L’espansione dell’Universo sta accelerando oppure serve un nuovo modello?

Questa è davvero la celebre domanda da un milione di dollari o, se preferite visto che siamo in Europa, un milione di euro. Non è davvero facile rispondere, solo le prossime ricerche ci potranno dire da quale parte guardare. Ma il progresso scientifico va avanti così, per tentativi ed errori. Fra Premi Nobel dati per scoperte che domani potrebbero essere superate per il medesimo meccanismo di autorevisione che li aveva distribuiti.
Questo giusto per ricordarci quanto sia incerto il pensiero umano che si dedica alle scoperte del Cosmo dove l’unica certezza è sapere di non essere certi  di sapere abbastanza.

 Nel 2011 Brian P. Schmidt e Adam Riess vinsero il Premio Nobel per la Fisica per aver scoperto che l’Universo stava accelerando la sua espansione al contrario di quanto fino ad allora era stato creduto. Il perché questo accada non è mai stato chiarito del tutto ma finora tutto suggerisce che sia la conseguenza di una costante cosmologica, indicata con la lettera greca Λ, capace di contrastare il collasso gravitazionale del contenuto dell’Universo. Già in passato mi sono cimentato nello spiegare per sommi capi come questa costante operi nel Modello Standard ΛCDM (Lambda Cold Dark Matter) [cite]https://ilpoliedrico.com/2016/07/zenone-olbers-lenergia-oscura-terza-parte.html[/cite] e quindi non credo sia opportuno tornarci sopra, ma di fatto tutto indica che una condizione di universo accelerato sia legata anche allo stato di falso vuoto che permette l’esistenza stessa della materia e di conseguenza la nostra di osservatori.
Per comprendere meglio come si è arrivati a capire che l’espansione dell’Universo sta accelerando, prendiamo ad esempio una SNa che con le dovute correzioni del caso, mostri uno spostamento verso il rosso (redshift) z di circa 0.1, pari a circa il 10% dell’età dellUniverso (1.38 miliardi di anni). Per una distanza così – relativamente – piccola la luminosità apparente osservata nelle SNe è in linea con il loro redshift e quanto prevede la normale Legge di Hubble. Per le distanze maggiori, supponiamo z0.5 (23 dell’età  dell’Universo) si osserva che la luminosità delle SNe 1a è più bassa del redshift indicato dal loro spettro. Questo indica che nel corso del tempo l’espansione dell’Universo è cambiata  e che pertanto l’affievolimento della luce delle SNe risulta più marcato e che devia dalla linearità della Legge di Hubble in funzione del tempo trascorso.  In soldoni, l’Universo si stava espandendo più lentamente in passato di quanto lo faccia oggi. La luce emessa quando l’Universo aveva 23 dell’età attuale ha dovuto percorrere più spazio per raggiungerci e quindi è più debole di quanto previsto dai modelli di universo senza alcuna costante cosmologica.

L’altro giorno però, uno studio apparso su Scentific Reports di Nature [cite]http://www.nature.com/articles/srep35596[/cite] sembrava rimettere in discussione che l’espansione dell’Universo stesse accelerando. In realtà non è proprio così, il senso dell’articolo a mio avviso non è stato compreso del tutto e di conseguenza anche la notizia è stata distorta.
In pratica gli autori della ricerca, tra cui figura anche l’italiano Alberto Guffanti dellUniversità di Torino, hanno suggerito che in base a un nuovo campione di 740 supernovae (SN) del tipo 1a  1 non possono esserci prove evidenti che l’espansione dell’Universo sta accelerando e che le nuove loro analisi sono consistenti piuttosto con un modello di espansione costante.

Gli altri studi che confermano l’attuale modello  ΛCBM

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Anisotropie di temperatura nella CMBR (± 200 microKelvin) rilevate dal satellite WMAP. Queste microvariazioni nella densità della materia sarebbero all’origine degli ammassi di galassie. La loro dimensione paragonata alle dimensioni degli ammassi di galassie successivi mostra che l’espansione dell’Universo sta accelerando.

Così, giusto per chiarire, che l’espansione dell’Universo stia accelerando non sono solo le misure fotometriche delle diverse supernovae a dirlo. Dall’anno della scoperta del fenomeno, il 1998, gli astronomi hanno cercato, e trovato, altre prove indipendenti a sostegno di questa tesi [cite]https://arxiv.org/abs/astro-ph/0604051v2[/cite], mentre nuove misure e ricalibrazioni delle candele standard suggeriscono che l’accelerazione potrebbe essere ancora più accentuata [cite]https://arxiv.org/abs/1604.01424[/cite].
Spiegare nel  dettaglio ognuno di questi porterebbe troppo lontano. Una di queste fa riferimento alle dimensioni dell’impronta delle oscillazioni acustiche dei barioni rilevate nella radiazione cosmica di fondo (CMBR) 2 e alla distribuzione delle dimensioni degli ammassi di galassie nel corso del tempo [cite]http://iopscience.iop.org/article/10.1086/466512/[/cite].
Altre conferme dell’attuale modello ΛCBM provengono dalla distribuzione di massa degli ammassi di galassie e perfino dal calcolo dell’età del1l’Universo [cite]https://arxiv.org/abs/1204.5493[/cite] [cite]http://www.cambridge.org/it/academic/subjects/astronomy/cosmology-and-relativity/formation-structure-universe[/cite].

Il  nuovo studio

L'effettto Sachs-Wolfe integrato.Credit: Istituto di astronomia dell'Università delle Hawaii

L’effettto Sachs-Wolfe integrato. Questo meccanismo potrebbe essere invocato per spiegare l’arrossamento locale della luce per effetto della gravità.
Credit: Istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii

In realtà i ricercatori affermano appunto che stando alle loro ricerche basate su un numero molto maggiore di SNe le analisi – interpretate col modello attuale, quindi quello di un universo descritto per comodità di calcolo come esattamente omogeneo e che si comporta come un gas ideale, tenetelo a mente – dei dati indicano che esse non potrebbero fornire una prova certa dell’attuale modello. Gli amanti della statistica potrebbero trovare interessante che la distribuzione delle probabilità descritte da questo studio che questo Universo si trovi in uno stato di espansione accelerata è 3 σ (circa lo stesso o di poco minore ai 3 sigma).
Se questa ricerca fosse confermata, in proposito lo strumento CODEX presso l’European Extremely Large Telescope (E-ELT) dovrebbe poter presto indicare dove e cosa cercare, si aprirebbero nuove possibilità: come spiegare che le fluttuazioni acustiche dei barioni nella CMBR che riflettono quello che osserviamo oggi nell’Universo? E la distribuzione della massa degli ammassi di galassie? Un modello interessante per spiegare alternativamente quello che osserviamo nella luce delle SNe è l’effetto Sachs-Wolfe integrato [cite]https://ilpoliedrico.com/2012/09/energia-oscura-e-anisotropia-nella-radiazione-cosmica-di-fondo.html[/cite], un arrossamento della luce causato dalla curvatura locale dello spazio dovuta alla gravità.
Questa chiave di lettura porterebbe inevitabilmente al ripensamento dei modelli di universo non più intesi come oggetti esattamente omogenei  e isotropi ma più come spazio vuoto con un ruolo più marcato della componente massa/energia a livello locale. Gli autori della ricerca in fondo questo dicono: il modello a CDM corretto per tenere conto della componente repulsiva attribuita all’energia oscura e indicata come costante cosmologica Λ è vecchio e sorpassato dalle nuove scoperte e conoscenze. È ora che esso venga ripensato.

Neutrini nel Modello Standard

SAPORI_NEUTRINOVi ricordate i neutrini e le loro controparti anti?
Sicuramente sì, non fosse peraltro per la figura cacina del famoso “tunnel Gelmini” su cui non mi dilungherò oltre per non infierire.
Comunque sappiate che ogni secondo il nostro corpo è attraversato da almeno 50 mila miliardi di neutrini provenienti per la maggior parte dal Sole, ma anche dalle centrali atomiche presenti sul nostro pianeta, da quelli prodotti dal decadimento beta delle rocce terrestri, etc. Addirittura anche noi curiosamente produciamo i nostri neutrini, dal decadimento naturale del potassio 40 presente nei nostri corpi.
I neutrini sono ovunque nell’Universo ma non avendo quasi massa  e nessuna carica elettrica questi interagiscono pochissimo con la materia ordinaria: un muro  di piombo spesso un anno luce riuscirebbe a fermare solo la metà dei neutrini che lo attraversano.

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Qui si parla di “autostati di sapore del neutrino”, in analogia on i “sapori” dei quark; questi ultimi, però, oltre ad essere in numero doppio (6 invece di 3), identificano gli autostati di massa e non quelli dell’interazione debole di corrente carica.

Scoperto solo nel 1956, ma teorizzato da Wolfgang Pauli nel 1930 per spiegare il decadimento beta e battezzato nel 1934 da Enrico Fermi, nel 1962 si è capito che non esiste una sola natura del neutrino, ma che esso è uno e trino, cioè capace di trasformarsi nel tempo da un tipo all’altro, come potete vedere dal disegno qui sopra e dalla tabella qui accanto.
I fisici chiamano la capacità del neutrino di mutare da un tipo all’altro oscillazione dicendo che il neutrino ha cambiato sapore 1.
E proprio questa capacità del neutrino di oscillare fra i tre diversi stati indica come il Modello Standard 2 sia così accurato.

Cercare i neutrini da studiare non è difficile.
Si possono prendere i neutrini solari, che sono prodotti dalle reazioni di  fusione termonucleare nel nucleo del Sole – catena Protone-Protone – di sapore elettronico, oppure quelli prodotti dai raggi cosmici che collidono con gli atomi della nostra atmosfera che possono essere dei tre diversi sapori, oppure si possono produrre sparando protoni adeguatamente accelerati contro un bersaglio di grafite, così si ha anche il più completo controllo del fascio uscente piuttosto che aspettare che Madre Natura ci dia il neutrino giusto, al posto giusto, al momento giusto e nella direzione che si vuole.

Quindi per ottenere dei neutrini non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il problema è semmai riuscire a vederli.
Una particella così piccola da quasi non avere massa, che si muove quasi alla velocità della luce 3 e che non ha carica elettrica, riuscire a vederla direttamente è impossibile, ma se ne possono vedere gli effetti indiretti mentre occasionalmente un neutrino interagisce con un atomo di un mezzo che funge da rilevatore. Questi effetti possono essere un flusso di particelle cariche oppure lampi di luce Cherenkov, o anche trasmutazioni chimiche, come accadeva ad esempio nei primi rivelatori al cloro-argon secondo una felice intuizione di Bruno Pontecorvo 4.
Pertanto se – per ora – pare impossibile catturare un neutrino, è possibilissimo invece vedere e misurare gli effetti del suo passaggio. Tutto sommato basta aguzzare l’ingegno!

(continua)


Note:

Oltre il Modello Standard e il Bosone di Higgs

Francamente ancora non sappiamo se esista o meno il Bosone di Higgs, il famoso bosone portatore di massa delle particelle, quello che nel titolo di un suo libro 1 il fisico Leon Max Lederman aveva chiamato “maledetta particella”  (goddnam particle) e che un editore un po’ troppo moralista trovandola sconveniente la cambiò in “Particella di Dio”. Adesso un paio di recenti esperimenti pongono limiti alla sua esistenza.  Un po’ come dire “ non lo abbiamo ancora beccato, ma ci sono indizi che ci fanno credere che sia rinchiuso in quella stanza”.

In una conferenza stampa il 13 dicembre i ricercatori del CERN di Ginevra hanno annunciato che due diversi esperimenti 2  in corso presso il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC) hanno posto limiti ben ristretti alle finestre energetiche in cui può essere verificata l’esistenza del bosone di Higgs.

Ma che cosa sarebbe esattamente il bosone di Higgs 3 ?
Il Modello Standard – che è l’evoluzione estrema della Meccanica Quantistica – descrive le basi di come le particelle elementari (fermioni e leptoni) interagiscono fra loro tramite bosoni di gauge, ovvero particelle che mediano, trasportano tre delle quattro forze fondamentali della natura:

  • la forza elettromagnetica (luce, magnetismo, elettricità) è mediata dai fotoni;
  • la forza nucleare forte (la forza che tiene uniti i quark per formare gli adroni – protoni e neutroni) è mediata dai gluoni;
  • la forza nucleare debole (responsabile del decadimento radioattivo  beta – decadimento del neutrone in protone) mediata dai bosoni W, Z e appunto il famoso bosone di Higgs.

La particolare natura della forza debole di interagire 4  sia con i leptoni che con i fermioni, sia con particelle cariche che particelle neutre, richiede appunto tre bosoni distinti per agire: uno per le interazioni cariche (W), uno per le interazioni neutre (Z) e uno (Higgs) per dare la massa a tutte le altre particelle, tranne i fotoni e i gluoni.
L’unica forza fondamentale che per ora rimane esclusa dal Modello Standard è la forza di gravità che verrebbe mediata a sua volta dal suo bosone: il gravitone.

Come funzionerebbe il bosone di Higgs?

Il bosone di Higgs fu teorizzato attorno al 1960 dal fisico Peter Higgs, ed altri,  per spiegare il modo in cui le particelle elementari acquistano massa a riposo.
Non è facile spiegare come questo avvenga senza ricorrere alla matematica, ma un fisico dell’University College di Londra, David Miller raccolse la sfida del ministro britannico della scienza, William Waldegrave che aveva indetto in proposito un concorso, in palio una bottiglia di champagne.
L’immagine suggerita da David Miller 5 è quella di un salone (lo spazio) pieno di persone (il campo di Higgs) che sono distribuite in maniera uniforme e impegnate a conversare ciascuna con il proprio vicino. All’improvviso questa festa viene animata dall’arrivo di un personaggio famoso (una particella) che attraversa la stanza. Tutte le persone vicine sono attratte da lui (la rottura di simmetria) e vi si affollano intorno. Man mano che il personaggio famoso si muove nella sala attrae altre  persone a lui più vicine mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale. A causa di questo affollamento aumenta la resistenza al movimento, in altre parole il personaggio famoso-particella  acquista la sua massa.

Il Large Hadron Collider - Credit:: Maximilien Brice

Per spiegare invece il concetto di bosone di Higgs, sempre Miller suggerisce di immaginare che all’improvviso, nello stesso salone pieno di gente, qualcuno faccia circolare una voce. Le persone più vicine la ascoltano per primi e si riuniscono per apprendere qualche dettaglio in più, quindi si voltano e si avvicinano alle altre persone nei paraggi per riferire quanto ascoltato. In questo modo la stanza viene attraversata da un’ondata di capannelli che si formano man mano e che a loro volta, come il precedente personaggio famoso, acquisiscono massa. Il bosone di Higgs sarebbe appunto questa rottura di simmetria nel campo di Higgs.
Nelle tre dimensioni, e con tutte le complicazioni relativistiche del caso, questo è in pratica il meccanismo postulato da Higgs. Al fine di dare alle particelle una massa, il vuoto si distorce a livello locale ogni volta che una particella si muove attraverso di esso provocando una rottura di simmetria. La distorsione – il raggruppamento del campo di Higgs intorno alla particella – genera la massa.
L’idea arriva direttamente dalla fisica dei solidi. Invece di un campo diffuso in tutto lo spazio, un solido contiene un reticolo cristallino di atomi con carica positiva. Quando un elettrone si muove attraverso il reticolo attrae gli atomi, causando un aumento di massa effettiva dell’elettrone fino a 40 volte più grande della massa di un elettrone libero.
A questo punto Il campo di Higgs postulato è una sorta di reticolo ipotetico nel vuoto che riempie il nostro Universo. Così si può spiegare perché le particelle Z e W che trasportano le interazioni deboli sono così pesanti, mentre il fotone che trasporta le forze elettromagnetiche sia senza massa. Ed è grazie a questa rottura di simmetria del vuoto che le particelle cominciano a interagire fra loro, acquisiscono massa e non possono viaggiare più veloci della luce.
Ma le analogie con la fisica dei solidi non finiscono qui: in un reticolo cristallino ci possono essere alterazioni locali che si muovono al suo interno senza il bisogno del transito di un elettrone che attrae gli atomi. Queste onde possono comportarsi esattamente come se fossero particelle. Queste sono chiamati fononi e anche loro sono bosoni.

Tuttavia, il Modello Standard può spiegare solo il 4% della materia e dell’energia contenute nell’universo.
Si presume che il resto sia fatto di materia oscura (23%) e l’energia oscura (73%). Questo significa che gli atomi costituiscono solo una netta minoranza di questo universo mentre il 96% ancora non è compreso nel Modello Standard, come non lo è del resto la gravitazione, la forza più diffusa nell’universo.
Nonostante i suoi successi predittivi, l’attuale Modello Standard è  una delle più brutte teorie proposte dalla fisica moderna.
Ha più di 19 parametri liberi, 3 serie di particelle ridondanti, 36 diversi tipi di quark e anti-quark, e una variegata collezione di gluoni, leptoni, bosoni, particelle di Higgs, particelle di Yang-Mills, etc.
Questo indica – e sono anche i suoi ideatori ad ammetterlo – che il Modello Standard non è certamente la teoria finale.
Al momento, l’unica teoria matematicamente auto-consistente in grado di fornire un quadro realmente unificato dell’universo è la teoria delle stringhe.
Questa Super Teoria del Tutto  non è ancora stata verificata, ma il Large Hadron Collider può finalmente trovare prove convincenti a favore di questa promettente teoria.
Il prossimo obiettivo per l’LHC potrebbe essere quindi individuare la materia oscura, quella sostanza invisibile che impedisce alle galassie di dissolversi.