultravioletta solare è sufficiente a spiegare la ionosfera osservata all’inizio degli anni settanta.
Questa scoperta è importante per la fisica planetaria: finora si credeva che la ionosfera si sviluppasse solo in presenza di una atmosfera, adesso possiamo affermare che questa non è così indispensabile.
Adesso c’è da capire se anche la ionosfera lunare si comporta come la ionosfera terrestre, ossia modificando le condizioni di propagazione delle onde radio in funzione delle diverse ore del periodo di rotazione e dell’attività solare. Questo ce lo potrà dire la sonda ARTEMIS che studia la magnetosfera terrestre vicino alla Luna e la prossima missione LADEE prevista per il 2013  proprio per studiare l’esosfera del nostro satellite naturale.

liberamente tratto da:  Mystery of the Lunar Ionosphere

Un antico vulcano marziano: Tharsis Tholus

 

 

 

 

Credit:ESA

Bello, eh?
Pensate che quello che è per la Terra un vulcano gigantesco per Marte è solo un vulcano di medie dimensioni tra tanti altri.
Nella sola caldera, che misura solo 32 x 34 chilometri  (la parte interna circolare) potrebbe quasi entrarci tutto l’Etna.

Le caldere vulcaniche sono quanto rimane dei vulcani quando la camera magmatica che li alimentano si svuota e questi crollano sotto il loro stesso peso.
Col passare degli eoni (Tharsis Tholus ha circa 4 miliardi di anni, l’Etna soltanto suppergiù 500 000 1) la caldera centrale è collassata creando queste scarpate di oltre due chilometri e mezzo.

Perché un pianeta che è la metà della Terra ha vulcani che sono il doppio di quelli terrestri?
Per colpa della gravità: quella di Marte è quasi un terzo di quella terrestre. Questa caratteristica ha permesso a edifici vulcanici colossali di svilupparsi, Tharsis Tholus anche ora è alto quasi 8000 metri, il più grande vulcano conosciuto nel Sistema Solare, Olympus Mons, è alto ben 24 chilometri su una base di 600 km di diametro: se la sommità del cono fosse a Roma questo inizierebbe a Bologna!

Queste meravigliose immagini sono state prese dalla fotocamera ad alta risoluzione HRSC dalla sonda dell’ESA Mars Express. Qui sotto ci sono alcune immagini rielaborate in falsi colori per mostrare il vulcano estinto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Liberamente tratto da: ESA Portal – Battered Tharsis Tholus volcano on Mars.

Scusate il disagio

Umby

Una manovra incauta, un aggiornamento non riuscito, una grave imperizia.
Tutto si è risolto con la cancellazione dei files corrotti e il ripristino di questi dal backup locale. Menomale che l’avevo!

La cosa non è finita qui, nei prossimi giorni spero di comunicarvi l’avvio di un progetto molto interessante che dovrebbe stuzzicare la curiosità di molti.
Per adesso non vi anticipo niente perché sono dispettoso :-D, stay tuned!

La prima condanna per inquinamento luminoso in Italia

 

 

 

 

 Finalmente una bella notizia!
Per lo specifico vi rimando al link dell’Unione Astrofili Italiani, permettetemi però di spiegare perché reputo questa una buona notizia non solo per la lotta contro l’inquinamento luminoso, ma anche per  quello ambientale.

Per illuminare un’area del vostro giardino o terrazzo (ma questo vale anche per gli spazi pubblici) occorre una certa energia per produrre luce. Se a questa però si consente anche di disperdersi verso il nulla, occorrerà più luce – e quindi più energia – per illuminare ad un certo modo il luogo desiderato.
Se invece quella luce dispersa viene diretta dove è necessario occorrerà generare meno luce – e quindi sarà necessaria meno energia – per ottenere lo stesso grado di illuminazione.

Minore consumo di energia significa generarne di meno e di conseguenza inquinare di meno. Quindi un attento uso di lampade ad alta efficienza, superfici riflettenti e specchi può limitare fortemente l’inquinamento luminoso e contemporaneamente contribuire alla riduzione dei gas serra responsabili del Global Warming generati per produrre l’energia elettrica che alimenta le vostre lampadine.

Unione Astrofili Italiani – UAInews.

Mars500: bentornati a casa

 Credit:Esa/Mars500

 I membri dell’equipaggio della missione  Mars 500 Diego Urbina e Romain Charles hanno registrato 15 diari video da tutte le fasi della loro missione simulata su Marte.
Questa è una sintesi di questi. Altro materiale è disponibile sul sito web dell’ESA Mars 500.

Finalmente la simulazione di  un viaggio di andata e ritorno verso Marte iniziato il  4 giugno 2010 in un bunker alla periferia di Mosca che vedeva impegnati sei cosmonauti di diverse nazionalità, fra cui l’italo-colombiano Diego Urbina, si conclude proprio oggi.

Il programma era veramente impegnativo – comprendeva addirittura la simulazione realistica di una passeggiata marziana – e in completo isolamento: le provviste di viaggio e le medicine erano state fornite all’avvio della simulazione e anche le – rare – comunicazioni verso l’esterno avvenivano via web sotto forma di testo simulando addirittura i ritardi della velocità della luce nel viaggio.
Questa simulazione è servita per raccogliere più informazioni e dati medici possibili sulle condizioni fisiche e psichiche   che  equipaggio umano si troverà ad affrontare nella realtà in una missione verso Marte.

Finora questa  è stata la simulazione spaziale più lunga mai testata (è durata 17 mesi), ma l’analisi di tutti i dati durerà certamente molto di più, per le novità basta che consultiate il suddetto  sito dell’Agenzia Spaziale Europea.

AR1339: un grande gruppo di vivaci macchie solari

Credit: Il Poliedrico su immagine del NASA Solar Dynamics Observatory

È appena apparo sul bordo est del Sole il gruppo di macchie solari conosciuto come AR1339.
Esso è uno dei gruppi più grandi finora apparsi sul Sole negli ultimi anni e probabilmente sarà visibile anche con semplici fotocamere dotate di teleobiettivo e con la giusta estinzione di luce all’alba e al tramonto per i prossimi 10-11 giorni 1.

Un gruppo di macchie così  esteso ha anche buone probabilità di generare grandi esplosioni coronali, tant’è che il NOAA stima che ci sia almeno un buon 50% di probabilità che si verichino dei brillamenti di classe M.

Intanto quasi per sottolineare la sua natura vivace, AR1339 si è fatto notare fin dalla sua comparsa sul bordo orientale con magnifico flare  M4 e un lampo in luce ultravioletta subito registrato dal sistema SDO.
Questo CME ovviamente non è immediatamente diretto verso la Terra, ma per gli amici polari saranno visibili splendide aurore nelle prossime ore.

AR1339 sarà sempre più allineato con la Terra col passare dei giorni, sarà in linea verso l’8 del mese. Aspettiamoci delle sorprese.