Le aurore polari: belle e pericolose

Credit: Marketa Stanczykova, Iceland-Reykjavik Feb. 21, 2011

Il 18 febbraio un nuovo gruppo di macchie solari, il numero 1161 – subito sotto al gruppo n. 1162, ha generato un altro brillamento di classe M 6,6 alle 10:11 Tempo Universale.  Quindi dopo al vivace gruppo 1158 responsabile dei grandi brillamenti dei giorni precedenti, anche questi si sono mostrati particolarmente attivi durante il periodo della loro visibilità. Ormai i gruppi 1161 e 1162 stanno per scomparire verso il bordo orientale portandosi sull’altro emisfero.

Le tempeste solari ci regalano  le magnifiche aurore polari di questi giorni, ma possono essere concretamente pericolose per la nostra civiltà che, rispetto a solo 20-30 anni fa, fa un affidamento massiccio sui satelliti artificiali per telecomunicazioni e ai sistemi di geolocalizzazione GPS nel traffico aereo e navale.

Una tempesta che è entrata nella storia fu  quella del 29 agosto 1859, che mandò in tilt nei giorni successivi  per 14 ore  la neonata tecnologia del telegrafo che all’epoca si avvaleva di impulsi elettrici su cavi aerei di rame. I cavi si comportarono come una enorme antenna ricevente, accumulando un grandissimo potenziale elettrico che li distrusse, e nei giorni successivi furono osservate aurore polari fino a Cuba.
Nel 1972 un flare solare bloccò le comunicazioni telefoniche a lunga distanza nell’Illinois e nel 1989 un’altra tempesta solare provocò un blackout in tutta la regione del Quebec in Canada. Un altro evento importante accadde il 14 luglio 2000 1: un brillamento solare di classe X5  si sprigionò dal gruppo di macchie chiamato 9077 e il CME susseguente provocò blackout nelle radiocomunicazioni in diverse parti del pianeta e intense aurore boreali visibili fin nel sud degli Stati Uniti 2 3. L’eccezionalità della tempesta fu registrata anche dalle sonde Voyager 1 e 2.

L’impulso EMP

EMP sta per electromagnetic pulse, un impulso elettromagnetico generato da un’esplosione nucleare appena fuori dell’atmosfera dell’ordine del megatone. Gli effetti sono nulli per la popolazione e gli edifici, ma distrugge tutte le infrastutture elettriche: una bomba da un paio di megatoni appena fuori dall’atmosfera è capace di inginocchiare gli interi Stati Uniti.

Immaginate adesso cosa può fare un evento simile a quello del 1859 alla nostra civiltà: lo spessore dei conduttori nei circuiti integrati delle nostre apparecchiature elettroniche si misura in micrometri, l’effetto Compton su di queste sarebbe fatale, ma anche le linee aeree dell’elettricità e i trasformatori di potenza delle centrali elettriche sarebbero seriamente in pericolo.
Ora che tutta la nostra civiltà si basa sui calcolatori e telecomunicazioni potrebbe subire danni incalcolabili, l’economia andrebbe a picco, i mercati borsistici crollerebbero, niente sarebbe più come prima: niente Internet, i computer e i cellulari  diverrebbero inutili scatole piene di cosi fusi, etc, colpiti dall’EMP naturale.
È stato stimato che ai soli Stati Uniti potrebbe costare fino a due miliardi di dollari in riparazioni nel primo anno e  che a questi potrebbero occorrere fino a 10 anni per riprendersi completamente 4

Nel 1976 un pilota di caccia russo disertò in Giappone e consegnò il suo MIG 25 Foxbat all’Occidente.  Le Forze Armate Occidentali ritenevano il Mig 25 un aereo superiore e furono sorpresi che questo  era costruito in nichel e aveva le apparecchiature di bordo a … valvole! Il caccia sovietico si dimostrò meno vulnerabile agli impulsi elettromagnetici di quanto lo fossero gli omologhi occidentali 5.

Questo aneddoto spiana la strada alle tecniche per proteggersi da una catastrofe come il flare del 1859: la gabbia di Faraday.
Le cariche elettriche si distribuiscono spazialmente sulle superfici, per questo si usano cavi di sezione più grande – e quindi di superficie maggiore – per le correnti più elevate.Una gabbia di Faraday in sostanza è una struttura di materiale conduttore – che scarica a terra –  che isola elettricamente l’ambiente che racchiude da quello esterno.
Per questo i forni a microonde hanno una griglia metallica allo sportello: per isolare l’ambiente interno saturo di microonde dall’osservatore;  così come un cavo di una antenna televisiva ha nella sezione più esterna una fitta maglia di materiale conduttore – detta calza, che serve per proteggere  il segnale di pochi millivolt che viaggia nel conduttore interno dalle interferenze elettriche esterne.
A questo punto sembrerebbe che l’unica protezione sia nell’isolare con strutture metalliche i milioni di chilometri di cavi elettrici delle linee elettriche e tutti i nodi di produzione e ridistribuzione dell’energia, gli edifici etc., potrebbe essere la soluzione ma sarebbe antieconomica. Nell’attesa che soluzioni ingegneristiche tengano conto degli effetti di un EMP  fin dalla fase di progettazione di nuove strutture che rimpiazzino quelle esistenti, per ora è possibile ridurre i rischi di sovraccarico semplicemente spegnendo le centrali di produzione elettrica e mettendo a terra i conduttori e i nodi di distribuzione, evitando così che un EMP possa danneggiarli, per il resto la soluzione potrebbe essere quella che prendiamo quando si scatena un temporale: isolare le apparecchiature elettroniche e assicurarsi della loro messa a terra. Alcuni  guasti  saranno inevitabili, ma almeno saranno evitati i più gravi.

Per questo è importante un  monitoraggio continuo del Sole e della sua attività: per darci quel minimo di preavviso per evitare che un evento come quello del 1859 metta in pericolo la nostra civiltà.

La roccia misteriosa

Credit: Il Poliedrico

Questa foto è piuttosto banale e bruttina, ma racchiude un interessante particolare.
Non svelo altro per non essere deliberatamente d’aiuto, perdonatemi.
A voi il compito di scoprirlo attraverso il sondaggio di questo mese.

  1. Un rigagnolo di una sorgente ormai essiccata.
  2. Il limite K-T (Cretaceo-Terziario).
  3. Gli strani fori nelle rocce.
  4. I particolari colori di diversi tipi di calcare.

Come sempre la risposta arriverà tra due settimane, mi raccomando votate e commentate.

Luci di San Valentino e megaflare

Credit: Øystein Lunde Ingvaldsen, Bø in Vesterålen,14 Feb. 2011- nord Norvegia

L’attività del groppo di macchie solari numero 1158 continua.
Dopo aver generato il primo flare di classe M (flusso dei raggi x superiore a 1.00e-5 w/m^2) il 13 febbraio scorso 1, poco dopo la mezzanotte – Tempo Universale – del 15 febbraio ne crea un altro ancora più intenso, questa volta di classe X (flusso dei raggi x  superiore o uguale a  1.00e-4 w/m^2).
Il risultato è stato una espulsione di massa coronale così registrata dalla sonda STEREO-B 2

Nelle ore in cui scrivo c’è una discreta instabilità geomagnetica che sta provocando intense aurore intorno ai poli. Questa dovrebbe essere ancora l’ondata del CME del 13 febbraio, che fin da ierisera ha allietato con meravigliosi spettacoli di luci danzanti nei cieli circumpolari. Quella del CME di oggi dovrebbe arrivare tra domani sera e giovedì.

Insomma il Sole non farà dormire neppure di notte

L’aurora di San Valentino

Flare di classe M registrato da SDO. Credit: NASA/SDO

Questa è la più grande eruzione solare di questo ciclo. È arrivata alla scala M6.6 dei raggi X alle 17:38 UT del 13 febbraio 2011. Credit: NASA/SDO

Anche il nostro Sole ha voluto festeggiare San Valentino con una magnifica eruzione che ha superato la magnitudine 6 nei raggi X 1 2.
Il brillamento del 13 febbraio 2011 è partito dal gruppo di macchie solari numero 1.158 scatenando il più forte brillamento solare di questo ciclo solare, un’esplosione di radiazioni che ha percorso tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e gamma.
La sonda NASA Solar Dynamics Observatory ha registrato un intenso lampo di radiazione ultravioletta estrema. Comunque, secondo i dati delle sonde STEREO e SOHO, pare che il grandioso flare non sia accompagnato da una grande espulsione di massa coronale (CME).

Quindi fra stasera e domani ci saranno comunque delle stupende aurore ad accompagnare gli innamorati, ma solo per quelli che abitano alle alte latitudini.

Pareli nel Texas

Credit: David Blackburn - Amarillo, Texas

Se cercate su Wikipedia informazioni sul clima della città di Amarillo, troverete che la temperatura media oscilla tra gli 8,9 gradi centigradi di gennaio ai 33,3 gradi di luglio. Qualche volta capita che ci nevichi, ma raramente capita che sia freddo giù nel Texas.
Eppure il 9 febbraio scorso è capitato di vedere dei pareli 1 anche ad Amarillo, anche se da quelle parti deve essere raro come  vincere il primo premio alla lotteria!

Appuntamento di San Faustino per la Stardust NExT

Dovremmo pensare che anche alla NASA, in tempi di ristrettezze economiche, cerchino di risparmiare sulle missioni riutilizzando vecchie sonde come è accaduto qualche mese fa per la Deep Impact/EPOXI. Io invece credo che siccome le sonde alla NASA le sanno costruire fin troppo bene, è giusto metterle a frutto il più possibile, dopotutto sono un usato garantito!


Rappresentazione artistica di Stardust-NExT . Credit: NASA/JPL-Caltech/UMD

Un sottile filo immaginario lega la cometa della missione EPOXI e la cometa della missione NExT: la cometa 103P/Hartley2 è stata visitata dalla sonda EPOXI 1 che aveva in precedenza sparato un proiettile sulla 9P/Tempel1. Entrambe le comete sono poi state oggetto di studio riusando sonde di missioni precedenti.

Dopo l’incontro con la cometa Wild2 avvenuto nel gennaio 2004 da parte della sonda Stardust che raccolse campioni di polvere della coda della cometa che poi rimandò a terra, tra il 2006 e il 2007 gli scienziati della NASA proposero di riassegnare la missione con il nuovo nome di  NExT (New Exploration of Tempel 1) per farla incontrare con la Tempel1 che nel 2005 era stata visitata dalla sonda Deep Impact.

Deep Impact su 9P/Tempel1. Credit: NASA/JPL

La missione Deep Impact aveva avuto il compito di sparare un ordigno di 370 chilogrammi sulla Tempel1, ma le immagini raccolte subito dopo furono offuscate dalla nuvola di detriti alzata dall’impatto.

Compito della NExT sarà quello di osservare gli effetti che il proiettile ha avuto sulla cometa. L’incontro avverrà il 15 febbraio alle 04:00 UTC (le 5 del mattino in Italia).

il Teatro del Agua

Non sono un economista e di questo ne vado fiero, specialmente dopo che ho scoperto 1 che questi qualche volta si affidano ai maghi e agli oroscopi (!) per le loro previsioni che influenzano poi l’agire politico di intere nazioni e quindi di tutti noi; non farò un trattato new age di economia, ma cercherò di illustrare che una alternativa di sviluppo sostenibile per l’ambiente è realmente possibile e magari anche piacevole.

Rappresentazione artistica del Teatro del Agua. Credit: Charles Paton per studio Grimshaw (Progetto Eden)

… Non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
2

Chi pensa che un’alternativa all’attuale modello economico di crescita infinita/PIL non esista o crede che l’altro modello della decrescita sostenibile porti alla disoccupazione di larga parte della popolazione e alla rinuncia del nostro tenore di vita, secondo me sbaglia di grosso. Come indicò anche il Sommo Poeta 800 anni fa, dovremmmo tornare a pensare in termini di qualità della vita, quindi anche della salubrità ambientale, piuttosto che accanirsi sulla produzione di merci che poi non possono essere assorbite dal mercato.
Il problema è che le risorse del pianeta sono finite, nel senso che sono limitate,  e che per quanti sforzi si possano fare nel risparmio energetico e nella redistribuzione delle risorse, il pianeta con l’attuale modello socioeconomico dominante non può sostenere la spinta di 10 miliardi di persone che, giustamente, chiedono le stesse opportunità.
La principale risorsa finita che è di importanza vitale per l’umanità è l’acqua.
Intorno all’acqua sono sorte tutte le grandi civiltà, e per la sua mancanza sono crollati imperi 3 .

Il Teatro del Agua 4  ideato qualche anno fa da Charles Paton col team del Progetto Eden e lo studio di architettura Grimshaw potrebbe risolvere molti grossi problemi di approvvigionamento idrico per molte comunità costiere e contemporaneamente essere usato come spazio ricreativo.
Il meccanismo di funzionamento è estremamente semplice: l’acqua di mare viene nebulizzata nell’aria più calda. Questo vapore entra in contatto con i condensatori raffreddati dalla stessa acqua di mare e si condensa in acqua dolce separandosi della componente salina; in pratica è lo stesso ciclo naturale delle nubi e della pioggia. L’energia per tutto l’impianto di pompaggio è prodotto con fonti energetiche rinnovabili.

Questa tecnologia può essere applicata per creare serre in climi aridi 5, purificare l’acqua in ambienti malsani etc. con un minimo dispendio energetico, cosa che gli attuali impianti dissalatori non riescono a fare.

È solo un esempio, è solo un  inizio, ma si  può fare.

Napoli, Italy

Napoli dallo spazio. Credit: Paolo Nespoli (ESA-NASA)

“Suol dirsi che Napoli abbia un gran nemico, il Vesuvio.
Chi non ne ha?
Altrove è un fiume, forse, altrove un lago, altrove l’aria pestilente.”
1

Come non dar ragione al nostro astronauta Paolo Nespoli, attualmente a bordo della stazione spaziale internazionale ISS, che vede inquietante la presenza di un vulcano attivo in mezzo alla città di Napoli?
Sì, perché quei paesi che sono ancora chiamati Portici, Torre del Greco, Boscotrecase, Ottaviano, Somma Vesuviana etc. in realtà sono tutti attaccati tra loro e con la città di Napoli sotto l’imponente spinta della crescita demografica del recente passato e dalla disordinata urbanizzazione del territorio (anche dei frequenti abusi edilizi).
Il Vesuvio, anche se ora è dormiente, è un terribile vulcano esplosivo ancora attivo, l’ultima attività importante risale al 1944 e i vulcanologi temono un prossimo devastante risveglio del vulcano.
I piani di evaquazione messi a punto dalla Protezione Civile sono largamente insufficienti, ma non per sua colpa:  da 600.000 a 1 milione di persone che dovrebbero fuggire dalle loro case con un preavviso di poche ore, attraverso strade inadatte a sostenere l’evacuazione, con la popolazione che non viene stimolata con esercitazioni continue.

Potremmo dire che la colpa è dei politici e che in democrazia  questi  sono scelti dal popolo. Vedendo la foto mi domando: gli abitanti di questa megalopoli hanno potuto veramente scegliere democraticamente i responsabili della loro devastazione?

La rivoluzione di Kepler

D’estate alzate gli occhi al cielo; vedrete una grande croce sopra di voi dominata da una stella luminosa, Deneb. Quella è il Cigno e rappresenta un cigno mentra spicca il volo per sfuggire al Drago, lì accanto a destra.
Ecco, in quella minuscola porzione di spazio, il telescopio spaziale Kepler ci sta regalando migliaia di eccitanti scoperte. l’altro giorno fece scalpore la scoperta di Kepler10b
un pianeta roccioso in orbita a una stella di tipo G, simile al nostro Sole, peccato che con 1600 gradi alla superficie questo è più simile ad un girone dell’Inferno dantesco che al Paradiso.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo esplorata con Kepler è tutto sommato piccola.

La porzione di cielo osservata da Kepler è circa 1/400 dell’intera volta celeste, eppure in nemmeno 2 anni dalla sua entrata in servizio, il telescopio spaziale Kepler ha rivoluzionato le nostre conoscenze del cosmo sui pianeti e la loro abbondanza.

Ora non voglio ripetere quanto già detto anche in altri siti sulla scoperta di un sistema planetario multiplo attorno ad una stella -anche questa di tipo G, chiamata Kepler-11, quanto piuttosto sulle peculiari caratteristiche dei sistemi planetari finora scoperti.
Finora sono stati scoperti i sistemi planetari con pianeti in orbita stretta alla loro stella, quindi o molto dentro rispetto all’ecosfera Goldilocks (come nel caso anche di Kepler-10 o Kepler-11) o a stelle minuscole di classe K o M, le nane rosse, dove l’influenza gravitazionale dei pianeti è abbastanza grande da influenzare visibilmente il moto della stella e dove la zona Goldilocks è a ridosso di questa proprio in virtù della scarsa  energia da essa irradiata.
Tutti questi pianeti hanno una cosa in comune che non è la loro composizione o massa o dimensione: la loro distanza dalla stella del sistema.

Una fotometria di Kepler che mostra il transito di HAT-P-7b.    Credit: NASA

Il metodo dei transiti richiede un certo numero di passaggi (almeno tre)  per poter determinare con sufficiente sicurezza l’avvenuto transito di un pianeta attorno ad una stella. Questo serve ad escludere che la variazione di luce non sia casuale, dovuta magari a un eccezionale brillamento o a una instabilità intrinseca nella stella.
Una analisi sofisticata della curva di luce poi aiuta a determinare il transito di uno o più pianeti,  ma i dati finora raccolti e analizzati coprono solo i transiti di breve periodo, quindi orbite molto più piccole rispetto a quelle che un pianeta di massa simile alla Terra dovrebbe avere se fosse dentro alla fascia Goldilocks di una stella di tipo G (un pianeta come la Terra a questa distanza dal Sole richiede circa 13 ore per attraversare il disco stellare e si ripete solo ogni anno).
Anche il tipo di segnale che un transito lascia sulla luce della stella è importante: un corpo grande molto vicino alla stella intercetta più luce dello stesso corpo posto ad una distanza molto maggiore: per rendervi conto di questo immaginate di osservare un pipistrello che vola attorno ad un lampione acceso: più questo è vicino al lampione più grande sarà la sua ombra; anche se Kepler è in grado di rivelare una variazione di 1 parte su 10.000 nella luminosità della stella, questa è una misura estremamente piccola da misurare.

Il metodo dei transiti ci dice molto sui  sistemi planetari che riesce a scoprire, ma questo funziona solo finché gli altri sistemi planetari giacciono sulla stessa linea di vista con la stella, basta che il loro piano sia più inclinato che i transiti ovviamente non siano più visibili; ma esiste un altro metodo, quello che finora è stato utilizzato dagli osservatori come ad esempio al  Keck nelle Hawaii o a quello dell’ESO in Cile: il metodo spettrometrico.
Questo sistema si basa sull’oscillazione periodica della stella rispetto al baricentro gravitazionale del sistema stellare: Giove ad esempio imprime al Sole una velocità radiale di 13 m/s intorno al baricentro gravitazionale per un periodo di 12 anni, questo vuol dire che per scoprire un altro Giove alla sua stessa distanza intorno ad un’altra stella come il Sole dovremmo prendere le misure doppler della velocità radiale per un periodo di tempo molto lungo.
Per questo finora sono stati trovati perlopiù sistemi atipici, gioviani caldi, pianeti in orbita stretta o con forti anormalità orbitali etc.
Comunque il 1 febbraio come era stato promesso a suo tempo 1 la missione Kepler ha diffuso i dati ricavati da 156.453 stelle osservate tra il  2 maggio e il  16 settembre 2009 2.  Su questo campione sono stati rivelati 1.235 possibili pianeti, appartenenti a 997 stelle.
Lo 0,64% per ora di stelle pare avere un sistema planetario associato. Un dato che può sembrare non molto incoraggiante, ma i dati finora raccolti comprendono un brevissimo lasso di tempo – appena 3 mesi e mezzo –  e in questo lasso di tempo è possibile determinare solo i sistemi planetari con orbite di cortissimo periodo. Tenendo conto che comunque Kepler vede i sistemi planetari giacenti sullo stesso piano visuale rispetto alla stella, questo è un dato invece del tutto incoraggiante.
Le caratteristiche dei pianeti finora scoperti sono:
Dimensioni Tipo Quantità %
15 -22  rT doppio di Giove 19 1,6%
6 – 15 rT come Giove 165 13,7%
2 –   6  rT come Nettuno 662 55%
1,25 -2 rT super Terra 288 23.9%
< 1,25  rT come Terra 68 5,6%
Addirittura ben 54 di questi pianeti sono all’interno della zona Goldilocks della propria stella, la zona considerata sufficientemente lontana dalla stella da permettere all’acqua di esistere allo stato liquido,  anche se questo dipende molto anche dalla composizione chimica del pianeta e della sua atmosfera.
A questo punto si può solo aspettare che altri dati che coprono una più ampia finestra temporale  siano resi disponibili.
È solo questione di tempo, ma pianeti come la nostra Terra stanno per essere finalmente svelati.