Come osservare gli oceani extrasolari

Tra la fine del XX secolo e questo decennio la ricerca dei pianeti extrasolari si è affermata a tal punto che oramai è quasi routine, ovvero non fa quasi più notizia, la scoperta di un nuovo pianeta che orbita attorno a qualche stella più o meno vicina.
Addirittura in qualche caso è stato possibile osservare la luce riflessa del pianeta e a misurarne la composizione  1 ma c’è già chi pensa che sia giunto il momento di andare oltre.

I primi pianeti extrasolari che furono scoperti erano enormi pianeti grandi quanto o più di Giove che possedevano orbite strettissime attorno alla loro stella tanto che il loro periodo di rivoluzione era solo di qualche giorno 2. Questo rendeva le loro atmosfere arroventate, sopra i 1300 Kelvin. Per loro fu coniato il termine Gioviani Caldi.
Le tecniche di osservazione e gli strumenti non erano così precisi e creati ad hoc come quelli attuali, per questo all’inizio dell’era dei pianeti extrasolari i primi che furono scoperti erano solo Gioviani Caldi: le perturbazioni stella-pianeta sul loro baricentro comune erano talmente ampie da essere rilevate anche allora.
Questo sconvolse un attimino gli scienziati a tal punto che qualcuno suggerì anche di rivedere le teorie sulla formazione dei sistemi planetari alla luce delle nuove e inattese scoperte.
Nuovi metodi di indagine e  nuovi strumenti, come ad esempio il telescopio spaziale Kepler, hanno scoperto nuovi sistemi solari più simili al nostro, dimostrando che dopotutto probabilmente l’attuale teoria del collasso di una nube protoplanetaria è la spiegazione migliore che abbiamo per spiegare l’esistenza dei sistemi planetari.

Comunque anche oggi è difficilissimo trovare un  Pianeta extrasolare con le caratteristiche simili alla Terra 3, ossia la distanza giusta, un’orbita quasi circolare – necessaria perché le escursioni termiche non siano eccessive tra un punto e l’altro dell’orbita, e la massa giusta per trattenere una atmosfera consistente 4 tale da permettere all’acqua di esistere allo stato liquido per un’ampia scala di temperature 5.
Questo perché ancora le perturbazioni al baricentro comune o le variazioni di luminosità indotte dal transito di un corpo come la Terra alla giusta distanza dalla sua stella è ancora al limite degli attuali strumenti, tanto più che occorrono diversi anni di misurazioni per ogni singola stella per ottenere dei risultati sicuri 6.

In questa immagine del 2007 ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale si può vedere un riflesso del Sole sull’Oceano Pacifico. Questo è quello che gli astronomi tentano di rilevare. Credit: NASA

L’importanza di scoprire l’acqua allo stato liquido su un pianeta extrasolare è  indubbia: quasi sicuramente dove c’è acqua può esserci vita.
E come ho accennato, c’è già chi si spinge oltre e pensa a come si possa individuare  la presenza di acqua liquida su questi lontanissimi pianeti – ancora da scoprire, è bene ricordarlo.

Il metodo studiato dal team di scienziati guidati da Nicolas Cowan della Northwestern University propone di rilevare la presenza di acqua su un esopianeta, sembra banale dirlo, tramite la riflessione speculare, ovvero il riflesso degli eventuali oceani.
In pratica ci si aspetta un aumento dell’albedo più la porzione del pianeta è illuminata dal suo sole. Questo perché gli oceani si comportano come giganteschi specchi se illuminati da certi angoli piuttosto che altri 7.

La falce di Venere ripresa l’8 luglio 2012. Credit: Il Poliedrico

I possibili metodi per rilevare questi oceani extrasolari sono essenzialmente tre.
Il primo metodo si basa sul fatto che gli oceani sono molto più scuri e hanno colori diversi 8 rispetto a qualsiasi altro tipo di superficie che si suppone che un pianeta roccioso extrasolare possa avere.
Quindi le variazioni di colore che un pianeta extrasolare può mostrare nel tempo a causa della sua rotazione possono indicare la presenza di oceani di acqua liquida.

Il secondo metodo si basa sulla polarizzazione mostrata dalla luce riflessa dagli oceani di acqua liquida rispetto alla luce naturale della stella 9.
Inoltre questo metodo ha anche il vantaggio di esaltare la luce riflessa dagli eventuali oceani del pianeta a discapito della luce naturale della stella.

Il terzo metodo, accennato anche prima, è quello della riflessione speculare degli oceani che riflettono la luce in un modo simile a uno specchio.
Dagli studi del team di Cowan questi riflessi si renderebbero visibili soprattutto quando il pianeta è intorno alla massima elongazione apparente rispetto alla sua stella, quando il suo aspetto assomiglia a quello che chiameremmo Quarto di Luna.
In quel momento infatti la geometria apparente del sistema osservatore-pianeta-stella colloca il pianeta a 90° rispetto alla stella, vicino all’angolo che offre la maggiore riflettività che è di circa 81°  10.
Anche se il bagliore è molto piccolo, un aumento di luminosità anche piccolo vicino alla massima elongazione planetaria può essere la testimonianza della presenza di un oceano di acqua liquida.

Cowan e il suo gruppo ha anche messo in conto la presenza di nubi atmosferiche, dimostrando che i tre mezzi di indagine possono essere efficaci fino a una copertura nuvolosa del 50%; un bel risultato.

Lo studio, accettato per la pubblicazione anche su Astrophysical Journal 11, è sicuramente uno dei primi a suggerire quali potrebbero essere i piani di ricerca successivi alla scoperta di un pianeta della massa giusta nell’orbita giusta.

Una ricerca molto lunga, decennale addirittura. Però sarà una sfida interessante, attualmente al limite delle capacità degli strumenti attuali ma sicuramente alla portata della futura generazione di telescopi come il mastodontico European Extremely Large Telescope  appena approvato dall’ESO.

Ormai non  ci resta che aspettare.


Come osservare l’eclisse di Sole del 4 gennaio 2011

L’eclisse lunare scorsa era invisibile in Italia, ma questa eclisse di Sole del 4 gennaio 2011 sarà visibile dall’alba a tutta la mattinata, cielo permettendo. Qui di seguito ho creato una tabella che indica le ore più importanti dell’evento per alcune città italiane; se dovesse mancare la vostra, prendete d’esempio il calcolo per la città più vicina.

Quello che però mi preme sottolineare e che questo genere di osservazioni non va preso troppo alla leggera: un’esposizione diretta anche se accidentale degli occhi alla luce solare può causare gravi danni alla retina, fino a produrre una cecità.
Un buon filtro solare sicuro lascia passare solo lo 0.003 % della luce solare visibile e lo 0.5 % della radiazione infrarossa, pertanto tutti i filtri meno efficenti possono essere molto pericolosi.
I vetri affumicati con la candela, come spesso viene tramandato dalla tradizione popolare sono in realtà fra i più pericolosi: il nerofumo della candela è disomogeneo e al tatto va via, oltre a non essere un buon filtro.
Anche i mitici vetrini o occhiali da saldatore possono non essere adatti: infatti la maggior parte di essi è adatta a osservare sorgenti di saldatura di qualche centinaio di kelvin, il Sole invece è un po’ più caldo! Quindi consiglio di usare vetrini inattinici di scala DIN 14:

Quindi quando si parla di occhi la prudenza non è mai troppa, io consiglio infatti di acquistare degli occhialini con pellicola speciale chiamata Astrosolar, studiata apposta per un uso astronomico.

In alternativa, ma non me ne assumo alcuna responsabilità, mostro come si possono autocostruire occhialini di cartone adatti all’osservazione solare:

1) sul del cartoncino bristol ritagliate una figura come il modello qui sotto:

2) e su un foglio di mylar come in questo disegno:

3) incollate con un filo sottile e continuo sul bordo di colla cianoacrilica la maschera sul telaio in cartone e verificate che non passi la luce da alcuna altra parte se non dagli spazi preposti.

Il mylar si può acquistare nei negozi di ottica e astronomia: è simile al poliestere argentato con cui vengono incartate le uova di pasqua. L’importante è che non presenti difetti, grinze o buchi. La parte argentata deve essere rivolta verso l’esterno e la superficie deve essere priva di qualsiasi difetto o forellino, basta osservarla controluce ad una lampada ad incandescenza per accertarsene. Il mylar che invece si trova nelle cartolerie non è invece adatto, in questo sfortunato caso, se proprio volete, è bene usare due maschere sovrapposte, sempre col lato argentato rivolto all’esterno, ma il suo uso è a vostro rischio e pericolo.

Un’altra soluzione molto economica e molto più sicura è quella di osservare la luce del Sole proiettata su un foglio bianco da un forellino in una scatola o foglio di cartone da circa un metro di distanza: è un elioscopio certamente rudimentale, ma infinitamente più sicuro di un filtro inadeguato e altrettanto spettacolare.

Un’ultima precauzione: qualche temerario inesperto potrà avere il colpo di genio di usare un binocolo o un cannocchiale magari dopo aver indossato gli occhiali protettivi: NON FATELO! moltiplichereste la quantità di luce al filtro e agli occhi, con conseguenti seri rischi. Questo genere di filtri vanno usati sempre a monte di qualsiasi strumento ottico, mai a valle!

Detto questo non mi resta che augurarvi una buona e consapevole eclisse. Cieli sereni a Tutti.

Per osservare là dove nessuno sguardo è mai giunto prima

Were no man has gone before
Nel novembre del 1966 fu pubblicato il secondo pilot di Star Trek: Were no man has gone before, conosciuto in Italia come Oltre la Galassia; nell’episodio c’è una bellissima immagine in cui l’Enterprise del capitano Kirk attraversa i confini della Galassia: la Grande Barriera che come nei ricordi omerici è il limite ancora insuperato  dal genere umano e che mi è  ritornata subito alla mente vedendo  l’immagine ripresa in questi giorni Telescopio Planck
qui l’articolo completo dell’ESA
In questa immagine si vedono chiaramente i giganteschi filamenti di polvere fredda che attraversano la nostra Galassia rivelati dal satellite Planck dell’ESA.
Essa mostra la struttura filamentosa di polvere in un raggio di circa 500anni luce dal Sole e i filamenti sono proprio parte della struttura dinamica della Via Lattea, che  qui è  rappresentata dalla striscia rosa  nella parte inferiore dell’immagine. Qui, l’emissione viene da molto più lontano, attraverso il disco della nostra galassia. L’immagine è stata colorata in falsi colori per meglio discernere le diverse temperature di polvere. I  toni rosa chiaro mostrano la polvere di poche decine di gradi sopra lo zero assoluto,mentre i colori più intensi mostrano la polvere a circa -261 ° C, asoli circa 12 gradi sopra lo zero assoluto. La polvere più calda è concentrata nel piano galattico mentre la polvere sospesa sopra e sotto è più fredda.Questi filamenti sono costituiti da polveri e gas, anche se il gas non viene visualizzato direttamente in questa immagine.
Le forze presenti nella Galassia producono queste spettacolari forme filamentose in cui si innescano fenomeni di formazione stellare.
Mentre il telescopio spaziale dell’ESA Herschel può studiare queste regioni nel dettaglio, solo Planck può evidenziare la grande scala  delle nubi. Lanciati insieme nel maggio 2009, Herschel e Planck studiano le componenti più fredde dell’Universo. Planck osserva le strutture di grandi dimensioni, mentre Herschel fornisce  analisi dettagliate delle strutture più piccole, come le  regioni di formazione stellare.
Quindi dopo tutto la fantasia di Roddenberry e degli sceneggiatori del celebre telefilm ancora una volta non si erano discostati poi tanto nel rappresentare la realtà.