Zenone, Olbers e l’energia oscura (terza parte)

Nei precedenti articoli ho cercato di spiegare che il nostro Universo è in realtà freddo e buio fatto perlopiù di vuoto in perenne espansione. È impossibile che il peso di tutto il suo contenuto possa infine provocarne il collasso, non c’è abbastanza materia e energia (anche l’energia ha la sua importanza: ricordate il rapporto di equivalenza tra massa ed energia E=mc2?) per farlo chiudere su sé stesso. Ma se l’idea di un Big Crunch finale, ossia una fine dell’Universo governata da pressioni e temperature inimmaginabili tanto da far impallidire l’Inferno dantesco certamente non è piacevole, l’idea che tutta la già poca materia esistente finisca disgregata in una manciata di fotoni solitari nel nulla del vuoto che corre ancora più veloce della luce è spaventoso; inimmaginabile. Ma tranquillizzatevi, questo accadrà forse fra migliaia di eoni ma intanto il fenomeno che condanna a morte l’Universo potrebbe essere lo stesso che permette oggi la nostra esistenza.

La Hubble Ultra Deep Field (HUDF) è stata ripresa tra il 24 settembre 2003 e il 16 gennaio successivo mostra che stelle e galassie già dominavano l'Universo 13 miliardi di ani fa. Questo campo è circa un decimo della luna piena ma contiene qualcosa come dieci mila galassie! Credit: NASA

La Hubble Ultra Deep Field (HUDF) è stata ripresa tra il 24 settembre 2003 e il 16 gennaio successivo mostra che stelle e galassie già dominavano l’Universo 13 miliardi di ani fa. Questo campo è circa un decimo della luna piena ma contiene qualcosa come dieci mila galassie! Credit: NASA

Cercare di immaginare  la vastità dell’Universo è quasi impossibile e descriverlo senza ricorrere agli artifici matematici lo è ancora di più.
La naturale percezione umana è troppo limitata per descriverlo; essa già fallisce quando cerca di dimostrare la piattezza della Terra che è una sfera 7 milioni di volte più grande di un uomo.
Quindi quando sentiamo parlare di “universo in espansione” è spontaneo chiedersi anche “Entro cosa?“. In realtà non c’è un dentro e un fuori, così come non può esserci un punto di partenza e uno di arrivo in una circonferenza. Idealmente il tessuto dell’Universo, lo spazio-tempo, lo si può far coincidere con l’espansione dello stato di falso vuoto provocato dal decadimento del campo inflatone che chiamiamo Big Bang. Una metafora che uso spesso è quella del panettone che lievita: i canditi sono in quiete fra loro, proprio come lo sono le galassie; è il panettone che gonfiandosi fa crescere la loro distanza relativa.  L’Universo fa altrettanto e come non può esserci panettone fuori dal panettone, non può esserci spazio fuori dallo spazio.

Nel 1917 ancora si dava per scontato che l’Universo nel suo insieme fosse statico e immutabile ma le equazioni di campo derivate dalla Relatività Generale asserivano il contrario. Einstein stesso cercò di conciliare le sue equazioni di campo ad un modello statico di universo introducendo una costante, indicata con la lettera greca Λ, capace di contrastare il collasso gravitazionale del contenuto dell’universo assegnandole quindi una natura repulsiva. L’aspetto matematico di questa costante è quello di una densità energetica del vuoto  (ρΛ=Λc48πG) espresse in unità di energia per unità di volume (J/m3). Essendo essa il prodotto di altre costanti fisiche, π, c e G,  una volta indicato il suo valore numerico, esso non varia col tempo, con la dimensione di scala o altre condizioni fisiche: è costante comunque.
In seguito la scoperta dell’espansione dell’universo fece decadere l’ipotesi di una costante repulsiva capace di contrastare il collasso dell’Universo, ma nel 1998 due studi indipendenti, Supernova Cosmology Project [cite]https://arxiv.org/abs/0907.3526[/cite] e il High-Z Supernova Search Team [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/9805200[/cite], dimostrarono che in realtà l’espansione dell’Universo stava accelerando.
La scoperta ovviamente giungeva inaspettata. L’Universo appariva sì in espansione, frutto del residuo della spinta iniziale dell’era inflazionaria; era anche chiaro come i modelli  cosmologici indicassero – come si è visto – che non c’è abbastanza materia ed energia perché il processo di spinta espansiva potesse infine arrestarsi e invertirsi verso un futuro Big Crunch, ma al più ci si poteva aspettare un minimo cenno di rallentamento nel ritmo verso una espansione illimitata, invece una accelerazione era proprio inattesa. E così che il concetto di una una proprietà repulsiva del vuoto, la famosa costante Lambda introdotta da Einstein ma poi quasi dimenticata perché  ritenuta inutile, tornò alla ribalta.

Ipotesi cosmologica dell’Energia Oscura, il modello della Costante Cosmologica Λ

Dovessimo descrivere il tessuto dello spaziotempo come un fluido, che non è materia o energia ma come più volte detto esiste energeticamente come uno stato di falso vuoto,  allora la densità energetica descritta da ρΛ attribuibile ad esso appare invariante rispetto a qualsiasi stato di materia e di energia che occupa lo spazio. In questo modello ρΛ è costante, così come lo era nei microsecondi successivi al Big Bang e lo sarà anche in un incalcolabile futuro.

Uno stato di falso vuoto in un campo scalare \(\varphi\). Si noti che l'energia E è più grande di quella dello stato fondamentale o vero vuoto. Una barriera energetica impedisce il campo di decadere verso lo stato di vero vuoto.L'effetto più immediato di questa barriera è la continua creazione di particelle virtuali tramite fenomeni di tunneling quantistico .

Uno stato di falso vuoto (il pallino) in un campo scalare φ. Si noti che l’energia E è più grande di quella dello stato fondamentale o vero vuoto. Una barriera energetica impedisce il campo di decadere verso lo stato di vero vuoto. L’effetto più immediato di questa barriera è la continua creazione di particelle virtuali tramite fenomeni di tunneling quantistico .

È il Principio di Indeterminazione di Heisenberg che permette all’energia del falso vuoto di manifestarsi tramite la perpetua produzione spontanea di particelle virtuali:. ΔxΔp2
Dove Δx indica il grado di indeterminazione della posizione e Δp quello dell’energia posseduta da una particella p rispetto alla Costante di Planck ridotta . La stessa relazione lega l’energia E e il tempo t: ΔEΔt2
Questo significa che per un periodo di tempo brevissimo (questo è strettamente legato all’energia della particella) è possibile violare la ferrea regola della conservazione dell’energia, permettendo così  la formazione di coppie di particelle e antiparticelle virtuali che esistono solo per questo brevissimo lasso di tempo prima di annichilirsi a vicenda 1.
Non solo: i gluoni responsabili dell’Interazione Forte che legano insieme i quark sono particelle virtuali, i bosoni delle interazioni deboli sono virtuali e anche i fotoni che si scambiano gli elettroni all’interno degli atomi sono solo virtuali.
Comprendere come questa energia faccia espandere l’Universo è un attimino più complicato.
Immaginatevi di strizzare un palloncino. L’aria, o il gas, al suo interno si concentrerà così in un volume minore e premerà di conseguenza sulle pareti di gomma con una forza maggiore. L’intensità della pressione è ovviamente data dal numero delle particelle per unità di volume per l’energia cinetica delle particelle stesse ed è chiamata appunto densità energetica. Quando rilasciamo il palloncino, il volume di questo aumenta e le particelle d’aria che facevano pressione su un volume minore si ridistribuiscono allentando così la pressione; si ha così un calo della densità energetica.
Ma se la densità energetica dovesse essere una costante come lo è la densità energetica relativa al falso vuoto, ecco che a maggior volume corrisponderebbe una maggiore pressione sulle pareti del palloncino ideale e, più questo si espande, sempre maggiore sarebbe la spinta espansiva.
Questo è ciò che accade all’Universo: dopo un momento inflattivo iniziale provocato dal collasso del campo inflatone verso uno stato di falso vuoto che ha reso omogeneo (Ω=1) l’Universo, la densità energetica residua ha continuato il processo di espansione dell’Universo sino alle dimensioni attuali. All’inizio della sua storia, finché l’Universo era più piccolo e giovane, la densità della materia ρ è stata abbastanza vicina al valore di densità critica ρc, permettendo così che l’azione gravitazionale della materia contrastasse in parte la spinta espansiva; ma abbiamo visto che comunque a maggiore volume corrisponde una maggiore spinta espansiva, e è per questo che la materia ha perso la partita a braccio di ferro con l’energia di falso vuoto fino a ridurre la densità media dell’Universo ai valori attuali. In cambio però tutti i complessi meccanismi che regolano ogni forma di materia e di energia non potrebbero esistere in assenza dell’energia del falso vuoto dell’Universo.
Se il destino ultimo dell’Universo è davvero quello del Big Rip, però è anche quello che oggi permette la nostra esistenza, e di questo dovremmo esserne grati.

Qui ho provato a descrivere l’ipotesi più semplice che cerca di spiegare l’Energia Oscura. Ci sono altre teorie che vanno da una revisione della Gravità su scala cosmologica fino all’introduzione di altre forze assolutamente repulsive come nel caso della Quintessenza (un tipo di energia del vuoto che cambia nel tempo al contrario della Λ). Si sono ipotizzate anche bolle repulsive locali piuttosto che un’unica espansione accelerata universale; un po’ di tutto e forse anche di più, solo il tempo speso nella ricerca può dire quale di questi modelli sia vero.
Però spesso nella vita reale e nella scienza in particolare, vale il Principio del Rasoio di Occam, giusto per tornare dalle parti di dove eravamo partiti in questo lungo cammino. Spesso la spiegazione più semplice è anche la più corretta e in questo caso l’ipotesi della Costante Cosmologica è in assoluto quella che lo è di più.
Cieli Sereni

Zenone, Olbers e l’energia oscura (seconda parte)

Nella prima parte di quest’articolo credo di aver dimostrato come nella risposta al paradosso di Olbers si nasconda la prova principe dell’Universo in espansione. Tale affermazione ci svela l’Universo per quello che veramente è. L’Energia Oscura per ora lasciamola per un attimo in disparte e diamo uno sguardo all’aspetto reale dell’Universo prima di approfondire questa voce.

La geometria locale dell'universo è determinato dal fatto che l'Ω densità relativa è inferiore, uguale o maggiore di 1. Dall'alto in basso: un sferica universo con maggiore densità critica (Ω> 1, k> 0); un iperbolica , universo underdense (Ω <1, k <0); e un universo piatto con esattamente la densità critica (Ω = 1, k = 0). L'universo, a differenza dei diagrammi, è tridimensionale.

La geometria locale dell’universo è determinata dalla sua densità. media come indicato nell’articolo.  Dall’alto in basso: un universo è sferico se il rapporto di densità media supera il valore critico 1 (Ω> 1, k> 0) e in questo caso si ha il suo successivo collasso (Big Crunch); un universo iperbolico nel caso di un rapporto di densità media inferiore a 1 (Ω <1, k <0) e quindi destinato all’espansione perpetua (Big Rip); e un universo piatto possiede esattamente il rapporto di densità critico (Ω = 1, k = 0). L’universo, a differenza dei diagrammi, è tridimensionale.

È nella natura dell’uomo tentare di decifrare l’Universo.  Le tante cosmogonie concepite nel passato lo dimostrano.  Un Uovo  Cosmico,  il Caos, la guerra tra forze divine contrapposte, sono stati tutti tentativi di comprendere qualcosa che è immensamente più grande. Ma solo per merito degli strumenti matematici e tecnologici che sono stati sviluppati negli ultimi 400 anni possiamo affermare oggi che si è appena scalfito l’enorme complessità del  Creato.
Fino a neanche cento anni fa l’idea che il cosmo fosse così enormemente vasto non era neppure contemplata: si pensava che le altre galassie lontane fossero soltanto delle nebulose indistinte appartenenti alla Via Lattea [cite]https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Dibattito[/cite].
Il dilemma nel descrivere matematicamente l’Universo apparve ancora più evidente con l’applicazione delle equazioni di campo della Relatività Generale [cite]https://it.wikipedia.org/wiki/Equazione_di_campo_di_Einstein[/cite] in questo contesto. Emergeva così però un quadro ben diverso rispetto a quanto supposto. Fino ad allora era sembrato ragionevole descrivere l’universo ipotizzando che le diverse relazioni tra le diverse quantità fisiche fossero invarianti col variare dell’unità di misura e del sistema di riferimento. In pratica si ipotizzava un universo statico, isotropo sia nello spazio che nel tempo. Un universo così semplificato senza tener conto del suo contenuto di materia ed energia potremmo descriverlo geometricamente piatto (Ω=1 che indica il rapporto tra la densità rilevata e la densità critica ρ/ρc), dove la somma degli angoli di un triangolo arbitrariamente grande e idealmente infinito restituisce sempre i 180° come abbiamo imparato a scuola [cite]https://it.wikipedia.org/wiki/Universo_di_de_Sitter[/cite]. Il problema è che l’Universo non è vuoto; contiene materia, quindi massa, e energia. In questo caso le equazioni di campo usate nei modelli di Friedmann propongono due soluzioni molto diverse tra loro. Infatti se il rapporto di densità media della materia, indicata dalla lettera greca Ω, dell’universo fosse minore o uguale rispetto a un certo valore critico (Ω1), allora l’universo risulterebbe destinato a essere spazialmente infinito. Oppure, se il rapporto di densità media dell’universo fosse più alto (Ω>1) allora il campo gravitazionale prodotto da tutta la materia (non importa quanto distante) finirebbe per far collassare di nuovo l’universo su se stesso in un Big Crunch. Comunque, in entrambi i casi queste soluzioni implicano che ci fosse stato nel passato un inizio di tutto: spazio, tempo, materia ed energia, da un punto geometricamente ideale, il Big Bang [1. Chiedersi cosa ci fosse spazialmente al di fuori dell’Universo o prima della sua nascita a questo punto diventa solo speculazione metafisica, il tempo e lo spazio come li intendiamo noi sono una peculiarità intrinseca a questo Universo.].

Were the succession of stars endless, then the background of the sky would present us an uniform luminosity, like that displayed by the Galaxy – since there could be absolutely no point, in all that background, at which would not exist a star. The only mode, therefore, in which, under such a state of affairs, we could comprehend the voids which our telescopes find in innumerable directions, would be by supposing the distance of the invisible background so immense that no ray from it has yet been able to reach us at all.
Se la successione delle stelle fosse senza fine, allora il fondo del cielo si presenterebbe come una luminosità uniforme, come quella mostrata dalla Galassia, dato che non ci sarebbe assolutamente alcun punto, in tutto il cielo, nel quale non esisterebbe una stella. La sola maniera, perciò, con la quale, in questo stato di cose, potremmo comprendere i vuoti che i nostri telescopi trovano in innumerevoli direzioni, sarebbe supporre che la distanza del fondo invisibile sia così immensa che nessun raggio proveniente da esso ha potuto finora raggiungerci”

Tornando un passo indietro al famoso Paradosso di Olbers. Una soluzione alquanto intelligente venne proposta dal poeta americano Edgard Allan Poe in un saggio intitolato Eureka: A Prose Poem [cite]http://www.eapoe.org/works/editions/eurekac.htm[/cite], tratto da una conferenza precedente da lui presentata a New York. Vi cito il brano nel riquadro qui accanto (perdonate per la traduzione forse raffazzonata).  Sarebbe bastato indagare un po’ di più sui limiti imposti dalla fisica per capire che la soluzione fino ad allora proposta, ossia che una moltitudine di nebulose oscure avrebbero oscurato la radiazione stellare più distante, non era quella giusta. Invece un universo dinamico in espansione e  che avesse avuto un inizio certo in un momento passato lo sarebbe stato, più o meno come suggerito da H. A. Poe. Con la scoperta della recessione delle galassie grazie agli studi di Edwin Hubble tra il 1920 e il 1923 divenne evidente che l’Universo era in realtà un universo dinamico in espansione come le soluzioni proposte da Lemaitre e Friedmann usando le equazioni di campo di Albert Einstein suggerivano.

La teoria cosmologica del Big Bang, il modello inflazionario

Il quadro che finalmente emergeva dalle equazioni di Friedman e che come ho descritto la volta scorsa tiene conto dell’espansione metrica del tessuto spazio-tempo, dalla recessione delle galassie al paradosso da me citato più volte, indica un inizio temporale dell’Universo nel passato insieme a tutta la materia e l’energia che oggi osserviamo. Per spiegare la piattezza (Ω=1) dell’Universo attuale nel 1979 il fisico americano Alan Guth – e indipendentemente da altri cosmologi come il russo Andrej Linde – suggerì che l’Universo subito dopo la sua formazione (da 10-35 secondi a 10-32 secondi) si sia gonfiato così rapidamente da provocare un superaffreddamento della sua energia, da 1027 K fino a 1022 K.  In questa fase tutto l’Universo sarebbe passato dalle dimensioni di 10-26 metri (un centimiliardesimo delle dimensioni di un protone) a 10 metri di diametro, ben 27 ordini di grandezza in una infinitesima frazione di secondo. Durante quest’era chiamata inflattiva, un sussulto nell’energia, un po’ come una campana che risuona dopo esser stata colpita da un battacchio, avrebbe avviato un processo di ridistribuzione dell’energia verso uno stato di equilibro contrastando così il superrafreddamento causato dall’espansione. Questo processo avrebbe finito per far decadere il campo inflativo, chiamato appunto Campo Inflatone e responsabile dell’inflazione iniziale, verso uno stato abbastanza stabile chiamato falso vuoto e provocando una transizione di fase dello stesso campo che ha quindi dato origine a tutta la materia, compresa ovviamente quella oscura, e tutta l’energia che oggi osserviamo nell’Universo.

Permettetemi un breve digressione: Quando accendiamo una candela, facciamo esplodere qualcosa, che sia un esplosivo al plastico oppure del granturco per fare il pop corn, o più semplicemente sentiamo sulla pelle il calore del sole che ha origine nelle reazioni termonucleari al centro della nostra stella, quella è ancora l’energia, riprocessata in migliaia di modi diversi, che scaturì col Big Bang.

Fu appunto quest’era inflattiva, dominata dal campo inflatone a dilatare così tanto l’Universo da fargli assumere l’aspetto così sorprendentemente piatto che oggi conosciamo, una curvatura così ampia da sembrate piatta 1, così vicina al canonico valore di Ω=1.

L’espansione post inflazionistica: il problema della densità

Se volete dilettarvi sulla transizione di fase, provate a gettare una tazzina d’acqua bollente nell’aria fredda abbondantemente sotto zero. Più o meno è lo stesso processo accaduto al campo inflatone: un campo energetico (l’ acqua calda nella tazzina) che viene liberata nell’aria super fredda (universo inflazionato). Il nevischio sono le particelle scaturite dalla transizione di fase dell’acqua.

Con il suo decadimento, la spinta del campo inflatone cessa di essere il motore dell’espansione dell’Universo ma la spinta continua per inerzia, con una piccola differenza: la presenza della materia.
Ormai il campo inflatone è decaduto  attraverso un cambiamento di fase che ha dato origine a tutta la materia che osserviamo direttamente e indirettamente oggi nel cosmo. Piccole fluttuazioni quantistiche in questa fase possono essere state le responsabili della formazione di buchi neri primordiali [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/06/materia-oscura-e-se-fossero-anche-dei-buchi-neri.html[/cite]. Ma al di là di quale natura la materia essa sia, materia ordinaria, materia oscura, antimateria, essa esercita una debolissima forza di natura esclusivamente attrattiva su tutto il resto; la forza gravitazionale. 
Quindi, come previsto dalle succitate equazioni di Friedmann, è la naturale attrazione gravitazionale prodotta dalla materia a ridurre quasi ai ritmi oggi registrati per l’espansione.
Ma tutta la materia presente nell’Universo comunque non pare sufficiente a frenare e fermare l’espansione.
La densità critica teorica dell’Universo ρc è possibile calcolarla partendo proprio dal valore dell’espansione metrica del cosmo espressa come Costante di Hubble H0 [cite]http://arxiv.org/abs/1604.01424[/cite] secondo le più recenti stime:
ρc=3H028πG 
Assumendo che H0 valga 73,24 km/Mpc allora si ha un valore metrico di H0=(73,24×1000)3,086×1022=2,3733×1018m
Quindi 3×2,3733×101828×π×6,6725911=1,0076126kg/m3
Conoscendo il peso di un singolo protone (1,67 x 10-24 grammi) o al noto Numero di Avogadro che stabilisce il numero di atomi per una data massa, si ottiene che 1,00761×1026×10001,67×1024=6,003che sono appena 6 atomi di idrogeno neutro per metro cubo di spazio (ovviamente per valori H0 diversi anche il valore assunto come densità critica ρc cambia e di conseguenza anche il numero di atomi per  volume di spazio).
Ora se volessimo vedere quanta materia c’è nell’Universo potremmo avere qualche problema di scala. Assumendo una distanza media tra le galassie di 2 megaparsec e usando la massa della nostra galassia a confronto, 2 x 1042 chilogrammi, otterremo all’incirca il valore ρ quasi corrispondente a quello critico (5 atomi per metro cubo di spazio). Eppure, se usassimo come paragone l’intero Gruppo Locale (La Via Lattea, la Galassia di Andromeda, più un’altra settantina di galassie più piccole) che si estende per una decina di Mpc di diametro per una massa complessiva di appena 8,4 x 1042 kg [cite]http://arxiv.org/abs/1312.2587[/cite], otteniamo un valore meno di cento volte inferiore (0,04 atomi per metro cubo di spazio). E su scala maggiore la cosa non migliora, anzi.
L’Universo appare per quel che è oggi, un luogo freddo e desolatamente vuoto, riscaldato solo dalla lontana eco di quello che fu fino a 380 mila anni dopo il suo inizio.
(fine seconda parte)

Zenone , Olbers e l’energia oscura (prima parte)

Mi pareva di aver già trattato in passato lo spinoso problema dell’Energia Oscura. Questo è un dilemma abbastanza nuovo della cosmologia (1998 se non erro) e sin oggi il più incompreso e discusso (spesso a sproposito). Proverò a parlarne partendo da lontano …

[video_lightbox_youtube video_id=”HRoJW2Fu6D4&rel=false” auto_thumb=”1″ width=”800″ height=”450″ auto_thumb=”1″]Alvy: «L’universo si sta dilatando»
Madre: «L’universo si sta dilatando?»
Alvy: «Beh, l’universo è tutto e si sta dilatando: questo significa che un bel giorno scoppierà, e allora quel giorno sarà la fine di tutto»
Madre: «Ma sono affari tuoi, questi?»
(Io e Annie, Woody Allen 1997)

Attorno al V secolo a.C. visse un filosofo che soleva esprimersi per paradossi. Si chiamava Zenone di Elea e sicuramente il suo più celebre fu quello di “Achille e la tartaruga“.
In questo nonsense Zenone affermava che il corridore Achille non avrebbe mai potuto raggiungere e superare una tartaruga se questa in un’ipotetica sfida fosse partita in vantaggio indipendentemente dalle doti del corridore; questo perché nel tempo in cui Achille avesse raggiunto il punto di partenza della tartaruga, quest’ultima sarebbe intanto andata avanti e così via percorrendo sì spazi sempre più corti rispetto ad Achille ma comunque infiniti impedendo così al corridore di raggiungere mai l’animale. Si narra anche che un altro filosofo,  Diogene di Sinope, a questo punto del racconto si fosse alzato e camminato, dimostrando l’infondatezza di quel teorema.
È abbastanza evidente l’infondatezza empirica di quel paradosso, nella sua soluzione Aristotele parlava di spazio e di tempo divisibili all’infinito in potenza ma non di fatto, una nozione oggi cara che si riscopre nella Meccanica Quantistica con i concetti di spazio e di tempo di Planck, ma ragionare su questo ora non è il caso.
Piuttosto, immaginiamoci cosa succederebbe se lo spazio tra A (la linea di partenza di Achille) e B (la tartaruga) nel tempo t che impiega Achille a percorrerlo si fosse dilatato. Chiamiamo D la distanza iniziale e v la velocità costante con cui Achille si muove: nella fisica classica diremmo che D è dato da t×v, ovvio. Ma se nel tempo t/2 la D è cresciuta di una lunghezza che chiameremo d, alla fine quando Achille coprirà la distanza D, il punto B sarà diventato D+2d e la tartaruga non sarebbe stata raggiunta nel tempo finito t neppure se fosse rimasta ferma.

Animazione artistica del Paradosso di Olbers.

Animazione artistica del Paradosso di Olbers.

Se sostituissimo ad Achille un quanto di luce, un fotone come ad esempio il buon vecchio Phòs, e alla pista della sfida il nostro Universo, avremmo allora ricreato esattamente il medesimo quadro fisico. Nel 1826 un medico e astrofilo tedesco, Heinrich Wilhelm Olbers, si chiese perché mai osservando il cielo di notte questo fosse nero. Supponendo che l’universo fosse esistito da sempre, fosse infinito e isotropo (oggi sappiamo che non è vera quasi nessuna di queste condizioni e l’Universo è isotropo solo su grande scala, ma facciamo per un attimo finta che lo siano), allora verso qualsiasi punto noi volgessimo lo sguardo dovremmo vedere superfici stellari senza soluzione di continuità. Questa domanda in realtà se l’erano posta anche Keplero, Isaac Newton e Edmund Halley prima di lui ma non sembrava allora forse una questione importante come invece lo è.
138 anni dopo, nel 1964, due ricercatori della Bell Telephone Company che stavano sperimentando un nuovo tipo di antenna a microonde, Arno Penzias e Robert Wilson [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/03/echi-da-un-lontano-passato-la-storia.html[/cite] scoprirono uno strano tipo di radiazione che pareva provenire con la stessa intensità da ogni punto del cielo. Era la Radiazione Cosmica di Fondo a Microonde (Cosmic Microwave Background Radiation) che l’astrofisico rosso naturalizzato statunitense George Gamow negli anni ’40 aveva previsto 1 [cite]https://arxiv.org/abs/1411.0172[/cite] sulle soluzioni di Alexander Friedmann che descrivono un universo non statico come era stato dimostrato dal precedente lavoro di Hubble e Humason sulla recessione delle galassie. Questa intuizione è oggi alla base delle attuali teorie cosmologiche che mostrano come i primi istanti dell’Universo siano stati in realtà dominati dall’energia piuttosto che la materia, e che anche l’Universo stesso ha avuto un’inizio temporalmente ben definito – anzi il tempo ha avuto inizio con esso – circa 13,7 miliardi di anni fa, giorno più giorno meno. Il dominio dell’energia nell’Universo durò fino all’epoca della Ricombinazione, cioè fin quando il protoni e gli elettroni smisero di essere un plasma caldissimo e opaco alla radiazione elettromagnetica e si combinarono in atomi di idrogeno. In quel momento tutto l’Universo era caldissimo (4000 K, quasi come la superficie di una nana rossa). E qui che rientra in gioco il Paradosso di Olbers: perché oggi osserviamo che lo spazio fra le stelle e le galassie è freddo e buio permeato però da un fondo costante di microonde? Per lo stesso motivo per cui in un tempo finito t Achille non può raggiungere la linea di partenza della tartaruga, lo spazio si dilata.
Electromagneticwave3DI fotoni, i quanti dell’energia elettromagnetica come Phòs, si muovono a una velocità molto grande che comunque è finita, 299792,458 chilometri al secondo nel vuoto, convenzionalmente indicata con c. Queste particelle, che appartengono alla famiglia dei bosoni, sono i mediatori dei campi elettromagnetici. La frequenza di oscillazione di questi campi in un periodo di tempo t ben definito (si usa in genere per questo il secondo: f=1/t) determina la natura del fotone e è indicata con f: più è bassa la frequenza e maggiore la lunghezza d’onda: frequenze molto basse sono quelle delle onde radio (onde lunghe e medie, che in genere corrispondono alle bande LF e  AM della vostra radio, anche se AM sarebbe un termine improprio 2), poi ci sono le frequenze ben più alte per le trasmissioni FM 3, VHF, UHF, microonde, infrarossi, luce visibile, ultravioletti, raggi X e Gamma, in quest’ordine. Tutte queste sono espressioni del campo elettromagnetico si muovono nello spazio alla medesima velocità c, quello che cambia è solo la frequenza: f=cλ
Ma è anche vero che una velocità è l’espressione di una distanza D per unità di tempo (D=t×v), pertanto nel caso della luce potremmo anche scrivere che D=t×c. Ma se D cambia mentre c è costante, allora è anche t a dover cambiare. Per questo ogni variazione delle dimensioni dello spazio si ripercuote automaticamente nella natura dei campi associati ai fotoni: un aumento di D significa anche un aumento della lunghezza d’onda, quello che in cosmologia si chiama redshift cosmologico. Potremmo vederla anche come l’aumento della distanza tra diversi punti di un’onda con i medesimi valori del campo elettromagnetico (creste o valli) ma è esattamente la stessa cosa.
Per questo percepiamo buio il cielo: la natura finita e immutabile della velocità della luce trasla verso frequenze più basse la natura della luce stessa, tant’è che quello che noi oggi percepiamo la radiazione cosmica di fondo a microonde con una temperatura di appena 2,7 kelvin è la medesima radiazione caldissima che permeava l’intero Universo  380000 anni dopo che si era formato.
La migliore stima dell’attuale ritmo di espansione dell’Universo è di 73,2 chilometri per megaparsec per secondo, un valore enormemente piccolo, appena un decimo di millimetro al secondo su una distanza paragonabile a quella che c’è tra il Sole e la stella più vicina. Eppure l’Universo è così vasto che questo è sufficiente per traslare verso lunghezze d’onda maggiori tutto quello che viene osservato su scala cosmologica, dalla luce proveniente da altre galassie agli eventi parossistici che le coinvolgono. Questo perché l’effetto di stiramento è cumulativo, al raddoppiare della distanza l’espansione raddoppia, sulla distanza di due megaparsec lo spazio si dilata per 146,4 chilometri e così via, e questo vale anche per il tempo considerato, in due secondi la dilatazione raddoppia.
Le implicazioni cosmologiche sono enormi, molto più dell’arrossamento della luce cosmologico fin qui discusso. Anche le dimensioni dello stesso Universo sono molto diverse da quello che ci è dato vedere. Noi percepiamo solo una parte dell’Universo, ciò che viene giustamente chiamato Universo Osservabile che è poi è la distanza che può aver percorso il nostro Phòs nel tempo che ci separa dal Big Bang, 13,7 miliardi di anni luce.

Ora dovrei parlare del perché l’Universo si espande e del ruolo dell’Energia Oscura in tutto questo, ma preferisco discuterne in una seconda puntata. Abbiate pazienza ancora un po’.
Cieli sereni.

Il paradosso di Zenone Quantistico

Cercare di interpretare la meccanica quantistica con le esperienze quotidiane dominate dalla fisica classica è impossibile; si va incontro a paradossi come l’esempio qui sotto:

Streghe-1Supponiamo di prendere un atomo in uno stato eccitato e instabile e di sottoporlo ad una serie di misurazioni ripetute nel tempo per vedere in che stato è. In Meccanica Quantistica ogni osservazione causa il collasso della funzione d’onda, permettendo a quello stato di permanere indefinitamente.
Osservare vuol dire inviare dei fotoni, quindi energia, che permettano di conoscere lo stato dell’atomo una volta riflessi. Misurare vuol dire anche far interagire radiazione e materia.Quindi la probabilità di transizione di un sistema illuminato da una radiazione incoerente dipende linearmente dal tempo di misurazione:
Dal momento che la velocità di transizione è 1/τ allora
P2=tτ
se l’atomo permette 2 stati, eccitato e non, allora la probabilità che l’atomo sia ancora nello stato eccitato dopo un tempo t è

P1=1tτ
Se la misurazione ci informa ancora che l’atomo è nello stato eccitato allora significa che la funzione d’onda è nuovamente collassata allo stato eccitato e quindi il processo ricomincia.
Misurando il sistema ad un tempo 2t la probabilità che sia nello stato eccitato sarà ovviamente:

P2=(1tτ)212tτ
sviluppato per t piccolo,troveremmo la stessa probabilità di avere l’atomo eccitato come se non avessimo fatto alcuna misura all’istante t.

Quando i tempi di osservazione si riducono molto rispetto al tempo di vita medio dello stato 2, si ha che la probabilità di transizione è proporzionale a t2 anziché a t.
Allora lo sviluppo relativo all’osservazione all’istante 2t produrrà una probabilità che l’atomo si trovi ancora nello stato superiore proporzionale a 2t2 P212t2
mentre se non avessimo fatto alcuna misura sarebbe stata semplicemente P214t2
Per cui applicando il ragionamento a N osservazioni ad intervalli regolari T/N (dove T è il tempo totale di osservazione) troviamo che nel limite di infinite osservazioni la probabilità di trovare l’atomo nello stato eccitato è 1, ossia sempre (roba forte eh, atomino?)
Tutto questo per dire che è dannoso alzare il coperchio per vedere se l’acqua bolle, più l’osserviamo più essa non bollirà; lasciate che trabocchi.