Come ti calcolo le proprietà di un esopianeta, la massa

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Nella prima parte ho dimostrato come si possono ottenere con dei semplici calcoli alcune proprietà di un ipotetico pianeta in orbita ad una stella remota. La parte più difficile è però calcolare la massa dell’esopianeta, una sfida difficile ma ricca di soddisfazioni.

Credit: Il Poliedrico.

Credit: Il Poliedrico.

La Seconda Legge del Moto di Newton e la Legge di Gravitazione Universale mostrano che esiste un elegante rapporto tra il semiasse maggiore dell’orbita e il periodo di rivoluzione di un qualsiasi pianeta.
Di conseguenza, conoscendo esattamente il periodo orbitale e la distanza che divide un pianeta dal suo centro di massa con la stella a cui appartiene è possibile estrapolarne la massa:
\begin{equation}
\frac{P^2}{a^3}=\frac{4\pi^2}{G(M_{\bigstar} +M_{p})}
\end{equation}

Pertanto osservando le leggi universali del moto e della gravitazione di Newton potrebbe sembrare che sia abbastanza semplice estrapolare la massa di un esopianeta 1; quello che occorre è la conoscenza più accurata possibile degli elementi orbitali dell’esopianeta.
La distanza prospettica tra la proiezione della corda di transito e la corda del massimo transito è descritta matematicamente come $b=a \hspace{2} cos(i)$, dove $a$ è il raggio dell’orbita del pianeta, assumendo per assurdo che l’orbita dell’esopianeta osservato sia perfettamente circolare ($\varepsilon =0$ e velocità orbitale costante). Osservando la figura qui sotto si nota che il cateto $l$ opposto all’ipotenusa $R_{\bigstar}+R_{p}$ e pari alla metà del percorso del pianeta davanti alla sua stella, lo si può scrivere come :
\begin{equation}
l=\sqrt{\left( R_{\bigstar} + R_{p}\right)^2 – b^2}
\end{equation}.

Pertanto il percorso osservato del’esopianeta (A -> B) sul disco stellare è pari a 2$l$.
Osservando la figura all’inizio è evidente che l’esopianeta mentre transita davanti alla stella muovendosi tra A a  B  compie un angolo (espresso in radianti) $\alpha$ dove il centro è il centro di massa del sistema 2.
Così si ha per il triangolo $\overline{AB}$ e il centro di massa, la durata visibile del transito:
\begin{equation}
sin \left( \frac{\alpha}{2}\right)=\frac{l}{a}
\end{equation}\[\rightarrow\]\begin{equation}
D_{transito}= P\frac{\alpha}{2\pi}=\frac{P}{\pi}sin^{-1} \left(\frac{l}{a}\right)=\frac{P}{\pi}sin^{-1} \left(\frac{\sqrt{\left( R_{\bigstar} + R_{p}\right)^2 – b^2 }}{a}\right)
\end{equation}

Per procedere oltre, occorre stimare la durata massima del transito, come se si osservasse il piano orbitale  proprio di taglio, quando il pianeta cioè attraversa la stella sul suo equatore. Infatti la durata del transito osservato è generalmente minore rispetto a quella massima possibile che si avrebbe solo quando il piano planetario è parallelo all’osservatore, data la casualità dei piani planetari delle altre stelle rispetto all’osservatore.

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Come è possibile osservare nella figura qui sopra la proiezione del pianeta sul disco stellare è falsata dall’angolo $i$, inteso come l’angolo compreso tra la linea di vista e il piano orbitale effettivo dell’esopianeta ($i$=90° se il piano orbitale è sulla stessa linea di vista). Conoscere l’ampiezza dell’angolo $i$ restituisce l’idea di come è pertanto posizionato nello spazio il sistema planetario extrasolare rispetto all’osservatore. Quindi in realtà la durata del transito osservata sarà pari a $D_{transito}= D_{max} \cdot sin(i)$. Ma non solo, come è possibile osservare nella simulazione qui a fianco,  lo sviluppo del transito su una corda diversa dalla corda massima (il diametro) influenza anche la curva di transito osservata, accorciando il periodo del picco minimo osservabile e stirando i periodi parziali [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/0210099[/cite].
Adesso la durata massima del transito si può descrivere matematicamente come:
\begin{equation}
\frac{P\frac{\alpha}{2\pi}}{sin \left (i \right)}
\end{equation}

perché la lunghezza della corda di transito è falsata (e quindi minore) rispetto alla corda massima disponibile dal $sin(i)$.
Quindi applicando la legge dell’anno siderale di Gauss  si scopre che:
\begin{equation}
\frac{2\pi}{k}=D_{max}\frac{2\pi}{\alpha}
\end{equation}\[\rightarrow
\]
\begin{equation}
\alpha / D_{max}=k
\end{equation}

Il periodo orbitale rilevato dalla frequenza dei transiti restituisce la durata dell’anno siderale reale, ovvero quello che è prodotto con il contributo delle due masse, quella stellare e quella planetaria. Viceversa l’anno gaussiano del pianeta tiene conto solo della massa della stella. La differenza tra i due diversi periodi restituisce il contributo dovuto alla sola massa del pianeta.

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Il Telescopio nazionale Galileo – Credit: Sabrina Masiero[/fancybox]

La tecnologia osservativa attuale basata sui transiti non è ancora così precisa da consentire di rilevare differenze così piccole 3. Diversa storia invece per l’analisi spettrografica che consente con molta maggiore accuratezza di risolvere le velocità relative del sistema esoplanetario; per ora rimane infatti il solo modo per stabilire con sufficiente approssimazione la massa di un pianeta extrasolare.
Per questo strumenti spettroscopici di grandissima risoluzione sono ospitati nei maggiori complessi astronomici del mondo. Due di questi, gli HARPS sono ospitati in strutture europee: l’HARPS è ospitato presso l’Osservatorio di La Silla, in Cile sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO fin dal 2002. L’altro, l’HARPS-N, è stato montato nel 2012 sul Telescopio Nazionale Galileo, all’Osservatorio del Roque de Los Muchachos nell’isola di La Palma, alle Canarie.
Il metodo delle velocità radiali rilevate spettroscopicamente  è molto simile a quello che qui è descritto, solo che è molto più efficace grazie a questa nuova classe di spettroscopi ultra precisi a cui gli HARPS appartengono. Se adesso è possibile fare una stima della massa ad un esopianeta lo si deve ad essi.


Note:

L’intervista

Il 6 luglio scorso io e Sabrina Masiero, abbiamo partecipato come ospiti radiofonici in una trasmissione radio regionale 1. Sabrina è stata intervistata telefonicamente in diretta e ha illustrato il suo ruolo di divulgatrice presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica dove ha curato le immagini per il  libro Astrokids, dedicato ai più piccoli ma utile anche ai grandi che per la primissima volta si avvicinano all’astronomia, e del suo lavoro a Las Palmas (Isole Canarie), dove ha sede il Telescopio Nazionale italiano Galileo (TNG) col medesimo ruolo. Nel mio piccolo invece, ho preferito intervenire attraverso domande e risposte lette in studio dai conduttori che qui ripropongo nella versione integrale, perché ho una pessima, bassa e incomprensibile voce.

La congiunzione astrale del 4 settembre 1970 ricostruita attraverso il software Stellarium. Questa congiunzione è  stata il motore di tutta la mia vita. E poi gli astronomi dicono che le stelle e i paneti non influenzano gli esseri umani:-P

La congiunzione astrale del 4 settembre 1970 ricostruita attraverso il software Stellarium.
Questo momento è stato il motore di tutta la mia vita.
E poi gli astronomi dicono che le stelle e i paneti non influenzano gli esseri umani 😛

Presentazione: Umberto Genovese, 48 anni, nel tempo libero si occupa di divulgazione scientifica principalmente attraverso i suoi due blog: il Poliedrico (http://ilpoliedrico.com), che spazia dalla fisica alla cosmologia, dalla planetologia ai suggerimenti per astrofili (nel blog è disponibile anche un abbastanza dettagliato calendario degli eventi astronomici più rilevanti) e Progetto Drake (http://drake.ilpoliedrico.com), nato per raccogliere quante più informazioni, articoli o notizie riguardanti le famose variabili frazionarie che compongono la celebre Equazione di Drake e gestito insieme alla Dott.sa Sabrina Masiero dell’Università di Padova. Il Progetto Drake fu presentato nell’Edizione Unificata dei Carnevali scientifici (di Chimica e di Fisica) in occasione del 4° Congresso IAA (International Academy of Astronautics) “Cercando tracce di vita nell’Universo”, tenutosi a San Marino dal 25 al 28 settembre 2012. In più ha scritto qualche articolo per la rivista di astronomia Coelum (alcuni di questi sono ancora da pubblicare).

  • Domanda: Com’è nata la tua passione per l’astronomia?
    Umby: Per me fu illuminante la congiuzione Giove-Venere-Luna del 4/9/1970. Avevo solo 4 anni ma il ricordo di quel disegno nel cielo è ancora vivido quanto lo avessi visto poc’anzi. Da allora ho voluto capire di più su cosa fossero quelle luci sospese nel cielo. E credo di essere arrivato a un buon punto.
  • Domanda: Qual è la tua ricerca più importante?
    Umby: Credo che sia stato quando cercavo di interpretare (a soli 14-15 anni) l’influenza dell’attività solare sulla ionosfera analizzando le trasmissioni ad onde corte. Purtroppo i miei dati erano insufficienti per avere un fondamento statisticamente valido; ma perlomeno c’ho provato. 
  • Domanda: Qual è stato il fenomeno celeste che più ti ha impressionato?
    Umby: Quella congiunzione del ’70 mi ha aperto alla scienza e l’astronomia. Se dovessi scegliere direi questa.
  • Domanda: Cosa ne pensi della vita extraterrestre?
    Umby: Tralasciando le solite banalità di rito, l’Universo è troppo grande per un mondo solo ecc., penso che la vita sia una logica conseguenza del Big Bang.
    Tutte le costanti fisiche, dalla carica dell’elettrone alla massa del protone e così via, sono esattamente quelle che ci vogliono per avviare la nucleosintesi stellare. Mi spiego meglio; Il Big Bang ha prodotto sia materia che antimateria. Ma un fenomeno chiamato “Violazione della Simmetria CP”  ha permesso che una delle due avesse il sopravvento numerico sull’altra, permettendo a quella che oggi chiamiamo materia barionica di condensarsi in stelle e avviare così i processi di nucleosintesi che hanno poi prodotto gli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno di cui noi tutti, il tavolo, le pietre nel nostro giardino e mondi lontanissimi come Kepler 22b, siamo fatti. Queste stelle primordiali (che gli astronomi chiamano di Popolazione II) esplosero dopo alcuni milioni di anni come supernovae e disseminarono il loro prezioso contenuto nel Cosmo. Da questi “scarti stellari” hanno poi avuto origine i pianeti, comete e così via.
    Alcuni di quegli elementi sono estremamente reattivi, come il carbonio, che dà origine a catene molecolari estremamente complesse appena si verificano particolari condizioni chimico fisiche; cosa che quasi sicuramente avvenne sulla Terra circa 3,5 miliardi di anni fa. Quelle catene sono gli aminoacidi, i mattoni fondamentali per la vita a base di carbonio, come la conosciamo noi sulla Terra. Condizioni analoghe possono essersi verificate un po’ ovunque nell’Universo, e questo lo si sta cercando di scoprire con la ricerca degli esopianeti.
    Pertanto credo che la vita sia piuttosto diffusa nell’Universo.

•  Domanda: Allora l’Universo secondo te sarebbe pieno di extraterrestri come noi?
Umby: È presto ancora per dirlo.
Per quanto riguarda la vita senziente, come l’uomo sulla Terra tanto per capirsi, credo che comunque sia abbastanza rara. Sulla Terra la comparsa dell’Homo Sapiens è il frutto di diverse estinzioni di massa e del concatenarsi di eventi locali e condizioni particolari che credo sia piuttosto improbabile si replichino così su altri mondi. Se altrove la vita intelligente è comparsa, deve avere una sua storia unica che poi l’ha plasmata anche nello sviluppo della civiltà.
Nel bacino del Mediterraneo e nel vicino Oriente si è passati 10000 anni fa dal concetto del tempo ciclico (fasi lunari, stagioni, maree, financo al ciclo mestruale femminile) al concetto di tempo lineare, ossia ad un inizio e una fine di tutto. Questo concetto, tutt’altro che banale, è stata la spinta che poi ha portato alla nascita delle grandi civiltà del passato e infine allo sviluppo della nostra tecnologia. Nel frattempo altri gruppi di umani che erano emigrati nelle Americhe e poi in Oceania, hanno seguito altri percorsi sociali. Le attuali civiltà degli Indios sudamericani, ad esempio, sfruttano quello che ricevono dalla Foresta Amazzonica; bravissimi a sfruttare le immense risorse locali, il loro sviluppo non è andato oltre a quello dei cacciatori nomadi dell’Età della Pietra che arrivarono lì per primi.
Quindi questo deve farci riflettere quanto sia difficile lo sviluppo di una civiltà in grado di compiere i viaggi spaziali – anche locali – come noi.

  • Domanda: Pensi che nei prossimi anni arriverà una scoperta significativa in merito?
    Umby: Anche scoprire che per assurdo siamo soli in questa parte dell’Universo, dovrebbe spingerci a capire l’unicità della specie umana come frutto importante dell’Universo – io considero la nostra specie come una infinitesima parte dell’Universo che prende coscienza di sé stesso e che si interroga su cosa “Lui” sia – e la fragilità di tutto l’ecosistema che la sostiene. E un tesoro così unico in questa parte di Universo va curato, difeso e custodito più di qualsiasi altra ricchezza materiale e immateriale che ci siamo finora inventati.
  • Domanda: Potrà l’umanità un giorno colonizzare Marte?
    Umby: Penso che questo sia possibile già con le tecnologie attuali o sviluppabili nel futuro molto prossimo.
    L’unico appunto che mi va di fare su questo argomento è che non credo che sarà mai possibile terraformare Marte e che quindi i futuri Coloni Marziani dovranno vivere costantemente dentro a strutture artificiali e a città sotterranee. Marte è troppo piccolo per trattenere una qualsiasi atmosfera complessa (tant’è che la maggior parte della sua la perse almeno 3 miliardi di anni fa) e non ha un campo magnetico sufficiente a schermare le radiazioni cosmiche; mentre gli ultravioletti solari senza un adeguato strato di ozono troposferico sarebbero per noi dannosi.
  • Domanda: Cosa ne pensi degli Universi Paralleli?
    Umby: Gli universi paralleli sono una conseguenza diretta di molte teorie cosmologiche. Ancora una teoria cosmologica definitiva non la conosciamo, quindi gli universi paralleli per ora rimangono solo un interessante esercizio matematico. E se anche esistessero avrebbero probabilmente leggi fisiche e dimensioni diverse dalle nostre che dubito potremmo mai comunicare con loro.
  • Domanda: Quali sono i vantaggi e le ricadute economiche della ricerca astronomica?
    Umby: La tecnologia astronomica ha permesso di testare e sviluppare le più raffinate tecnologie di precisione conosciute. La ricerca aerospaziale ha permesso lo sviluppo di materiali più leggeri e resistenti.
    Materiali come la fibra di carbonio, alcuni tipi di acciaio ad alta resistenza, leghe e fibre plastiche che oramai sono diventate di uso comune furono sviluppate per le missioni Gemini e  Apollo.
    Tecnologie come la telemedicina, i satelliti di comunicazione e GPS non sarebbero esistiti senza l’interesse per i fenomeni astronomici e l’astronomia che ci hanno fatto scoprire le leggi fisiche della Meccanica Celeste, la Relatività e la Meccanica Quantistica.
    I “nasi elettronici” che controllano le nostre case da incendi e perdite di gas sono nati per prevenire disastri nelle missioni spaziali, il cui motore è la curiosità innata dell’essere umano di avvicinarsi alle stelle.
    I CCD per le foto da dispositivi cellulari e fotocamere, le immagini ad alta risoluzione che apprezziamo in uno show televisivo, devono il loro concreto sviluppa alle necessità di possedere sensori ad alta risoluzione in campo astronomico.
    Gli scanner biometrici come la Risonanza Magnetica non esisterebbero senza le tecnologie di interferometria sviluppate per i radiotelescopi.
    Mi fermo qui ma potrei andare avanti per delle ore.

Come ti calcolo le proprietà di un esopianeta (prima parte)

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La scoperta di un enorme numero dei pianeti extrasolari in questi ultimi vent’anni ha sicuramente rivoluzionato l’idea di Cosmo. A giugno di quest’anno erano oltre 1100 i pianeti extrasolari scoperti e accertati nel catalogo di exoplanet.eu, facendo stimare, con le opportune cautele dovute a ogni dato statistico, a circa 60 miliardi di pianeti potenzialmente compatibili con la vita. Questo impressionante numero però non deve far credere immediatamente che 60 miliardi di mondi siano abitabili; Venere, che dimensionalmente è molto simile alla Terra, è totalmente incompatibile con la vita terrestre che, probabilmente, si troverebbe più a suo agio su Marte nonostante questo sia totalmente ricoperto da perossidi, continuamente esposto agli ultravioletti del Sole e molto più piccolo del nostro globo.

In concreto come si fa a calcolare i parametri fisici di un pianeta extrasolare? Prendiamo l’esempio più facile, quello dei transiti. Questo è il metodo usato dal satellite della NASA Kepler, che però soffre dell’handicap geometrico del piano planetario che deve giacere sulla stessa linea di vista della stella,o quasi. Ipotizziamo di stare osservando una debole stellina di 11a magnitudine, che però lo spettro indica come una K7:

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diagramma di luce

La distanza

La tabella di Morgan-Keenan suggerisce per questo tipo di stella una massa di 0,6 masse solari,  una temperatura superficiale di appena 4000 K. e un raggio pari a 0,72 volte quello del Sole. Analizzando invece questo ipotetico diagramma del flusso di luce 1 proveniente dalla stella, appare evidente  la periodicità dell’affievolimento (qui esagerato) della sua luce.
Un periodo pari a 76,86 giorni terrestri, un classico evento tipico anche di una semplice binaria ad eclisse per esempio, solo molto più veloce. Un semplice calcolo consente di trasformare il periodo espresso qui in giorni in anni (o frazioni di esso). Pertanto il suo periodo rispetto agli anni terrestri è $76,86/365,25= 0,2104$. A questo punto è sufficiente applicare la terza Legge di Keplero per ottenere la distanza del pianeta dalla sua stella espresso in unità astronomiche:

\begin{equation} D_{UA}^3=P_y^2\cdot M_{\bigstar}= \sqrt[3]{0,2104^2 \cdot 0,.6}= 0,2983 \end{equation} Quindi l’esopianeta scoperto ha un periodo orbitale di soli 76,86 giorni e orbita a una distanza media di sole 0,2368 unità astronomiche dalla stella, ossia a poco più di 44.6 milioni di chilometri dalla stella. Una volta scoperto quanto dista il pianeta dalla stella è facile anche calcolare la temperatura di equilibrio del pianeta, per vedere se esso può – in linea di massima – essere in grado di sostenere l’acqua allo stato liquido.

La temperatura di equilibrio

\begin{equation}\frac{\pi R_p^2}{4\pi d^2} = \left ( \frac{R_p}{2d}\right )^2\end{equation} L’energia intercettata da un pianeta di raggio $R_p$ in orbita alla sua stella  a una distanza $d$

Per comodità di calcolo possiamo considerare una stella come un perfetto corpo nero ideale. La sua luminosità è perciò dettata dall’equazione: $L_{\bigstar}=4\pi R_{\bigstar}^2\sigma T_{\bigstar}^4$, dove $\sigma$ è la  costante di Stefan-Boltzmann che vale  $5,67 \cdot{10^{-8}} W/m^2 K^4$). Qualsiasi pianeta di raggio $R_p$ che orbiti a distanza $d$ dalla stella cattura soltanto  l’energia intercettata pari alla sua sezione trasversale $\pi R_p^2$ per unità di tempo e  divisa per l’area della sfera alla distanza $d$ dalla sorgente. Pertanto si può stabilire che l’energia intercettata per unità di tempo dal pianeta è descritta dall’equazione: \begin{equation} 4\pi R_{\bigstar}^2\sigma T_{\bigstar}^4\times \left ( \frac{R_p}{2d}\right )^2 \end{equation}

Ovviamente questo potrebbe essere vero se il pianeta assorbisse tutta l’energia incidente, cosa che per fortuna così non è, e riflette nello spazio parte di questa energia. Questa frazione si chiama albedo ed è generalmente indicata con la lettera $A$. Quindi la precedente formula va corretta così: \begin{equation} \left ( 1-A \right ) \times 4\pi R_{\bigstar}^2\sigma T_{\bigstar}^4\times \left ( \frac{R_p}{2d}\right )^2 \end{equation}

Il pianeta (se questo fosse privo idealmente di una qualsiasi atmosfera) si trova così in uno stato di sostanziale equilibrio termico tra l’energia ricevuta, quella riflessa dall’albedo e la sua temperatura. L’energia espressa dal pianeta si può descrivere matematicamente così: $L_{p}= 4\pi R_{p}^2\sigma T_{p}^4$ e, anche qui per comodità  di calcolo, si può considerare questa emissione come quella di un qualsiasi corpo nero alla temperatura $T_p$. Pertanto la temperatura di equilibrio è: \begin{equation}

4\pi R_{p}^2\sigma T_{p}^4 =\left ( 1-A \right ) \times 4\pi R_{\bigstar}^2\sigma T_{\bigstar}^4\times \left ( \frac{R_p}{2d}\right )^2 \end{equation}

Ora, semplificando quest’equazione si ottiene: \begin{equation} T_{p}^4= (1-A)T_{\bigstar}^4 \left ( \frac{R_{\bigstar}}{2d}\right )^2 \rightarrow T_{p}=T_{\bigstar}(1-A)^{1/4}\sqrt { \frac{R_{\bigstar}}{2d}} \end{equation}

Con i dati ottenuti in precedenza è quindi possibile stabilire la temperatura di equilibrio dell’ipotetico esopianeta ipotizzando un albedo di o,4: \begin{equation}

T_{p}=4000 \enskip K \cdot 0,6 ^{1/4}\sqrt { \frac{500 000 \enskip km}{2\cdot 4,46\cdot 10^7\enskip km}} =263,47 \enskip K.

\end{equation}

Risultato: l’esopianeta pare in equilibrio termico a -9,68 °C, a cui va aggiunto alla superficie l’effetto serra causato dall’atmosfera. Ma in fondo, anche le dimensioni contano …

Il raggio

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Il calo della luminosità indica le dimensioni dell’oggetto in transito: $r^2/R^2$

Nel momento del transito, si registra un calo della luminosità della stella.  L’ampiezza di questo calo rispetto alla luminosità standard della stella fornisce una stima della misura del raggio del pianeta. Il calo non è immediato, ma segue un andamento proporzionale alla superficie del pianeta occultante, uguale sia in ingresso che in  uscita. In base a queste osservazioni si possono ricavare i flussi di energia luminosa (indicati appunto dalla lettera $F$) provenienti nei momenti del transito. $F_{\bigstar}$ è la quantità di energia luminosa osservata nella fase di non transito, normalmente normalizzato a 1, mentre l’altra $F_{transito}$ rappresenta il flusso intercettato nel momento di massimo transito:. la differenza tra i due flussi ( $\frac{\Delta F}{F}=\frac{F_{\bigstar}-F_{transito}}{F_{\bigstar}}$) è uguale alla differenza tra i raggi della stella e del pianeta.

\begin{equation} R_p=R_{\bigstar}\sqrt{\frac{\Delta F}{F}} \end{equation}

Il diagramma (ipotetico) a destra nell’immagine qui sopra mostra che il punto più basso della luminosità è il 99,3% della luminosità totale. Risolvendo questa equazione per questo dato si ha: \begin{equation} \frac{R_{p}}{R_{\bigstar}}=\sqrt{\frac{\Delta F}{F}} =\sqrt{\Delta F} = \sqrt{1-0,993}=\sqrt{0,007}=0,08366 \end{equation}

Conoscendo il raggio della stella, 500000 km, risulta che l’esopianeta ha un raggio di quasi 42 mila chilometri,  quasi il doppio di Nettuno!

Seconda Parte

 

 Errata corrige

Un banale errore di calcolo successiva all’equazione (1) ha parzialmente compromesso il risultato finale dell’equazione (7) e del risultato della ricerca. Il valore della distanza del pianeta dalla sua stella è di 44,6 milioni di chilometri invece dei 35,4 milioni indicati in precedenza. Ci scusiamo con i lettori per questo spiacevole inconveniente prontamente risolto.


Note: