Perseidi 2017: i risultati

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Suggestiva, vero? LG V10 appoggiato a un sasso per 8 secondi a 700 ISO. Unico tentativo!
Credit: Il Poliedrico

Cercando di fare scienza occorre tenere sempre a mente che i fallimenti, proprio come nella vita, sono sempre dietro l’angolo. Il fallimento in questi casi non va inteso come esperienza negativa. E come spesso accade o dovrebbe accadere nella vita, ogni fallimento nella scienza insegna sempre comunque qualcosa; come iersera. 
Era previsto che sarebbe stato assai arduo provare a fare una sessione fotografica per immortalare il picco delle Perseidi: sapevo che l’alzarsi della Luna proprio intorno alle 23:00 avrebbe vanificato ogni mio sforzo per cercare la località perfetta. Per questo me ne sono restato buono nel mio giardino, che è lo stesso abbastanza buio per questo genere di riprese. 
Anche se deludente dal punto di vista del risultato, almeno mi è servito come ennesimo banco di prova per i prossimi sciami meteorici.

Comunque posso però dire che è stato bello anche solo provarci. Cieli sereni.

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Timelapse di 307 immagini RAW
Canon EOS 70D
Samyang 10mm F/2,8
ISO 1600 – tempo 14.9 secondi

La colonna sonora è Cast A Tall Shadow (royalty free)

Gli straordinari risultati di AMS-02

Martedì scorso a Los Angeles il celebre cosmologo Stephen Hawking ha suggerito che l’unico modo che ha l’umanità di sopravvivere per i prossimi mille anni è quello di dedicarsi alla colonizzazione dello spazio. Questo è ragionevole: con otto miliardi di bocche da sfamare, gli equilibri economici e le risorse sempre più scarse, il rischio di guerre, pestilenze o catastrofi naturali, vivere su un solo pianeta come dice Hawking è veramente rischioso.
Ma anche andarsene da questo posto, la Terra, non è affatto facile.
Colonizzare altri mondi allo stato tecnologico attuale non è possibile. Potremmo costruire habitat orbitali come suggerì O’Neill nel 1976, colonizzare Marte con città protette da cupole gigantesche che trattengono l’atmosfera 1, spingerci fino ai confini del Sistema Solare e in futuro forse fino alle stelle più vicine con immense navi generazionali. Il Cosmo è sicuramente il posto più inospitale in assoluto che ci sia, ma è anche quello che più ci fa sognare. Un vero salto nel buio.

Rappresentazione schematica dell’Alpha Magnetic Spectrometer. – Credit: INFN

Rappresentazione schematica dell’Alpha Magnetic Spectrometer. – Credit: INFN

Uno dei misteri più grandi del cosmo riguarda la sua composizione: secondo il Modello Cosmologico Standard l’Universo è composto per il 4,9% da materia ordinaria (barionica), il 26,8% da materia di cui non se ne conosce la natura (oscura) e per il 68,3% da energia oscura 2 3. Quindi l’84,5% di tutta la materia di tutto l’Universo sfugge alla nostra comprensione. L’unica cosa certa è che questa esotica forma della materia è sensibile all’interazione gravitazionale ma non emette o assorbe la luce.

Lo scorso 3 aprile il team di ricercatori guidati dal premio Nobel Samuel Ting del MIT/CERN ha annunciato che l’Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02 4) dalla sua installazione sulla Stazione Spaziale Internazionale (2011) a fine 2012 oggi ha contato più di 400.000 positroni, l’equivalente antimateria degli elettroni.
Di per sé non è poi così difficile produrre positroni in laboratorio, basta bombardare la materia con fotoni ad alta energia 5 o sfruttare il naturale processo di decadimento radioattivo di alcuni isotopi (decadimento β+) ma, essendo il nostro universo dominato dalla materia, la sopravvivenza – emivita – di questa antiparticella è limitata all’incontro con un elettrone con cui si annichila emettendo due fotoni gamma da 511 kev emessi in direzioni opposte 6.

Il decadimento b+

Il decadimento β+

Per questo rilevare 400 mila positroni fra i 25 miliardi di eventi 7 registrati in 18 mesi (maggio 2011 – dicembre 2012) è straordinario.
Che i raggi cosmici contenessero un po’ di antimateria era risaputo almeno dal 2009 8, ma non in quantità così insolite: almeno il 10% del totale degli eventi dovuti a elettroni e positroni è dovuto da questi ultimi.

Una pulsar può accelerare le coppie di particelle-antiparticelle che AMS-02 ha rilevato.

Cosa produca tutti questi positroni in un universo di materia è un mistero. Questo potrebbe essere un indizio importante per scovare finalmente la materia oscura.

Per spiegare la natura della materia oscura sono state avanzate le più disparate teorie, dai neutrini massivi a particelle esotiche supersimmetriche 9  chiamate neutralini, che collidendo tra loro dovrebbero produrre un gran numero di positroni ad alta energia.

Un’altra sorgente di positroni molto meno esotica ma che vale comunque la pena di prendere in considerazione è nascosta nelle pulsar.
Le pulsar sono stelle di neutroni che si formano in seguito alle esplosioni di supernova. Questi resti ruotano sul loro asse migliaia di volte al secondo e hanno un campo magnetico milioni di volte più potente di quello che possiamo creare in laboratorio 10.
Le pulsar in pratica sono dei fantastici acceleratori naturali di particelle tra cui  coppie di elettroni e positroni, che possono spiegare le quantità rilevate da AMS-02.
Come riconosce Samuel Ting l’unico modo per distinguere l’origine dei positroni è quello di raccogliere altri dati e coprire un più ampio spettro di energia che per ora l’Alpha Magnetic Specrometer ha solo iniziato a mostrare 11.
L’ASM-02 rimarrà in funzione almeno fino al 2020 e potrà aiutare a risolvere finalmente il mistero della materia oscura.


I primi risultati di SAM

La – finora – mancata scoperta di molecole organiche complesse e di una chimica del carbonio non deve far perdere la speranza che forse magari nel lontano passato di Marte qualcosa del genere ci sia stato.

Da quando il rover Curiosity è sbarcato sul Pianeta Rosso le sue imprese destano più di una attenzione, l’ultima delle quali riguarda per esempio la scoperta di molecole organiche sul suolo marziano nei campioni analizzati con SAM 1.
Il campione di terreno specifico analizzato da SAM proveniva da un deposito di sabbia e polvere portato dal vento e sabbia che gli scienziati hanno battezzato Rocknest. Questo è stato raccolto nella piana del Gale Crater, ancora piuttosto distante dal Monte Sharp, la destinazione principale di Curiosity, ed è stato scelto come primo campione proprio per la grana fine delle sue particelle che è l’ideale per la pulizia delle superfici interne del braccio robotico.
In realtà come è stato ripetuto più volte dai responsabili della missione Mars Science Laboratory, Curiosity ha forse scoperto solo delle tracce di molecole organiche su Marte.
Nella conferenza stampa del 3 dicembre i responsabili della missione hanno annunciato le scoperte fatte dal rover Curiosity, sottolineando però come i dati finora raccolti meritano ancora indagini per essere confermati; come si dice la prudenza non è mai troppa anche quando questa è snervante.

I dati raccolti mostrano solo un accenno di composti organici 2. Questo non vuol dire affatto che questi abbiano una qualche origine biologica, tutt’altro, molecole organiche si scoprono continuamente negli ambienti più disparati e ostili come le nubi molecolari interstellari, nelle comete e nelle meteoriti, semmai la notizia è che forse su Marte ce ne sono troppo poche.  Appunto anche stavolta si sono trovate su Marte tracce dei famosi perclorati  – come nel 2008 fece l’altra missione Phoenix. I perclorati, è bene ricordarlo, sono sali di cloro con alto potere ossidante che di fatto pongono seri limiti allo sviluppo di una chimica organica complessa sul suolo marziano, anche se l’area finora esplorata è infinitesimale e questi sono soltanto i primi esperimenti di laboratorio compiuti dal rover.
Gli esperimenti a bordo del Curiosity hanno mostrato tracce di cloro, zolfo e acqua, ma sono necessari appunto altri esperimenti e verifiche per escludere che si tratti di remote ma possibili contaminazioni provenienti dalla Terra.
E a proposito di acqua, analizzata come vapore acqueo dopo aver riscaldato i campioni di suolo marziano, merita sottolineare come il rapporto D/H (deuterio/idrogeno) misurato sia più alto rispetto a quello degli oceani terrestri, indicando forse una diversa origine dell’acqua marziana rispetto a quella terrestre. Anche la quantità di vapore emesso dai campioni riscaldati è leggermente superiore alle attese. Questo non significa affatto che i campioni analizzati fossero umidi, ma solo che le caratteristiche igroscopiche della sabbia marziana sono forse diverse dal previsto.

E allora tutto il fermento dei media alla vigilia della conferenza stampa?
Tutto forse è nato da una dichiarazione di John Grotzinger, geologo del California Institute of Technology di Pasadena e responsabile della pianificazione della missione Mars Science Laboratory, che aveva parlato delle scoperte del Curiosity degne di entrare nei libri di storia, riferendosi però all’intera missione. Qualche giornalista particolarmente eccitato per lo scoop avrebbe poi travisato la frase attribuendole un significato diverso rispetto al discorso originale.
Anche qui è naturale che la NASA usi frasi eccitanti in un momento di ristrettezze economiche che va proprio a colpire i bilanci delle missioni scientifiche spaziali. Un po’ di enfasi ci vuole, no?