È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa su questo blog. L’intenzione sarebbe di scacciare questa pessima abitudine e riprendere a usare questo spazio. Per un po’ ho affidato i miei pensieri e le esternazioni ai Social, ma ora sento che ho fisicamente bisogno di un luogo dove conservarli. Non so se ci riuscirò, non resta che provare.
A partire dal 2021, l’effetto di riscaldamento dei gas serra di lunga durata nell’atmosfera terrestre è aumentato del 49% rispetto al 1990. Rispetto all’epoca preindustriale, l’atmosfera odierna assorbe più di 3 Watt in più di energia per metro quadrato.
Dal punto di vista razionale l’ideologia dei no-vax e i negazionisti climatici hanno in comune il totale rigetto delle evidenze scientifiche che si basano sui dati.
Dati che, come ogni cosa quando si cerca di comprendere un qualsiasi fenomeno, sono sempre la base da cui partire. Non è la prima volta — e non sarà certo l’ultima — che spiego cosa sia il Global Warming e che sia la diretta conseguenza delle attività umane.
La congettura che in questi giorni va per la maggiore, pare appartenere a un professore associato dell’Università Federico II di Napoli — non cito il suo nome per non offrirgli maggiore visibilità che qui non merita. Tale presunzione quasi sicuramente non è nuova, è presente da diversi anni con qualche variante, nei circoli negazionisti che suppongono che il Riscaldamento Globale non esista affatto o che, al limite, sia il risultato di risonanze orbitali dei pianeti ed effetti gravitazionali ciclici. Questo professore associato, oggi paladino dei negazionisti italiani che hanno ampio appoggio nei circoli politici del centrodestra italiano, ama raccontare di essere riuscito, nel 2018, a prevedere l’attuale siccità.
In pratica, in altri tempi, si sarebbe parlato di case astrali, di congiunzioni e opposizioni, di transiti dei pianeti su e giù per l’eclittica e di altre amenità astrologiche.
Per l’ennesima volta, l’emissione energetica del Sole è stabile da quando sono iniziate le campagne di misurazione satellitare mentre è cambiata la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e negli oceani. E le proporzioni isotopiche tra 13C e 12C [1] confermano che è anidride carbonica emessa dalla combustione di fonti fossili.
Questi sono i dati: l’atmosfera terrestre a causa dell’effetto serra innescato dalla CO2 ora trattiene 3 watt per metro quadrato in più rispetto al periodo preindustriale ed è tanto.
L’immagine di destra mostra che l’irraggiamento solare varia di neanche 2 watt tra il periodo minimo e massimo di attività solare. È un ciclo undecennale, a cui si sommano altri cicli legati a periodi di maggiore o minore quiescenza dell’attività solare, che, inn tempi storici, hanno prodotto il Minimo di Maunder (d’inverno il Tamigi divenne una pista di pattinaggio) nel XVIII secolo oppure il Massimo Medievale. Questo grafico mostra due cose: che per quanto piccolo, se protratto per lungo tempo (il Minimo di Maunder fu innescato da 50 anni di inattività solare) una variazione comunque piccola, abbiamo detto un paio di watt per metro quadrato, ha senz’altro conseguenze sul clima del pianeta. Una variazione di qualche decimo di grado dell’acqua degli oceani può alterare le correnti oceaniche e le precipitazioni, soprattutto ai tropici, con conseguente riallineamento delle correnti cicloniche dell’atmosfera. Ma, il secondo appunto, per colpa dell’eccesso di emissioni di gas serra a opera dell’Uomo, ora l’atmosfera trattiene, come ho detto prima, ben tre watt in più di energia ricevuta dal Sole. Oggi un periodo di quiescenza del Sole della durata di cinquanta anni, sarebbe notato al più come un periodo di tregua del riscaldamento globale, dando adito ai negazionisti climatici di sproloquiare che non è in atto “alcun cambiamento climatico“.
Quest’ultima immagine mostra lo storico delle temperature medie della Terra da quando sono disponibili correlandole con lo storico dell’attività solare. Qui è ancora più evidente che la temperatura media del pianeta, che prima dell’era industriale seguiva grossomodo l’attività del Sole con un fisiologico margine di latenza, mentre adesso non è più così.
E l’andamento a crescere per ora è inarrestabile. Ne abbiamo avuto la riprova durante il lungo lock down della Pandemia.
Nonostante il fermo quasi totale delle attività umane, il brusco calo dello smog nelle aree industrializzate etc. le quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è continuata a crescere!
Magari, ancora un a volta, i negazionisti climatici avranno ancora berciato: “Vedete? Nessuna attività umana, eppure la CO2 è aumentata! Le attività umane non sono responsabili del Global Warming!“.
I bischeri però dimenticano che gli oceani ricoprono oltre del 70% della superficie della Terra. E che essi hanno assorbito gli eccessi di CO2 presenti nell’atmosfera al ritmo di 7 miliardi di tonnellate per anno fino ad un certo punto (circa 500 dall’inizio dell’era industriale), fino a quando cioè le acque superficiali si sono saturate 1.
Ma è in virtù della legge sui gas soluti in un liquido (Legge di Henry) — che un qualsiasi studente di chimica conosce fin dalle scuole superiori — che, riscaldandosi, gli oceani hanno iniziato a restituire milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica all’atmosfera. Per questo il fermo delle attività industriali non ha sortito alcun cambiamento nelle emissioni di CO2. Quindi anche se adesso, da domani, cessassimo ogni ricorso alle fonti fossili per produrre energia, il Riscaldamento Globale non cesserà e sarà un tremendo problema ancora per decenni, forse secoli, prima che si ricrei un accettabile equilibrio naturale. Per questo ogni secondo, ogni singolo grammo di CO2 impunemente rilasciata nell’atmosfera è un crimine verso le future generazioni.
Ma non dovete credere per forza a me, credete ai dati. Questa è scienza, le altre ciarle sono al più un oroscopo pure malfatto.
Ormai mancano poche ore al cinquantenario dello Sbarco sulla Luna. Quando fu scoperta la minaccia dei clorofluorocarburi all’intero ecosistema terrestre, nel 1997 tutti gli Stati della Terra fecero fronte comune e imposero il bando totale dei CFC col Trattato di Montreal; oggi, nonostante le belle parole, ancora non vedo lo stesso impegno per scongiurare le altrettanto gravi crisi ambientali. Per questo ora non riesco a gioire come vorrei lo storico anniversario.
L’equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra: Michael Collins, Neil Armstrong e Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)
Checché alcuni allocchi continuino a sostenere il contrario, il 20 luglio del 1969 per la prima volta nella storia un essere umano mise davvero piede sulla Luna; tre uomini, eccetto uno che rimase in orbita, giunsero là dove nessuno era mai giunto prima.
Non sto a ripetere la storia delle missioni e dell’intero Programma Apollo, in questi giorni un po’ su tutte le testate giornalistiche, blog, TV e social non si parla di altro. Ma se da un lato questo mi conforta — finalmente si torna a parlare dell’esplorazione umana dello spazio in termini concreti — dall’altro mi spaventa pensare che dopo cinquanta anni, cinque decadi da quello storico momento, siamo riusciti ad arrivare sull’orlo di una crisi dell’intero ecosistema terrestre.
Mi spiego meglio: la stessa razza umana che cinquant’anni fa è riuscita a compiere quella fantastica impresa, oggi rischia di soccombere (no, non credo all’estinzione di tutto il genere umano ma al crollo della sua civiltà) per tutti gli errori e le opportunità che non ha saputo cogliere in quest’ultimo mezzo secolo.
Ci sono voluti ben tre lustri, dal 1973 al 1997, per far capire al mondo che i CFC (clorofluorocarburi) stavano distruggendo lo strato di ozono che protegge la vita sulla Terra da almeno 2 miliardi di anni. Il presidente della multinazionale Dupont (industria chimica che era fra i maggiori produttori di CFC nel mondo) bollò i primi studi come “spazzatura da fantascienza“; all’epoca i CFC erano usati dappertutto, dall’industria della refrigerazione (frigoriferi e climatizzatori per esempio) fino all’agricoltura, dall’elettronica alla lacca per capelli (bombolette spray). Eppure, dopo le prime conferme sul campo del 1985 che confermavano le responsabilità umane nella distruzione dello strato di ozono, si giunse al bando operativo su tutto il pianeta dei clorofluorocarburi. Oggi quel bando sta funzionando e, checché ne dicano — o abbiano detto — i vari “mister Dupont” dell’epoca, quella fu la cosa giusta da fare.
Oggi la situazione è altrettanto pericolosamente grave: all’inizio del mese un’intero distretto in Giappone (Kagoshima, un milione di persone)[2] è stato costretto dalle piogge torrenziali ad abbandonare le proprie case; d’accordo, quando qui la gente aspetta ogni occasione per andare al mare per fare i primi bagni, in Giappone (giugno-luglio) è la stagione delle piogge, ma quell’evento era comunque decisamente fuori dell’ordinario anche per loro.
E anche in altri paesi e regioni climatologicamente distanti si stanno sperimentando fenomeni parossistici sempre più estremi e frequenti: l’eccezionale ondata di caldo che ha travolto l’Europa (45° vicino a Montpellier, in Francia) dopo un giugno insolitamente uggioso e fresco; 21° C. sopra il Circolo Polare Artico [3]; 50,6° C. in India appena il giugno scorso, quando qui era insolitamente fresco (nevicò in Corsica).
Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli oranismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione.
Credit: XL Catlin Seaview Survey
Questi segnali dimostrano tutta la fragilità di un sistema, quello climatico, che sta pericolosamente deviando per colpa delle attività umane: nel 2016 in Siberia si raggiunsero ben 33 gradi e nella regione dello Yamal (67° N) il disgelo estivo risvegliò un mortale batterio che era rimasto inerte da chissà quanti anni: il Bacillus anthracis, meglio noto come antrace; l’infezione uccise 2000 renne e un bambino; la più grande struttura vivente, visibile pure dallo spazio, ovvero la Grande Barriera Corallina a nord- est dell’Australia da almeno tre anni registra sbiancamenti (morte dei coralli) senza precedenti nella sua storia 1.
Eppure, ancor oggi, nonostante il parere pressoché unanime degli scienziati di tutto il mondo, miliardi di dollari spesi in conferenze e dibattiti internazionali, e una miriade di parole spese in buone intenzioni, quasi nulla è cambiato. Fior di sciocchi e stolti continuano a negare l’evidenza del Global Warming, alcuni bollandola addirittura come bufala comunista studiata dai cinesi per far svenare l’Occidente con l’acquisto di inutili auto elettriche e pannelli solari (fabbricati con le Terre Rare cinesi).
Ho già illustrato su queste pagine le prove del coinvolgimento umano nel Riscaldamento Globale, tanto che parlare di Anthropogenic Global Warming non è affatto sbagliato, anzi. Dopo quasi 25 anni nel 1997 riuscimmo come genere umano a fermare la grave minaccia all’intero ecosistema terrestre rappresentato dallo spregiudicato uso che facevamo dei CFC, mentre oggi una minaccia altrettanto grave si sta palesando ogni giorno; per questo oggi nonostante il cinquantenario dello Sbarco sulla Luna mi sento sconfortato.
Tornando al Programma Apollo che portò L’Uomo sulla Luna, al di là di tutto ricordo che ogni onere – e merito – fu frutto dell’impegno di una sola nazione. Nell’anno dello sbarco, il costo per gli Stati Uniti d’America fu di 2.4 miliardi di dollari (PDF): appena un ottavo del costo dell’impegno militare in Vietnam di quell’anno che fu di circa 20 miliardi di dollari. In totale la spesa tra il 1961 e il 1973 fu di 26-28 miliardi di dollari dell’epoca (circa 270 miliardi di oggi) [4]. Nello stesso periodo il costo dell’intero sforzo bellico in Indocina, per gli USA si avvicinò ai 200 miliardi, circa 2000 miliardi (a spanne) di oggi.
Ma mentre ogni dollaro investito nella ricerca spaziale comportava un ritorno di almeno cento negli anni successivi, i 200 miliardi nella guerra del Vietnam ebbero costi almeno triplicati dalla crisi economica successiva, dai costi sanitari per gli invalidi, la caduta del mercato interno e soprattutto la credibilità economica internazionale ne risentì.
Provate per un attimo ad immaginare se invece il bilancio militare mondiale dal 1970 ad oggi fosse stato dedicato alla colonizzazione dello spazio 2.
Con migliaia di miliardi investiti in ricerca e sviluppo invece che a cercare il miglior modo per farci stupide guerre per l’effimero controllo di un pezzo di terra pressoché tutti i mali che ancora affliggono l’umanità potrebbero essere ora un incubo del passato; oggi avremmo saputo come trasferire nello spazio tutte le attività più inquinanti e inaugurato una nuova era di pace e comunione per il genere umano; l’inquinamento che ogni anno causa milioni di morti — molti di più di un conflitto mondiale — sul nostro pianeta sarebbe potuto non essere più una minaccia per l’intero ecosistema terrestre e quel bambino dello Yamal avrebbe avuto l’opportunità di invecchiare magari proprio sulla Luna.
Ora noi potremmo darci tutte le pacche sulle spalle che vorremmo e raccontarci quanto fummo bravi 50 anni fa a raggiungere la Luna. ma se poi tra altrettanti anni (2069) la nostra civiltà non avrà ancora occasione di festeggiare quello che sarebbe potuto essere l’inizio di una nuova era per tutto il genere umano, sarà stata tutta colpa nostra e della nostra cieca stupidità e cupidigia.
Quando la gente sente parlare di geoingegneria del clima pensa subito a oscuri disegni in atto per stravolgere l’attuale equilibrio umano. In realtà ogni volta nella storia del genere umano che si è alterato il corso di un fiume, scavato un pozzo artesiano per irrigare o una diga per produrre energia, si è fatta della geoingegneria, e questa sempre ha avuto conseguenze sul clima della regione interessata 1. La deforestazione selvaggia in Amazzonia, le deviazioni artificiali dei fiumi e la creazione di nuovi canali, anche l’edificazione delle città sono tutte opere dell’uomo che durano nel tempo, ossia sono strutturali e come tali hanno tutte conseguenze sul clima. Se non riusciamo a comprendere questo, diventa inutile proseguire la lettura di questa seconda parte.
Contrasto al Riscaldamento Globale
Da quando è apparsa la specie umana, questa ha imparato molto presto a modificare l’ambiente che lo circonda: costruire strutture abitabili al posto di caverne e anfratti ne è un banale esempio. E poi strade, ponti, campi coltivati; tutto ciò che gli è potuto servire per conquistare il pianeta, l’uomo l’ha fatto. E tutto questo ha sempre avuto un impatto sull’ambiente e anche sul clima. Anche l’attuale Riscaldamento Globale è dovuto quasi esclusivamente all’opera dell’uomo.
Prendemmo piena coscienza che le azioni umane agiscono sull’atmosfera ben più di quanto avremmo voluto credere intorno al 1985, quando scoprimmo che i clorofluorocarburi interagiscono negativamente sullo strato di ozono che normalmente ci protegge dalle radiazioni ultraviolette del Sole. Quella classe di molecole era presente un po’ ovunque nella tecnologia umana: dai frigoriferi alle lacche per capelli, giusto per rimanere negli esempi più banali. In soli due anni, 1987, la produzione e l’uso di massa dei CFC venne proibito a livello internazionale e solo oggi, a distanza di 30 anni, possiamo vedere che quello sforzo ha probabilmente avuto successo. L’abbandono di quella classe di molecole comportò costi e sforzi mostruosi nella riconversione a tecnologie più rispettose dell’ambiente, eppure in fondo si trattava di ben misera cosa in confronto all’attuale impegno tecnologico sui combustibili fossili responsabili del Riscaldamento Globale.
È impensabile pensare a una riconversione totale verso forme di energia più pulite dall’oggi al domani. Inoltre il ciclo naturale di sottrazione dell’anidride carbonica dall’aria per tornare, non dico ai livelli preindustriali ma almeno ai livelli degli anni 50 del XX secolo, richiederà almeno un secolo o due anche se domani mattina cessassero tutte le emissioni di CO2 di origine antropica.
Studi sui sistemi di cattura dell’anidride carbonica (carbon capture and storage o carbon capture and sequestration o carbon control and sequestration, CCS) [5] che potrebbero aiutarci nel contrastare il Riscaldamento Globale sono in corso da anni: si va dal rendere fertili, e quindi forestabili, alcune aree oggi desertiche, alla concimazione di alghe negli oceani con concimi chimici e particelle di ferro a tecnologie di sequestro della CO2 dalle attuali centrali elettriche a combustibile 2.
Il Riscaldamento Globale sta distruggendo la biodiversità del pianeta: un delicatissimo equilibrio su cui in cima è l’uomo. Per questo penso che se grazie agli studi dei climatologi sperimentali trovassimo un modo pulito per attenuare il perverso innalzamento della temperatura media del pianeta avremmo l’obbligo di usarlo insieme al progressivo e inevitabile distacco dall’uso delle fonti fossili di energia.
È un processo che richiede tempi superiori alla vita media di un singolo individuo. Anche se idealmente incominciassimo domani, i frutti del nostro sforzo li vedranno nel migliore dei casi i nostri nipoti o i loro figli; non noi o i nostri figli, ma i nostri discendenti. Ma ogni sforzo che potremmo compiere per salvaguardare il pianeta è nostro dovere farlo, compresa l’ingegneria climatica se questa dovesse servire.
Lo stato attuale
Un tecnico del Dipartimento dei Lavori Pubblici della Contea di Los Angeles esamina un generatore di semina delle nuvole telecomandato presso l’impianto di Kinneloa a Pasadena. Se tutto procede come previsto, i serbatoi dietro il Big Tujunga, Morris e molte altre dighe, oltre a impianti di ricarica delle acque sotterranee, potrebbero catturare una media di ulteriori 60 milioni di ettolitri di acqua piovana all’anno, sufficienti per gli standard americani per 36000 persone. Ci sono 10 sedi nelle montagne di San Gabriel tra Arcadia e Pacoima, sei a comando manuale e 4 a distanza. Credit: Howard Lipin
Alla luce di quanto affermato nel precedente articolo di questa serie, si potrebbe supporre che ci sia del vero dietro all’idea che già sia in atto un piano occulto per rielaborare scientemente il clima del pianeta. Allora in questo caso verrebbe da chiedersi se davvero le teorie del complotto delle scie chimiche siano vere. No, non esiste e non è in atto alcun piano segreto o palese che attualmente preveda il controllo del clima a livello globale.
È vero che esperimenti e tecniche di manipolazione del tempo meteorologico — che non significa manipolare il clima — esistono ormai da decenni: si chiamano inseminazione delle nuvole. In pratica si usano particelle di varia natura per nucleare l’umidità naturale di una certa area e far piovere [1.Le tecniche di inseminazione delle nuvole si basano sul fatto che la pressione di equilibrio del vapore del ghiaccio è inferiore rispetto a quello dell’acqua. La formazione di particelle di ghiaccio all’interno di nubi super raffreddate permette a queste di crescere a spese delle altre goccioline liquide. Se si verifica una crescita sufficiente, le particelle diventano abbastanza pesanti da cadere come precipitazione da nubi che altrimenti non potrebbero produrre precipitazioni. Questo processo è noto come semina “statica”. Le sostanze più comuni utilizzate per la semina delle nuvole includono ioduro d’argento, ioduro di potassio e ghiaccio secco (anidride carbonica congelata). Dopo alcuni convincenti test, sta diventando piuttosto popolare anche il più economico sale da cucina, per le sue notevoli doti igroscopiche. Lo ioduro d’argento ha invece una struttura cristallina molto simile a quella del ghiaccio, inducendo quindi una nucleazione per congelamento.]. Non tutti gli scienziati del clima sono concordi sulla sua efficacia [6][7] ma tale tecnologia è comunque di uso abbastanza comune in molti paesi del mondo. Ad esempio in Germania la usano per prevenire le tempeste di grandine [8], nel Sud-Est Asiatico per combattere l’inquinamento atmosferico, in Cina fu usata per la cerimonia di inaugurazione dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008 [9]. Probabilmente i sovietici usarono le tecniche della pioggia artificiale per impedire che la nube radioattiva di Chernobyl (1986) arrivasse su Mosca [10]. In California viene usata per combatttere la siccità cronica della regione [11]
Un impiego bellico di tale tecnologia si ebbe tra il 1967 e il 1972 [12] durante la Guerra del Vietnam, come riportano anche alcuni documenti del Pentagono [13] (Operazione POP EYE).
Verso la fine della I Guerra del Golfo gli irakeni incendiarono pzzi, campi e laghi petroliferi giusto per rallentare la Coalizione guidatra dagli Stati Uniti. Si stima che dal gennaio 1991 e novembre di quell’anno fossero stati bruciati circa un miliardo di barili di petroli. Esso però equivale ad appena a una decina di giorni del consumo mondiale odierno (circa 100 milioni di barili al giorno).
Però il 18 maggio del 1977 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu stipulata una convenzione che proibisce l’uso militare di qualsiasi tecnologia per il controllo e la modifica del clima [14]. Questa fece seguito alla decisione unilaterale USA del luglio 1972 di rinunciare all’uso di tecniche di modifica del clima a fini ostili e che premette per la stipula di un accordo internazionale che coinvolgesse anche l’Unione Sovietica.
Perfino sistemi a bassa tecnologia come il fuoco e gli erbicidi, ampiamente usati da Saddam Hussein nella Prima guerra del Golfo contro il Kuwait — incendiò i pozzi petroliferi per impedirne l’uso alla Coalizione e distrusse le coltivazioni agricole kuwaitiane — potrebbero costituire violazioni della convenzione sul controllo e modifica del clima [15], secondo la lettura che fecero Olanda e Finlandia del trattato.
Quindi supporre una qualsiasi ipotesi di complotto globale come vuole la vulgata complottista, è fuori di discussione. Non starò qui a perdere tempo per descrivere simili corbellerie, altri siti e giornali l’hanno fatto prima di me. Io ho solo cercato di esporre lo stato dell’arte su alcune ricerche serie sull’ingegneria climatica e illustrato la loro possibile utilità nel combattere un altro flagello creato dall’uomo come effetto collaterale della sua tecnologia Ed è quello che mi interessava fare.
Negare che periodi ed epoche passate sian stati ancora più caldi o molto più freddi di oggi è stupido ma rinnegare per questo le attuali gravi responsabilità umane nel processo di riscaldamento del pianeta trovo che sia semplicemente criminale. Ritengo che il Riscaldamento Globale sia un problema reale e che vada discusso — almeno per la sua parte antropogenica — molto più seriamente di quanto politici e governi di tutto il mondo facciano o abbiano fatto finora. I vari accordi internazionali sul tema, come anche il tanto osannato ultimo di Parigi, sono soltanto acqua fresca, specie se paragonato all’accordo di Montreal del 1994 che mise al bando totale i clorofluorocarburi (CFC) responsabili della distruzione del vitale scudo di ozono. Questo confronto mostra che se esistesse una reale volontà politica mondiale, anche il Riscaldamento Antropogenico Globale potrebbe essere risolto.
Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico
La composizione chimica della nostra atmosfera è nota. La percentuale di anidride carbonica (CO2), ormai circa 407 parti per milione, lo è altrettanto. Essa è continuamente monitorata dal NOAA, che ha una sua stazione di rilevamento globale sul Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. Perché quel posto così lontano? Semplice, esso è abbastanza lontano da qualsiasi grande emissione di natura antropica che potrebbe falsare il risultato, anche se poi la media locale e stagionale viene studiata principalmente grazie ai satelliti.
Esiste un modo assai semplice per risalire all’origine del carbonio atmosferico. È un metodo ben conosciuto e accurato, usato di solito per stabilire l’età di un qualsiasi artefatto biologico; si chiama Metodo del Carbonio-14.
In natura esistono elementi chimici che possiedono una massa diversa rispetto ad un altro atomo dello stesso elemento; nel qual caso i due diversi atomi, detti isotopi, hanno lo stesso numero di protoni che determina le caratteristiche dell’atomo in sé, chiamato numero atomico, ma un diverso numero di neutroni che ne determina la massa finale. Nello specifico caso del carbonio, esso ha sempre 6 protoni, ma un numero che può variare da 2 a 8 di neutroni. Questi isotopi sono altamente instabili 1, solo il 12C e il 13C sono stabili. L’altro isotopo, il 14C, è prodotto in natura dai raggi cosmici, il cui flusso è abbastanza costante nel tempo 2.
Chiamato anche radiocarbonio, questo isotopo ha un’emivita di 5715 anni. Esso è assorbito come ogni altro atomo di carbonio nel naturale processo biologico, pertanto non c’è differenza tra la proporzione di radiocarbonio presente naturalmente nell’atmosfera e quella presente in un organismo biologico vivente. Quando però quest’ultimo cessa di vivere, cessa anche ogni scambio gassoso e cessa quindi di assorbire il radiocarbonio dall’atmosfera. La differenza tra la percentuale di 14C presente nell’organismo morto, che sia un tizzone di brace, un osso, oppure un coprolito, permette di risalire a quanto tempo è passato da quando tale organismo era vivo 3.
I numeri in gioco
Ora la storia si fa interessante. Quando bruciamo un legno o brucia una intera foresta, la quantità di radiocarbonio nell’atmosfera rimane pressoché invariata; non è trascorso abbastanza tempo per registrare un decadimento isotopico importante. Tanta CO2 era stata sottratta dall’atmosfera dalle piante e tanta è stata restituita all’atmosfera. Il bilancio totale finale è in pareggio. Non dico che questo sia irrilevante, perché comunque — e questo è l’aspetto più pernicioso del rilascio incontrollato di carbonio nell’atmosfera — un incendio impiega ore, se non minuti, a rilasciare tanto carbonio quanto la natura aveva messo anni e decine di anni a sequestrare dall’atmosfera.
Una fonte importante di anidride carbonica nell’atmosfera proviene dai vulcani, circa 200 milioni di tonnellate per anno (circa 55 milioni di tonnellate di carbonio). Spesso — a sproposito — i negazionisti del Global Warming la citano come l’unica fonte importante di carbonio atmosferico capace di alterare il clima. Peccato che anch’essa sia abbastanza costante nel tempo e continuamente monitorizzata. Nelle emissioni di natura geologica del carbonio il radioisotopo 14C è totalmente assente, esso decade del tutto nel giro di circa 50 mila anni, dati i tempi, geologici, del ciclo [16]. L’altra fonte è da cercarsi nella combustione dei combustibili fossili. Anche questa è esclusivamente composta dalla forma stabile del carbonio-12.
Misurando quindi le percentuali isotopiche del carbonio atmosferico è possibile notare come esso provenga per la maggior parte dall’azione antropica. Il risultato è impietoso: ogni anno vengono aggiunti circa 29 miliardi di CO2 all’atmosfera (quasi 8 miliardi di tonnellate di carbonio-12), più di 100 volte di quello prodotto dalla sola azione vulcanica. Questa è la dimostrazione definitiva della responsabilità umana nell’aumento della CO2 atmosferica.
Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli organismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione. Credit: XL Catlin Seaview Survey
Certo che 29 miliardi messi al confronto coi 700 miliardi di anidride carbonica contenuti naturalmente nell’atmosfera e i circa 750 che partecipano ogni anno al ciclo naturale del carbonio paiono certo ben poca cosa, ma attualmente tutti gli oceani contribuiscono a stoccare appena circa 6 miliardi di CO2 all’anno e il dato in verità è in diminuzione a causa dell’aumento della loro temperatura [cite]10.1038/nature21068[/cite]. La distruzione della Grande Barriera Corallina, l’unica struttura biologica vivente visibile dallo spazio, ne è la prova. Il meccanismo è ovvio: un aumento di temperatura dell’acqua diminuisce allo stesso modo le sue capacità di assorbire la CO2, mentre la comunque maggiore quantità ancora assorbita ne aumenta l’acidità danneggiando irreparabilmente gli organismi più delicati e inibendo ad altri, come i foraminiferi, la capacità di creare strutture di carbonato di calcio, come per esempio i loro gusci, che catturano in modo definitivo una parte importante del carbonio assorbito dagli oceani.
Sulla terraferma il discorso generale non è poi così diverso. È vero, ogni anno circa 11 miliardi di anidride carbonica sono sequestrate dall’atmosfera dalle piante, ma il disboscamento industriale e l’agricoltura intensiva riducono significativamente questa capacità. Inoltre, una temperatura mediamente più alta comporta un aumento del rilascio del carbonio ancora intrappolato nel suolo, principalmente per effetto della decomposizione dei resti organici e per il dilavamento del suolo dalla pioggia resa più acida dall’aumento della CO2 atmosferica.
Il risultato è che almeno il 40%, circa 12 miliardi di tonnellate all’anno, delle 29 prodotte dall’uomo, sono continuamente riversate nell’atmosfera, contribuendo a ridurre le capacità del pianeta di continuare ad assorbirle.
Non sono bruscolini, anche se per alcuni sembrano esserlo. Gli oceani non possono oltre un certo grado assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera senza creare danni ambientali gravissimi e l’anossia delle acque più superficiali. È vero, potrebbe aumentare momentaneamente la quantità di alghe verdi-azzurre che potrebbero, ancora momentaneamente, assorbire una parte del carbonio atmosferico, ma questo andrebbe a discapito di tutta la catena alimentare ittica e umana. In più, Ogni incremento della temperatura degli oceani limita la capacità di questi di sequestrare altra anidride carbonica dall’aria.
In effetti il timore, anche espresso da Stephen Hawking [17] con molta enfasi — lui se lo può permettere, di un effetto domino con conseguenze incontrollabili non è poi così remoto.
Se trascurato, il Global Warming potrebbe essere un disastro economico
Checché ne dicano i negazionisti — e sono molti di più di quanto si creda — il rapido riscaldamento del pianeta pone due serie minacce legate al sistema finanziario. La prima è legata al costo dei danni fisici inflitti dal Riscaldamento Globale, un prezzo già alto e che comunquetende ad aumentare coi sempre più frequenti parossismi meteorologici.
Per esempio, la celebre compagnia assicurativa, i Lloyd di Londra, ha prodotto uno studio che prova a stimare il maggior costo dei premi assicurativi in risposta alle perdite legate al cambiamento climatico, come lo fu in seguito all’uragano Sandy [18]. Un aumento della frequenza e dei costi dei risarcimenti per i danni legati al mutamento climatico, come per le inondazioni, siccità straordinarie e altri fenomeni meteorologici estremi sta già causando miliardi di dollari di perdite per le economie delle nazioni colpite.
Ma non solo, provate a immaginare quanti turisti si recavano a visitare la Grande Barriera Corallina prima del disastro ecologico e la vastità dell’intera filiera economica locale che essa alimentava. Provate a immaginare se tutti i ghiacciai alpini diventassero un ricordo, quale danno sarebbe per le comunità montane che adesso vivono di turismo. E lo stesso discorso varrebbe per le Isole Maldive, gli splendidi atolli polinesiani oppure le nostre meravigliose città costiere, Venezia, Napoli o Genova che rischiano di cedere al mare parte del loro territorio a causa dell’innalzamento delle acque.
I costi assicurativi potrebbero salire così tanto che soltanto poche compagnie potrebbero decidere di coprirle aumentando di molto il costo dei premi mentre altre potrebbero fallire per pagare i risarcimenti dovuti. Intanto le proprietà non assicurate o inassicurabili vedrebbero crollare il loro valore espellendole dal mercato mentre gli investimenti nelle aree a rischio crollerebbero. Lo scenario economico che potrebbe profilarsi col Riscaldamento Globale incontrollato è spaventoso.
Il cambiamento Climatico è uno dei cambiamenti più importanti che [oggi] la società sta affrontando. la […] è una multinazionale che si sta impegnando attivamente nel cercare soluzioni rivolte alla mitigazione e l’adattamento verso il Cambiamento Climatico. Riteniamo che una migliore divulgazione delle informazioni sui rischi e sulle opportunità legate al clima sia di stimolo per i nostri sforzi verso un mondo sostenibile.
La seconda minaccia, più subdola, è rappresentata dagli ancora pesanti investimenti sui combustibili fossili e le tecnologie ad essi collegate. Sulla carta si tratta di investimenti di migliaia di miliardi di dollari, ma essi in fondo dipendono esclusivamente dalla fiducia degli investitori. Ma se questa fiducia dovesse venire meno, la bolla dei subprime del 2007 sembrerà lo scoppio di una miccetta paragonato a una atomica.
Già oggi alcune compagnie finanziarie e le banche nazionali [19][20] si stanno chiedendo se il loro portafoglio sia in grado di sopportare i rischi derivati dal cambiamento climatico e se sia possibile mantenere una certa stabilità finanziaria nel più fosco degli scenari possibili.
Allo scopo di studiare e prevenire le vulnerabilità finanziarie legate al mutamento climatico, nel 2015 il Financial Stability Board diede il via allaTask Force on Climate-related Financial Disclosures. Questa iniziativa ha trovato l’appoggio di grandi banche d’affari come Morgan Stanley e Barclays e di grandi multinazionali come la PepsiCo (quella della Pepsi Cola e della Seven Up) che muovono cifre di migliaia di miliardi di dollari all’anno.
Le grandi contraddizioni della finanza
Anche se apparentemente i rischi legati al mutamento climatico attirano l’attenzione del mondo finanziario globale, sono ancora molte le banche d’affari che sostengono i progetti più estremi di estrazione dei combustibili fossili (carbone, olio da sabbie bituminose e trivellazioni nell’Artico) per una cifra di circa 100 miliardi di dollari all’anno [21].
In fondo il loro mestiere è quello di finanziare i progetti più appetibili in termini di ritorno finanziario e le compagnie petrolifere finora sono ancora quelle che propongono un ritorno quasi sicuro per i prossimi 50 anni.
Ma se questo dovesse cambiare per una mutata volontà politica globale, magari in seguito a un serio incidente ecologico o un grosso scandalo, sarebbe un dramma sia per le compagnie petrolifere che per le banche d’affari che vi hanno investito su. Per questo sia, ovviamente, le compagnie petrolifere che buona parte della finanza globale mirano a mantenere lo status quo.
Mentre la finanza globale sta cercando di trovare il modo di staccarsi da questo intreccio perverso, le compagnie petrolifere cercano in ogni modo di nascondere le loro esposizioni nel timore che si scateni quel panico finanziario che potrebbe annientarle.
Intanto la Shell ha dovuto rinunciare alle trivellazioni artiche e su altri progetti che prevedevano lo sfruttamento di giacimenti bituminosi, mentre la Cina sta mostrando chiari segnali di ripensamento della sua politica energetica basata sul carbone [22].
Conclusioni
Potrei parlare per intere ore sui tanti aspetti, rischi e prospettive legate al Global Warming. Ripeto che è da stupidi negare le naturali ciclicità — ancora non ben comprese — del clima terrestre, ma lo è altrettanto il negare le gravi responsabilità umane nell’andamento attuale. E se è su questo che abbiamo colpa, allora abbiamo anche il dovere di intervenire. Anche se fosse solo per il più semplice Principio di Precauzione.
Segnali importanti li abbiamo avuti, curiosamente, dalla crisi economica del 2007. Negli anni immediatamente successivi si è registrato un minore apporto di carbonio nell’atmosfera, per poi riprendere quando quella crisi si è risolta.
Lo sviluppo sempre più importante di fonti energetiche rinnovabili, anche se esse sono ancora un goccia nell’oceano, inizia timidamente a farsi sentire. I prezzi dell’energia da loro prodotta sta spingendo verso il basso anche quella generata dalle fonti tradizionali, buttando fuori mercato le centrali più obsolete ed inquinanti e obbligando al ripensamento dell’intera filiera energetica.
Compagnie automobilistiche come la Volvo stanno studiando come trasferire la loro industria automobilistica verso la trazione elettrica entro 20-30 anni. L’Audi già dal prossimo anno ha deciso di partecipare attivamente nel Campionato Mondiale di Formula E,il campionato riservato alle auto da corsa elettriche. In Formula 1 sono ormai anni che vengono studiati e impiegati i KERS, sistemi di recupero dell’energia cinetica. Queste tecnologie sono impiegate oggi anche nelle normali auto ibride per il recupero dell’energia in frenata che altrimenti andrebbe persa in calore.
Sono piccoli segnali è vero, ma importanti. Anche se piccole e ottuse menti ricordano che ancora per i prossimi anni dovremmo ricorrere ai combustibili fossili per generare l’elettricità necessaria al funzionamento dei nuovi veicoli elettrici, essi non comprendono che è più semplice, immediato e sicuro sequestrare la CO2[23] da poche unità centralizzate piuttosto che da una miriade di veicoli sparsi in ogni dove, e che questi sarebbero indipendenti dai metodi usati per produrre la loro energia. Energia che potrebbe provenire anche dalle fonti alternative ai combustibili fossili più disparate, riducendo al contempo una importante fonte di inquinamento ambientale vagante.
Città più pulite, meno rumore, meno malattie indotte dall’inquinamento e dalle polveri sottili: questi sarebbero già notevoli risultati collaterali che potremmo già presto raggiungere durante la lotta alla componente antropica del cambiamento climatico.
Alcune case automobilistiche stanno guardando a questo come una grande opportunità, alcune banche di affari e grandi assicurazioni stanno studiando il fenomeno e ne iniziano a comprendere la gravità. Ora resta da convincere i governi, le istituzioni politiche e quelle sindacali, ancora troppo timide e legate al consenso transitorio e le irrazionali paure sociali.
Nubi nottilucenti in streaming attraverso il cielo a Utrecht, Paesi Bassi il 16 giugno 2009 Credit: Robert Wielinga
Non è la prima volta che mi occupo delle nubi mesosferiche polari, più comunemente note come nubi nottilucenti [cite]http://ilpoliedrico.com/2011/11/le-nubi-nottilucenti-e-il-buco-nellozono-artico.html[/cite].
Il loro spettrale aspetto è dovuto alla particolare struttura delle particelle di ghiaccio d’acqua che le costituiscono: particelle che vanno dai 20 ai 70 miliardesimi di metro (nanometri), un decimo delle lunghezze d’onda visibili, che si formano quando la temperatura scende a -130° Celsius. A quella scala dimensionale lo scattering della luce solare diffonde infatti soltanto la luce blu, ed è quello appunto il colore con cui le vediamo.
Le prime osservazioni sicure di queste nubi particolari sono successive alla terribile eruzione del vulcano Krakatoa del 1883, tant’è che all’inizio si pensò che queste nubi mesosferiche fossero una conseguenza diretta della notevole esplosione e in genere delle molteplici attività vulcaniche del pianeta.
Oggi non è più così, o almeno non lo è in parte. Lo spazio intorno alla Terra non è veramente vuoto. E in realtà polveroso, risultato della sublimazione delle comete nei pressi del Sole e dei detriti asteroidali non più grandi della di un chicco di riso . I risultati di questi fiumi di polvere li vediamo in queste ore d’estate guardando il cielo: lo sciame delle Perseidi è uno di questi.
“Strane nuvole luminose non aurorali a NW” Estratto di un rapporto meteorologico dell’astronomo Romney Robinson’s riguardante l’osservazione un fenomeno simile alle nubi mesosferiche polari del 1 e 4 maggio 1850.
Quando uno di questi granelli di polvere cade sotto l’influenza gravitazionale della Terra e raggiunge la quota tra i 90 e gli 80 chilometri si incendia e si disintegra in pulviscolo ancora più piccolo. Noi quaggiù vediamo la scia di ionizzazione dell’aria del granello che sublima e lo chiamiamo stella cadente.
Questo pulviscolo impiega poi mesi, ed addirittura anni, per depositarsi finalmente al suolo; si calcola che ogni giorno cadano sulla Terra così dalle 5 alle 300 tonnellate di materiale cosmico ogni giorno!
Ed è proprio questo pulviscolo che rimane in sospensione tra gli 80 e i 90 chilometra di quota (la mesosfera) a fungere da seme per i cristalli di ghiaccio d’acqua a quelle quote.
Appurata l’origine dei semi e la composizione delle nubi, resta da capire come il vapore acqueo arrivi fino a quote mesosferiche, un luogo dell’atmosfera estremamente freddo e asciutto è ancora un mistero, o quasi. Quello che è ormai appare quasi sicuro è che all’aumentare della temperatura troposferica corrisponde un aumento della concentrazione del vapore acqueo nella mesosfera. Una conferma indiretta arriva dalla frequenza delle osservazioni: Agli inizi del XX secolo per osservare questo straordinario fenomeno accorreva recarsi nei pressi dei circoli polari, oggi stanno diventando abbastanza comuni anche a latitudini molto più basse, le nubi mesosferiche sono state osservate da paesi come la Germania, il Colorado e perfino dall’Italia! Anche il periodo di osservazione di questo peculiare tipo di nubi si è esteso dai primi giorni di maggio delle prime osservazioni fino al giugno e luglio di oggi.
Il meccanismo che porta il vapore acqueo nella mesosfera è in gran parte sconosciuto, ma il principale indiziato è il metano [cite]10.1007/978-94-015-9343-4_1[/cite].
Il metano sulla Terra è praticamente tutto di origine biologica, di cui la maggior parte sono legate alle attività umane. Dai carotaggi artici è dimostrato che la concentrazione di metano atmosferico negli ultimi 450 mila anni si è mantenuto pressoché costante tra i 450 e i 700 ppbv (Parts Per Billion by Volume – parti per miliardo in volume) raggiunti prima dell’Era Industriale [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23038470[/cite] fino agli oltre 1700 ppbv di oggi.
Attualmente vengono dispersi circa 66 teragrammi (66 milioni di tonnellate) di metano all’anno nell’atmosfera contribuendo così in modo significativo al riscaldamento globale. E più la tropospera (la parte dell’atmosfera in cui viviamo) si riscalda, che questa diventa umida per effetto dell’evaporazione degli oceani e si espande, portando il vapore acqueo nella troposfera e da qui anche nella mesosfera, accompagnata dal metano.
In quell’area il vapore acqueo viene scisso in ossidrile ($\cdot OH$) che attacca e distrugge lo scudo d’ozono che ci protegge dalle radiazioni ultraviolette. Contemporaneamente l’ossigeno biatomico reso disponibile dalla distruzione dell’ozono si combina col metano restituendo ancora acqua e anidride carbonica: ${CH_4}_{(g)}+{2O_2}_{(g)} \rightarrow {CO_2}_{(g)}+{H_2O}_{(g)}$. Per il dettaglio delle trasformazioni chimiche rimando ai documenti citati in fondo alla pagina.
Come ho illustrato anche nel mio precedente articolo sullo stesso argomento, tutto questo è preoccupante. Fatevi un giro su Accuweather.com e guardatevi le temperature estive della Siberia. Le temperature insolitamente alte fino a qualche decennio fa stanno diventando ormai la norma. Il permafrost siberiano che contiene miliardi di tonnellate di metano intrappolato nel ghiaccio si sta sempre più rapidamente sciogliendo da un anno all’altro [cite]http://www.greenreport.it/news/clima/siberia-scoperto-gigantesco-buco-nel-permafrost-non-finire-gallery/[/cite].
Le nubi mesosferiche polari potrebbero essere l’ennesimo campanello d’allarme che la natura ci mostra per avvertirci che ormai quaggiù ci sono sempre più cose che non vanno affatto bene riguardo la sostenibilità del pianeta. La vita sulla Terra certamente non scomparirà e tra qualche migliaio di anni la natura avrà trovato qualche altro equilibrio ecologico adatto ad essa. Peccato che probabilmente non ci sarà posto per il folle, predatore genere umano.
Purtroppo spesso i media italiani lasciano poco spazio ai veri problemi del pianeta come il Riscaldamento Globale. Anche la politica mondiale preferisce cedere al ricatto del PIL piuttosto che preoccuparsi del futuro del pianeta, e questo è molto più grave.
Alberi abbattuti ai margini della Foresta Amazzonica
Secondo il World Carfree Network (WCN), auto e camion rappresentano circa il 14 per cento delle emissioni globali di carbonio nell’atmosfera, mentre molti analisti attribuiscono ad almeno il 15 per cento delle altre emissioni alla deforestazione.
Secondo molti ricercatori, la deforestazione nelle foreste pluviali tropicali aggiunge anidride carbonica in atmosfera più che la somma totale di auto e camion sulle strade del mondo.
La ragione di questa cifra spaventosa è dovuta al fatto che quando gli alberi vengono abbattuti rilasciano carbonio nell’atmosfera, dove si mescola agli altri gas a effetto serra provenienti da altre fonti e contribuendo così al riscaldamento globale 1.
Pertanto è necessario fare altrettanti sforzi per evitare la deforestazione di quanto si faccia per cercare di aumentare l’efficienza dei carburanti e di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili.
«Poiché la produzione di cenere comporterebbe una rapida distruzione di querce, cerri e altri legnami, vietiamo con il presente Statuto che alcuno faccia cenere nel contado e districtus di Arezzo o venda legna a chi voglia farne cenere. Pena 25 lire per ogni contravventore e per ogni volta che sia commesso il delitto; chiunque potrà sporgere la denunzia e muovere l’accusa…» Gli Statuti di Arezzo anno 1327
Secondo i rapporti dell‘Environmental Defense Fund (EDF), 32 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati abbattuti ogni anno tra il 2000 e il 2009, e il ritmo della deforestazione non fa che aumentare.
“A meno di non modificare l’attuale sistema che premia la distruzione delle foreste, il disboscamento immetterà altri 200 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera nei prossimi decenni …“, dice EDF, “Qualsiasi piano realistico sufficientemente veloce per ridurre gli effetti dell’inquinamento e del Riscaldamento Globale per evitare gravi e pericolose conseguenze deve affidarsi anche alla conservazione delle foreste tropicali” 2
Ma è difficile convincere gli abitanti poveri del bacino amazzonico e di altre regioni tropicali del mondo di smettere di tagliare gli alberi, quando queste sono l’unica loro risorsa economica.
“Conservare le foreste ha un costo non indifferente, mentre i profitti che si fanno col commercio di legname e col carbone di legna, nella creazione di nuovi terreni da pascolo o destinati all’agricoltura premono per la riduzione delle foreste“, aggiunge EDF 3.
Inoltre un altro grave problema legato alla deforestazione è la perdita della biodiversità 4: più della metà delle specie vegetali e animali vivono nelle foreste pluviali.
Un modo per aiutare i paesi tropicali a ridurre la deforestazione è attraverso la partecipazione al programma di riduzione delle emissioni e delle deforestazione e degrado forestale delle Nazioni Unite (UN-REDD).
UN-REDD cerca di incentivare le persone – e gli Stati che vi partecipano – a prendersi cura delle foreste e della loro gestione sostenibile.
Gli esempi includono l’utilizzo di minori risorse forestali per le attività agricole come la coltivazione del caffè e la produzione di carne e latte. A questo modo le nazioni partecipanti a questo programma possono accumulare e vendere i crediti di inquinamento come le nazioni industrializzate quando sono in grado di dimostrare di aver abbassato la deforestazione al di sotto di una linea di base.
Il programma UN-REDD ha incanalato più di 117 milioni di dollari 5 di aiuti finanziari diretti e attraverso il sostegno educativo alla riduzione della deforestazione in 44 paesi in via di sviluppo in Africa, Asia e America Latina fin dall’inizio del 2008.
Il Brasile è tra i paesi che grazie a UN-REDD ha compiuto gli sforzi maggiori per ridurre le emissioni di carbonio. Grazie a questo programma il Brasile ha rallentato la deforestazione entro i suoi confini del 40 per cento dal 2008 ed è sulla buona strada per conseguire una riduzione dell’80 per cento entro il 2020.
Il successo iniziale del programma UN-REDD in Brasile fa ben sperare per la riduzione della deforestazione in altre parti dei tropici.
con i suoi 9400 km2 è il più grande deserto della Terra, ma non è sempre stato un deserto: il clima del Sahara ha subito un’enorme variazione passando da un clima umido a uno estremamente secco più volte negli ultimi 100 mila anni. Durante l’ultima era glaciale, il Sahara era ancora più grande di quanto lo sia oggi. La fine del periodo glaciale portò più pioggia nel Sahara, nel periodo tra l’ 8000 aC e il 6000 aC, probabilmente a causa dell’instaurarsi di aree di bassa pressione dovute allo scioglimento dei ghiacciai europei.
Una volta che i ghiacci scomparvero, il nord del Sahara si asciugò. Nel sud del Sahara, però, la desertificazione fu contrastata dall’avvio di un regime monsonico, che portava pioggia più a nord rispetto a quella attuale. I monsoni sono dovuti al riscaldamento dell’aria sulla terra durante l’estate. L’aria calda sale e tira su aria fresca e bagnata dal mare, causando le pioggie.
La principale causa era dovuta ad una maggiore inclinazione dell’asse terrestre rispetto a oggi, e in quel periodo il perielio avveniva alla fine di luglio.
Intorno al 3400 aC, l’area monsonica si ritirò a circa dove è oggi, provocando la progressiva desertificazione del Sahara. Questi cambiamenti climatici sono stati responsabili delle grandi migrazioni di flora e di fauna verso est conosciute anche come “Pompa del Sahara“,
Le principali migrazioni che interessarono la specie umana si riferiscono a:
* Homo erectus (ssp. ergaster) nel sud est e nell’est asiatico
* Homo heidelbergensis verso il Medio Oriente ed Europa occidentale
* Homo sapiens sapiens
Anche la diffusione delle lingue afro-asiatiche ( berbero e egiziano in Nord Africa e semitico alla Penisola Arabica e Medio Oriente) avvennero a causa di questi fenomeni migratori innescati dai cambiamenti climatici. In particolare quest’ultimo è conosciuto come evento 5,9 kiloyear ritenuto responsabile di notevoli influenze sulla storia e le società umane che si affacciano nel bacino del Mediterraneo.
Il 19 settembre, il ghiaccio marino artico ha raggiunto il suo minimo per il 2010, una superficie di 4,60 milioni di chilometri quadrati.
Il National Snow and Ice Data Center (NSIDC) ha riferito che nel 2010 il ghiaccio marino artico ha raggiunto il terzo valore più basso mai registato (Il minimo storico è del 2007, con una superficie di 4,13 milioni chilometri quadrati)
Il contorno giallo è la media della minima estensione del ghiaccio di mare raggiunta nel periodo 1979-2000. Rispetto alla media di lungo periodo, il ghiaccio del Mare del Nord tra l’Alaska e la Siberia orientale è stato particolarmente ridotto nel 2010.
Questa è una delle prove più tangibili che sia in atto un processo di cambiamento climatico nella nostra atmosfera. L’origine di questo fenomeno è tutt’ora motivo di dibattito.
C’è chi accusa le attività umane di essere le principali responsabili del cambiamento come molti ambientalisti e l’ex vicepresidente americano Al Gore, c’è chi parla di ciclicità naturali come molti altri scienziati climatologi, o c’è chi insieme alle cause più naturali tipo l’attività solare, l’albedo della superficie del pianeta etc. unisce la sconsideratezza di alcune attività umane, come inquinamento atmosferico, deforestazione etc., come ad esempio faccio io.
Questo non è tenere un piede su due staffe, e ve lo spiego.
Le cause naturali responsabili che possono provocare un cambiamento climatico importante sono tante e le variabili in gioco sono praticamente infinite e tutte interconnesse intimamente tra loro.
Abbiamo iniziato a comprenderle solo da pochi decenni: la circolazione termoalina degli oceani, la composizione atmosferica e i fenomeni vulcanici, la percentuale di luce riflessa dalle nubi, dal suolo, dal mare e dalle calotte polari, la desertificazione naturale e quella prodotta dall’uomo…, tutte singole voci che possono sembrare insignificanti o esagerate a seconda di quello che si vuole osservare, ma che invece dovrebbero essere scientificamente valutate assieme, e non indicate ora questa ora quella come responsabile di tutti i mali del mondo o la panecea per essi.
Ad esempio, le ipotesi che indicavano un calo dell’irradiazione solare durante i periodi di minima attività solare, potrebbe essere ridimensionate stando a questi studi, inficiando i modelli teorici sul clima fin qui studiati. Questo indica che su un tema così delicato è impossibile fare previsioni certe e che le certezze (per alcuni) invalicabili di oggi, domani potrebbero non esserlo più alla luce di nuove informazioni. D’altronde questo è il bello della Scienza.
La prossima volta che vi sentirete dire che il cambiamento climatico in atto è una bufala degli scienziati catastrofisti o un complotto malthusiano per sterminare tre quarti della popolazione mondiale, ricordatevi di questa immagine.
Tanto per evidenziare il cambiamento climatico in atto, di cui ne avevo parlato in questo articolo in questo blog, la NASA ha pubblicato delle immagini riprese dai suoi archivi che ne mostrano gli effetti a questo link.
È difficile dare una risposta alla domanda “ma se c’è un problema di riscaldamento globale, perché fa freddo e nevica?”, come non è facile spiegare che una cosa è l’evoluzione delle condizioni meteorologiche e un’altra l’evoluzione climatica.
La prima si occupa di previsioni meteorologiche su scala temporale breve e che queste sono meno accurate più è ampio l’arco di tempo a cui si riferiscono, l’altra cerca invece di prevedere come potrà essere la situazione climatica in un intervallo di tempo molto più ampio.
Quando si parla di evoluzione di un sistema comunque caotico come lo è quello dell’atmosfera di un pianeta, il condizionale è d’obbligo, perché si tratta sempre di tentare di estrapolare un risultato che è la sintesi di migliaia di variabili, di cui molte frutto di ricerche e di nuove scoperte, che si intrecciano fra loro in modi spesso imprevedibili e imprevisti; è proprio vero il detto che “il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo” Un esempio lampante ce lo dette nel 1991 l’eruzione del Pinatubo: il vulcano eruttò fino a 18 chilometri di altezza 20 milioni di tonnellate di aerosol ricchi di diossido di zolfo che schermando la luce solare fecero precipitare le medie climatiche di mezzo grado per due anni, rafforzando però la circolazione dei venti artici che circolano in senso antiorario sopra il Polo Nord facendo sì che aria calda e umida proveniente dagli oceani mitigasse gli inverni alle alte latitudini dell’emisfero nord e creasse invece condizioni di siccità alle medie latitudini. A questo meccanismo contribuì l’effetto dell’acido solforico nella troposfera il quale intaccando lo strato di ozono che impedisce ai raggi ultravioletti di raggiungere le quote più basse (per questo la proposta di inondare la troposfera con lo zolfo per raffreddare il pianeta è stupida come curare il raffreddore col cannone) permise il rilascio dell’energia di questa radiazione negli strati più bassi dell’atmosfera accentuando ulteriormente i venti circumpolari.
Quindi vediamo come un fenomeno banale (per un pianeta geologicamente attivo) come un’eruzione vulcanica possa alterare il clima in maniera significativa anche a regioni molto lontane. Un fenomeno significativo per noi europei e abitanti dell’emisfero nord è la famosa Corrente del Golfo che nasce nel golfo del Messico dove l’acqua oceanica è piu calda per effetto dei raggi solari e che per l’effetto Coriolis della rotazione terrestre viene spinta fino alla Scandinavia.
Ovviamente per una corrente di superfice più calda che sale, esiste anche una corrente più profonda di aqua fredda che scorre all’inverso, come un anello, che va a rimpiazzare l’acqua che sale con la corrente.
Per questo gli inverni nordeuropei sono molto più miti di quelli nordamericani a parità di latitudine e per contro le estati del centroamerica sono più temperate e umide di quelle delle coste nordafricane dell’atlantico.
Questa corrente termoalina come dice anche il nome (termo = temperatura – alina = salinità) è sensibile alla presenza di acqua dolce come appunto lo è quella originata dallo scioglimento del ghiaccio; il Polo Nord è un grande mare ghiacciato, che se nel caso dovesse sciogliersi per effetto del riscaldamento globale provocherebbe l’interruzione della Corrente del Golfo, facendo probabilmente piombare il continente europeo in una nuova improvvisa glaciazione, come appunto accadde nel Dyras recente.
Questo meccanismo spiegherebbe bene quest’ultimo inverno rigido e quanto accadde alla fine degli anni ’60 quando fu osservata una sensibile variazione della salinità delle acque del Nord Atlantico: il fenomeno, noto come Grande Anomalia Salina, fu caratterizzato dalla presenza di una enorme pozza di acqua poco salata e poco densa che vagò, per mesi, nei mari più settentrionali dell’Atlantico, limitando la produzione di acque profonde e rallentando il benefico flusso della Corrente del Golfo verso l’Europa.
Gli effetti della Grande Anomalia Salina si fecero sentire soprattutto in Europa, colpita da inverni particolarmente rigidi e da estati insolitamente fresche, tanto che qualche scienziato azzardò, incautamente, l’imminente avvento di una nuova glaciazione.
Questi sono forse quindi i più eclatanti fenomeni di cui si sente discutere oggi riguardo al cambiamento climatico, ma un punto che spesso è stato (spero non volutamente) dimenticato è l’effetto del metano come gas serra sulla nostra atmosfera.
Con un potere 23 volte maggiore a quello del biossido di carbonio di trattenere la radiazione infrarossa del Sole, è un temibile killer per l’ecosistema terrestre e una grande quantità di metano è racchiusa nel… permafrost siberiano, che è a rischio disgelo come mostra la ricercatrice Katey Walter Anthony in un video sul sito dell’università dell’Alaska di cui consiglio la visione.
Il calore è una forma di energia che si manifesta col movimento delle molecole e degli atomi, quindi maggiore è l’energia accumulata per effetto serra e maggiore sarà di conseguenza l’intensità dei fenomeni atmosferici e questo spiega da sola come l’intensità delle piogge monsoniche e degli uragani si sia accentuata negli ultimi venti anni; per fortuna la superficie del nostro pianeta è ricoperta dall’acqua, che è anche un potente regolatore dell’atmosfera sia assorbendo il biossido di carbonio con il moto ondoso oceanico (producendo una specie di terribile seltz ma molto poco frizzante) ma soprattutto evaporando, creando nubi.
Anche il vapore acqueo è un gas serra terribile, ma è bianco: ha quindi il potere di riflettere la luce solare nello spazio (quindi di innalzare l’albedo del pianeta) e favorire così un calo generale delle temperature.
Il blocco temporaneo della Corrente del Golfo potrebbe far precipitare l’Europa e più in generale l’emisfero nord in una nuova era glaciale impedendo al permafrost siberiano di scongelarsi e liberare nell’atmosfera ingenti quantità di gas serra.
In passato la temperatura del pianeta è stata anche più calda di oggi e molto più fredda di quello che possiamo immaginare ma non c’erano stazioni metereologiche a prenderne i dati, le nostre dirette misurazioni hanno 160 anni di intervallo temporale tant’è che agli inizi del 1800 il Tamigi ghiacciava e nel 1830 Bologna veniva addirittura sepolta da ben 2 metri di neve!
Anche se ancora per qualcuno è immeritato attribuire tutta la responsabilità del cambiamento climatico all’uomo che pur esiste ed è tangibile, ma apposta allora chiedo con forza che si applichi il più stringente principio di precauzione; non conosciamo ancora appieno le cause e le conseguenze di questo cambiamento climatico in atto, ma almeno limitiamo il più possibile il nostro contributo ad esso: le tecnologie ci sono, manca solo la volontà politica globale perché avvenga.