Tra le costellazioni dello Scorpione e della Bilancia c’è Ofiuco, detto anche Il Serpentario o Il Portatore del Serpente (Il Serpente è l’unica costellazione del cielo divisa in due parti distinte). Sta viaggiando in quella direzione la sonda Voyager 1, che ha impiegato quasi cinquanta anni per arrivare appena all’eliosfera del Sole.
L’eclittica, ossia il moto apparente del Sole nel cielo nell’arco di un anno, attraversa anche questa costellazione, rendendola di fatto il tredicesimo segno zodiacale. Pur essendo nota fin dall’antichità, dopotutto Ofiuco è una delle 24 costellazioni descritte da Tolomeo, questa è stata ingiustamente trascurata dall’astrologia ufficiale — non soltanto per questo però ritengo che l’astrologia sia una solenne bischerata — forse in nome di connessioni numerologiche che hanno origine nella ancor più remota tradizione babilonese (l’abitudine di suddividere il giorno in 12 ore viene proprio da loro). Ma non è per questo che oggi parlo di Ofiuco ma bensì per una stellina che in questo momento si trova proiettata proprio in questa regione dello spazio: la Stella di Barnard.

Questo è il quadro della distanza dal Sole delle stelle più vicine nell’arco di 6 anni luce.
Credit: IEEC/Science-Wave – Il Poliedrico
Di per sé la Stella di Barnard non è che una stellina insignificante, con una massa che non è neppure un sedicesimo del Sole, ossia una nana rossa di classe M4. Eppure questa stellina è la stella singola più vicina al Sole: 5,94 anni luce 1 e fu notata dall’astronomo americano Edward Emerson Barnard del Lick Observatory (Università della California) nel 1916 per il suo moto proprio apparente rispetto alle altre stelle più lontane: quasi 10″ d’arco all’anno.
La sua estrema vicinanza al Sole ne ha fatto una delle stelle più seguite e studiate del cielo in assoluto. Nel 1938 un altro astronomo, l’olandese Peter van de Kamp si era convinto che la nostra stellina avesse un compagno 1,6 volte più grande di Giove in un’orbita appena un po’ più piccola del nostro gigante gassoso [1].
Curioso era il metodo dello scienziato olandese: egli mostrava le lastre della Stella di Barnard a non meno di dieci persone per ognuna in modo da minimizzare gli errori di lettura: oggi ci sono metodi più efficaci e precisi ma comunque anche quella dopotutto era una buona idea.
La scoperta
Ma col passare del tempo e con misurazioni sempre più accurate si scoprì che di quel pianeta non v’era traccia e Van de Kamp rimase il solo a crederci fino alla sua morte nel 1995, appena 5 mesi prima che il primo pianeta extrasolare, 51 Pegasi b, venisse scoperto.
Ma non tutto era perduto: per la loro piccola massa, le nane rosse sono le migliori candidate per la ricerca dei pianeti extrasolari. Comunque fino ad ora non era stato rivelato alcun corpo intorno alla Stella di Barnard: varie campagne osservative nel primo decennio di questo secolo avevano continuamente aggiornato le loro stime escludendo così pianeti gioviani di lungo periodo e imponendo limiti superiori alla ricerca [2].
E qui entra in scena la campagna osservativa nota come Progetto Red Dots 2 che racchiude alcuni dei maggiori osservatori del pianeta dedicati alla scoperta degli esopianeti.
E qui, grazie al noto spettrografo HARPS che spesso ho descritto in altri precedenti articoli e al CARMENES (Calar Alto high-Resolution search for M dwarfs with Exoearths with Near-infrared and optical Échelle Spectrographs) 3 la ricerca di Barnard’s Star b ha avuto finalmente successo.
Questo pianeta in effetti sembra essere appena a 60 milioni di chilometri dalla stella, ossia poco più in là dell’orbita di Mercurio dal Sole, una massa minima stimata intorno alle 3,23 masse terrestri e che compie una rivoluzione in circa 233 giorni.
Data la distanza potrebbe sembrare naturale supporre che sia un mondo caldo: in realtà con quella stella così minuscola lì è freddissimo: appena 105 kelvin (circa 170 °C sotto zero). La temperatura di equilibrio della zona in cui il pianeta si trova a orbitare è paragonabile a quella che affronterebbe un uguale corpo a un miliardo di chilometri dal Sole, addirittura più in là dell’orbita di Giove.
Anche il limite di massa inferiore può aiutarci a capire questo novo mondo, come probabilmente avrebbe detto il grande Galileo: le sue dimensioni risulterebbero comprese tra 9000 e 13000 chilometri, a seconda della sua densità (qui io suppongo una forbice di densità tra i 2 e i 5,5 kg/m3). Questo è importante soprattutto per calcolare la sua velocità di fuga, che a seconda dei precedenti parametri potrebbe essere compresa tra 14 e 16 km/s.
E questo valore unito alla velocità quadratica media di un gas di idrogeno a 100 K (circa 1000 m/s) mi suggerisce che la sua atmosfera possa essere più simile a quella di un gigante gassoso che a quella di un pianeta di tipo roccioso.
Conclusioni
Quindi, con quella massa e quella temperatura di equilibrio (che ricordo non è la temperatura del pianeta come erroneamente alcuni tendono a credere) non mi stupirei quindi se quando riusciremo a vedere fisicamente il pianeta 4 e a studiarlo più nel dettaglio si scoprisse che la sua atmosfera non fosse poi molto dissimile a quella dei Giganti di Ghiaccio del nostro sistema solare.
Per i particolari vi rimando all’articolo apparso su Nature [3] (trovate il PDF qui su ArXiv) e l’intervista a Ignasi Ribas sulla scoperta dell’esopianeta. [4].
Note:
- La stella più vicina al Sole è α Centauri, detta anche Rigel Kentaurus e che dista 4,39 anni luce dal Sole, ma questa è un sistema ternario (tre stelle). ↩
- Progetto Puntini Rossi. Il nome mi ricorda il celebre Pale Blue Dot di Carls Sagan. ↩
- Il CARMENES è uno spettrografo di nuova generazione ma che lavora anche nel vicino infrarosso (HARPS solo nello spettro visibile) posto all’Osservatorio di Calar Alto, in Spagna. ↩
- Dopotutto visti dalla Terra quei 60 milioni di chilometri sono circa 220 milliarcosecondi. ↩
Riferimenti:
- P. van de Kamp, "Astrometric study of Barnard's star from plates taken with the 24-inch Sproul refractor.", The Astronomical Journal, vol. 68, pp. 515, 1963. http://dx.doi.org/10.1086/109001
- J. Choi, C. McCarthy, G.W. Marcy, A.W. Howard, D.A. Fischer, J.A. Johnson, H. Isaacson, and J.T. Wright, "PRECISE DOPPLER MONITORING OF BARNARD'S STAR", The Astrophysical Journal, vol. 764, pp. 131, 2013. http://dx.doi.org/10.1088/0004-637X/764/2/131
- I. Ribas, M. Tuomi, A. Reiners, R.P. Butler, J.C. Morales, M. Perger, S. Dreizler, C. Rodríguez-López, J.I. González Hernández, A. Rosich, F. Feng, T. Trifonov, S.S. Vogt, J.A. Caballero, A. Hatzes, E. Herrero, S.V. Jeffers, M. Lafarga, F. Murgas, R.P. Nelson, E. Rodríguez, J.B.P. Strachan, L. Tal-Or, J. Teske, B. Toledo-Padrón, M. Zechmeister, A. Quirrenbach, P.J. Amado, M. Azzaro, V.J.S. Béjar, J.R. Barnes, Z.M. Berdiñas, J. Burt, G. Coleman, M. Cortés-Contreras, J. Crane, S.G. Engle, E.F. Guinan, C.A. Haswell, T. Henning, B. Holden, J. Jenkins, H.R.A. Jones, A. Kaminski, M. Kiraga, M. Kürster, M.H. Lee, M.J. López-González, D. Montes, J. Morin, A. Ofir, E. Pallé, R. Rebolo, S. Reffert, A. Schweitzer, W. Seifert, S.A. Shectman, D. Staab, R.A. Street, A. Suárez Mascareño, Y. Tsapras, S.X. Wang, and G. Anglada-Escudé, "A candidate super-Earth planet orbiting near the snow line of Barnard’s star", Nature, vol. 563, pp. 365-368, 2018. http://dx.doi.org/10.1038/s41586-018-0677-y
- . Ignasi Ribas, "Alla ricerca di un esopianeta La storia dietro la scoperta di un pianeta in orbita attorno alla stella di Barnard", ESOblog, 2018. https://www.eso.org/public/blog/searching-for-an-exoplanet/
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