Materia pre-biotica nelle meteoriti (II parte)

Continuazione…

di Giuseppe Galletta, Dipartimento di Astronomia-Università degli Studi di Padova

Naturalmente le meteoriti arrivano sulla Terra dopo un viaggio nello spazio che può durare anche migliaia di anni. Esse possono provenire da corpi rocciosi come gli asteroidi, o da rimbalzi di frammenti lanciati via nello spazio dalla superficie di pianeti come Marte o la Luna. Le meteoriti contenenti ferro o minerali vulcanici in genere provengono dallo sbriciolamento di oggetti più grandi e hanno subito già una trasformazione dovuta al calore. L’impatto o la nascita in un vulcano hanno riscaldato così tanto il materiale da distruggere tutte le sostanze organiche e lasciando solo i minerali non volatili, che resistono ad alte temperature. Però esiste una categoria di meteoriti, le condriti carbonacee, che possiedono una percentuale fino al 20% circa di acqua e composti organici. La presenza di queste sostanze, che non resisterebbero a temperature superiori a 200 °C, indica che queste meteoriti sono ancora simili al materiale che si è condensato all’origine del Sistema Solare dalla grande nube che ha formato il Sole e i pianeti.

Missione Deep impact sulla cometa Tempel 1, 4 luglio 2005. Cortesia NASA.

Alcune condriti carbonacee come le meteoriti trovate a Murchison, Murray e Nagoya hanno mostrato già alla fine degli anni sessanta di avere al loro interno degli amminoacidi in quantità corrispondente a 15 ppm  (15 microgrammi per ogni grammo di materiale meteoritico). Il Murchison si è rivelato come una vera miniera di sostanze simili a quelle biologiche. Nel suo interno, gli autori che l’hanno studiato per anni hanno trovato 74 amminoacidi con un’abbondanza che arrivava anche a 60 ppm. Otto di questi sono uguali a  quelli che costituiscono le proteine biologiche (alanina, glicina, valina, leucina, isoleucina, prolina, acido aspartico e acido glutammico), 11 sono meno comuni e i rimanenti 55 non esistono negli esseri viventi sulla Terra. La struttura molecolare degli amminoacidi meteoritici è diversa da quelli biologici, sia per la tendenza a formare strutture ramificate piuttosto che lineari, sia per la presenza di molecole con simmetrie diverse e gruppi di atomi azotati legati in punti diversi dell’amminoacido (detti a,b,g). Nella biologia terrestre gli amminoacidi hanno sempre un’unica simmetria, denominata L, mentre quelli meteoritici hanno sia L che D. Inoltre, in alcuni di essi gli atomi di idrogeno, carbonio o azoto sono sostituiti dai loro isotopi più pesanti: il deuterio al posto dell’idrogeno, il 13C al posto del 12C e l’15N invece del 14N. Questi isotopi, nuclei con le stesse proprietà chimiche ma un neutrone in più, sono normalmente presenti nello spazio ma nella biologia terrestre al loro posto vengono selezionati gli atomi più leggeri, che nelle reazioni richiedono un minor dispendio di energia.

I mattoni della vita. Cortesia: Giuseppe Galletta.

Esistono però delle critiche a queste conclusioni sulla presenza nello spazio di amminoacidi e basi azotate, come sempre avviene quando la scienza tratta problemi che riguardano la vita. In genere una meteorite viene scoperta molto tempo dopo essere caduta sulle Terra, e manipolata da esseri umani dopo essere stata esposta alle intemperie. I batteri presenti nell’aria e nel suolo, e più in generale l’enorme varietà di sostanze depositate sul terreno dalle forme di vita terrestri, potrebbero aver contaminato i minerali depositandosi anche all’interno attraverso piccole fessure. Se così fosse, allora le sostanze trovate potrebbero derivare dalla biologia o dalla chimica terrestre. Riuscire ad escludere la contaminazione è già un’impresa difficile in un laboratorio biologico; figuriamoci per un oggetto raccolto dal terreno.

Tuttavia le differenze trovate nella struttura e nella simmetria delle molecole meteoritiche farebbero pensare ad un’origine extraterrestre. Come si è detto, la biologia terrestre tende a privilegiare alcune simmetrie e alcuni isotopi, mentre nello spazio questa selezione così speciale operata dagli esseri viventi non è attiva. E inoltre la conoscenza che abbiamo oggi sulla possibilità di generare basi azotate da una sostanza come la formammide, ampiamente presente nello spazio, rende più plausibile anche la scoperta di amminoacidi nelle condriti carbonacee. Un ulteriore supporto alla loro presenza nello spazio è stata fornita nel 2004, quando la sondaStardust della NASA ha riportato a Terra dei campioni di polvere evaporata dalla cometa Wild 2. Analizzandone la composizione i ricercatori hanno trovato anche lì alcuni amminoacidi di origine extraterrestre.

Le molecole intestellari. Cortesia: Giuseppe Galletta.

Come avrebbero fatto però questi amminoacidi ad arrivare sulla terra primordiale, nata da una miscela di materiali ad alta temperatura, e contribuire eventualmente all’origine della vita? Si è sempre obiettato che le meteoriti entrano nell’atmosfera terrestre a una tale velocità da distruggere qualsiasi sostanza complessa e utile per la biologia. Però una risposta è stata data dall’osservazione di un asteroide di pochi metri, 2008TC3, che il 7 ottobre 2008 si è sbriciolato arrivando sulla Terra facendo cadere i suoi frammenti nel deserto della Nubia (Sudan). Raccolti e analizzati in laboratorio,  essi contenevano 19 amminoacidi diversi, in quantità da 0.5 a 149 parti per miliardo, ma anche minerali formatisi ad altre temperature e pressioni durante una violenta collisione. Può accadere che piccoli frammenti di roccia, detti polvere cosmica, cadano sulla Terra a velocità così bassa da non bruciare nell’atmosfera. Alternativamente, una parte interna della meteorite o di una grande cometa potrebbe essere stata protetta dall’impatto e aver rilasciato successivamente le sostanze contenute in essa.

La scoperta di amminoacidi e basi azotate nelle meteoriti rafforza la possibilità che i pezzi necessari a generare le forme di vita terrestri si siano formati nello spazio e siano stati poi depositati negli oceani primordiali dalle decine di tonnellate di materia extraterrestre che cadono ogni giorno sulla Terra, con masse che possono andare da quella dei grani di polvere fino a enormi blocchi di roccia. Domani una meteorite ci farà scoprire senza dubbi che la materia che forma la vita proviene dallo spazio?


Giuseppe Galletta

Professore di Astrobiologia, Università di Padova

Fonte: http://www.gruppolocale.it/wp/wp-trackback.php?p=3109

Materia pre-biotica nelle meteoriti

Generalmente non faccio copia-incolla dagli altri blog, preferisco non scrivere piuttosto. Questo e il prossimo articolo sono un po’ diversi, in quanto illustrano efficacemente il messaggio che da sempre ho sostenuto anche con questo Blog che, qualora si verifichino le condizioni di contorno appropriate, la Vita sia un fenomeno piuttosto comune nel nostro Universo. Per Vita ovviamente non intendo necessariamente Vita Intelligente capace di entrare in contatto con Noi, ma più comunemente anche vita microbica, allo stato iniziale dello sviluppo o quasi. Il fatto che finora non sia stata trovata con certezza è solo che non abbiamo ancora osservato bene dappertutto.

di Giuseppe Galletta, Dipartimento di Astronomia-Università degli Studi di Padova

Formazione del disco proto-planetario. Cortesia Giuseppe Galletta.

La storia delle meteoriti che arrivano sulla Terra inizia circa 5 miliardi di anni fa, quando una nube fatta di molecole e di microscopici grani di polvere inizia a schiacciarsi su se stessa a causa del proprio “peso”. Le particelle di cui è fatta si muovono molto lentamente e la densità è così bassa che esse possono percorrere grandi distanze nello spazio vuoto senza collidere tra loro. A causa di ciò la pressione termica all’interno della nube è bassissima e la sua forza di gravità predomina, facendola contrarre. Questa contrazione aumenta la pressione – e di conseguenza la temperatura – al centro della nube, e in circa 50 milioni di anni genererà il Sole. Il materiale intorno inizierà a ruotare intorno al Sole nascente depositandosi sul piano di un disco, detto disco protoplanetario, da cui nasceranno i pianeti. Ed è in questo disco che si condensa il materiale di molti tipi di meteoriti. Esiste perciò un legame di genesi tra il gas interstellare e il materiale che si trova all’interno delle meteoriti; studiando queste ultime, possiamo avere delle informazioni preziose sull’origine del disco protoplanetario e sulla composizione del materiale interstellare. Ma esse possono darci anche delle risposte sulla possibilità che una forma di vita possa svilupparsi in un luogo diverso dal nostro pianeta. Vediamo perché.

Le osservazioni dei radiotelescopi ci hanno mostrato che nelle nubi interstellari esistono più di un centinaio di specie molecolari. Le singole molecole ruotano e vibrano anche miliardi di volte al secondo, producendo radiazione a miliardi di Hertz, osservate nel campo delle microoonde. Tra esse si è riusciti da identificarne alcune particolarmente interessanti: la formammide, gli idrocarburi policiclici aromatici, la glicoladeide (uno zucchero), persino tracce di una molecola che potrebbe essere la glicina, un amminoacido. Queste sostanze non hanno probabilmente nessun significato per la maggior parte dei lettori. Tuttavia esse sono particolarmente importanti per gli esseri viventi. Il funzionamento delle nostre cellule dipende dalle proteine, costituite da catene di amminoacidi. Trovare amminoacidi nello spazio dove non ci sono ancora né stelle né pianeti indica che i pezzi necessari alla vita si possono formare in abbondanza ed essere diffusi in tutta la Galassia. Prima di queste osservazioni si conosceva un meccanismo, scoperto da Miller nel 1952, che riusciva a formare amminoacidi in forma stabile partendo da sostanze semplici come idrogeno, ammoniaca, metano e acqua bollente. L’esperimento cercava di  riprodurre l’origine della vita sulla Terra ed era riuscito a produrre sia amminoacidi utilizzati dalle forme viventi sulla Terra che altri non “biologici”, oltre a sostanze utilizzate nel metabolismo come gli acidi lattico (per esempio, prodotto nel metabolismo muscolare), succinico (che entra nel processo della respirazione cellulare)  e l’urea (prodotta dal metabolismo animale).

Abbondanza degli elementi nella nostra Galassia. Cortesia: Giuseppe Galletta.

Anche la scoperta di formammide (formula HCONH2) nello spazio ha una particolare importanza. Essendo una molecola molto reattiva chimicamente, si è dimostrata una vera pietra filosofale nel generare basi azotate. La formammide riscaldata a 110-160 °C in presenza di ossidi metallici e su strati di minerali che simulano la polvere interstellare ha prodotto nei laboratori le basi azotate Citosina, Uracile, Timina e Adenina. Allo stesso modo è stata prodotta Ipoxantina, una molecola con proprietà molto simili a quelle dell’Adenina. Adenina, Uracile, Citosina e Guanina, legate a tre molecole di fosfato e a uno zucchero (il ribosio) formano la lunga catena dell’RNA. Una simile combinazione di quattro basi, Adenina, Timina, Citosina e Guanina, con i fosfati e un altro zucchero (il deossiribosio) costruisce la doppia elica del DNA dei viventi. Queste molecole si trovano identiche in tutte le specie terrestri, dal virus all’elefante. Un filamento di RNA come quello dei virus più semplici potrebbe essere stato il primo essere vivente sulla Terra da cui discendono tutti gli esseri viventi attuali. Perciò capire come esse si possano formare da un processo fisico-chimico semplice è molto importante per comprendere i meccanismi sull’origine della vita.

Cortesia: Giuseppe Galletta.

Non possiamo però stabilire direttamente se basi azotate e amminoacidi siano presenti nelle nubi interstellari, poiché esse non possono essere rivelate dai radiotelescopi a causa della loro struttura complessa che non permette loro di vibrare o ruotare molto velocemente senza distruggersi.. Si può ragionevolmente supporre che, se esse sono state presenti nelle nubi che hanno formato il disco protoplanetario del Sistema Solare, siano rimaste in parte incorporate nei granelli di grafite e silice che hanno formato asteroidi, pianeti e comete. Non tutte queste sostanze potevano però restare intatte nel lungo processo di formazione dei pianeti. Vicino al Sole la temperatura era così alta da distruggere una gran quantità di sostanze e  far evaporare tutti i ghiacci, mentre lontano dal Sole i minerali che si sono formati erano in grado di incorporare tantissime molecole.

Continua…

Giuseppe Galletta

Professore di Astrobiologia, Università di Padova

Fonte:  http://www.gruppolocale.it/wp/wp-trackback.php?p=3104

Polvere di stelle

Credit: Spaceweater.com

Lo sciame delle Quadrantidi

Le Quadrantidi sono uno sciame  visibile i primi giorni di gennaio. Il suo picco si sposta dal 3 al 4 del mese e il suo radiante è nella costellazione di Boote.
Questo è uno sciame un po’ diverso dagli altri: difatti è molto giovane, ha circa 500 anni ed ha la sua origine da quello che attualmente è classificato come l’asteroide 2003EH1, ma che in passato pare  sia stato una cometa osservata dagli astronomi cinesi, giapponesi e coreani alla fine del  XV secolo chiamata C/1490 Y1

In Europa eravamo tutti presi dallo spettacolo dell”eclissi di Sole , che ci siamo quasi dimenticati dello sciame meteorico  delle Quadrantidi che raggiungeva il suo picco appena poche ore prima.
Secondo i dati dell’International Meteor Organization (IMO) che raccoglie i dati di tutto il mondo, il tasso zenitale orario è stato di quasi un centinaio di meteore all’ora.
In quei momenti in cui molti di noi dormivano, Mike Hankey di Freeland, Maryland, ha osservato questo bolide esplodere in cielo provocando un flash luminoso quanto il pianeta Venere e una scia che si è dissolta in dieci minuti.

In Europa l’eclissi di Sole, in America le Quadrantidi con i bolidi che esplodono nel cielo: l’inizio dell’anno promette bene per gli astronomi di tutto il mondo.

Appuntamento con l’alba

Il Coso montato sul teleobiettivo

La sera prima era nervoso. Aveva fatto carte false col tempo  per finire di costruire il Coso ma non era certo del suo funzionamento; sarebbe bastato un forellino, un pertugio non chiuso perfettamente e tutti i suoi sforzi di una settimana sarebbero stati vani.

Ma come, un evento così importante e lo preparava all’ultimo momento???
No, no, era colpa una volta tanto dei corrieri che avevano inviato l’anima del Coso a 2000 chilometri più a sud, che quindi era arrivata soltanto il 28, giusto sei giorni prima. Il lavoro e la famiglia poi non concedevano molto tempo per studiare come realizzare il Coso, fare i prototipi e testarli.
Poi la notte di Capodanno, mentre l’umanità festeggiava, ecco l’ispirazione, il genio: Cartoncino Bristol!
Aveva dei fogli di cartoncino in formato A4 e una stampante laser che marchiava anche i chiodi, se necessario.
Fu così che disegnò una striscia lunga quanto il foglio (29 cm) e larga 3 cm, con una dentellatura laterale di 2 x 1,5 cm e due grossi quadrati di 16 x 14 cm con un cerchio al centro grande quanto il paraluce che avrebbe sorretto il Coso.

Disegno del Coso

Ritagliò la striscia e i quadrati, ritagliò con un taglierino i cerchi e le dentellature che poi andò a piegare verso l’esterno e arrotolò la striscia intorno al paralume. Perfetto! Incollò le estremità di cartone tra loro e poi tutto l’anello a uno dei quadrati di prima, spalmando di colla vinilica tutta la superficie e i denti di appoggio ben aderenti. Rinforzò il tutto con un terzo quadrato che aveva avuto cura di preparare prima, infilando l’anello nel foro, coprendo e bloccando i denti dell’anello. Ancora una abbondante pennellata di colla come nel decoupage avrebbe irrobustito la struttura superiore del Coso.
Il 2 gennaio fu dedicato tutto alla verniciatura del Coso. La colla aveva svolto egregiamente la sua funzione e la struttura portante del Coso era rigida e robusta ma leggerissima. Stese due mani belle abbondanti di vernice spray nera e opaca sull’interno dei quadrati del Coso e l’interno dell’anello (il secondo quadrato, ricordate? non era separato dal primo e i fori erano speculari) e quando queste erano definitivamente asciutte, dette ancora due abbondanti mani di vernice spray argentata sull’esterno dei quadrati e all’esterno dell’anello. Bello, ma ormai anche il 2 se n’era andato, restava soltanto un altro giorno. Appena.
L’ultimo giorno disponibile stava per scadere. Fu allora che ritagliò un quadrato di pellicola Astrosolar che se n’era andata a spasso per il mondo, forse con Babbo Natale, di 13x 13 cm, avendo cura di toccarla con le pinzette e solo dopo aver indossato guanti di lattice per non lasciare inopportune impronte sulla delicatissima pellicola. L’adagiò delicatamente all’interno del secondo quadrato che aveva spennellato di colla vinilica sulla parte nera, quella interna, avendo particolare cura intorno al bordo del foro. La pellicola si stese da sé, senza grinze, naturale. Richiuse il primo quadrato con l’anello sul secondo con l’anima di Astrosolar e sigillò i due quadrati con nastro adesivo.

Sole tra i rami

Era emozionato. Il Sole ormai era basso e quella era la sua unica occasione di collaudo del Coso, per dimostrare che l’intuizione di Capopdanno era stata giusta. Puntò la fotocamera col Coso montato verso la stella mentre la luce di questa attraversava i rami secchi di una vecchia quercia lontana e scattò. Non badò alla cura della messa a fuoco e delle variabili di scatto, l’importante era dimostrare che il Coso funzionava!
Il resto della serata lo passò a preparare la sua attrezzatura: fotocamera, obiettivi, schede di memoria, cavi e il laptop; si assicurò che le batterie fossero cariche e che non mancasse niente per l’appuntamento.

La mattina dopo baciò e salutò sua moglie, svegliò i suoi due pargoli e li vestì bene contro il freddo pungente.
Appena arrivati sul luogo dell’appuntamento,  i tre temerari fecero appena in tempo a vedere l’inizio dell’eclissi di Sole che li aspettava: il Sole appena sorto mostrava già i segni dell’incontro con la Luna. Il Coso mostrò di funzionare, ma le nuvole furono inclementi: coprirono subito con un velo l’unione cosmica dei due astri rendendo vani tutti i sacrifici.

Immagini stenoscopiche

Anche se il nome suona difficile, in realtà si tratta di un procedimento estremamente  semplice. Un’immagine stenoscopica si ottiene con una banalissima camera oscura, ossia una scatola con una carta fotografica da una parte e un quasi microscopico forellino dall’altra.
La  luce penetra da quell’unico forellino e impressiona la carta; tutto qui.

Credit Jan Koeman, Middelburg, the Netherlands

Certo, magari non tutti possono disporre di quel minimo di tecnica per maneggiare la carta fotosensibile e la pazienza necessaria per questo tipo di sperimentazione che richiede di lavorare in  una camera oscura (io per esempio ho le dita a prosciutto) ma i risultati sono bellissimi, come potete vedere da questa foto a lato.
Questa foto, realizzata con la camera stenoscopica, mostra il Sole dall’alba al tramonto per sei mesi ininterrotti di esposizione. I punti in cui le linee sono interrotte indicano una copertura nuvolosa che ha oscurato il cielo. Questo genere di riprese ha un nome ben preciso: solargrafia, con migliaia di fans in tutto il mondo.
Addirittura la NASA ha allo studio un progetto chiamato New Worlds Imager che dovrebbe permettere di studiare i pianeti extrasolari  con questa tecnica: una struttura di circa un chilometro di diametro con foro di 10 metri al centro, e uno specchio collimato con l’altra struttura grande quanto il foro, a 200 000 chilometri di distanza!
Comunque senza fare progetti pindarici, il concetto di camera oscura potrà rivelarsi utilissimo a breve per quanti vorranno cimentarsi a osservare l’eclisse di Sole (vedi l’articolo su questo Blog) senza rischiare la vista con mezzi di fortuna (che io sconsiglio): se avete una stanza rivolta verso il Sole (sud, sud est) potete praticare un minuscolo forellino in un cartone o  una scatola, anche quelle da scarpe vanno benissimo,  e osservare l’andamento del fenomeno sul pavimento o sulla parete opposta … capovolto! Potete a questo modo disegnare, magari su carta l’impronta del Sole e della Luna che si muovono con l’avanzar del tempo,  un po’ come faceva il celebre pittore veneziano del XVIII secolo Giovanni Antonio Canal quando disegnava i suoi celebri paesaggi.

Anche questa è scienza.