Trovo che la fotografia crepuscolare e notturna sia estremamente gratificante in quanto riesce a rivelare un altro mondo ricchissimo di luci e colori impossibile da osservare ad occhio nudo. Tra l’altro, giocando con i tempi di esposizione si possono vedere cose che altrimenti sono impossibili, come un improbabile collina assolata con le stelle del Sagittario sullo sfondo, o le macchie solari su un disco del Sole filtrato a modo. Ormai con le attuali fotocamere digitali chiunque può cimentarsi in queste tecniche di ripresa. Una volta era molto più difficile ottenere gli stessi risultati con la normale pellicola fotografica: i tempi enormi per lo sviluppo e stampa e la necessità di rivolgersi spesso ai laboratori esterni – che non di rado non stampavano le riprese più scure, rendevano questo tipo di fotografia alla portata di pochi.
Comunque ancora oggi molte persone quando vedono una fotografia notturna che rappresenta un cielo stellato o i sentieri di stelle (quello che gli anglofoni chiamano startrails), pensano che i colori siano falsi. No, qualche volta possono essere esaltati per migliorare la resa visiva complessiva -con i moderni programmi di fotoritocco non è difficile, ma se per esempio vedreste una fotografia di Antares (α Scorpii) con questa che appare arancione, è perché lo è, così come se fotografaste la costellazione di Orione vedreste che la stellina (in realtà una nebulosa) al centro della spada del Cacciatore celeste notereste che M43 è di colore rosso tendente al bianco, mentre alla sua destra Rigel appare bianco-azzurra.
Tutto questo succede perché la fisiologia dell’occhio umano non permette di discernere i colori in condizioni di scarsa illuminazione e comunque la risoluzione cromatica dell’occhio è piuttosto ristretta, mentre i colori celesti sono prodotti dalle più disparate condizioni chimico-fisiche che coprono una molto più estesa gamma di lunghezze d’onda. Per questo le stelle ci appaiono perlopiù simili nel colore ad occhio nudo di quanto non lo siano in realtà fra loro e che solo le fotocamere possono mostrarci.
Una foto stellare comunque richiede un minimo di preparazione a tavolino a seconda dei risultati che si vogliono ottenere. Se si vogliono fare delle belle foto dei sentieri stellati, basta scegliere un buon paesaggio di contorno e scattare in posa B, se questa è supportata dalla fotocamera, oppure scattare col più lungo tempo possibile e poi sommare i fotogrammi ottenuti usando il paesaggio come unico riferimento di centratura; unica accortezza sarà quella di non saturare l’immagine con la luce ambientale (Luna, inquinamento luminoso, etc.) che vanificherebbe ogni sforzo. Per questo sono importanti gli ISO e l’apertura del diaframma: un valore ISO più basso del massimo è sempre indice di una migliore rapporto qualità/rumore nel risultato finale, anche se a volte non è possibile farne a meno.
Quindi se per ottenere l’effetto scia dalle stelle non è poi così difficile, il peggio è ottenere una immagine puntiforme delle stelle, o quantomeno sforzarsi il più possibile che lo siano. Il problema sussiste nel fatto che la volta celeste ruota (in realtà è la Terra che gira) e che ovviamente questo fenomeno sia più accentuato attorno all’equatore celeste (bassa declinazione) che verso i poli (alta declinazione) e che sia più percepibile coll’aumentare della lunghezza focale.
Io in genere uso la formula che riporto nello specchietto qui accanto, che da mie prove empiriche ha sempre funzionato ogni volta che ho voluto ottenere delle riprese con stelle puntiformi; sono tempi massimi di esposizione però, per cui per prudenza mi sono sempre tenuto sotto a questi valori.
Una volta stabiliti i tempi di esposizione in base all’altezza della zona di cielo che interessa riprendere, per ottenere una foto come quella qui accanto basta riprendere una serie di scatti consecutivi e poi sommarli assieme.
Innanzitutto in questo modo il rapporto segnale/rumore (S/N) sarà maggiore di quello di un’unica ripresa: supponiamo di usare un grandangolo con 18mm di apertura focale; per la zona equatoriale del Sagittario i tempi possono allungarsi fino a 28 secondi, usiamo quindi 20 secondi per stare sicuri, tanto non è il tempo di esposizione del singolo fotogramma che serve, ma il totale. Prendiamo quindi 20 fotogrammi di 20 secondi ciascuno e sommiamoli con le opportune correzioni di centratura con un software adatto (IRIS è ottimo e gratuito): a questo punto il segnale ripreso sarà pari alla somma dei 20 secondi per scatto moltiplicato 20 scatti: 400 secondi senza avere problemi di scia apprezzabili.Non solo, applicando alcune, opportune in questo caso, tecniche di rimozione del rumore 1 si possono ottenere risultati apprezzabilissimi disponibili mediamente con strumenti più costosi.
Se quindi si può affermare che già dopo 15 secondi il movimento celeste appare avvertibile, per quanto riguarda la Luna il discorso del movimento si può percepire molto prima: bastano circa 6 secondi per aver la ripresa mossa anche se comunque per una luna piena occorrono solo frazioni di secondo.
Arrivati a questo punto i consigli per ottenere buoni risultati sono pochi:
- usare le impostazioni più basse possibili per la sensibilità del sensore (valore ISO), piuttosto allungare i tempi quando è possibile
- scegliere con cura i soggetti e lo sfondo di contorno
- non aver paura di sperimentare e provare (oggi una immagine elettronica si vede subito e si cancella facilmente)
- annotare sempre su un taccuino le caratteristiche degli scatti da fare (ISO, lunghezza focale, diaframma, tempo, etc.)
Ancora un’ultima cosa: magari non sempre è disponibile il pulsante di scatto remoto, specie nelle “compattine”. Per ovviare al problema basta impostare il tempo voluto e usare l’autoscatto; usare il normale pulsante di scatto provocherebbe l’inevitabile vibrazione del corpo macchina che rovinerebbe la lunga esposizione. Per la posa B (Bulb in inglese) è comunque sempre necessario un comando remoto, sia esso un pc o il classico comando flessibile.
Buone foto a tutti.
Note:
- uso dei dark frame, bias frame e flat field per la compensazione del rumore del CCD e dell’aberrazione delle ottiche ↩
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