Cinque gemme nel cielo

Le cinque gemme del 1 maggio – Credit: Il Poliedrico

Domani mattina … levataccia!
Mi dispiace di avervi informato troppo tardi, magari avrete impegni e per quell’ora sarete in viaggio per la beatificazione del defunto Papa Wojtyla o per la Festa del 1 Maggio.
Comunque se alle 5:30 -6:00 volgerete lo sguardo ad est prima del sorgere del Sole potrete vedere quello che vi mostro nell’immagine qui sopra:
partendo dall’orizzonte avremo Giove (magnitudine -1.91) e Marte (magnitudine 1.25) separati da appena una ventina di primi d’arco, quindi sembreranno praticamente attaccati;
poco più su esattamente ad est sarà visibile Mercurio (magnitudine 0.90) e poco più in alto e indietro Venere (magnitudine -3.80):
su queste quattro gemme fa capolino una sottilissima falce di Luna crescente.

No, non sarà quindi una formazione di UFO quella che si presenterà domattina all’alba, ma un altro magnifico spettacolo del cielo,  un balletto che continuerà con i due pianeti più luminosi Venere e Giove che si rincorrono per tutta la metà del mese e saranno in mutua congiunzione il giorno 11 sempre nella luce soffusa dell’alba.

Buono spettacolo e soprattutto cieli sereni!

SETI: come stanno le cose

Da sempre sostenitore del Progetto Seti, non ho preso bene la notizia. Dopo l’attimo di scoramento iniziale però ho deciso di dare un misero sostegno straordinario al Progetto rispondendo all’appello del sito. Così oltre ai canonici 50 $ di Natale ho partecipato con un altro piccolo contributo straordinario. Perso per perso, non bevo, non mi drogo e ho smesso di fumare da quando sono diventato padre: uno sfizio potrò pur cavarmelo, no?

 

Alcune antenne dell'Allen Telescope Array Credit: Daniel Terdiman/CNET News

Venerdì scorso, l’amministratore delegato dell’Istituto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence)  Thomas  Pierson ha reso pubblica la decisione di non usare più l’Allen Telescope Array (ATA) per motivi di bilancio. A seguito di questa decisione si è deciso di collocare le 42 antenne che compongono l’ATA in modalità di standby per mancanza di fondi operativi e di supporto del governo.
Anche se Pierson ha tenuto a precisare che le attività al Center for Education and Public Outreach, e al Carl Sagan Center for the Study of Life in the Universe non subiranno conseguenze, la chiusura di uno dei principali strumenti di scansione è stato un duro colpo per gli scienziati di tutto il mondo. I primi progetti SETI avevano sempre ricevuto finanziamenti governativi americani, mentre ultimamente aveva preso piede anche il sostegno e il finanziamento privato.

Tutto iniziò con Frank Drake, l’autore della famosa equazione che prova a stimare scientificamente il numero di civiltà tecnologiche che possono esistere in una galassia. Drake fu il pioniere originale del programma SETI. Negli anni 60 del secolo scorso e fu anche colui che ebbe l’idea di costruire una rete di oltre 300 antenne dedicate espressamente per questa ricerca. La prima serie è appunto l’ATA, 42 antenne finanziate dal miliardario co-fondatore di Microsoft Paul Allen attraverso una donazione di 11,5 milioni di dollari nel 2001  per la ricerca e lo sviluppo del progetto e altri 13,5 milioni dollari pochi anni più tardi per la costruzione.

Il progetto ha bisogno di qualche fonte di finanziamento, anche privato, per continuare ad esistere, ma il finanziamento è necessario anche per la costruzione di antenne aggiuntive come era stato inizialmente previsto. Per questo il progetto SETI sta cercando di ottenere finanziamenti anche da altre fonti come la US Navy, DARPA, NSF e altri donatori privati. Una campagna di finanziamento è stata lanciata anche sul web sul sito SETI per chiedere l’aiuto del pubblico che crede in questa ricerca.
L’appello si riferisce alle recenti scoperte della sonda Kepler e che una delle massime priorità dell’Allen Telescope Array era appunto quello di setacciare quella porzione di cielo con 10 miliardi di canali di ascolto per ogni mondo scoperto da Kepler nella fascia goldilocks, per un costo stimato di circa 5 milioni di dollari. Ogni dollaro donato serve per controllare 4 milioni di canali di un unico mondo .

Pierson indica che servono circa un milione e mezzo di dollari per anno per far tornare operativo l’ATA, e un altro milione l’anno per i costi del progetto SETI.

Per adesso non è possibile sapere se il SETI riuscirà a trovare i 2-2,5 milioni di dollari per quest’anno, sicuramente il fermo dell’ATA è un duro colpo alla ricerca, mentre per ora cattive sorprese dagli altri centri di ascolto non dovrebbero esserci.

L’Anomalia del Pioneer: mistero risolto?

Questo è un ottimo articolo scritto e pubblicato da Sabrina Masiero per TuttiDentro. L’ho riportato qui per mostrare – ancora una volta – come una ricerca scientifica seria possa portare a conclusioni logiche e inaspettate, piuttosto che scomodare improbabili alieni che manomettono le sonde come dichiararono un anno fa riprendendo i deliri di un sedicente esperto 1 i giornali di mezzo mondo. Anzi, ora più che mai serve un risveglio scientifico nelle nuove generazioni, perché capiscano l’importanza del ragionamento e dell’indipendenza del pensiero per non commettere gli stessi errori delle generazioni precedenti..

Il fly-by del Pioneer 10 con il pianeta Giove in un’immagine fantastica. Credit: NASA.

Per oltre un decennio, l’anomalia del Pioneer è stata un problema aperto, una sorta di domanda senza risposta nell’ambito della fisica. L’esistenza di un’apparente accelerazione costante dovuta al Sole registrata sulle due sonde spaziali Pioneer 10 e 11 fu rilevata per la prima volta nel 1998 da un team di scienziati del Jet Propulsion Laboratory (JPL) di Pasadena, (California) e pubblicata sul Phusics Revew Letter 2 L’anno successivo questa anomala accelerazione fu studiata in maggior dettaglio, ottenendo per essa un valore costante pari a (8.74 ± 1.33) × 10 ^(− 10) m/s ^2 3

Gli scienziati e i tecnici della NASA monitorarono costantemente la posizione delle due sonde spaziali utilizzando l’effetto Doppler. In particolare, l’astronomo John Anderson negli anni Ottanta ideò un algoritmo matematico in grado di utilizzare le trasmissioni radio tra le sonde Pioneer e il nostro pianeta per studiare gli effetti gravitazionali nelle regioni periferiche del nostro sistema solare interno (interno nel senso che ci limitiamo a considerare il nostro sistema solare costituito solo dai pianeti e trascuriamo tutto quello che sta oltre l’orbita di Nettuno, che fa ancora parte del nostro Sistema Solare e che comprende la Fascia di Kuiper e la Nube di Oort). Durante queste misurazioni, si osservò un’anomalia nei calcoli, una sorta di discrepanza tra l’effetto Doppler previsto dall’algoritmo di Anderson e la misurazione dei segnali radio delle due sonde. Da questa discrepanza emerse che i due Pioneer sembravano decelerare rispetto a quanto previsto dall’algoritmo di Anderson.
Per spiegare la decelerazione, si ipotizzò la presenza di grosse quantità di materia oscura, mai stata rilevata, nella zona più esterna del sistema solare, cioè al di là della fascia principale degli asteroidi, che tendeva a rallentare le due sonde. Un’altra ipotesi fu quella di ricorrere alla teoria del MOND (MOdified Newtonian Dynamics), ossia una teoria che afferma che la legge di gravitazione universale potrebbe non essere in realtà così universale e applicabile a tutti gli oggetti dell’universo come finora si è ipotizzato. In questa teoria viene introdotta una nuova costante, a(0), che ha le dimensioni di un’accelerazione e che modifica la legge di gravitazione universale di Newton per valori di accelerazioni molto piccoli. Questo comporta che la meccanica classica, quella newtoniana, funziona solo nel limite di accelerazioni grandi, superiori ad a(0), mentre per accelerazioni molto più piccole di a(0) interviene questa teoria modificata.
Sia la materia oscura che la teoria del MOND non riuscivano a spiegare questa discrepanza rilevata. Non erano state comunque escluse fattori tecnici, come un guasto o un malfunzionamento o un’anomalie della strumentazione delle sonde.

Si pensò allora che responsabile di questa decelerazione fosse il reattore SNAP-19 carico di qualche chilo di Plutonio 238 che alimentava entrambe le sonde e che poteva venir irradiato nello spazio in direzione opposta al moto delle sonde, producendo il rallentamento misurato. Ma si constatò che questo non poteva sussistere, dato che la spinta prodotta dal reattore avrebbe dovuto diminuire nel corso del tempo, anno dopo anno, non nel modo calcolato dai ricercatori.

 

Rappresentazione artistica del Pioneer 11 mentre compie il suo fly-by con Saturno. Credit NASA. Disponibile sul sito: Interstellar Spaceships and probes: http://privat.bahnhof.se/wb671350/space.html

In un lavoro pubblicato da F. Francisco  dell’Instituto  de  Plasmas  e  Fus˜ao  Nuclear, Instituto  Superior  Técnico di Lisbona e dai suoi colleghi il 27 marzo 2011 4 si afferma che i calcoli di Anderson degli anni Ottanta non erano corretti, perché non tenevano conto del calore riflesso dalle diverse parti che costituiscono le due sonde (effetti termici, come vengono chiamati). La radiazione generata dal reattore viene irradiata nello spazio ma anche riflessa dalle diverse componenti delle due sonde.
Utilizzando un nuovo algoritmo per calcolare i riflessi di luce su un oggetto tridimensionale, il team di Francisco è stato in grado di calcolare la quantità di calore emesso dal compartimento dell’equipaggiamento e a tener conto dei riflessi della radiazione termica contro la parete posteriore dell’antenna principale. Dato che quest’ultima punta verso il Sole e le sonde si stanno allontanando da esso, il calore riflesso rallenterebbe le due sonde Pioneer. Il valore della decelerazione, o anomalia del Pioneer, tornerebbe con quest’ultimo valore.

 

Nella parte conclusiva dell’articolo si legge: “With the results presented here it becomes increasingly apparent that, unless new data arises, the puzzle of the anomalous acceleration of the Pioneer probes can finally be put to rest” (traduzione: “Con i nostri risultati presentati qui, diventa sempre più chiaro che, a meno che non emergano nuovi dati, il mistero dell’accelerazione anomala delle sonde Pioneer possa essere considerato risolto“).

La rappresentazione delle traiettorie delle due sonde Pioneer 10 e 11. Credit: NASA.

Le due sonde Pioneer 10 e 11 furono lanciate quasi quarant’anni fa, la prima il 2 marzo 1972 e la seconda il 5 aprile 1973. Il Pioneer 10 fu la prima sonda spaziale ad oltrepassare la fascia principale degli asteroidi compresa tra Marte e Giove (con oltre 35 000 oggetti osservati) e la prima ad avere un incontro ravvicinato con Giove, il pianeta più grande del nostro sistema solare.
L’ultimo segnale dalla sonda Pioneer 10 raggiunge la Terra il 23 gennaio 2003 e numerosi furono i tentativi successivi di ripristinare il contatto, l’ultimo dei quali tra il 3 e il 5 marzo 2006, senza alcun risultato. Il Pioneer 10 si sta muovendo attualmente in direzione della stella Albebaran, una gigante rossa che forma l’occhio del Toro nell’omonima costellazione. Aldebaran è a circa 68 anni luce di distanza dal Sole (un anno luce è la distanza che percorre la luce in un anno alla velocità di quasi 300 000 chilometri al secondo) e il Pioneer impiegherà oltre due milioni di anni per raggiungerla.

Il Pioneer 11 fu la prima sonda a compiere un fly by con Saturno nel 1979. Non sono stati più possibili più contatti con essa dal 30 settembre 1995, cioè da quando non si è più trovata lungo la linea di vista con la Terra. Il Pioneer 11 si muove nella direzione individuata dalla Costellazione dell’Aquila, che si trova a nord-est della costellazione del Sagittario, e transiterà vicino ad una di queste stelle dell’Aquila fra circa 4 milioni di anni 5

E’ sicuramente un risultato interessante quello ottenuto da Francisco e i suoi colleghi che verrà ora preso in considerazione dalla comunità scientifica. Se tale conclusione verrà accettata, avremmo compiuto un passo in avanti nell’identificare un effetto di cui si dovrà tener conto nelle future missioni spaziali.
L’anomalia del Pioneer un decennio più tardi ha dato i suoi frutti.

 

 

Basato sull’articolo: “Modelling the reflective thermal contribution to the acceleration of the Pioneer spacecraft” F. Francisco, O. Bertolami, P.J.S. Gil e J.Pàramos, arXiv:1103.5222v1 [physics.space-ph]. Fonte ArXiv: http://arxiv.org/abs/1103.5222 .  Scaricabile su questo sito oppure direttamente, cliccando su: http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/1103/1103.5222v1.pdf

 

Sabrina Masiero

(articolo originale su TuttiDentro: L’Anomalia del Pioneer: mistero risolto?)


Il Poliedrico è un dominio registrato

Umby

Dopo Infiniti tentennamenti, il dominio di secondo livello ilpoliedrico.org è stato finalmente registrato.
La decisione di registrare il dominio l’ho presa allo scopo di tutelare il nome del Blog e per offrire una migliore visibilità ai contenuti che offre.
Il cammino intrapreso ormai nel gennaio 2010 con il-poliedrico.blogspot.com è giunto a questo secondo traguardo. Il primo è stato raggiunto a fine giugno 2010, quando ho deciso che la piattaforma blogger iniziava ad essere stretta per gli obbiettivi che mi ero proposto e si rendeva necessaria un migrazione del Blog verso  un modello più fresco e configurabile come WordPress.
La scelta a quel punto cadde sulla piattaforma web italiana Altervista che offriva tutta una serie di garanzie di affidabilità di servizio che ho finora sempre  riscontrato e che anche al momento della decisione di registrare il  nuovo dominio ho preferito mantenere, nonostante qualche piccola difficoltà tecnica.

Spero che questa decisione valga lo sforzo fatto e che sia ampiamente condivisa dai lettori abituali.

Umberto Genovese

La Cometa Plutone

Rappresentazione artistica di Plutone con la sua atmosfera – Credit: PAS Cruickshank.

Nel 2006 una controversa decisione dell’Unione Astronomica Internazionale tolse lo scettro di pianeta a Plutone per relegarlo tra i corpi minori del nostro sistema solare.
Fu una decisione sofferta, contestata da quanti avevano preso simpatia per questo pianetino, il nono in ordine di distanza dal Sole. Il problema era che grazie a strumenti e tecniche sempre più raffinate c’era il concreto rischio di dover allungare a dismisura l’elenco dei pianeti del sistema solare, colmo di planetoidi della taglia di Plutone 1.

Che Plutone avesse un’atmosfera lo si sapeva già da molti anni 2, lo si era scoperto tramite i transiti planetari, ossia i passaggi del pianetino davanti a una stella e misurando la curva di luce di quest’ultima.
La composizione chimica di questa tenue atmosfera è azoto e metano, a cui si è aggiunto recentemente il monossido di carbonio 3.

Lo spettro della traccia di monossido di carbonio (in rosso) espressi in unità di gradi. – Credit: J.S. Greaves / Joint Astronomy Centre.

La pressione atmosferica è bassissima e estremamente varia a causa dell’eccentricità dell’orbita di Plutone: va da 6,5 a 24 μbar. Quando Plutone si allontana dal Sole, la sua atmosfera congela e precipita al suolo. Viceversa quando Plutone è più vicino al Sole, la temperatura di Plutone aumenta e la parte più volatile della sua superficie sublima.Curiosamente questa sublimazione ha come conseguenza quella di raffreddare  il pianeta, lo stesso meccanismo del sudore che raffredda il nostro corpo man mano che evapora dalla superficie della pelle. Infatti la temperatura di Plutone è di circa 43 K (-230 ° C), 10 K più  bassa di quanto si sarebbe supposto.
Invece il metano 4 crea una inversione di temperatura, con temperature medie più calde (36 kelvin 10 chilometri al di  sopra della superficie).
Questo crea il paradosso di come Plutone possa aver mantenuto la sua atmosfera così a lungo: e qui il monossido di carbonio appena scoperto svolge un ruolo importante per raffreddare ulteriormente l’atmosfera funzionando da termoregolatore in contrapposizione all’azione riscaldante del metano.

Potremmo considerare Plutone come il precursore di una nuova categoria di corpi planetari:
i Kuiper Belt Object.
Cosi avremmo tre tipi diversi di pianeti con struttura chimica ed evoluzione fisica simile: i terrestri, i gioviani e quelli che chiamo plutini, non necessariamente in risonanza 2:3 con l’orbita di Nettuno.

L’effetto quindi è che durante l’estate plutoniana si potrebbero verificare … curiose nevicate di azoto sulla superficie!
Sempre durante la breve estate il metano atmosferico può essere scisso in carbonio dalla radiazione ultravioletta solare e ricadere sulla superficie creando zone chiaroscure in contrasto con la brina di azoto visibili dalle immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble 5. Queste macchie scure provocano il riscaldamento localizzato della superficie provocando dei geyser che espellono gas proprio come nelle comete.

L’evoluzione fisica dell’atmosfera di Plutone è pertanto estremamente sensibile all’eccentricità dell’orbita del corpo. Ancora purtroppo ne sappiamo troppo poco e questi dati attendono conferma dalla sonda New Horizons 6 il cui arrivo nei pressi di Plutone è previsto per il 14 luglio 2015.
Noi aspettiamo con ansia!


Note:

Buona Pasqua

La festività della Pasqua rappresenta per i Cristiani la resurrezione di Cristo, la sconfitta della morte terrena e la liberazione di ogni essere umano dal Peccato Originale.
Per gli Ebrei la Pasqua indica la  liberazione del Popolo d’Israele dalla schiavitù egizia, l’inizio del viaggio verso la nuova Terra Promessa.

Io non colgo molte differenze, entrambe indicano nella Festività Pasquale l’inizio di qualcosa di nuovo e di diverso: un cammino finalmente senza peccato verso una nuova esistenza, una nuova Terra Promessa.

È quello che auguro a tutti Voi Lettori de Il Poliedrico, che questa Pasqua rappresenti lo spartiacque verso un mondo nuovo, finalmente privo di ogni peccato, guerra o pestilenza, una nuova Terra Promessa dove regni la libertà e la giustizia, dove ogni essere umano finalmente trovi la felicità.

AUGURI A TUTTI

Perle in cielo e sogni umani

I flares satellitari si osservano quando la posizione del Sole e del satellite hanno lo stesso angolo rispetto all’osservatore. Nel caso specifico per la Svizzera questo particolare allineamento si verifica all’inizio della primavera.


Credit:Roland Stalder – Rigi Kulm, Switzerland

C’è una componente misteriosa nel significato della parola cielo che ha sempre affascinato l’essere umano.
In cielo sono state poste le divinità mitologiche e gli eroi classici, in cielo c’è chi vi cerca i segni della predestinazione e offre la divinazione  per gli uomini, gli angeli e le anime pie di molte religioni vengo collocate o fatte ascendere in cielo.
È quindi nel cielo che la naturale forma di interpretazione di fenomeni spesso banali venga cercata e spiegata: ecco allora che un banale riflesso dei satelliti geostazionari come si vede nel filmato può venire interpetrato come una curiosa formazione luminosa la cui unica spiegazione è spesso chiamata UFO.
Nell’antichità i fenomeni naturali  trovavano nelle divinità l’unica spiegazione: Zeus per i fulmini, Eolo per i venti, Nettuno per il mare, etc…,  solo per fare il primo esempio che mi viene in mente. Ovviamente insieme alle divinità, qualsiasi nome o attributo avessero, nacquero anche i personaggi che pretendevano di parlare e di intercedere per loro. Oggi si parlerebbe di reati come millantato credito e abuso della credulità popolare, ma a quei tempi non esisteva un codice penale evoluto come il nostro.
In seguito quelle forme di religione persero di significato, si evolsero in qualcosa che si  rivolgeva più all’etica e al comportamento umano, mentre l’intelletto aveva iniziato lentamente a sviscerare i segreti dei fenomeni naturali, anche se per l’immmaginario collettivo il cielo continuò a essere indicato come la sede naturale della purezza e del trascendentale.
Nei secoli la scienza si è evoluta, si è fatta più complessa e particolareggiata via via che la comprensione dei fenomeni naturali è cresciuta. Abbiamo capito finalmente che  la pretesa squisitamente umana di essere al centro dell’Universo, l’antropocentrismo, è una solenne cantonata, che molte delle nostre ancestrali credenze fossero soltanto illusioni.
Ecco che allora ancora una volta il cielo viene in soccorso all’immaginario collettivo: non ci sono più divinità da assecondare a loro capriccio, niente più angeli su carri infuocati che annunciano la fine delle sofferenze terrene. Adesso ci sono navi cosmiche, gli UFO, con i loro occupanti, gli alieni, che soccorrono un’umanità sofferente per i suoi errori.
La scienza che sa spiegare la stragrande maggioranza dei fenomeni di cui è a conoscenza, del resto – per fortuna – c’è sempre qualcosa di nuovo o di inaspettato che attende una risposta scientifica, forse si è fatta troppo complessa, o forse è diventata troppo presuntuosa per spiegare banalità come queste, oppure molti non sono disposti ad accettare una spiegazione logica preferendo ancora sognare, o infine tutte queste cose  assieme.
La scienza adesso può essere il potente strumento che consente di plasmare la realtà in un sogno, ma anche questo può essere interpretato da qualcuno come un modo di uccidere i sogni.

22 Aprile 2011: Giornata Mondiale della Terra

4 luglio 2010, mare di Chukchi, missione ICESCAPE Credit: NASA / Hansen Kathryn

Il 22 aprile 2011 si festeggerà la Giornata Mondiale della Terra, un giorno speciale per ricordarsi del nostro mondo.

Mi chiedo con quale spirito andremo a festeggiare questo giorno quando siamo rei di aver distrutto – come esseri umani – interi ecosistemi, avvelenato mari e fiumi e terre.
Abbiamo forti responsabilità nel Global Warming 1, nello sterminio di altre specie animali – come le balene tanto per fare l’esempio più noto,  eppure pur riconoscendo la gravità delle  nostre colpe non facciamo abbastanza per invertire il nostro comportamento.
Siamo ormai una scheggia impazzita dell’evoluzione, capace di commuoversi per un orso bianco isolato su una zattera di ghiaccio nel mare che però ama la comodità del telecomando per accendere la televisione.

Molti nostri elettrodomestici vanno solo in standby, sono specificatamente progettati senza chiedere più il fastidio di azionare un interruttore per accenderli, giusto giusto per succhiare avidamente quel poco di energia da giustificare l’incessante rincorsa alla sempre maggiore produzione di questa.
Nel 2005 l’Unione Europea stimò in oltre 40-45 Twh 2 i consumi degli apparati elettrici in standby in Europa e per questo emise una direttiva 3 per dimezzare questi consumi e oltre, a partire proprio dal 2011. Ma anche solo 20 o 10 Twh sono sempre tanti per un solo continente, troppi per un pianeta al limite del collasso ecologico.

Dovremmo festeggiare il 22 aprile col capo chino e cosparso di cenere,  piangere per quello che abbiamo distrutto e chiedere scusa alle future generazioni per lo stato in cui abbiamo ridotto il nostro pianeta: inquinato, sporco e febbricitante.
Dovremmo ricordarci del Nostro Pianeta invece tutti i giorni ed esprimergli il nostro amore con i nostri gesti quotidiani, attraverso il riciclo dei rifiuti o la conservazione dell’acqua, lo staccare la spina agli apparecchi in standby o la manutenzione delle nostre automobili.

Se vogliamo festeggiare degnamente il 22 aprile la Giornata Mondiale della Terra, iniziamo a cambiare le nostre abitudini già dal giorno prima e manteniamole nei giorni successivi, la Terra ce ne sarà grata.

Sole Sporco

In collaborazione con Sabrina Masiero

Questo è un articolo scritto a quattro mani, da me e Sabrina Masiero. Dopo la proficua collaborazione del pesce d’aprile (vedi STEREO Serendipity: scoperto pianeta gemello) abbiamo deciso di unire le nostre conoscenze per questo post e per altri interessanti articoli che abbiamo in mente per offrire ai nostri lettori solo il meglio del meglio. Spero che lo apprezzerete.



Traveling Sunspots (Feb 7 – 20, 2011)  Credit: NASA SDO

Credit: Il Poliedrico

Le prime note sulle macchie solari si devono – come spesso è accaduto nell’antichità – agli acuti osservatori cinesi, i quali annotavano diligentemente i fenomeni celesti osservati ad occhio nudo già nei secoli prima di Cristo, probabilmente sfruttando condizioni particolarmente favorevoli che si possono avere solo all’alba o al tramonto.

Anche se macchie solari particolarmente grandi furono notate diverse volte nella storia 1in Europa le prime osservazioni documentate risalgono intorno al primo decennio del XVII secolo, con varie dispute inutili sulla scoperta tra Galileo Galilei e altri osservatori europei. Prima di Galileo le macchie solari venivano spiegate come ombre del transito di pianeti sul Sole, nel Vecchio Continente parlare di macchie sul Sole era considerata opera di blasfemia che andava contro i dettami della Chiesa e contro gli insegnamenti dei padri della cosmologia ufficiale Tolomeo e Aristotele.
Fu infatti l’astronomo pisano che nel 1612 riuscì a dare una spiegazione corretta al fenomeno indicandole come macchie sulla superficie del Sole e misurando il periodo di rotazione della stella, appena in tempo che questa cadesse nel primo dei periodi di quiescenza documentati dell’era moderna: il minimo di Maunder (1645-1715).Se la scoperta del cannocchiale per usi astronomici avesse tardato di soli cinquanta anni, probabilmente una delle scoperte astrofisiche più importanti dell’era moderna sarebbe stata rimandata di cento.

Il numero di Wolf

Il numero di Wolf è una grandezza che misura il numero di macchie solari e dei gruppi di macchie solari presenti sulla superficie del Sole.
Il relativo numero di macchie solari R è calcolata utilizzando la formula (raccolti come un indice giornaliero di attività delle macchie solari):

R = k(10g + s) \,

dove

  • s è il numero di punti individuali,
  • g è il numero di gruppi di macchie solari
  • k è un fattore che varia con la posizione e la strumentazione (anche conosciuto come il fattore osservatorio o la riduzione del personale coefficiente K ).

Fu infatti nel XIX secolo  che l’attenzione degli astronomi per il Sole permise importanti e significative scoperte: la spettroscopia della luce solare permise la scoperta della parte termica del continuum elettromagnetico, come il continuo monitoraggio delle macchie solari permise la scoperta del ciclo undecennale del Sole ad opera dell’astronomo tedesco Heinrich Schwabe e della codificazione del metodo di conteggio di queste da parte dell’astronomo svizzero Rudolf Wolf che completò le ricerche di Schwabe.

Nel 1769 l’astronomo scozzese Alexander Wilson scoprì che le macchie solari sono depressioni sulla superficie del Sole che ora sappiamo essere profonde anche 1000 chilometri anche se osservazioni e ricerche  più recenti spiegano tali depressioni   con la maggiore trasparenza del materiale posto rispetto alla fotosfera 2.

Dai Lavori di Schwabe  e di Wolf si arrivò nel 1861 ai lavori di Carrington eSpörer che scoprirono la relazione che lega lo spostamento della latitudine di apparizione sulla superficie solare delle macchie solari durante un ciclo, aprendo così la strada all’attuale modello interpretativo del fenomeno.

Le macchie solari appaiono sulla fotosfera come piccoli “pori” rotondi di 2″- 4″ di diametro (1500-3000 km) o come gruppi imponenti di dimensioni angolari fino a 5′-6′ (200 000-250 000 km) tali quindi da poter essere percepite ad occhio nudo.

diagramma a farfalla di Spörer

diagramma a farfalla di Spörer

Visivamente le macchie solari si formano di solito da minuscoli pori che tendono a svilupparsi fino a formare delle vere e proprie macchie composte da una regione centrale, chiamata ombra, che appare nera sullo sfondo luminoso della fotosfera. In realtà, la regione centrale della macchia è molto luminosa anche se meno brillante dello sfondo su cui si osserva perchè la temperatura è inferiore, dell’ordine dei 4000 K, rispetto ai 5700 K del resto della fotosfera. L’ombra è circondata da una zona detta di penombra e, qualche volta, attorno alla penombra appare come un anello brillante, 2-3 volte più luminoso della fotosfera.

Sul Sole possiamo osservare macchie isolate, anche di grandi dimensioni, ma per lo più esse tendono a raccogliersi a gruppi, che comprendono anche decine di macchie grandi e piccole associate fra loro che tendono a mostrare due centri di addensamento, uno che precede e l’altro che lo segue nel verso della rotazione solare. Spesso si formano attorno altre macchie, che eventualmente si fondono insieme, fino a formare grossi gruppi, con penombra comune, con punti luminosi che si estendono da una macchia all’altra. I gruppi di macchie tendono ad assumere formale ovale, con gli assi maggiori leggermente inclinati rispetto alla direzione Est-Ovest in modo che la macchia di testa sia più vicina all’equatore solare di quella di coda. L’angolo di inclinazione dipende dalla latitudine e può raggiungere i 20° a latitudini di 30-35 gradi eliocentrici.

Lo sviluppo di un gruppo di macchie, partendo dalla macchia di origine, può durare per un tempo superiore all’intera rotazione solare. Il gruppo, che partecipa alla rotazione, scompare quindi al lembo ovest, per riapparire, dopo 13 giorni e mezzo al lembo est. Nel momento di massimo sviluppo un gruppo di macchie può avere diametro fino a 100 000 km o più.

Raggiunto il massimo, fra il 12° e il 16° giorno, il gruppo di macchie comincia a dissolversi. Lentamente le macchie scompaiono, finché, dopo un periodo di 40-50 giorni, restano soltanto una o due minuscole macchioline (una delle quali è la macchia di testa), da cui poi, col passare del tempo, si origina un nuovo gruppo.

Le macchie solari sono sedi di intensi moti convettivi, con struttura vorticosa. In altri termini, gas solari salgono a spirale dall’interno della macchia, con velocità di alcuni chilometri al secondo, espandendosi e quindi raffreddandosi. La diminuzione di temperatura dei gas comporta una minore luminosità della macchia.

Macchie solari durante l’eclissi di Sole del 4/1/2011   Credit: Il Poliedrico

La più grande macchia solare osservata si ebbe nel 1858 con un diametro di 200 000 chilometri, lunga cioè 18 volte il diametro della Terra. Una macchia di diametro superiore a 40 000 chilometri può essere osservata a occhio nudo (ovviamente con le adeguate protezioni contro l’abbagliante luce solare che potrebbe danneggiare irreparabilmente l’occhio3)
Le macchie si spostano di moto proprio, sulla superficie del Sole. In genere, in un gruppo, la macchia di testa tende a muoversi in avanti, nel verso della rotazione, e quella di coda all’indietro. Il gruppo quindi diverge e si allarga. Quando il moto divergente si interrompe, il gruppo di macchie si scioglie.
Le macchie solari sono zone di intensi campi magnetici. L’intensità del campo magnetico, che ha direzione ortogonale al piano su cui si proietta la macchia, può variare tra un minimo di 100 Gauss e un massimo di circa 4000 Gauss.

Ora  sappiamo che la vera natura delle macchie solari  è dovuta alla rotazione differenziale del Sole, più veloce all’equatore e più lenta ai poli, che provoca l’attorcigliamento localizzato di correnti convettive e del loro campo magnetico. Questi tubi di plasma si isolano dal resto delle correnti convettive sottostanti la fotosfera e impediscono che il trasporto energetico generale li riscaldi, per questo sono più fredde.
Quando emergono in superficie, come viene mostrato dal filmato – che ricorda la polvere di cacao che emerge dalla schiuma di un cappuccino, si possono vedere gli archi di materia magnetizzata, i vortici magnetici del plasma talmente attorcigliati che alla fine si possono rompere liberando energia equivalente a migliaia di bombe nucleari: i magnifici brillamenti solari.

Umberto Genovese & Sabrina Masiero

Fila di perle nel cielo

Credit: Roland Stalder – Rigi Kulm, Switzerland

Un’insolita fila di oggetti luminosi è apparsa durante la notte del 5 marzo scorso nei cieli di Rigi Kulm, in Svizzera. È quella fila obliqua che potete vedere al centro del filmato che vi propongo per questo quiz:

  • Una flotta di UFO in volo sui cieli svizzeri
  • Un velivolo in volo
  • Un riflesso di palloni sonda
  • Un riflesso di satelliti in orbita

Anche stavolta il risposta l’avrete fra una settimana, il 22 d’aprile, quindi votate!
Lo so, questa volta è difficile, è svizzero!