Da Euclide alla vastità del cosmo passando per Λ

Nella prima parte abbiamo visto come una disciplina scientifica, la geometria, che era nata per misurare la terra intesa come territorio, sia anche il più potente strumento in grado di descrivere l’Universo. Menti brillanti come Eratostene di Cirene e Aristarco di Samo, Pitagora ed Euclide e poi Hilbert, Lorentz e Riemann, solo per citare alcuni che ora mi vengono in mente per primi, ci hanno donato gli strumenti migliori per sondare i segreti del cosmo. Ma come tutti gli attrezzi, occorre perizia nell’usarli, e questo è compito dell’intelletto umano, senza il quale, tali strumenti sarebbero inutili.

Adattato e corretto da: Il Poliedrico

Non è affatto facile comprendere le scale cosmiche. Lo scorso esempio dell’isola sperduta ne è un perfetto esempio. Le dimensioni della Terra sono enormi rispetto alla scala umana, mentre quelle del Sistema solare sono quasi al limite della comprensione. Con i mezzi attuali ci vogliono 9 anni per arrivare nei pressi di Plutone e almeno 8 mesi per andare su Marte, il pianeta più vicino. 
Distanze ancora più grandi come quella che ci separa dalla stella più vicina, Proxima Centauri, sono talmente grandi che vengono misurate con lo spazio percorso dalla luce nell’arco di un anno, affinché diventino comprensibili: più di 4 anni luce per arrivare alla stella più vicina al Sole nella Galassia. A sua volta questa è talmente grande che la luce impiega 100 mila anni per attraversarla per intero, ossia un trilione di chilometri, un 1 seguito da 18 zeri (nel sistema metrico internazionale) di chilometri; un numero che fa vacillare la mente al solo immaginarlo.
Eppure questi numeri  sono ancora poca cosa su scala cosmica: dovessimo confrontare le dimensioni della nostra galassia rispetto alla distanza che ci separa dalla galassia più lontana mai osservata, equivarrebbe a paragonare un centesimo di protone alla distanza che separa il Giappone dal Cile, ovvero l’intero Oceano Pacifico! E, come cercherò di spiegare, l’universo osservabile è comunque ancora piccolo rispetto all’intero Universo. Stabilire quanto lo sia non è facile, tutto dipende dalla geometria dello spazio stesso che a sua volta è influenzata dalla quantità di materia/energia scaturita dal Big Bang che è in esso contenuta.

[virtual_slide_box id=”12″]

Geometria non euclidea

La volta scorsa accennai alla somma degli angoli di un triangolo quale misura della forma dell’universo conosciuto, in quel caso l’isola sperduta nell’oceano. Per quanto grandi potessero essere tracciati, in una porzione relativamente piccola di spazio sferico la loro somma non si discosta dai canonici 180° (1π) previsti dalla geometria euclidea. Immaginiamo ora però due navi che vanno verso l’equatore partendo dallo stesso polo ma seguendo meridiani diversi. Entrambe incontreranno l’equatore da una direzione che è perpendicolare ad esso. La somma degli angoli di questo triangolo immaginario non sono i noti 180° ma ben di più. 
La figura animata (passateci il mouse sopra) a fianco illustra ancora meglio il concetto.
Il medesimo discorso vale anche per uno spazio iperbolico ma a condizioni invertite: in questo caso, la somma degli angoli di un triangolo significativamente grande  disegnato su una superficie iperbolica è inferiore ai 180°.  
Tutto questo preambolo ci suggerisce quale sia il percorso da seguire per comprendere la geometria e farsi magari anche una idea delle reali dimensioni dell’Universo, come vedremo più avanti.

La topologia dell’Universo

La geometria locale dell’universo è determinata dalla sua densità. media come indicato nell’articolo. Dall’alto in basso: un universo è sferico se il rapporto di densità media supera il valore critico 1 (Ω> 1, ); in questo caso la curvatura è positiva (κ >0) e si ha il suo successivo collasso (Big Crunch); un universo iperbolico nel caso di un rapporto di densità media inferiore a 1 (Ω <1) e curvatura negativa (< 0) quindi destinato all’espansione perpetua (Big Rip); e un universo piatto possiede esattamente il rapporto di densità critico (Ω = 1, κ=0). L’universo, a differenza dei diagrammi, è tridimensionale.

Come insegna la Relatività Generale, la geometria dell’Universo è condizionata da quanta materia/energia (ρ) emerse col Big Bang [1]. Perché si abbia un universo euclideo, cioè piatto, occorre che col Big Bang si sia prodotta una certa quantità di materia/energia e che quindi questo abbia una certa densità critica (ρc), Una densità più elevata di questa spingerebbe l’universo verso un nuovo collasso, il Big Crunch, mentre al contrario, se fosse poca, l’espansione avverrà per sempre fino alla sua disgregazione ultima.
Il rapporto tra queste due grandezze dice di quanto si discosta l’Universo reale da quello ideale: Ω = ρρc
Come ho dimostrato nell’altro articolo è possibile calcolare la densità critica per il nostro Universo ρc direttamente dalla Costante di Hubble H0.
ρc ci indica quanta materia ed energia dovrebbero esserci nell’Universo affinché questo sia euclideo. Ma tralasciando per un attimo l’apporto della densità energetica associata all’energia del vuoto Λ (l’energia oscura),  vien fuori che nell’Universo ci sono troppo poche materia ed energia, per comodità di linguaggio indicate come materia (materia ordinaria e materia oscura) e materia relativistica (i neutrini e i fotoni) [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite].

ρρc = Ω = Ωm + Ωrel + ΩΛ

  • Ωm è tutta la massa ordinaria insieme alla materia oscura (ρmρmcrit)
  • Ωrel indica i quanti di energia (fotoni) e i neutrini (ρrelρrelcrit)
  •  ΩΛ rappresenta il rapporto di densità dell’energia  del vuoto (ρΛρΛcrit)

I dati forniti dal satellite ESA Planck indicano che le quantità di materia, ordinaria e oscura, e l’energia sono troppo poche — circa il 30% — del valore necessario a produrre un universo euclideo; eppure gli stessi dati indicano che l’interno del nostro orizzonte, fin dove cioè è per noi possibile vedere, 13.8 miliardi di anni luce, l’Universo appare euclideo, piatto.
Dovremmo aspettarci un Universo aperto, ma invece non lo è, esattamente come la superficie del mare che circonda la nostra isola nel vasto oceano ci appare piatta.
In conclusione il nostro orizzonte è soltanto una minuscola porzione di un universo molto più vasto che metricamente si espande per effetto del restante 70%, ΩΛ, la densità energetica del vuoto che alimenta la sua espansione e che lo fa apparire sostanzialmente piatto nella nostra scala.

La scala dell’Universo

Quando si tenta di dare una scala all’Universo spesso ci si dimentica che, essendo la velocità della luce finita e assoluta, quando si scrutano gli oggetti lontani si vedono come erano al tempo della luce da loro emessa o riflessa. Per esempio, quando si osserva Marte, lo si vede non come è ora ma come era quasi cinque minuti fa.  E se idealmente dovessimo sparare con una pistola contro di esso, prendere accuratamente la mira non servirebbe, perché nel tempo che impiegherebbe il proiettile a raggiungerlo, il pianeta si è spostato lungo la sua orbita.
La stessa cosa avviene per tutto il resto: M31, la galassia di Andromeda, che è anche l’unica che ci viene incontro, la vediamo come era 2,5 milioni di anni fa, quando ancora dell’uomo non c’era ancora traccia, ma intanto questa nel frattempo si è avvicinata a noi di quasi 9 milioni di miliardi di chilometri, un numero che è ancora comunque un’inezia su scala cosmica.

Rappresentazione artista del’aspetto reale dell’orizzonte visibile dell’Universo. Esso è solo una minuscola frazione di un intero molto più grande. Credit: Pablo Carlos Budassi

Quando noi guardiamo nei recessi dell’Universo visibile vediamo galassie a noi lontanissime nello spazio ma anche nel tempo. Osservare la galassia più lontana significa vederla anche com’era 13 miliardi di anni fa e in tutto questo tempo le dimensioni dell’Universo sono cambiate. 
Un altro aspetto da non sottovalutare è che l’espansione metrica dell’Universo sta anche accelerando. Questo significa che per un calcolo più accurato occorre tenere d’occhio anche questo aspetto, e non solo. Durante la sua esistenza, l’Universo ha attraversato epoche in cui l’energia, la materia oscura e poi la materia barionica hanno dominato sulle altre, e i loro effetti sull’espansione dell’Universo sono stati diversi [cite]https://arxiv.org/abs/0803.0982[/cite].
A questo punto diventa chiaro che non è possibile fare riferimento alle normali coordinate spaziotemporali come siamo abituati a fare normalmente, ma occorre pensare a sistemi che siano invarianti in un certo istante di tempo cosmologico. A parole sembra difficile ma in pratica è semplicemente un modo per descrivere come potrebbe apparire l’universo in un istante particolare, come scattare una foto istantanea della scena. Questo è il concetto che è alla base delle coordinate comoventi, un sistema di coordinate dove l’espansione metrica dello spazio e lo scorrere del tempo sono ininfluenti 1.
Non sto a ripetere tutti i lunghi passaggi matematici necessari a calcolare le dimensioni attuali dell’Universo. Esempi di questi calcoli sono qui riportati in fondo all’articolo [cite source=’doi’]10.4006/0836-1398-25.1.112[/cite] [2] [cite]10.1088/0067-0049/192/2/18[/cite] [cite]https://arxiv.org/abs/astro-ph/9905116[/cite]. Chi è seriamente interessato a questo studio, qui trova molto materiale interessante.

Conclusioni

In conclusione noi possiamo vedere soltanto una minuscola parte di un universo molto più grande.
Per effetto dell’espansione metrica dello spazio, al momento in cui scrivo l’orizzonte a noi visibile, chiamato anche raggio o spazio di Hubble 2 che è di 13.8 miliardi di anni luce, ma le più lontane galassie che ancora osserviamo sono già a 46 miliardi di anni luce di distanza da noi ( orizzonte cosmologico attuale espresso come distanza comovente) e la loro luce che ora, nel tempo a noi attuale che potremmo chiamare anche momento cosmologico, emettono non ci raggiungerà mai. 
Il grado di confidenza con cui vengono misurati gli angoli all’interno del nostro orizzonte cosmologico ci permettono di stimare l’ampiezza della curvatura (Ωκ) dell’Universo: per le rilevazioni del satellite Planck [cite]https://arxiv.org/abs/1303.5076[/cite] Ωκ vale tra -0.001 e -0,0005: come dicevo, un valore molto piccolo, praticamente impercettibile anche per la nostra scala cosmologica.
Basandoci però su questi dati vien fuori che il raggio dell’intero nostro Universo potrebbe essere almeno 88 volte ancora più grande della lunghezza di Hubble, 1214 miliardi di anni luce. Altre stime spingono fino a 230 e a 400 volte il raggio visibile, solo futuri dati ancora più precisi potranno dirci quanto e quali di queste si avvicinano al vero.

Euclide, Pitagora, Riemann e tantissimi altri grandi pensatori e scienziati ci hanno donato la capacità di poter dare forma e dimensioni, entro un certo grado di libertà ovviamente, a ciò che non possiamo vedere, esattamente come Eratostene di Cirene poté dare forma e dimensioni alla Terra senza poterla mai né vedere o misurare direttamente. Questa è la più grande conquista che il genere umano potrà mai ottenere: la capacità di pensare.

Eratostene e la vastità del cosmo

Tra le cose più straordinarie e difficili da spiegare sono le dimensioni reali dell’Universo. In effetti la stima reale è molto difficile ma non impossibile. E non è quello che comunemente si è portati a credere. Anche stavolta partiamo da lontano, dall’inizio.

Esperimento di Eratostene

Credit: Il Poliedrico

Immaginate di essere nati e cresciuti su un’isola sperduta. Dal punto più in alto di quest’isola vedreste solo mare in tutte le direzioni, fino all’orizzonte; anche da lassù non notereste la curvatura del pianeta e, per quanto vi sforziate a disegnare triangoli sempre più grandi, la somma dei loro angoli continuerebbe a restituirvi 180 gradi (questo è fondamentale per la continuazione del discorso). Potreste facilmente arrivare alla conclusione che il mondo sia tutto lì e piatto, e in effetti tutto l’universo osservabile per voi sarebbe quello.
In effetti l’idea della Terra Piatta, che oggi ci fa sorridere, ebbe origine proprio così, la mancanza di osservazioni dirette della sfericità del globo all’inizio fece credere proprio questo: anche se un osservatore fosse salito sul monte più alto non avrebbe avuto modo di capire che la Terra è così vasta rispetto alla scala umana che è impossibile percepire ad occhio la sua curvatura.

Ma nel II secolo avanti Cristo tutto cambiò. L’espansione della cultura greca era all’apice e così anche la sua scienza. Eratostene di Cirene, astronomo e filosofo vissuto proprio in quel periodo, fece un paio di importanti osservazioni.

Gli astri sono sfere

img_8719

Eclissi di Luna del 15 giugno 2011.La Luna sta oltrepassando l’ombra della Terra ed è evidente la rotondità della penombra.Una Terra piatta non avrebbe potuto generare una simile ombra.
Image credit: Umberto Genovese.

Durante le eclissi di Luna l’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna è rotonda; la Luna stessa e il Sole lo appaiono. Anche le sfere da qualsiasi angolo si guardino sembrano dei circoli perfetti. Quindi anche la Luna, e il Sole e per estensione la Terra devono esserlo, altrimenti questi astri dovrebbero apparire ovoidali per la maggior parte dell’anno.
Questa importante osservazione potrebbe essere già stata fatta anche in precedenza da altri osservatori, ma è la chiave per capire meglio il pensiero dello scienziato.
Eratostene sapeva che la Terra è una sfera.

Il pozzo e l’obelisco

Al solstizio d’estate la luce del Sole nella città di Syene, l’odierna Assuan, non proietta ombre: la luce solare raggiunge direttamente il fondo dei pozzi e delle cisterne; non è così invece ad Alessandria d’Egitto, circa 800 chilometri più a nord.
La realtà è però appena un po’ più complessa; Assuan non è proprio sul Tropico del Cancro e Alessandria d’Egitto non è esattamente sullo suo stesso meridiano, ma in fin dei conti l’importante è la validità del ragionamento di Eratostene.

Partendo dal rapporto che esiste tra l’ombra proiettata dagli edifici e la loro altezza è possibile ricavare l’angolo di incidenza della luce del Sole. Misurando quest’angolo nel giorno del solstizio ad Alessandria e considerando perpendicolare il Sole ad Assuan il medesimo giorno, Eratostene elaborò la sua idea. Poi, basandosi sui rapporti dei mensores regii — i cartografi reali che ogni anno stilavano le mappe nei regni ellenistici per fini fiscali — provò a stimare le dimensioni del Globo.
Il concetto è abbondantemente spiegato dalla figura qui sopra: l’angolo incidente prodotta dall’ombra è uguale all’angolo del settore circolare avente origine dal centro della sfera, in questo caso la Terra. Essendo l’angolo una parte dell’intero, 360°, allora la stessa distanza tra le due città moltiplicata per il rapporto precedente restituisce le dimensioni del pianeta.
Eratostene stimò che l’ombra proiettata generasse un’angolo grande un cinquantesimo di angolo giro, 7,2° 1 e che la distanza tra le due città fosse di 5000 stadi egizi. In conclusione stimò che la Terra avesse 250 000 stadi di circonferenza, ossia 39 375 chilometri; soltanto 700 chilometri in meno di quanto fosse in realtà 2, 40 075 km.

La scala cosmica

Stimando la circonferenza della Terra, Eratostene di conseguenza ne calcolò ovviamente anche il raggio. Questo spinse l’astronomo ellenista anche a cimentarsi nel misurare le dimensioni della Luna e della sua orbita. 

Nel 270 a.C. un altro astronomo greco, Aristarco di Samo, aveva provato a misurare l’orbita lunare stabilendo che in una eclissi la Luna impiegasse circa 3 ore per attraversare il cono d’ombra della Terra. Ipotizzando che l’ombra terrestre fosse uguale per dimensioni alla Terra e infinita nella sua proiezione, il prodotto in ore fra un’orbita completa e il transito nella zona d’ombra indica la distanza, in diametri terrestri, tra la Terra e la Luna: 30×243 = 720 / 3 = 240
Da questo calcolo Aristarco stabilì che l’orbita lunare (all’epoca si parlava di sfere celesti) avesse una circonferenza pari a 240 volte il diametro terrestre.In realtà la lunghezza dell’orbita lunare è di 2 413 402 km, mentre il diametro terrestre è di 12 742 km. Un rapido calcolo ci indica che in realtà son solo 189.4 volte il diametro della Terra. Aristarco peccò mettendo la sfera della Luna 8 diametri terrestri più in là del dovuto.
Oggi sappiamo che la durata di ogni eclissi varia dalla posizione orbitale in cui la Luna intercetta l’ombra della Terra — che non è affatto un cilindro ma un cono — e che quasi sicuramente l’astronomo greco confuse il mese sinodico (il tempo che impiega la Luna a raggiungere la stessa posizione rispetto al Sole, ad esempio due noviluni, circa 29,53  giorni) col mese siderale (il tempo che la Luna impiega per percorrere un’orbita completa attorno alla Terra, circa 27,32 giorni); a questo uniamoci che ancora non esistevano mezzi efficaci per misurare il tempo ed ecco spiegato perché il metodo di Aristarco, corretto nel ragionamento, dette risultati che oggi sappiamo errati.

Questa volta però Eratostene usò una stima assai grossolana del disco lunare, derivata forse da una mala interpretazione dei precedenti calcoli di Aristarco. Assunse che il disco lunare fosse grande 2 gradi, quando in realtà questo è molto più piccolo, circa 32 primi d’arco, falsando così di quasi quattro volte tutta l’operazione di calcolo. Questo lo spinse a credere che l’orbita lunare fosse solo 180 volte il diametro del satellite. Al pari di Aristarco anche Eratostene immaginò che l’ombra della Terra fosse un cilindro i cui vertici superiori sono rivolti verso l’infinito, e stimò dal transito umbrale durante una eclissi che questa fosse tre volte più grande della Luna. Comunque in sintesi questi furono i risultati di Eratostene:


[table “83” not found /]

Se egli avesse invece usato la dimensione angolare corretta si sarebbe avvicinato molto di più al dato reale: 2 861 804.82 chilometri per un raggio orbitale di 455 470 km, solo 70 mila chilometri di scarto contro i 100 mila del metodo di Aristarco. Questo significa che anche errare un dato, anche il più banale come in questo caso, spesso può vanificare il più buono dei propositi 3.

Questi sono solo un paio di esempi di come l’uomo avesse da sempre cercato di dare una misura  al mondo che lo circonda per poi cercare di carpirne i segreti. I due scienziati ellenici non avevano orologi atomici, laser e riflettori sulla Luna, neppure il cannocchiale di Galileo o compreso l’isocronismo dei pendoli. Eppure usando lo spirito di osservazione e l’intelletto cercarono, e quasi ci riuscirono, a misurare la Terra e quanto fosse distante la Luna.
Piccoli passi che però ci avvicinano alla prossima domanda: ma quanto è grande l’Universo?