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50 anni dopo lo Sbarco sulla Luna non me la sento di festeggiare.

Ormai mancano poche ore al cinquantenario dello Sbarco sulla Luna. 
Quando fu scoperta la minaccia dei clorofluorocarburi all’intero ecosistema terrestre, nel 1997 tutti gli Stati della Terra fecero fronte comune e imposero il bando totale dei CFC col Trattato di Montreal; oggi, nonostante le belle parole, ancora non vedo lo stesso impegno per scongiurare le altrettanto gravi crisi ambientali. Per questo ora non riesco a gioire come vorrei lo storico anniversario.

 

L'equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra:  Michael Collins, Neil Armstrong e  Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

L’equipaggio della missione Apollo 11: dalla sinistra: Michael Collins, Neil Armstrong e Buzz Aldrin (nato Edwin Eugene)

Checché alcuni allocchi continuino a sostenere il contrario, il 20 luglio del 1969 per la prima volta nella storia un essere umano mise davvero piede sulla Luna; tre uomini, eccetto uno che rimase in orbita, giunsero là dove nessuno era mai giunto prima.
Non sto a ripetere la storia delle missioni e dell’intero Programma Apollo, in questi giorni un po’ su tutte le testate giornalistiche, blog, TV e social non si parla di altro. Ma se da un lato questo mi conforta — finalmente si torna a parlare dell’esplorazione umana dello spazio in termini concreti — dall’altro mi spaventa pensare che dopo cinquanta anni, cinque decadi da quello storico momento, siamo riusciti ad arrivare sull’orlo di una crisi dell’intero ecosistema terrestre.
Mi spiego meglio: la stessa razza umana che cinquant’anni fa è riuscita a compiere quella fantastica impresa, oggi rischia di soccombere (no, non credo all’estinzione di tutto il genere umano ma al crollo della sua civiltà) per tutti gli errori e le opportunità che non ha saputo cogliere in quest’ultimo mezzo secolo.

Ci sono voluti ben tre lustri, dal 1973 al 1997, per far capire al mondo che i CFC (clorofluorocarburi) stavano distruggendo lo strato di ozono che protegge la vita sulla Terra da almeno 2 miliardi di anni. Il presidente della multinazionale Dupont (industria chimica che era fra i maggiori produttori di CFC nel mondo) bollò i primi studi come “spazzatura da fantascienza“; all’epoca i CFC erano usati dappertutto, dall’industria della refrigerazione (frigoriferi e climatizzatori per esempio) fino all’agricoltura, dall’elettronica alla lacca per capelli (bombolette spray). Eppure, dopo le prime conferme sul campo del 1985 che confermavano le responsabilità umane nella distruzione dello strato di ozono, si giunse al bando operativo su tutto il pianeta dei clorofluorocarburi. Oggi quel bando sta funzionando e,  checché ne dicano — o abbiano detto — i vari “mister Dupont” dell’epoca, quella fu la cosa giusta da fare.
Oggi la situazione è altrettanto pericolosamente grave: all’inizio del mese un’intero distretto in Giappone (Kagoshima, un milione di persone)[1] è stato costretto dalle piogge torrenziali ad abbandonare le proprie case; d’accordo, quando qui la gente aspetta ogni occasione per andare al mare per fare i primi bagni, in Giappone (giugno-luglio) è la stagione delle piogge, ma quell’evento era comunque decisamente fuori dell’ordinario anche per loro.
E anche in altri paesi e regioni climatologicamente distanti si stanno sperimentando fenomeni parossistici sempre più estremi e frequenti: l’eccezionale ondata di caldo che ha travolto l’Europa (45° vicino a Montpellier, in Francia) dopo un giugno insolitamente uggioso e fresco; 21° C. sopra il Circolo Polare Artico [2]; 50,6° C. in India appena il giugno scorso, quando qui era insolitamente fresco (nevicò in Corsica).

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli oranismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione.
Credit: XL Catlin Seaview Survey

Questi segnali dimostrano tutta la fragilità di un sistema, quello climatico, che sta pericolosamente deviando per colpa delle attività umane: nel 2016 in Siberia si raggiunsero ben 33 gradi e nella regione dello Yamal (67° N) il disgelo estivo risvegliò un mortale batterio che era rimasto inerte da chissà quanti anni: il Bacillus anthracis, meglio noto come antrace; l’infezione uccise 2000 renne e un bambino; la più grande struttura vivente, visibile pure dallo spazio, ovvero la Grande Barriera Corallina a nord- est dell’Australia da almeno tre anni registra sbiancamenti (morte dei coralli) senza precedenti nella sua storia 1.

Eppure, ancor oggi, nonostante il parere pressoché unanime degli scienziati di tutto il mondo, miliardi di dollari spesi in conferenze e dibattiti internazionali, e una miriade di parole spese in buone intenzioni, quasi nulla è cambiato. Fior di sciocchi e stolti continuano a negare l’evidenza del Global Warming, alcuni bollandola addirittura come bufala comunista studiata dai cinesi per far svenare l’Occidente con l’acquisto di inutili auto elettriche e pannelli solari (fabbricati con le Terre Rare cinesi).
Ho già illustrato su queste pagine le prove del coinvolgimento umano nel Riscaldamento Globale, tanto che parlare di Anthropogenic Global Warming non è affatto sbagliato, anzi. Dopo quasi 25 anni nel 1997 riuscimmo come genere umano a fermare la grave minaccia all’intero ecosistema terrestre rappresentato dallo spregiudicato uso che facevamo dei CFC, mentre oggi una minaccia altrettanto grave si sta palesando ogni giorno; per questo oggi nonostante il cinquantenario dello Sbarco sulla Luna mi sento sconfortato.

Tornando al Programma Apollo che  portò L’Uomo sulla Luna, al di là di tutto ricordo che ogni onere – e merito – fu frutto dell’impegno di una sola nazione. Nell’anno dello sbarco, il costo per gli Stati Uniti d’America fu di 2.4 miliardi di dollari (PDF): appena un ottavo del costo dell’impegno militare in Vietnam di quell’anno che fu di circa 20 miliardi di dollari. In totale la spesa tra il 1961 e il 1973 fu di 26-28 miliardi di dollari dell’epoca (circa 270 miliardi di oggi) [3]. Nello stesso periodo il costo dell’intero sforzo bellico in  Indocina, per gli USA si avvicinò ai 200 miliardi, circa 2000 miliardi (a spanne) di oggi.
Ma mentre ogni dollaro investito nella ricerca spaziale comportava un ritorno di almeno cento negli anni successivi, i 200 miliardi nella guerra del Vietnam ebbero costi almeno triplicati dalla crisi economica successiva, dai costi sanitari per gli invalidi, la caduta del mercato interno e soprattutto la credibilità economica internazionale ne risentì.
Provate per un attimo ad immaginare se invece il bilancio militare mondiale dal 1970 ad oggi fosse stato dedicato alla colonizzazione dello spazio 2.
Con migliaia di miliardi investiti in ricerca e sviluppo invece che a cercare il miglior modo per farci stupide guerre per l’effimero controllo di un pezzo di terra pressoché tutti i mali che ancora affliggono l’umanità potrebbero essere ora un incubo del passato; oggi avremmo saputo come trasferire nello spazio tutte le attività più inquinanti e inaugurato una nuova era di pace e comunione per il genere umano; l’inquinamento che ogni anno causa milioni di morti — molti di più di un conflitto mondiale — sul nostro pianeta sarebbe potuto non essere più una minaccia per l’intero ecosistema terrestre e quel bambino dello Yamal avrebbe avuto l’opportunità di invecchiare magari proprio sulla Luna.

Ora noi potremmo darci tutte le pacche sulle spalle che vorremmo e raccontarci quanto fummo bravi 50 anni fa a raggiungere la Luna. ma se poi tra altrettanti anni (2069) la nostra civiltà non avrà ancora occasione di festeggiare quello che sarebbe potuto essere l’inizio di una nuova era per tutto il genere umano, sarà stata tutta colpa nostra e della nostra cieca stupidità e cupidigia.

 

La bellezza nell’essere unici

Sono colpevolmente assente da queste pagine da molto, troppo tempo. Quest’anno non ho nemmeno avuto il tempo di partecipare alla pubblicità della Notte Europea dei Ricercatori sponsorizzata ogni anno  a settembre per l’Italia dagli amici di Frascati Scienza. Ritengo quel momento fondamentale per l’intera ricerca scientifica europea e le importanti sfide che ci attendono nel futuro e spero di essere presente il prossimo anno come blogger.
Il motivo di questa mia lunga pausa è dovuto al fatto che ho da poco ripreso in mano l’idea, vecchia ormai di due o tre anni, di scrivere un mio libro. Non me la sento per ora di garantire un regolare flusso di articoli finché sarò preso in questo importante progetto che non so per quanto mi terrà impegnato nel prossimo futuro. Per farmi perdonare e per stuzzicare la vostra curiosità, pubblico in anteprima un breve estratto della presentazione che lo accompagnerà.

Tic-tac-toe in the skyOvunque posassimo lo sguardo nell’Universo vedremmo infinite varietà che rendono unico ogni anfratto.
Le leggi fisiche sono soltanto quattro, le combinazioni che i protoni, neutroni ed elettroni possono raggiungere — presumibilmente — sono appena 137. Eppure in questo sterminato Universo fatto di migliaia di miliardi di galassie e infiniti vuoti non c’è una stella, un mondo, un metro cubo di spazio esattamente uguale a un altro.
E anche là dove fosse sorta la vita, non potrebbe esserci un organismo esattamente identico a un altro, sia nello spazio che nel tempo. Restando su questa piccola gemma blu spersa nell’infinito cosmico, nelle migliaia di secoli non è mai esistito animale o vegetale del tutto identico al suo più prossimo. Un solo Pitagora, un solo Giulio Cesare, Gandhi o Einstein: ognuno di noi è lievemente diverso dal resto e proprio questo lo rende preziosamente unico.
Per estensione potremmo affermare che la Specie Umana e la Terra sono uniche in tutto l’Universo e in tutta la sua storia passata, presente e futura. Questo non deve essere visto come un inno all’antropocentrismo ma bensì come lode all’essere umano. 
Come esseri senzienti dovremmo riflettere bene su questo aspetto e di conseguenza mirare le nostre azioni se non vogliamo finire nell’oblio cosmico.

Una plausibile risposta alla celebre domanda “… allora dove sono tutti quanti?” di Enrico Fermi — poi passata alla storia come il Paradosso di Fermi — è che ogni civiltà tecnologica emergente prima o poi è costretta ad affrontare una o più sfide che ne potrebbero decretare il fallimento, un Grande Filtro che di fatto renderebbe il passaggio da civiltà tecnologica a civiltà interplanetaria e poi cosmica molto molto difficile.
Trent’anni fa era la prospettiva di una guerra apocalittica combattuta con armi di distruzione di massa [1. 
Carl Sagan sostenne che è proprio la durata di una civiltà il fattore più importante per stabilire quante esse ci siano adesso nella galassia: egli sottolineò l’importanza delle difficoltà che avrebbero incontrato le specie tecnologicamente avanzate per evitare l’autodistruzione. Questa consapevolezza accese l’interesse di Sagan verso i problemi ambientali e lo spinse ad impegnarsi contro la proliferazione nucleare.] per la supremazia tra due modelli sociali opposti e apparentemente inconciliabili 1,  oggi quell’incubo, anche se non si è mai allontanato del tutto, è stato scavalcato dal degrado ambientale globale, di cui il Global Warming con tutte le sue conseguenze politiche ed economiche che comporta è soltanto il più noto, l’esaurimento delle risorse naturali causato dal dissennato sfruttamento imposto dal modello economico globale imperante, oppure una involuzione sociale causata da una o a tutte le minacce menzionate qui sopra messe insieme.

Qualora ci soffermassimo per un attimo a osservare il percorso evolutivo dell’Universo, potremmo renderci conto che quando facciamo della scienza e della filosofia non siamo nient’altro che Universo che si interroga su sé stesso, un angolo di Autocoscienza Universale che non merita di perdersi nell’oblio del nulla: una flebile scintilla di intelligenza che merita di diventare fuoco eterno.
Affinché l’Umanità emerga  nel panorama cosmico, cosa che mi auguro, essa dovrà saper affrontare grandi e importanti sfide: non esistono scorciatoie per questo traguardo.
E lo dobbiamo per nostri sacrifici, i nostri antenati e tutta la storia di questo pianeta; dobbiamo farlo per assicurare un futuro ai nostri figli e  tutti i nostri discendenti. Altrimenti ogni sforzo, lacrima e sudore versati finora da ogni Uomo sarà stato vano.

Geoingegneria del clima fra superstizione e studi di fattibilità

Mi spiace essere assente su queste pagine così a lungo come in questo periodo. In verità è che sono concentratissimo nel portare avanti il mio antico progetto di costruire un astroinseguitore alla mia maniera, che vorrei terminare prima della eclissi di Luna di luglio. Ma torniamo a noi. Spesso purtroppo esiste un limite sottile oltre il quale molti non osano andare a guardare, un po’ come quelle vecchie signore scandalizzate che in spiaggia si turavano gli occhi alla vista di un bikini ben indossato, lasciando però aperta una sottile fessura per sbirciare meglio. Con questa metafora voglio dire che invece la scienza ha l’obbligo di vedere e di indagare anche e soprattutto è sconveniente.
La scienza è uno strumento. Intellettuale ma pur sempre e solo uno strumento. Non è di per sé buona o cattiva come taluni vogliono che si creda, e piegarla al proprio volere è negare la sua natura.

 

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Nei giorni scorsi mi è capitato di dover affrontare una spinosissima discussione che è in bilico tra le bischerate (le cosiddette fake-news per i detrattori della lingua italiana) e la scienza. Tutto parte da un vecchio servizio del TG2 RAI scritto, come loro solito sui temi di natura scientifica, coi piedi.
Il servizio fa riferimento a uno studio dell’Università di Harvard [4] che parla di test per determinare quale tipo di aerosol può essere efficace ad essere distribuito nell’atmosfera per innescare un calo della sua temperatura e sui suoi effetti sull’ambiente.

“A metà mattina di Pentecoste, l’8 giugno 1783, in un tempo sereno e calmo, una nera foschia di sabbia apparve a nord delle montagne. La nube era talmente estesa che in breve tempo si era diffusa su tutta la superficie e così densa da causare oscurità all’interno. Quella notte vi furono forti terremoti e tremori “
Jón Steingrímsson, sacerdote luterano islandese (1728, 1791)

Di per sé non è un’idea nuova. Già altri in passato avevano proposto di cospargere la troposfera con biossido di zolfo (anidride solforosa) dopo aver notato gli effetti dell’aerosol vulcanico sul clima nell’eruzione del vulcano Pinatubo del 1991 [5]. Anche se  quindi si tratta di imitare in qualche modo quello che già avviene in natura, le eruzioni vulcaniche, l’idea non è poi così innocua.
Negli anni immediatamente successivi al 1793-1794 l’intero continente europeo venne sconvolto da una terribile carestia provocata dall’eruzione del vulcano islandese Laki: le cronache inglesi e irlandesi parlarono di mesi tristi e senza sole; gli effetti furono percepiti fino in Giappone e in Egitto [6]. Furono le piogge acide e il repentino calo delle temperature a scatenare la terribile carestia che poi condusse il popolo francese ormai stremato alle rivolte che culminarono con la Rivoluzione Francese.
Inoltre,  altro effetto altrettanto importante, è la deplezione dello strato di ozono [7]. Già tutto questo dovrebbe bastare a rendere l’ipotesi di riprodurre il comportamento dei vulcani una pessima idea.
Ma questo chi studia il clima lo sa già ed è per questo che il gruppo di Harvard vuole esplorare altre vie che non prevedano la SO2, e quindi parlano di testare vapore acqueo, calcite (carbonato di calcio), ossido di alluminio (allumina) e perfino polvere di diamante su piccole aree usando banali palloni sonda con carichi di un chilogrammo. Altri studi analoghi prendono in considerazione anche altri tipi di particolato, come anche ad esempio polveri con qualità fotoforesiche 1 L’effetto prodotto da queste ricerche è quasi nullo anche per l’area interessata dagli esperimenti ma misurabile. 

Niente di cui preoccuparsi?

Nel 1783 l’eruzione del vulcano islandese Laki influenzò per quasi un decennio il clima del pianeta.

Di certo non dei test in sé, al di là di qualsiasi risultato essi diano; ho più timore dello scarso acume di chi vede in tutto questo un sinistro disegno di controllo e/o di sterminio della razza umana nascosto dietro questi test. Non è certo un chilo di polvere, per quanto strana essa sia, a doverci preoccupare. La Terra nella sua perenne corsa nello spazio raccoglie ogni giorno tonnellate di schifezze spaziali di ogni tipo  [8]. Non mi credete? State qualche giorno senza spazzare sotto il vostro letto e con la finestra aperta. Poi raccogliete la lanuggine e passatela con una calamita; vedrete alcune particelle più o meno piccole, alcune di queste saranno  addirittura microscopiche: quello è pulviscolo cosmico, resti di meteore che ogni giorno intersecano la Terra e vengono distrutte nella fase del loro ingresso nell’atmosfera e rimangono sospese nell’aria prima che si posino sotto il vostro letto.
Oppure, se vogliamo rimanere sugli effetti antropogenici, cioè quelli causati dall’uomo, basti pensare all’inquinamento atmosferico delle nostre città: i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente affermano che i decessi prematuri legati all’inquinamento atmosferico (esposizione a lungo termine al particolato, al biossido di azoto e all’ozono) che si verificano in Europa sono 487600, con il dato italiano molto al di sopra di questa media, con ben oltre 90 mila morti premature ogni anno. Tanto per notare l’entità del disastro ambientale basta salire di quota qualche centinaio di metri e osservare il panorama più in basso verso l’orizzonte. Vedrete una cappa d’aria grigiastra, una caligine mefitica ben più pericolosa per la salute pubblica di qualche test e qualche chilo di polvere sparato intenzionalmente nella stratosfera.
In realtà temo le conseguenze politiche di quei test, che nondimeno appoggio come uomo di scienza. Se quelle teorie si dimostrassero efficaci per ridurre la temperatura del pianeta e innocue per l’ambiente, qualcuno potrebbe pensare che tutto sommato potrebbe non essere una cattiva idea usarle piuttosto che spendere migliaia di miliardi di dollari per abbandonare le energie fossili non rinnovabili. Governi troppo pavidi potrebbero essere spinti a non considerare troppo l’uso delle energie rinnovabili pur di preservare precedenti investimenti nel carbone, petrolio, gas e biomasse in cambio di una spruzzatina qua e là. Senza contare il fatto, come insegna la storia delle eruzioni vulcaniche, una tale operazione per la modifica del clima su scala globale cesserebbe la sua efficacia non appena cessassero le operazioni di dispersione artificiale. Pertanto un rilassamento nelle politiche energetiche a favore delle fonti fossili riproporrebbe, accentuati, gli attuali problemi legati al Global Warming.

Studi di fattibilità

Un Aiurbus Beluga può trasportare carichi di 40 tonnellate per un raggio di 2700 km oppure di 25 per 4600 km.

Una seria analisi dei costi fu svolta nel 2012 coinvolgendo l’Aurora Flight Science Corporation, la School of Engineering and Applied Sciences and Kennedy School dell’Università di Harward e la Tepper School of Business and Department of Engineering and Public Policy dell’Università Carneige Mellon [9]
La cosa sconvolgente è che questo studio pare dimostrare che l’iniezione di SO2 nella troposfera allo scopo di innalzare artificialmente l’albedo del pianeta possa essere una strada teoricamente fattibile e dal costo non poi così elevato: infatti questo afferma che basterebbero da 1 a 5 milioni di tonnellate di materiale particellare all’anno tra i 18 e i 30 chilometri di quota per un costo annuale di soli appena 8-10 miliardi di dollari americani di quell’anno. Altri studi simili furono elaborati durante l’ amministrazione di George Bush senior 2 e nel 2009 e nel 2010. Questi essenzialmente si basano sul particolato di zolfo, che sappiamo essere comunque un agente inquinante, e prendono spunto dai normali voli di linea intercontinentali — quelli cioè che toccano quote di 10000 metri — che potrebbero usare carburante con un più alto tenore di zolfo durante la crociera, mentre nelle fasi di decollo e di atterraggio potrebbero usare il carburante più pulito, grazie al fatto che negli aerei il carburante è comunque già stoccato in diversi compartimenti fra loro indipendenti. Poi sarebbero i venti a disperdere il particolato più in alto nell’atmosfera.
Usare altri tipi di particolato, potrebbe essere ben più complicato e costoso. Mentre nel caso del biossido di zolfo questo è già presente in tracce nel comune carburante di bassa qualità disponibile per gli aerei di linea e quindi meno costoso,  per tutti gli altri casi si tratterebbe di voli studiati solo per questo scopo: occorrerebbero tra i 100 e i 200 mila voli di aerei come l’Airbus Beluga per trasportare 5 milioni di tonnellate all’anno di particolato che non sia zolfo a soli 10000 metri di quota.

Per ora termino qui la prima parte, ben immaginando che qualcuno penserà che stia diventando uno scia-chimista anch’io e nel caso potrò farmi delle grasse risate alle sue spalle. Niente paura: presto arriverà anche la seconda parte e allora capirete che non mi sto rincoglionendo! 😛
Cieli sereni!

La notte europea dei ricercatori 2017

Possiamo senz’altro dire che questo è l’anno in cui le notizie false (fake news) e la farfugliante battaglia politica contro di esse stanno, per ora, dominando il dibattito.
Trovo quella discussione priva di senso perché senza comprendere il meccanismo che si cela dietro di esse non è possibile curare tale fenomeno, un po’ come combattere un ascesso con un analgesico: si può star bene lì per lì ma l’infezione rimane e si propaga agli altri denti.
Prima di Internet e dei social network c’erano i mitici Bar dello Sport, o le osterie se preferite, dove alcuni avventori, di solito sempre gli stessi, facevano a gara a chi la sparava più grossa o magari si limitavano a raccontare fatti in modo talmente distorto e convincente da stravolgere il significato delle notizie in sé. Ma tutto rimaneva confinato nella sfera di paese e, per il fatto che tutti conoscono tutti, finiva che tali racconta storie venivano bollati per quel che erano e infine erano pochi quelli che continuavano a dar loro credito passando poi per creduloni agli occhi della comunità. Con l’arrivo di Internet e la comunicazione globale diretta tali personaggi non si sono moltiplicati ma hanno acquistato una platea infinitamente più vasta dei soliti avventori di osteria; di conseguenza anche il numero dei boccaloni disposti a dar loro credito è parimenti più ampio mentre il classico meccanismo di autodifesa che funzionava per le piccole comunità su Internet ha perso la sua efficacia.
Poi è la volta delle cancellerie e le segreterie politiche, dove la diramazione di notizie false è prassi piuttosto usata per screditare e denunciare le (presunte) malefatte degli avversari: esempi di questi gesti li si trovano all’inizio della II Guerra Mondiale con l’incidente della stazione radio tedesca nel 1939, o l’altrettanto famoso Incidente del Tonchino che scatenò la Guerra del Vietnam, oppure la ben più recente balla delle fialette di antrace (borotalco) dell’ex Segretario di Stato USA Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 2003 che portò alla II Guerra in Irak.
Ma non solo: il triste fenomeno delle fake news colpisce anche la scienza. Senza andare troppo lontano nella memoria basta ricordare l’impossibile miracolo promesso dal Metodo di Bella o dallo Stamina di Vannoni che sono costati milioni di euro di sperimentazioni a tutta la comunità italiana, oppure il caso del pittoresco transistor organico del ricercatore tedesco Jan Hendrik Schön che pubblicava un articolo scientifico (falso) mediamente ogni 8 giorni e che rischiò anche di vincere addirittura un Nobel per le sue finte scoperte. Per carità la scienza ha alcuni suoi automatismi che impediscono alle frodi scientifiche e alle fake news di fare danni irreparabili, come l’obbligo di riproducibilità degli esperimenti, la divulgazione dei dati e la revisione tra pari. Ma tutto questo non basta, basta guardare l’attuale dibattito scientifico sul Global Warming o quello appena più vecchio sulla tossicità del fumo del tabacco prima che questa venisse universalmente accettata e che è costata la vita di milioni di persone mentre i dati delle ricerche scientifiche incaricate di valutarne gli effetti venivano alterati o omessi fino alla palese evidenza che qualcosa non tornava.

In verità esistono antidoti alle fake news e le frodi in generale: la conoscenza e la cultura.
Io – parlo per me e le mia povera cultura, ovviamente – per esempio quando sento di apocalittiche catastrofi che stanno per colpire la Terra, come la recente ma periodica bischerata di Nibiru (il Pianeta IX) che starebbe per collidere con la Terra, quella legata al calendario Maya del 2012, o le tante altre scemenze come le scie chimiche degli aerei sorrido, perché so quel che sono: panzane. Ma chi non è dotato delle conoscenze adeguate sul campo preso di mira dalla fandonia — perché questo sono le fake news: bugie create scientemente ad arte — è assai facile da abbindolare. Per questo è importante dare ascolto a chi studia ed conosce quello specifico argomento.
Per questo la Commissione Europea promuove e finanzia ogni anno la Settimana della Scienza e l’evento conclusivo La Notte Europea dei Ricercatori che quest’anno ci sarà il 29 di settembre 2017. Del tema della manifestazione di quest’anno curata da Frascati Scienza ne ho parlato nello scorso articolo, così come l’elenco delle università e enti scientifici che da questa sono coordinate per conto della Commissione Europea.

Conoscere, cercare la verità ovunque si celi, essere culturalmente preparati.  È questo quel che serve per riconoscere una fandonia o una frode, e la Notte Europea dei Ricercatori non è certo la cura ma è un assai promettente inizio da non lasciarsi senz’altro sfuggire.
Certi della Vostra partecipazione, all’evento di quest’anno (29 settembre), Frascati Scienza, la Commissione Europea, io ma sopratutto le migliaia di ricercatori che lavorano e studiano per noi ogni giorno dell’anno vi ringraziamo.

La fusione dei ghiacciai e il campanilismo antiscientifico

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d'acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall'articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate. Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d’acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall’articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate.
Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

La scienza  aborre i campanilismi. Ogni campanilismo.
Solo 120 anni fa la Legge di Gravitazione di Newton pareva spiegare tutto: dalla caduta di un frutto dall’albero all’orbita della Luna e dei pianeti; eccetto uno. Un pianetino poco più di un terzo più grande della nostra Luna, Mercurio, ha un moto orbitale che non può essere spiegato con le leggi di Keplero, di cui la legge di Gravitazione Universale è l’espressione matematica. Occorse attendere la Relatività Generale di Einstein per capire perché quel sassolino nello spazio, così vicino al Sole, avesse quell’orbita. Per questo affermo che la scienza aborre ogni forma di campanilismo, ogni teoria è valida finché qualche fenomeno fino ad allora inspiegabile trova una nuova spiegazione universalmente valida.

E la climatologia è una scienza.  Può non sembrare esatta perché è estremamente complessa, ma è una scienza e come tale anche lei aborrisce i campanilismi.
Giusto stamani una mia carissima amica è stata oggetto di deploro per aver condiviso un articolo che nel titolo manifesta perplessità sulla responsabilità del Riscaldamento Globale sullo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia [cite]http://goo.gl/5WBgoS[/cite] [cite]http://goo.gl/xJ70qp[/cite]. Bastava leggere l’articolo senza soffermarsi al titolo per capire che esso descrive un fatto reale e che questa forma di campanilismo è quanto di più becero e lontano che ci possa essere dalla scienza.
Pur esprimendo conclusioni che io considero opinabili, l’articolo di cui offro il link più sotto, il primo, mette in evidenza un fenomeno forse poco conosciuto dai più ma che invece ha una grande importanza sugli effetti del clima: la neve sporca.
In pratica diversi studi del ricercatore Marco Tedesco del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, indicano che è in atto da almeno un paio di decadi un meccanismo di feedback positivo causato dalla maggiore capacità dei ghiacciai di assorbire la radiazione solare che provoca la loro fusione. La causa sono le polveri presenti nell’atmosfera e che la neve raccoglie a scatenare questo meccanismo. Durante la stagione più calda la neve che man mano si scioglie aumenta per ogni unità di superficie il tasso di impurità presente e che fino ad allora era intrappolata nel manto nevoso. Queste impurità aumentano la capacità di trattenere ancora più energia e questo provoca ancora altro discioglimento. I vari cicli di fusione diurna e congelamento notturno favoriscono la creazione di cristalli di ghiaccio ancora più grandi e meno riflettenti col risultato di abbassare ancora di più l’albedo – il rapporto tra la radiazione solare riflessa e quella in arrivo – dei ghiacciai, ossia un aumento del tasso di scioglimento di questi.
Dove sia la contraddizione tra questa notizia e il Global Warming in atto non lo capisco. Il clima globale è il risultato di tanti piccoli eventi e fenomeni che presi singolarmente alcuni di essi paiono in contrasto o che sembrano slegati fra loro.
IMG_0427Qui la componente comune col Riscaldamento Globale è da ricercarsi  nelle polveri. Non è affatto un mistero che già in passato siano state rivelate tracce di polveri inquinanti di origine antropica nelle carote di ghiaccio prelevate in Antartide [cite]http://www.nature.com/articles/srep05848[/cite] e in Groenlandia [cite]http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/es970038k[/cite], dove addirittura furono trovate tracce dell’inquinamento Romano e Cartaginese. Nell’aria il pulviscolo atmosferico (quella polvere che vedete sospesa nei raggi di luce che attraversano una stanza buia e che si accumula sotto i letti e sui mobili) è in perenne movimento; ogni volta che respirate fate entrare alcune particelle prodotte giorni e mesi fa in Cina, altre in India o in Perù o in Canada. Queste possono essere di origine biologica, minerale, il prodotto di processi industriali oppure un miscuglio di tutti questi. Le precipitazioni atmosferiche intrappolano e trasportano al suolo queste polveri e nel caso delle nevi possono rimanere intrappolate anche per anni e secoli; dipende dal clima locale.
Nel caso dei ghiacciai groenlandesi questo fenomeno di rilascio sta avvenendo ora. Non è necessario vedere la neve più sporca ad occhio nudo, al meccanismo di retroazione che ho descritto più sopra non serve; avviene.  E tutti i meccanismi di retroazione positiva, come questo, sono molto difficili da controllare e bloccare. l’unica cosa veramente efficace è quella di prenderne atto e di bloccarli alla fonte. Ovviamente non si possono fermare i fenomeni naturali come le polveri provenienti dai deserti – vi è mai capitato di scoprire che dopo una pioggia il vostro balcone o la vostra auto fosse ricoperta di una patina rossastra? quella è spesso la polvere del Sahara – o le eruzioni vulcaniche o il pulviscolo biologico. Ma molte polveri originate dalle attività umane sì. Abbattitori industriali che catturano le polveri delle ciminiere, conversione degli impianti di riscaldamento a olio combustibile a forme meno inquinanti e più efficienti (i frequenti allarmi dell’inquinamento metropolitano sono causati molto più dai sistemi di riscaldamento domestico che dal traffico automobilistico, solo che fermare le auto è più facile) abbandonare la tecnologia dei combustibili fossili là dove è fisicamente possibile.

Quindi non c’è contraddizione tra Global Warming e la fusione dei ghiacciai groenlandesi, alpini e del Tibet, così come non c’è con la morte della Grande Barriera Corallina australiana. Sono tutti fenomeni in gran parte riconducibili all’inquinamento umano che ha innescato diversi meccanismi che si autoalimentano e che sono quasi impossibili da controllare.
Qui ha ragione il Presidente Barak Obama quando afferma che noi siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per fermare tutto questo.  Non voglio che questa generazione sia ricordata come quella che poteva ma che non fece.

Notte europea dei ricercatori 2015, ci siamo!

visualSempre più spesso sentiamo parlare nei notiziari di disastri naturali o addirittura ci è capitato di vivere quei tristi momenti in prima persona. Spesso questi tristi eventi mietono vittime tra la popolazione e sono causa di ingenti danni economici. Purtroppo fenomeni come il Global Warming e la depauperazione delle risorse e del territorio possono trasformare anche  un banale forte acquazzone agostano in una catastrofe (come di recente è capitato in Toscana e in buona parte del Sud Italia).
Per risolvere questi problemi non basta parlarne ma occorrono soluzioni concrete. Non basta riempirsi la bocca di decrescita felice o proporre il ritorno alla bucolica vita preindustriale come spesso si vede inneggiare sui social network e nei convegni New Age.
Non è pensabile una regressione agli schemi di vita preindustriale, e in un mondo sempre più interconnesso parlare di localismo non è proprio il caso. La risposta sta nella ricerca, anche in quella più lontana dalle ricadute pratiche immediate che cade nell’abusato termine di ricerca di base. Chi chiede oggi a cosa serve cercare acqua su Marte, scoprire quanto pesa il bosone di Higgs, la natura dei neutrini solari, lo fa con lo stesso spirito di chi criticava Alessandro Volta che faceva sgambettare le zampette di rane dissezionate, di chi dava del pazzo – invitandolo ad andare magari alla Longara – a Guglielmo Marconi 1 con i sui esperimenti con i rocchetti di filo, a chi pensava che fosse inutile lo studio dei fenomeni fotoelettrici di Einstein.
Se oggi abbiamo le telecomunicazioni a lunga distanza, se possiamo programmare le sonde ai confini del Sistema Solare, la telemedicina e tantissime altre scoperte ed invenzioni che hanno arricchito questo mondo lo dobbiamo a quei veri Indagatori del Mistero del passato, molti dei quali non hanno nemmeno una targa che li ricordi. E se vogliamo che ci sia ancora un domani, che quelle che ancora ci sembrano sfide impossibili come contrastare le tempeste, sconfiggere malattie per ora incurabili, resistere alla forza dei terremoti e così via, dobbiamo avere fiducia nella scienza e nella ricerca. Le basi per uno Sviluppo Sostenibile partono proprio da qui.
banner-700x300E proprio per vedere lo stato dell’arte della ricerca scientifica italiana, il prossimo 25 settembre ci sarà la Notte Europea dei Ricercatori, un appuntamento [cite]http://goo.gl/T1KYMD[/cite] annuale giunto alla sua decima edizione, un importante progetto promosso e finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma europeo Horizon 2020. che chiuderà la Settimana della Scienza, una kermesse di 7 giorni di eventi e dibattiti scientifici organizzate da molte università italiane. Unica coordinatrice della serata per l’Italia è l’Associazione Frascati Scienza.
Gli eventi previsti in tutta Italia sono tantissimi, è praticamente impossibile raccoglierli e descriverli tutti, qui potrete trovare solo un elenco di alcuni di questi previsti per il 25 settembre [cite]http://goo.gl/3f2y2U[/cite], oppure provate a chiedere il programma presso le segreterie della vostra università più vicina e, nel caso fosse una di quelle che ancora non partecipano, beh chiedete di farlo nelle prossime edizioni 🙂


Note:

Nuovi studi sul surriscaldamento del permafrost artico

Mentre i segnali di una catastrofe ambientale di enorme portata sta allarmando seriamente  gli scienziati, il  massimo interesse della politica mondiale pare concentrata su “escortate” come il mantenimento in vita dell’attuale modello di sviluppo economico piuttosto che il benessere del pianeta e la democrazia dei popoli. L’ideologia che è alla base del disastro planetario lungi dall’essere messa pubblicamente sotto accusa 1 viene ancora strenuamente difesa da ottusi ottuagenari  e i loro poco più giovani lacché, tant’è che tutte le conferenze internazionali sul clima sono miseramente fallite – l’ultima è quella di Durbans in Sud Africa – per miopi interessi di bottega.

Il dipartimento americano per l’energia (DOE) ha iniziato un programma di ricerca per indagare gli effetti sul clima se i 1500 miliardi di tonnellate di carbonio organico congelati nel permafrost della fascia artica (Siberia, Canada, Alaska, Nord Europa) dovessero essere scongelati dal riscaldamento globale 2.
Questo programma – dal costo di 100 milioni di dollari – si chiama Next-Generation Ecosystem Experiments (Ngee) e serve per sviluppare un raffinato modello di simulazione di come microbi del suolo, piante e acque sotterranee possono reagire e controllare l’immensa quantità di carbonio 3 immagazzinato nella tundra artica. Il modello climatico che uscirà da questo esperimento verrà incluso nei modelli previsionali dell’andamento climatico terrestre per i prossimi 50-100 anni.
Il programma cercherà di analizzare gli effetti del cambiamento climatico dalla più piccola scala molecolare fino alle dimensioni delle cellule climatiche ambientali che misurano dai  30 ai 100 km di lato.
Altre ricerche precedenti avevano stimato che un riscaldamento di 2,5 ° C nell’Artico entro il 2040 potrebbe causare il rilascio tra i 30 e i  63 miliardi di tonnellate di carbonio 4. Le attuali emissioni globali di CO2 derivate dalla combustione di combustibili fossili, la deforestazione e le altre attività umane sono stimate complessivamente di oltre 10 miliardi di tonnellate l’anno.
I ricercatori sono particolarmente preoccupati per il fatto che che il disgelo del permafrost rilascerà il carbonio nell’atmosfera principalmente sotto forma di metano 5, un gas serra molto più potente del biossido di carbonio, che potrebbe accelerare il riscaldamento globale con conseguenze difficilmente immaginabili 6.
La squadra di progetto Ngee coinvolgerà circa 50 ricercatori ed è una collaborazione tra i laboratori del dipartimento di energia nazionale e l’Università dell’Alaska Fairbanks.
Il programma Ngee probabilmente verrà esteso anche ad altri ricercatori internazionali che vorranno includere altre zone artiche fuori dall’Alaska.

Fonti:
http://www.nature.com/news/permafrost-science-heats-up-in-the-united-states-1.9681

La prima condanna per inquinamento luminoso in Italia

 

 

 

 

 Finalmente una bella notizia!
Per lo specifico vi rimando al link dell’Unione Astrofili Italiani, permettetemi però di spiegare perché reputo questa una buona notizia non solo per la lotta contro l’inquinamento luminoso, ma anche per  quello ambientale.

Per illuminare un’area del vostro giardino o terrazzo (ma questo vale anche per gli spazi pubblici) occorre una certa energia per produrre luce. Se a questa però si consente anche di disperdersi verso il nulla, occorrerà più luce – e quindi più energia – per illuminare ad un certo modo il luogo desiderato.
Se invece quella luce dispersa viene diretta dove è necessario occorrerà generare meno luce – e quindi sarà necessaria meno energia – per ottenere lo stesso grado di illuminazione.

Minore consumo di energia significa generarne di meno e di conseguenza inquinare di meno. Quindi un attento uso di lampade ad alta efficienza, superfici riflettenti e specchi può limitare fortemente l’inquinamento luminoso e contemporaneamente contribuire alla riduzione dei gas serra responsabili del Global Warming generati per produrre l’energia elettrica che alimenta le vostre lampadine.

Unione Astrofili Italiani – UAInews.

Le nubi nottilucenti e il buco nell’ozono artico

Le nubi nottilucenti

Nubi nottilucenti a Venezia - Credit: Mautizio Estri, 2006

Alle latitudini più elevate, di solito sopra i 50° 1, nei mesi estivi capita di osservare nel cielo un tipo molto particolare di nubi chiamate nottilucenti (in inglese Noctilucent Clouds o NLC, oppure Polar Stratospheric Clouds o PSC), chiamate così perchè paiono risplendere quasi di luce propria contro il fondo più scuro del cielo.
In realtà non è così, sono particolari e rare formazioni nuvolose che si formano nella mesosfera (la parte più alta della stratosfera),  a 50-70 chilometri di quota – mentre di solito le nubi più alte non superano i 12 km di quota (troposfera) – illuminate dal Sole sotto l’orizzonte tra il crepuscolo civile 2 e il crepuscolo astronomico 3, ovvero tra 24 minuti a 72 minuti prima – o dopo – che il Sole sorga – o tramonti.

Credit: Il Poliedrico

Le NLC furono notate la prima volta nel 1885, dopo l’esplosione del vulcano Krakatoa, avvenuta nel 1883 in Indonesia. Questo evento portò a ipotizzare che queste nubi fossero causate dal residuo di polveri vulcaniche nell’alta atmosfera, e che meccanismi simili, come ad esempio polveri meteoriche, potessero alimentarle.
Purtoppo è estremamente difficile analizzare queste nubi: sono troppo alte per i palloni sonda e troppo basse per i satelliti. Solo le sonde a razzo possono analizzarle per pochi secondi, insufficienti per qualsiasi tipo di analisi approfondito e continuativo.
Adesso sappiamo però che sono minuscoli granuli di ghiaccio che probabilmente si aggregano attorno  al pulviscolo metorico o vulcanico che funge da seme di crescita per i cristalli.
Le recenti eruzioni vulcaniche del 2010 in Islanda e in Kamchatka hanno certamente contribuito al pulviscolo vulcanico nella mesosfera, il problema però che non è di facile soluzione è il meccanismo che trasporta l’acqua (o meglio vapore acqueo) in quella fascia atmosferica che è orribilmente secca.

Il ruolo dell’acqua

Credit: Wikipedia

Il ciclo del  vapore acqueo nella mesosfera è estremamente importante quanto per ora quasi sconosciuto.
Infatti se l’acqua sulla superficie del pianeta  è necessaria per la vita, nella mesosfera distrugge lo strato di ozono che ci ripara dalla radiazione ultravioletta del Sole 4.

Uno dei principali responsabili del meccanismo di produzione dell’acqua stratosferica pare essere il metano, considerato da molti politici e scienziati come il più pulito dei combustibili naturali – volutamente dimenticando di menzionare  che è un potente gas serra naturale 72 volte più potente dell’anidride carbonica, che viene trasportato dalle correnti d’aria oltre la  stratosfera e scisso nei suoi componenti atomici dalla radiazione ultravioletta del Sole 5.
I prodotti della scissione del metano distruggono le molecole di ozono per produrre molecole d’acqua,  che poi si manifesta formando le nubi mesosferiche polari.

Credit: Wikipedia

In pratica, la fotolisi del metano (CH4) produce metile (CH3) e idrogeno atomico (H). L’ozono invece si produce attraverso l’assorbimento della radiazione solare ultravioletta da parte delle molecole di ossigeno che si scompongono e ricompongono continuamente, ma l’ossigeno atomico anziché ricombinarsi con quello molecolare per riformare l’ozono, si lega con l’idrogeno formando ossidrile (O + H -> OH) e in seguito acqua (H + OH -> H2O).
Il feedback positivo innescato dai radicali liberi prodotti dalla fotolisi del metano, e probabilmente anche da altri tipi di idrocarburi arrivati nella troposfera, sopra lo scudo di ozono e la conseguente produzione di vapore acqueo, è in grado di distruggere lo strato di ozono con estrema facilità.
Altra acqua può arrivare attraverso materiale microcometario dallo spazio esterno. Non sappiamo quale meccanismo tra questi sia il più importante, ma  quasi certamente l’ordine è questo, e sappiamo che il vapore acqueo e i cristalli di ghiaccio sono altrettanto nocivi per lo strato di ozono quanto i meccanismi che li creano 6, quasi quanto il cloro e il bromo dei CFC rilasciati nell’atmosfera dalle attività umane fino alla loro messa al bando nel 1990 7.
Un’altro evento deleterio per l’ozono che diventa ancora più instabile perché ostacola il suo ciclo naturale è il freddo.
Durante l’estate la mesosfera polare raggiunge i 110° K (-163 Celsius) perché è troppo sottile (un centomillesimo di bar) per trattenere il calore come gli strati più bassi, anzi il calore solare assorbito viene consumato per espandersi, e quindi raffreddarsi ancora di più. Un accentuato effetto serra limita la convezione del calore trattenuto dagli strati inferiori dell’atmosfera verso la stratosfera, col risultato che questa si raffredda molto di più a fronte dell’aumento della temperatura nella troposfera, alterando significativamente il ciclo di produzione dell’ozono.
Le conseguenze per l’equilibrio termodinamico dell’atmosfera sono tremende anche per la circolazione dei venti come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

Alcuni scienziati sono scettici che stia aumentando il metano nella mesosfera – e quindi il vapore acqueo – necessario alla produzione delle NLC, obbiettando che una maggiore presenza di vapore acqueo dovrebbe riflettersi nella formazione di cristalli più grandi e quindi di nubi più luminose.
A mio avviso sbagliano, le dimensioni dei cristalli di ghiaccio possono rimanere le stesse per i più disparati motivi legati alla particolare chimico-fisica ambientale, questo si tradurrebbe automaticamente con l’avere nubi molto più estese con la stessa solita luminosità.
In effetti è quello che si registra da quasi cinquant’anni: nonostante che il numero degli osservatori sia rimasto pressoché costante, un po’ tutti loro sono concordi di un aumento delle NLC segnalate 8, mentre anche le attività industriali fanno sempre più ricorso ai combustibili fossili e naturali.

Il buco nell’ozono artico

Comunque sia, il gemello del famigerato buco dell’ozono antartico adesso lo abbiamo anche noi sulle nostre teste 9, e non sono i CFC i responsabili, quanto potrebbe quasi sicuramente essere la nostra stessa tecnologia che fa largo uso degli idrocarburi: infatti se mettessimo sullo stesso grafico temporale la storia umana degli ultimi 200 anni e le nubi nottilucenti ci renderemo conto come siano apparse la prima volta all’inizio della cosiddetta seconda era industriale 10 e siano state presenti nei cieli polari quasi ininterrottamente fino ad oggi 11.

Conclusioni

Adesso è chiaro il collegamento tra l’esistenza delle NLC e il deterioramento dell’ozono stratosferico. Molto probabilmente il principale responsabile è il metano e in ultima istanza la dipendenza dai combustibili fossili e naturali (CFN) della nostra società.
Così scopriamo come i CFN non sono responsabili solo del Global Warming, ma anche del significativo deterioramento dello strato d’ozono che ci protegge dagli ultravioletti solari, con tutte le sue deleterie conseguenze, visto che va a incidere proprio sulle aree più densamente popolate e tecnologicamente avanzate del pianeta.
Ovviamente è improponibile un passo indietro nel progresso tecnologico, piuttosto è indispensabile un passo avanti per superare la dannosa dipendenza dai CFN verso forme energetiche sostenibili, rinnovabili e più efficienti.
Sono bastati sessant’anni di uso dei CFC per fare un danno ecologico senza precedenti e di questi 21 sono trascorsi tra accorgersi del problema e avviare una soluzione. Lo sforzo politico mondiale è stato notevole e nella giusta direzione.
Soprattutto ora in questa fase di crisi economica sarà più facile chiedere dei sacrifici nello stile di vita alla popolazione del pianeta, soprattutto poi se da questi tutti ne trarranno beneficio in termini di riduzione degli sprechi energetici e dell’inquinamento ambientale.
Ricordate il mio Punto Triplo dell’Umanità? Sta a noi decidere adesso con le nostre scelte e i nostri sacrifici se lasciare alle future generazioni un mondo pienamente vivibile o un mondo di caos senza più speranza.

Intanto è importante tenere d’occhio il fenomeno delle nubi nottilucenti anche dove – per ora – non sono state avvistate, non si sa mai … 12.

Altre letture consigliate:
The Ozone Hole
Atmospheric Chemistry and Physics

 

Vita, Intelligenza e Civiltà

La vita è un concetto talmente grande e a volte arbitrario che a fatica se ne possono definire i contorni, figuriamoci tentare di definire cose è intelligente o non lo è.

 

Cristalli di selenite delle grotte di Naica, Messico

In ogni dibattito scientifico si parte sempre da espressioni comunemente condivise, un linguaggio base comune. Quindi prima di usare certi termini come Vita, Intelligenza e Civiltà occorre partire da espressioni comuni e condivise su cosa significhino questi  termini, altrimenti tutto il resto è inutile.

La Vita

Da sempre filosofi e scienziati hanno dibattuto  su ciò che è vita e ciò che non lo è, quali sono le sue origini e quale possa essere il suo fine ultimo. Una discussione che forse non può avere scritta la parola fine, perché questo è uno dei pochi dibattiti fondamentali della razza umana, ovvero chi siamo e perché, da dove arriviamo e perché, dove andremo e perché:
c’è sempre un perché in ogni domanda, questa è una delle poche cose di cui possiamo esser certi.

Potremmo definire la vita come qualcosa che nasce, che si nutre, che si riproduce e che muore modificando l’ambiente che lo circonda, ma anche il fuoco nasce, cresce si nutre a scapito dell’ambiente, si può riprodurre e poi muore. Anche i cristalli nascono, crescono nutrendosi degli elementi chimici catturati nell’ambiente circostante  creando una struttura altamente organizzata e si riproducono. Eppure non si possono definire il fuoco o i cristalli vivi.
Dal punto di vista prettamente scientifico per Vita si intende un sistema che è essenzialmente in squilibrio termodinamico perenne – o stazionario – con l’ambiente e che sottrae energia per il mantenimento di questo squilibrio da ess0 1 2

La vita come la conosciamo qui sulla Terra lascia traccia della sua esistenza attraverso modifiche essenzialmente chimiche sull’ambiente, come ad esempio la liberazione dell’ossigeno molecolare nell’atmosfera ad opera delle piante o come depositi di calcare prodotti da miliardi di microorganismi morti nelle argille, ma non per questo la rivelazione di  alcuni di questi indicatori  indiretti esclude diversi processi chimici che possano ottenere gli stessi risultati. Questo si chiama principio di precauzione, ed è fondamentale per ogni seria e rigorosa analisi scientifica.

Alcuni corvi hanno sviluppato un comportamento intelligente

Per questo non è affatto facile distinguere un processo vitale da uno che non lo è,  scoprire la Vita tramite soltanto indicatori indiretti è molto difficile.

L’Intelligenza

Dopo tutte queste difficoltà per stabilire ciò che è vivo,  definire anche cosa possa essere considerato intelligente, non è affatto semplice.
Sulla Terra esistono innumerevoli forme di vita, dal protozoo all’uomo, dall’alga azzurra alla sequoia, tutte con diversi gradi di organizzazione sociale e ambientale.
Le alghe o i coralli ad esempio vivono in colonie dettate dall’ambiente, cioè dalla temperatura, dalla disponibilità di luce e nutrienti immediatamente disponibili; quando uno di questi fattori cambia o cessa queste colonie ambientali hanno tre scelte, le quali nessuna esclude l’altra: adattarsi alle mutate condizioni ambientali, migrare verso condizioni ambientali più favorevoli , o morire.
La sardina vive in banchi. Questi banchi si muovono in maniera ordinata e disciplinata alla ricerca di un ambiente ricco delle risorse necessarie al loro sostentamento, se attaccati da altri predatori, le sardine nei banchi si muovono all’unisono per difendersi, i banchi sembrano intelligenti,  ma non per questo si può definire la sardina un forma di vita particolarmente  intelligente.

 

Specie rapporto m.cerebr./peso
piccoli uccelli 1/12
uomo 1/40
topo 1/40
gatto 1/100
cane 1/125
rana 1/172
leone 1/550
elefante 1/560
cavallo 1/600
squalo 1/2496
ippopotamo 1/2789

Lo stesso dicasi ad esempio di formiche o delle api: creature animali che vivono in colonie capaci di manipolare direttamente l’ambiente, dotate di una struttura sociale complessa con mansioni e funzioni specializzate codificate dalla selezione naturale a livello genetico, che non sono frutto di una scelta individuale ma della sottospecie di appartenenza.
Negli animali superiori  ci si può riferire alla complessità dell’intelligenza osservando  la quantità di materia cerebrale in rapporto al peso corporeo, ma anche qui non si fanno enormi passi avanti, come si può vedere anche dalla tabella: dubito che un tordo o un piccione sia più intelligente di uno dei miei gatti, o che ognuno di voi lo sia quanto un comune topo. Almeno  questo criterio nudo e crudo per stabilire chi, cosa e quanto possa essere intelligente proprio non funziona.

Specie EQ
Uomo 7.44
Delfino 5.31
Scimpanzé 2.49
Elefante 1.87
Balena 1.76
Cane 1.17
Gatto 1.00
Cavallo 0.86
Pecora 0.81
Topo 0.50
Coniglio 0.40

Con le dovute correzioni, con i dovuti coefficienti l’equazione Massa Cerebrale/Peso Corporeo 3  migliora, ma a me sembra sembra sempre più un artificio matematico che un serio metodo scientifico di indagine.

Anche qui stabilire quale forma di vita sia intelligente o meno non è affatto facile.

 

 

La Civiltà

 

Uno dei simboli della nostra civiltà: il microchip

Volendo proseguire su questa strada si può affrontare il tema Civiltà:  cos’è che distingue una civiltà da un’altra?
Abbiamo avuto gli Assiri, gli Egiziani e i Cinesi che svilupparono diverse forme di scrittura più di 5000 anni fa, mentre pitture rupestri 4  già da dal 12000-10000 a.C. testimoniano probabilmente la volontà di trasmettere tracce storiche di eventi alle generazioni successive.
Ma ci sono civiltà che non hanno eretto templi maestosi e non hanno una storia scritta che nonostante tutto sono sopravvissute fino ai nostri tempi, popoli che non hanno conosciuto la scrittura o la nostra tecnologia fino a quando non li abbiamo incontrati, come diverse tribù di indios sudamericani o gli aborigeni australiani o popoli cosiddetti primitivi dell’Africa.
Non mi sento di definirli primitivi, perché il loro sviluppo intellettivo è come il nostro, solo che le loro civiltà hanno compiuto scelte radicalmente opposte rispetto alle nostre: prendono solo quello che trovano in natura, non sconvolgono i mari con la pesca intensiva, non distruggono l’ambiente che li circonda per poche risorse in più.
Il loro è un modello di società statica, ma non per questo meno funzionale del nostro, altrimenti si sarebbero già estinti.
Il nostro invece è un modello dinamico, in continua evoluzione, anche se questo ci ha condotti pericolosamente vicino all’autodistruzione più di una volta e , per ora, l’abbiamo sempre scampata per un pelo. L’esaurimento delle risorse del pianeta ci presenta infatti il conto delle nostre scelte col Global Warming (Riscaldamento Globale), mentre magari un modello di società in equilibrio con le risorse naturali del pianeta non sarebbe mai arrivato a questo punto. Però quest’ultimo modello non avrebbe sviluppato una tecnologia avanzata come quella elettronica, non avrebbe iniziato a sviluppare il volo spaziale e quello che abitualmente noi diamo per scontato e per molti vitale.

Quindi Civiltà, Intelligenza e Vita potremmo anche non riconoscerle per quello che sono casomai un giorno avessimo l’occasione di  incontrarne di diverse da quelle che noi conosciamo. E non dovremmo neppure avere la presunzione che queste siano necessariamente simili alla nostra.

 

http://ilpoliedrico.com/2011/06/punti-di-vista.html