Il principio olografico dei buchi neri – L’orizzonte degli eventi

Prima di scrivere questo pezzo ho fatto una scorsa dei risultati che restituiscono i motori di ricerca sul Principio Olografico, giusto per curiosità. Ne è uscito un quadro desolante; da chi suggerisce che siamo tutti ologrammi alla medicina quantistica (roba di ciarlatani creata per i beoti). Ben pochi hanno descritto il modello e ancora meno (forse un paio sparsi nella profondità suggerita dal ranking SEO) hanno scritto che si tratta solo di un modello descrittivo. Cercherò ora di aggiungere il mio sussurro al loro, giusto per farli sentire un po’ meno soli.

Essenzialmente il mezzo più immediato e naturale che usiamo per descrivere il mondo che circonda è dato dalla vista. Essa però restituisce unicamente un’immagine bidimensionale della realtà, esattamente come fanno anche una fotografia o un quadro. Ci viene in soccorso la percezione della profondità spaziale, dove la terza dimensione emerge grazie all’effetto prospettico che fa apparire più piccole e distorte le immagini sullo sfondo rispetto a quelle in primo piano. L’unico mezzo veramente efficace che abbiamo per cercare di rappresentare correttamente la realtà è la matematica, anche se essa appare spesso controintuitiva.

Ripetendo in parte ciò che ho detto in altre occasioni, l’Uomo ha sempre cercato di dare una spiegazione convincente a tutto quello che lo circonda, che per brevità di termine chiamiamo realtà. Ad esempio, la scoperta delle stagioni, il costante ripetersi ogni anno delle diverse levate eliache e i cicli lunari sono culminati nell’invenzione del calendario, che nelle sue varie interpretazioni e definizioni, ha sempre accompagnato l’umanità. Eppure esso in astratto non è che un modello, grossolano quanto si vuole, ma che consente di prevedere quando sarà la prossima luna nuova o l’astro Sirio allo zenit a mezzanotte.
Anticamente anche le religioni erano modelli più o meno astratti che avevano il compito di spiegare ad esempio, i fulmini, le esondazioni, le maree, il giorno e la notte, etc.
Oggi sappiamo che i fulmini sono una scarica elettrica, che il giorno e la notte sono la conseguenza della rotazione terrestre e che le esondazioni avvengono perché da qualche altra parte piove.
Abbiamo teorizzato per secoli una cosmologia geocentrica e solo più tardi quella eliocentrica, quando abbiamo capito che la prima era sbagliata. Abbiamo accarezzato per un breve periodo l’idea galattocentrica prima di apprendere che le galassie erano più di una e il Sole era solo una comune stellina grossomodo a metà strada fra il centro e la periferia della Via Lattea, e abbiamo anche creduto ad un universo statico prima di scoprire che l’Universo si espandeva in dimensioni.
Anche tutti questi erano modelli e modelli pensati su altri modelli dati per sicuri finché non venivano dimostrati sbagliati. E questo vale anche per i modelli attuali e le teorie fino ad oggi considerate certe.

L’orizzonte degli eventi.

raggioSchwarzschild=(2GMc2)
Il raggio dell’orizzonte degli eventi di un buco nero è restituito da questa formula matematica che stabilisce l’equilibrio tra gravità e velocità della luce.  Esso esiste solo teoricamente perché si suppone che l’oggetto che ha dato origine al buco nero abbia avuto con sé un certo momento angolare che poi si è conservato.
Infatti, per descrivere matematicamente un buco nero reale si usa una metrica leggermente diversa che tiene conto anche del campo elettromagnetico e del momento angolare: quella di Kerr-Newman.

Già alla fine del 1700 si teorizzava di una stella tanto densa e massiccia da ripiegare la luce con la sua gravità. John Michell e Pierre-Simon de Laplace la chiamavano stella oscura. Ma fu solo dopo il 1915, con la Relatività Generale, che Karl Schwarzschild trovò le equazioni che descrivevano il campo gravitazionale di un oggetto capace di ripiegare la luce su di sé. Così fu evidente che esiste un limite, un orizzonte oltre il quale neppure la luce può sfuggire. Non è un limite solido, tangibile come quello di una stella o di un pianeta come talvolta qualcuno è portato a immaginare, ma è un limite matematico ben preciso definito dall’equilibrio tra la gravità e la velocità della luce, che è una costante fisica assoluta 1.
La relatività insegna che niente è più veloce della luce. Pertanto, basandosi solo su questo assioma, è ragionevole pensare che qualsiasi cosa oltrepassi l’orizzonte degli eventi di un buco nero sia definitivamente persa e scollegata dal resto dell’universo. Questa interpretazione, chiamata teorema dei buchi neri che non hanno capelli o No Hair Theorem, niente, più nessuna informazione potrebbe uscire una volta oltrepassato quel limite. Infatti se descrivessimo matematicamente un buco nero usando la metrica di Kerr-Newman – è una soluzione delle equazioni di Einstein-Maxwell della Relatività Generale che descrive la geometria dello spazio-tempo nei pressi di una massa carica in rotazione – viene fuori che un buco nero può essere descritto unicamente dalla sua massa, il momento angolare e la sua carica elettrica [1].

Cercare di spiegare la complessità dello spazio-tempo in prossimità degli eventi senza ricorrere alla matematica è un compito assai arduo.
L’oggetto che descrive Shwartzschild è solo il contorno osservabile di un buco nero. Ciò che vi finisce oltre scompare all’osservatore esterno in un tempo infinito. Egli vedrebbe che il tempo sul bordo degli eventi si ferma mentre la lunghezza d’onda della luce gli apparirebbe sempre più stirata 2 in rapporto alla sua metrica temporale, man mano che essa proviene da zone ad esso sempre più prossime fino a diventare infinita.
Invece, volendo fare un gedankenexperiment [cite]https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_mentale[/cite] come avrebbe detto Einstein, per colui che cercasse di oltrepassare l’orizzonte degli eventi – ammesso che sopravviva tanto da raccontarlo – il tempo risulterebbe essere assolutamente normale e tramite misure locali non noterebbe alcuna curvatura infinita dello spaziotempo e finirebbe per oltrepassare l’orizzonte degli eventi in un tempo finito.
Appare controintuitivo ma è così. Se dovessimo assistere come osservatore privilegiato alla formazione di un buco nero dal collasso di una stella [cite]https://ilpoliedrico.com/2017/02/supernova.html[/cite], non vedremmo mai il nocciolo stellare oltrepassare l’orizzonte degli eventi. Noteremmo solo che la luce proveniente da esso diventa sempre più fioca: vedremmo che i raggi gamma più duri emessi dal nocciolo diventare raggi X, poi luce visibile, infrarosso e radio  e poi più nulla; nessuna radiazione, più nessuna informazione proveniente dal nocciolo stellare potrebbe più raggiungerci.
Quello che c’è oltre lo chiamiamo singolarità. Le leggi fisiche a noi note non possono più descrivere cosa succede oltre l’orizzonte degli eventi e tutto ciò che lo oltrepassa non può più comunicare il suo stato all’esterno.

È difficile descrivere ciò che non si può osservare.

Galileo Galilei e il meraviglioso mondo degli anelli

Ammetto di non essermi stupito che un evento così importante non sia stato rammentato. Forse L’italico popolo suo discendente era ancora troppo preso con le vuvuzelas e i Mondiali di Calcio appena conclusi (malamente per l’Italia), o forse era per il lassismo culturale che una classe politica incolta e prona agli interessi soprattutto economici di un piccolo stato estero ha interesse che prosperi.



Saturno visto dalla sonda Cassini, cortesia Nasa

Sono passati ben 400 anni da quando l’astronomo pisano Galileo Galilei puntò il suo cannocchiale verso Saturno: era appunto il 15 luglio dell’anno 1610, appena 4 mesi dopo la pubblicazione del suo Sidereus Nuncius.

Galiei rimase sorpreso da quello che vide, tanto che scrisse:

Saturno in uno schizzo di Galileo nel 1610

“la stella di Saturno non è una singola stella, ma è un composto di tre, che quasi sembrano toccarsi, non si modificano o si spostano l’uno rispetto all’altro, e sono disposti in una fila lungo lo zodiaco, quello centrale è tre volte più grande i due laterali, e si trovano in questa forma  oOo.”
Per prudenza, all’inizio tenne per sé la scoperta, facendone voce solo con i suoi mecenati.
Ai colleghi invece recapitò un anagramma a fine luglio: “smaismrmilmepoetaleumibunenugttauiras” , e che svelerà poi a novembre rivelando la soluzione:
Altissimum planetam tergeminum observavi

Galilei nei suoi appunti descrisse  Saturno come una oliva se veniva osservato con strumenti poco potenti, ma che a quelli con maggior ingrandimento appariva la sua natura di triplice corpo.
Però già nel 1616, già i due corpi minori gli apparivano più simili a triangoli,  facevndo apparire Saturno più simile ad una ellisse.

 

In questi gorni di metà luglio,  se alzate gli occhi al cielo dopo il tramonto  potete ammirare una sfilata di gioielli nel cielo, tra questi c’è anche Saturno, potete prendere spunto dalla mappa che ho pubblicato qui.

Il pianeta padre degli dei

GIOVE
Pubblico volentieri questa ricerca fatta da mio figlio (col mio aiuto, lo ammetto, ma poco poco) per la scuola; buon sangue non mente
clip_image001
Giove è il 5° pianeta del nostro Sistema Solare a partire dal Sole ed è conosciuto fin dall’antichità (i primi a studiarlo furono gli Assiri) essendo il 4° oggetto più luminoso del cielo (gli altri sono il Sole, Luna e Venere).
Per la maestosità della sua luce gli fu attribuito il nome del Padre degli Dei greco-romani: Giove.
Giove fu uno dei primi pianeti ad essere osservato al telescopio da Galilei, il quale scoprì i suoi più grandi satelliti che intitolò al granduca di Firenze Cosimo II dei Medici, ma un altro personaggio (Simon Marius) si attribuì la scoperta e li battezzò con i nomi attuali: Io, Europa, Ganimede e Callisto.
clip_image003Io è un satellite naturale di Giove, il più interno dei quattro satelliti medicei. Il suo nome deriva da quello di Io, una delle molte amanti di Zeus secondo la mitologia greca. È un satellite geologicamente attivo grazie al calore interno sviluppato dall’azione gravitazionale di Giove e, come la Terra, ospita vulcani attivi ma che a differenza di quelli terrestri emettono zolfo, conferendogli così un bel colore giallo-arancio.
clip_image004Il nome di Europa deriva da quello di Europa, un’altra delle molte amanti di Zeus. La superficie di questo satellite è composta da ghiaccio d’acqua sovrastante un unico immenso oceano d’acqua liquida grazie al calore interno del pianeta dovuto all’azione mareale di Giove come per Io. Per questo Europa sembra una grande palla da biliardo quasi perfettamente liscia.
clip_image006Ganimede è il principale satellite naturale del pianeta Giove e il più grande dell’intero sistema solare; supera per dimensioni (ma non per massa) un altro pianeta del Sistema Solare: Mercurio. Lui deve il suo nome al personaggio di Ganimede, coppiere degli dei della mitologia greca, amato da Zeus. La sua composizione dovrebbe essere di ghiaccio d’acqua e rocce nella stessa proporzione ed ha una curiosa particolarità: La superficie di Ganimede è asimmetrica; l’emisfero “anteriore”, che guarda cioè verso la direzione di avanzamento della luna sulla sua orbita, è più luminoso rispetto a quello posteriore. Lo stesso accade su Europa, mentre su Callisto accade la situazione opposta.
clip_image007Callisto è il satellite naturale più pesantemente craterizzato del sistema solare. In effetti, i crateri da impatto e i loro anelli concentrici sono la sola struttura presente su Callisto; non vi sono grandi montagne o altre caratteristiche prominenti. Questo dipende probabilmente dalla natura ghiacciata della sua superficie, dove i crateri e le montagne più grandi vengono cancellati dallo scorrimento del ghiaccio durante tempi geologici.   È il terzo satellite dell’intero Sistema Solare in virtù delle sue dimensioni, confrontabili con quelle di Mercurio. Callisto era il nome di una ninfa consacrata ad Artemide di cui Zeus si innamorò; Era scoperto il tradimento la trasformò in orsa e Artemide la uccise, ma Zeus la trasformò nella costellazione dell’Orsa Maggiore.
Con l’uso dei telescopi si è scoperto che Giove è un pianeta gassoso e che la sua massa lo rende il più grande pianeta del Sistema Solare, circa 2,5 volte la massa di tutti gli altri pianeti messi assieme.
Giove compie un’orbita (rivoluzione) intorno al Sole in 11,86 anni a una distanza media di 778 milioni di chilometri dal Sole, mentre compie una rotazione completa (giorno) in appena 9 ore e 55 minuti all’equatore e 9 ore e 50 minuti ai poli.
clip_image008Il fatto che sia gassoso fa sì che la sua rotazione sia diversa all’equatore rispetto ai poli, questo meccanismo innesca le strisce orizzontali che vediamo sulla sua superficie, che è caratterizzata anche da una gigantesca macchia bruna (la Grande Macchia Rossa) che è in realtà un gigantesco uragano che va avanti da secoli (fu osservata per la prima volta da Giovanni Cassini nel 1665) ed è sufficientemente grande da contenere due o tre pianeti delle dimensioni della Terra.
clip_image010Il pianeta è composto per almeno ¾ da gas: il 75% da idrogeno e il 24% da elio, mentre il restante 1% è suddiviso in gas più complessi come metano, ammoniaca, ossigeno, neon e zolfo e altri gas più complessi.
A causa del suo enorme peso Giove si contrae di circa 2 cm all’anno, sviluppando in questo modo quasi altrettanto calore di quanto ne riceva dal Sole.
clip_image011La sua elevata velocità di rotazione fa sì che si comporti come una enorme dinamo, originando un enorme campo magnetico che crea la magnetosfera gioviana che, come accade sulla Terra, la protegge dai raggi cosmici ma che genera delle aurore polari perenni dovute alle attività vulcaniche dei satelliti gioviani (principalmente di Io) che interagiscono con questa ed è sede di intense radioemissioni. 

clip_image013È grazie alla grande massa di Giove che il nostro Sistema Solare è abbastanza stabile fisicamente in quanto la sua orbita stabilizza quella di altri corpi minori impedendo che questi cadano verso il Sole e verso i pianeti più interni come la Terra. In questo disegno qui accanto si può osservare come Giove funga da “spazzino” e pulisca la sua orbita e organizzi quella degli asteroidi arrivando perfino a catturarne qualcuno che così diventa un altro dei suoi satelliti minori.
clip_image015
clip_image017
Giove è uno dei pianeti più a lungo studiati anche attraverso sonde automatiche inviate dall’uomo e che ci hanno permesso di apprendere di più di questo magnifico pianeta, il più grande di tutto il Sistema Solare, mentre il più importante rimane la nostra vecchia cara Terra. Nell’ordine le sonde sono state:

· missioni Pioneer 10 e 11 (1973-1974)
la sonda numero 10 è l’oggetto che finora è andato più lontano creato dall’uomo
Come la sua nave-sorella Pioneer 10, anche Pioneer 11 porta una placca dorata con dei messaggi indirizzati a una intelligenza aliena.

· missioni Voyager 1 e 2 (1979)
Voyager 1 porta con sé un disco registrato d’oro (che contiene immagini e suoni della Terra, assieme a qualche istruzione su come suonarlo, nel caso qualche civiltà extraterrestre lo trovi. È ancora in attività per studiare i confini del Sistema Solare.
Come la prima anche la Voyager 2 porta con sé il disco d’oro. È finora l’unica sonda umana che abbia studiato i pianeti Urano e Nettuno.

· missione Ulysses (1992-2004)
questa è una missione che studiava i poli del Sole e che nella sua orbita ha incontrato Giove 2 volte. Dopo il suo spegnimento avvenuto il 30 giugno del 2009, la sonda continuerà ad orbitare intorno al Sole come se fosse una cometa costruita dall’uomo.

· Missione Galileo  (1995)
Durante il viaggio verso il pianeta ha scoperto il primo satellite di un asteroide, è stata la prima sonda ad orbitare per 8 anni attorno a Giove e a lanciare una piccola sonda nella sua atmosfera per studiarne la composizione.

· missione Cassini (2000)
Sviluppata dalla NASA in collaborazione con l’ESA (l’agenzia spaziale europea) e con l’ASI (l’agenzia spaziale italiana), la sonda Cassini è un prodigio della tecnologia spaziale del XX secolo, costituita da due componenti distinte: un orbiter e una sonda secondaria (Huygens). Pensata per studiare Saturno , ha incrociato durante il viaggio anche Giove, per sfruttarne l’effetto fionda per raggiungere il pianeta degli anelli. Il robottino Huygens è poi atterrato sul satellite principale di Saturno, Titano ed è finora la più lontana sonda atterrata su un altro pianeta.

clip_image021

L’Italia degli onorevoli: affari, cachemire e soldi

Questo è un bellissimo post che riporto per intero così come l’ho trovato, che efficacemente illustra l’attuale condizione politica italiana con poche parole, senza dietrologie e oscuri complotti, “l’ismo” da combattere non è là fuori, è dentro di noi, nel nostro DNA,. Buona lettura.


Probabilmente non ci si deve più stupire, né indignare nel vedere lo spettacolo che il nostro bel Paese – socialmente e politicamente – ci offre.
In realtà siamo i figli della più volgare dittatura (di destra) che l’Europa abbia conosciuto, e ne paghiamo ancora le conseguenze (o forse ci sguazziamo dentro tutti quanti).
Non l’austera, oscurantista e baciapile dittatura di Franco, tra Cristo Rey, mantiglie nere, cavalieri dalla trista figura e corride sanguinose; non quella di Salazar, cupa, misera, volutamente isolata e volutamente ignorante, sebastianista e razzista; e non quella mitica, pagana, supina, obbediente, scientificamente macellaia e perennemente in divisa di Hitler.
No, la nostra è stata una dittatura di una volgarità inarrivabile: dalla Marcia su Roma, sorta di gita fuori porta a fave e pecorino o di viaggio organizzato per pensionati con vendita di batteria da cucina o trasferta rissosa e avvinazzata al seguito della squadra del cuore; al “Boia chi molla” (certamente nonno del “celodurismo padano”); al manganello sempre citato anche nei suoi doppi sensi; alla punizione/umiliazione dell’olio di ricino: vera rappresentazione in stile Ambra-Jovinelli e ora Bagaglino dell’umorismo del rutto e della scoreggia; alla buffoneria del Duce: parole vuote ma altisonanti, ammiccamenti, barzellette da piazzista, mani sui fianchi, mascella in fuori, abbigliamento da buffone (il duce aviatore, il duce marinaio, il duce pilota d’automobili, il duce operaio, il duce borghese buon padre di famiglia, il duce gagà amante instancabile, il duce banchiere, il duce fantino a Villa Borghese…) o non-abbigliamento altrettanto ridicolo (il duce a torso nudo che taglia il grano, il duce in costume che nuota,…); alla pochezza e all’ignoranza dei suoi ministri e generali; alla menzogna ispiratrice di ogni azione militare (i milioni di baionette, la forza aerea, quella navale, e invece le scarpe rotte, la mancanza di preparazione, di mezzi, di tattica, di scienza militare, che ci hanno visti sconfitti e in fuga su tutti i fronti…); l’arte esibita e volgarizzata nel cattivo gusto del Vittoriale e nelle vestaglie orientaleggianti del Vate cocainomane…; l’iscrizione al Partito per convenienza, per ottusità, per quieto vivere, per corrompere ed essere corrotti, per non partire militare, per non pagare le tasse, per rubare sulle forniture o sulle grandi opere del regime; il doppiogiochismo della Chiesa e il suo chiudere gli occhi davanti alla distruzione degli ebrei d’Europa, davanti ai rastrellamenti di ebrei e partigiani fatti dai “ragazzi di Salò”;…
Ed è di tutto ciò che noi siamo figli. Non dei Garibaldi e dei Mazzini, dei Cavour e dei Croce. Ma di omuncoli come il vigliacco re Umberto e la sua corte (progenitore di un Vittorio Emanuele impresentabile, di una volgarità – la sua e della sua famiglia – granitica, forse il più basso esempio di testa coronata che l’Europa abbia mai prodotto). E poi gli intellettuali regolarmente iscritti al Partito Nazionale Fascista che l’indomani la Liberazione riescono a farci credere di essere candidi come sante vergini; un inciucio politico che ha visto per la gran parte lasciati ai loro posti prefetti, questori, giornalisti di regime, responsabili della deportazione di ebrei e di prigionieri vari, che in cambio di questo silenzio condiviso taceranno su stragi rosse e vendette personali, su foibe e gulag. È il paese del volemose bene, dell’uno a me e uno a te; del chiudiamo un occhio; del girarsi dall’altra parte. Per cui dopo una breve parentesi postbellica dedicata al tentativo di ricostruzione e di coesistenza semi pacifica tra comunisti e democristiani, si assiste alla negazione delle speranze e delle buone intenzioni dei Di Vittorio, dei De Gasperi, degli Einaudi, dei Nenni.
E si assiste alla creazione di una delle burocrazie più inscalfibili e potenti del mondo; di una classe politica in gran parte inefficiente e mangiasoldi; di una collusione continua tra potere mafioso e potere politico e industriale; di una Giustizia inefficiente e corrotta; si assiste impotenti (ma anche silenti e quindi in certi casi conniventi) a una continua, progressiva, inarrestabile distruzione del territorio, alla cementificazione di chilometri e chilometri di coste e montagne, all’abbandono e allo spreco delle opere d’arte, alla fuga dei cervelli, alla finta ospitalità nei confronti di milioni di immigrati, all’incapacità di mantenere un minimo di democratico ordine pubblico.
Poco da stupirsi quindi di una situazione come quella attuale: fatta di volgarità e di veline, di cachemire di sinistra e di doppiopetti di destra, di telespazzatura e di tasse non pagate (a destra, a sinistra, al centro), di furbetti del quartierino e di furboni delle cooperative, di rolex d’oro e di bandane, di tette finte e di telethon, di grandi fratelli e isole dei famosi, di piagnistei in diretta, di piduisti trasformati in statisti, di risse televisive, di razzismo mascherato, di telefonini regalati ai bambini e di suv, di opere pubbliche mai realizzate, di mignotte travestite da intellettuali e di intellettuali travestiti da mignotte, di turismo caciarone e di buonismo elettorale, di notti romane, di calciatori violenti, di cori razzisti, di parcheggi in doppia fila e di raccomandazioni, di mandolini e di catene da picchiatore, di passamontagna di sinistra, di caschi di destra, di centri sociali finanziati e di ospedali e cronicari fatiscenti, di ronde leghiste, di matrimoni celtici…
E così via… (ma l’elenco è molto, molto più lungo).
In mezzo a tanto letame (come diceva De Andrè) ci sono anche i fiori, certamente, ci sono anche le persone oneste – socialmente e intellettualmente -, ma il rischio di soffocamento è alto. Senza contare i suggerimenti dei giornalisti. Esempio del niente che spesso distribuiscono. Durante la quotidiana rubrica che conduce alla radio, Barbara Palombelli è riuscita a dire, a proposito della tragedia haitiana: “L’effetto positivo delle grandi catastrofi è che adesso ho sentito che c’è un sacco di gente che si è messa a pensare”. Peccato non tremi la terra ogni giorno. Pensando, pensando l’ Italia potrebbe cambiare.

Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tutt’ora consulente. Ha collaborato al supplemento “Tuttolibri” della “Stampa”; ora scrive per “Repubblica”. E’ curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.