Una possibile atmosfera protoplanetaria per PDS 70b

SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) sta davvero rivoluzionando l’astrofisica. Adesso è possibile scrutare i pianeti intorno alle loro stelle e studiare perfino per sommi capi la loro probabile atmosfera attraverso l’analisi spettroscopica di quella debole luce riflessa. Un traguardo che fino a pochi anni fa era ritenuto impossibile e che invece oggi si avvera.
Già mi pare di sentire le critiche — stupide — di chi pensa che tutto questo non serva a niente. Le immagini spettroscopiche e termiche riprese da droni, aerei e satelliti permettono di studiare e identificare infezioni e parassiti nelle coltivazioni agricole ben prima che i segni siano visibili sul campo [1]. Le tecnologie e principi che consentono di scorgere altri pianeti sono le stesse degli strumenti che ci permettono di vivere meglio su questo sassolino sperduto nell’infinito cosmo.

La posizione nel cielo di PDS 70 (V* V1032 Cen), una stella di tipo T Tauri un po’ più piccola del Sole (0,82 M☉) a 370 a.l. dalla Terra.

A prima vista PDS 70 è soltanto una delle miriadi di stelline che un qualsiasi buon telescopio nell’emisfero australe permette di vedere. Ma  in realtà è molto di più: essa è una stella nata da pochissimo, appena tra i 6 e i 10 milioni di anni ed è abbastanza vicina da permettere di studiare cosa accade in quel particolare momento, ovvero come si forma un sistema planetario. 
Già nel 1992 i dati del satellite IRAS[2] suggerivano PDS 70 come candidata ospite di un disco planetario, poi scoperto nel 2006.
Nel 2012 la svolta:  una regione vuota a circa 65 U.A. dalla stella suggerivano che lì si stava forse formando un pianeta [3] tra le 30 e le 50 volte Giove.
Successive osservazioni [4] hanno rivisto e corretto le prime stime confermando però la presenza di strutture protoplanetarie multiple: intorno a quella debole stellina si stavano formando più pianeti!

Lo studio con SPHERE: PDS 70b

Questa immagine, catturata dallo strumento SPHERE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, è la prima chiara fotografia di un pianeta nel momento in cui si sta formando; in questo caso intorno alla stella nana PDS 70, nella costellazione australe del Centauro. Il pianeta si distingue nitidamente; è il punto brillante alla destra della stella adeguatamente oscurata da un coronografo, una maschera che blocca la luce accecante della sorgente principale. Credit: ESO/A. Müller et al.

Quindi questa è per sommi capi la storia di PDS 70, una stellina di classe spettrale K5-K7 12, distante appena 370 anni luce — praticamente dietro l’angolo — e molto giovane (a quell’epoca sulla Terra le prime scimmie antropomorfe si preparavano a conquistare il mondo: i nostri antenati).
E adesso, grazie allo strumento SPHERE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, è stato finalmente possibile osservare il primo pianeta mentre è ancora nella fase della sua formazione [5] e di distinguere spettroscopicamente la sua probabile atmosfera [6].
Il pianeta, chiamato PDS 70b, appare mentre si sta aprendo la strada nel disco primordiale di gas e polvere intorno alla giovanissima stella a circa 3 miliardi di chilometri da questa (circa 20 U.A.), più o meno la distanza che separa Urano dal Sole con un periodo orbitale di 119 anni. Data la distanza e il periodo di rivoluzione non è stato difficile risalire alla stima della sua massa, che appare così di circa 10 masse gioviane.

Atmosfera protoplanetaria

Lo spettro di PDS 70b alla base delle simulazioni della sua atmosfera. Per una migliore comprensione leggere lo studio al riferimento 6 di questo articolo.

Ma non solo.  Grazie a SPHERE è stato possibile intercettare lo spettro di PDS 70b — che appare decisamente rosso, e stimare così anche la sua temperatura: circa 1200 ± 200 gradi Kelvin. E sempre grazie allo spettro del protopianeta è stato possibile risalire attraverso modelli e simulazioni numeriche alla possibile atmosfera di  questo.

Conclusioni

Il primo esopianeta fu scoperto nel 1995, ossia più di vent’anni fa.  I primi esopianeti osservati erano enormi e di solito orbitavano attorno a stelle più piccole del Sole. Questo perché per gli strumenti di quell’epoca erano gli unici oggetti che era possibile intercettare con le osservazioni, tant’è che per un momento si credette che tutte le nostre teorie sulla formazione planetaria fossero sbagliate. Dopo arrivarono strumenti più sofisticati, pensati apposta per raccogliere l’immane sfida di osservare oggetti sempre più piccoli e più difficili da scrutare. E così anche le teorie sulla formazione planetaria partendo dalla frammentazione dei resti della nube che aveva generato la stella furono confermate. Oggi lo vediamo con PDS 70b grazie a strumenti sempre più sofisticati come SPHERE. Anche strumenti di calcolo  sempre più potenti permettono di risalire alla composizione chimica delle atmosfere esoplanetarie così come possiamo risalire alla composizione chimica delle nubi di Venere con un normale telescopio.
Tra vent’anni cosa potremmo scoprire partendo da queste premesse?

SPHERE celesti

Using the ESO’s SPHERE instrument at the Very Large Telescope, a team of astronomer observed the planetary disc surrounding the star RX J1615 which lies in the constellation of Scorpius, 600 light-years from Earth. The observations show a complex system of concentric rings surrounding the young star, forming a shape resembling a titanic version of the rings that encircle Saturn. Such an intricate sculpting of rings in a protoplanetary disc has only been imaged a handful of times before. The central part of the image appears dark because SPHERE blocks out the light from the brilliant central star to reveal the much fainter structures surrounding it.

Se poteste tornare alla lontana epoca della formazione del Sistema Solare, quasi  5 miliardi di anni fa, ecco cosa vedreste.
Questo è quello che invece vediamo noi oggi, qui sulla Terra, guardando verso  WRAY 15-1443 [7], una giovanissima (5-27 milioni di anni) stellina di classe K5 distante circa 600 anni luce. Essa è parte di un filamento di  materia nebulare nelle costellazioni australi del Lupo e lo Scorpione insieme a decine di  altre stelline altrettanto giovani. È il medesimo scenario che vide la nascita del nostro Sole.
Noi vediamo il disco protoplanetario ancora come è durante la formazione dei pianeti e prima che i venti stellari della fase T Tauri lo spazzassero via, È un disco caldissimo e denso, con una consistenza è una plasticità più simili alla melassa che alla polvere che siamo soliti vedere qui sulla Terra. Qui le onde di pressione e i fenomeni acustici giocano un ruolo fondamentale nella nascita dei protopianeti creando zone di più alta densità e altre più povere di materia. E questa immagine ce lo dimostra chiaramente.

SPHERE. Credit: ESO

Lo strumento di cattura della luce polarizzata ad alto contrasto SPHERE.

Credit: ESO

Se oggi quindi possiamo ben osservare i primi istanti della formazione di un sistema solare questo lo dobbiamo a SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) [8] [9]: uno strumento concepito proprio per catturare l’immagine degli esopianeti e dei dischi protoplanetari come questo.
L’ostacolo principale per osservare direttamente un esopianeta lontano è che la luce della sua stella è così forte che sovrasta nettamente la luce riflessa di questo: un po’ come cercare di vedere una falena che vola intorno a un lampione da decine di chilometri di distanza. Lo SPHERE usa un coronografo per bloccare la regione centrale della stella per ridurne il bagliore, lo stesso principio per cui ci pariamo gli occhi dalla luce più intensa per scrutare meglio. E per restare nell’ambito degli esempi, quando indossiamo un paio di lenti polarizzate per guidare o andare sulla neve, lo facciamo perché ogni luce riflessa ha un suo piano di polarizzazione ben definito e solo quello; eliminandolo con gli occhiali questo non può più crearci fastidio. Ma SPHERE usa questo principio fisico al contrario: esalta la luce polarizzata su un piano specifico e solo quella, consentendoci così di vedere particolari che altrimenti non potremmo mai vedere.

HARPS. Credit: ESO

Lo strumento per il rilevamento delle velocità radiali HARPS.

Credit: ESO

Oggi grazie a SPHERE e al team che l’ha ideato e costruito la ricerca astrofisica europea può vantare anche questo tipo di osservazioni che si sarebbe supposto essere di dominio della sola astronomia spaziale. E invece strumenti come HARPS[10] e HARPS-N alle Canarie consentono di scoprire sempre nuovi pianeti extrasolari, e ora SPERE ci aiuta a vederne pure alcuni.