Quasi tutte le galassie (quelle ellittiche ormai non più) mostrano segni evidenti di enormi sacche di polvere; La Via Lattea, la nostra galassia, non fa eccezione. Qui c’è un sacco di polvere, prodotta negli eoni da milioni di stelle ormai scomparse 1 tra enormi esplosioni di supernova e i deboli sospiri delle nebulose planetarie. Potete vederla nel riquadrino qui accanto, magari a schermo pieno, dove è mostrata solo una piccola porzione – tra le costellazioni del Sagittario, lo Scudo e Aquila – di quello che ci è possibile scorgere dalla Terra della Galassia, oppure seguendo questo link per l’immagine tradizionale.
Per noi è come cercare di intuire la forma e l’estensione di una foresta avendo le dimensioni di un tardigrado seduto su un sassolino. Per questo la vera natura della Via Lattea è stata compresa solo negli ultimi novant’anni e ancora molti particolari ci sfuggono.
Le aree rosse sono dovute all’idrogeno ionizzato [HII] dalla radiazione ultravioletta delle stelle. Le regioni verdastre sono invece nubi molecolari più fredde, ricche di monossido di carbonio [CO], carbonio [CI] e carbonio ionizzato una volta [CII], oltreché del classico idrogeno atomico in genere in proporzione di 10000 atomi per ogni atomo di carbonio.
Credit: Marco Lombardi et al. (A&A 535, A16, 2011) e rielaborazione Il Poliedrico.
Se è pur vero che quella regione di spazio mostrata dalla gigantografia è ben visibile nel periodo estivo, in questa stagione il cielo è dominato da una delle più celebri costellazioni conosciute: Orione. È inutile che vi sforziate di vedere ad occhio nudo l’Anello di Barnard (anche se qualcuno afferma di esserci riuscito ma ne dubito) e gli altri oggetti nebulari; essi sono visibili – a malapena – con telescopi e filtri ottici specifici e richiedono riprese fotografiche lunghissime sotto cieli scurissimi come ormai non se ne vedono quasi più in Italia.
Questa immensa bolla di idrogeno ionizzato è illuminata dalla luce ultravioletta delle tre stelle calde e luminosissime che compongono la cintura Alnitak, Alnilam e Mintaka che insieme ad altre stelle giganti blu danno origine al complesso Orion OB1.
Poco più in basso, al centro della spada, c’è l’ammasso globulare M 42, noto anche come la Nebulosa di Orione, che racchiude anch’esso un altro scrigno di inestimabili tesori. Distante appena 1260 anni luce, è il campo di formazione stellare più vicino a noi ed è l’unica nebulosa ben visibile ad occhio nudo.
Addirittura, pur non comprendendone ovviamente la natura, i Maya (sì, proprio quelli di cui molti parlano a vanvera) avevano intuito che quella non poteva essere una stella come le altre ma che la sua luce appariva decisamente ferma come quella dei pianeti pur rimanendo fissa nel cielo. Per loro era il fuoco (per altri studiosi il fumo) del braciere racchiuso tra le stelle Alnitak, Saiph e Rigel. Questo era il Triangolo della Creazione Celeste da cui era risorto il Dio del Mais (curiosamente erano a lui/lei – nella tradizione orale precolombiana la divinità era indicata di genere femminile perché aveva generato il mais da cui era nato a sua volta il genere umano – attribuite anche la scrittura e le arti) che poi si riposava nel luogo sacro identificato con la Cintura di Orione.
E in effetti M42 è una gigantesca incubatrice di stelle ora illuminata da un ammasso aperto estremamente giovane, non più di 3 o 500 mila anni, di stelle noto come il Trapezio (\(\theta\) Orionis) grande circa 10 anni luce.
2,7 milioni di anni fa (l’Uomo arcaico era appena apparso sulla Terra) in quella stessa regione di spazio un altro sistema stellare multiplo si frantumò forse per instabilità gravitazionale o forse per l’esplosione di una supernova vicina. il risultato è che tre stelle, tutte giganti azzurre, furono scagliate via da quel sistema e ora vagano nello spazio molto distanti dal loro luogo d’origine. In fondo questa non è una novità, se è pur vero che quasi tutte le stelle nascono in gruppi più o meno numerosi, ben presto ognuna di loro prende la sua strada indipendentemente dal percorso che le altre scelgono. Pensate che là fuori da qualche parte c’è o c’è stata una stella sorella del Sole, oggi impossibile rintracciarla tra miriadi di altre stelle con assoluta certezza.
Spesso si sente dire che la scienza e l’astronomia moderna hanno ucciso la poesia racchiusa nelle cose, che siano esse un falò sulla spiaggia o il cielo trapuntato di stelle non fa differenza.
Permettetemi di dissentire da questo pensiero malsano. Sapere cosa c’è dietro una fiamma, dietro l’ammiccamento perenne di una stella e di cosa la alimenta, di come nasce e poi muore, di polvere di stelle e di cosa siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda, mi fa meravigliare ancora di più del Creato. Sapere che Io, Noi, siamo qui ora a osservare e comprendere tutto questo mi scalda e mi eccita più di ogni altra cosa. Immaginate invece la tristezza e lo spreco se non ci fossero osservatori capaci di cogliere cotanta bellezza.
In fondo i Maya su una cosa avevano ragione da vendere: lassù c’è la Creazione, nostra e di ogni altra cosa. Loro la vedevano nella luce fissa di M 42, per me quello è solo un eccitante e meraviglioso esempio.
Ecco, non sforzarsi di comprendere tutto questo davvero uccide la poesia che impregna il Cosmo.
Note:
- La Via Lattea ha circa 13,2 miliardi di anni e le stelle più massicce che esplodono come supernova posseggono un ciclo vitale almeno 200 volte inferiore. ↩
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