Le abbondanze cosmiche

Come spesso accade e come ho già mostrato altre volte, le domande non sono mai banali quanto invece possono esserlo le risposte.
Questo articolo mi è stato suggerito da un post apparso tempo fa  in un social network in cui si chiedeva quale fosse l’elemento chimico più abbondante nell’Universo dopo l’idrogeno e dell’elio. La risposta, poi non tanto ovvia, è che l’ossigeno, seguito dal carbonio, il neon e l’azoto, sono gli elementi chimici più abbondanti del nostro Universo e – a parte l’elio e il neon – che guarda caso, sono anche gli elementi su cui si basa la nostra biochimica.

Credit: Il Poliedrico

L’origine degli elementi chimici più abbondanti e leggeri dell’Universo stesso è da ricercarsi nella genesi della materia barionica nell’Universo, da 3 a 20 minuti dopo il Big Bang.
Fu in quel poco tempo a loro disposizione che pochi protoni riuscirono a infrangere la barriera coloumbiana che normalmente li tiene separati e fondersi insieme. Così si formarono i nuclei degli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno: l’elio, il litio e il berillio – questi ultimi due sono oggi molto più rari – nacquero allora, in quel breve momento – per fortuna – in cui tutto l’Universo aveva temperature e densità come un nucleo stellare.
Ci vollero però altri 380000 anni all’Universo per espandersi e diventare abbastanza freddo da consentire ai protoni liberi e a quei nuclei atomici poco più complessi che si erano formati nella prima nucleosintesi della storia dell’Universo di legarsi agli elettroni fino ad allora liberi. Fu allora che la materia barionica più leggera assunse la forma che ci è più familiare: l’atomo neutro 1.
Idrogeno e elio con litio e berillio in tracce  era tutto quello che c’era nell’Universo primordiale, fino a che una parte di tutta quella materia barionica si condensò in stelle.

Nucleosintesi stellare

La nucleosintesi stellare è l’insieme delle reazioni nucleari che avvengono all’interno di una stella, una catena di processi energetici che hanno come risultato finale nuclei degli elementi chimici  più pesanti partendo dall”idrogeno fino al ferro.
L’idrogeno è l’elemento di partenza dal quale vengono prodotti tutti gli altri elementi chimici riuscendo ad emettere energia nelle stelle. Queste reazioni dette esogene, cessano con la produzione dell’isotopo del ferro chiamato ferro-56 (56Fe).
I cicli di nucleosintesi sono sostanzialmente due: il ciclo protone-protone, che vale per le stelle di massa fino a 1,5 masse solari, e il ciclo CNO (Carbonio-Azoto-Ossigeno), più efficiente ma che solo le stelle con masse superiori al suddetto limite possono sostenere.
Un piccolo appunto: la prima generazione di stelle nacque in  un universo dove non c’era alcuna traccia di carbonio, azoto o ossigeno, per cui l’unica reazione di fusione nucleare per loro possibile era quella diretta protone-protone, molto meno efficiente, fino a che nel loro nucleo non si produssero anche i nuclei di 12C. Questo limite sicuramente ha pesato sul processo vitale di quelle stelle. Peccato che oggi non è più possibile  studiarle in dettaglio.

Gigantesche stelle blu bruciarono buona parte dell’idrogeno di cui erano composte al loro interno creando tutti gli altri elementi chimici fino al ferro in pochi -forse decine – milioni di anni.

Quando la nucleosintesi nelle stelle arrivò a sintetizzare il ferro dal silicio, il loro massiccio peso non più sorretto dall’energia delle reazioni termonucleari rimbalzò sul nucleo e le fece esplodere come supernovae, spargendo le preziose ceneri della combustione nucleare nello spazio. Le onde d’urto aiutarono la formazione di altre stelle 2 e così via, in un ciclo che è ancora oggi attuale.

Anche se il contributo delle supernove fu certamente rilevante nell’evoluzione chimica dell’Universo, la parte più importante l’ebbero però le stelle un po’ più piccole, fino a 4 masse solari, della popolazione successiva, la Popolazione II.

Queste stelle non sarebbero esplose come suoernovae rendendosi visibili ovunque nell’Universo, ma più semplicemente alla fine del loro ciclo vitale avrebbero restituito le loro ceneri nucleari al cosmo verso come semplici nebulose planetarie.

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Simulazione grafica della formazione di una nebulosa planetaria. Credit: Wikipedia

Per questo le abbondanze relative vedono primeggiare i primi prodotti di nucleosintesi rispetto agli elementi più pesanti del ferro che si formano per cattura neutronica durante il collasso di supernova e dal decadimento radioattivo di alcuni di questi.

Ma la cosa che più affascina in questa tabella è che a eccezione dell’elio e del neon che sono gas nobili e che quindi non reagiscono con alcun altro elemento chimico, tutti gli altri sono componenti fondamentali della biochimica a base carbonio come le conosciamo.
Che noi fossimo figli delle stelle era certo, anche le modalità con cui certe abbondanze si sono create indicano come l’evoluzione dell’Universo sia diretta verso la creazione la Vita.


Bufale cosmiche

Ci risiamo:

in questi giorni sta circolando la notizia che narra di avvenuti contatti con altre civiltà extraterrestri attraverso vari radiotelescopi sparsi nel mondo che hanno intercettato segnali intelligenti provenienti da AldebaranEpsilon EridaniIzar, ThubanProxima Centauri. La notizia per ora sarebbe stata tenuta nascosta dai governi del pianeta ovviamente per non sollevare il caos nella popolazione mondiale. Di per sé sarebbe una meravigliosa notizia, specie per chi ha sempre ritenuto improbabile l’unicità della razza umana come specie senziente nell’Universo e da anni partecipa al progetto Seti@Home, se non fosse per un piccolo particolare che rende tutta la notizia una evidente bufala.

Si parla infatti di segnali trasmessi  in una non meglio precisata zona profonda nella banda dell’ultravioletto, una zona che, purtroppo per l’inventore della falsa notizia, i radiotelescopi  non possono vedere!

Lo spettro elettromagnetico è la gamma di tutte le frequenze possibili delle radiazioni elettromagnetiche. Questo rappresenta la distribuzione caratteristica delle radiazioni elettromagnetiche emesse o assorbite da un particolare oggetto.

Lo spettro elettromagnetico si estende dalle frequenze radio utilizzate per le radiocomunicazioni alle radiazioni gamma nella lunghezza d’onda più corta, esso copre tutte le lunghezze d’onda possibili, andando dalle dimensioni dell’Universo fino alla lunghezza di Planck, ed è veicolato da una particella fondamentale senza massa: il fotone.

Per sfortuna dell’inventore della bufala, ma per fortuna nostra, l’ultravioletto è un tipo di radiazione elettromagnetica che viene schermato con abbastanza efficacia dallo strato di ozono della nostra atmosfera. Essendo infatti molto energici, gli UV possono rompere i legami chimici, rendendo le molecole particolarmente reattive o ionizzate (effetto fotoelettrico). Ad esempio le scottature solari sono causate dagli effetti distruttivi delle radiazioni UV sulla pelle e sono la principale causa di cancro alla pelle quando la radiazione danneggia irreparabilmente il DNA delle cellule, per questo infatti le radiazioni UV vengono considerate mutagene. Il Sole emette una grande quantità di radiazioni UV che se arrivassero sulla superficie trasformerebbero  la Terra in un deserto sterile.

Quindi, l’ultravioletto proveniente dallo spazio non è visibile dalla superficie della Terra, tant’è che prima dell’avvento dei satelliti artificiali, le uniche osservazioni in questa banda dello spettro elettromagnetico venivano fatte con palloni sonda per lo più dall’Antartico dove lo strato di ozono è più sottile.

I radiotelescopi invece sono utilizzati per lo studio delle emissioni radio naturali degli oggetti astronomici tra le lunghezze d’onda comprese tra i 10 metri (30 megahertz [MHz]) e 1 millimetro (300 gigahertz [GHz]). A lunghezze d’onda più lunghe di circa 20 centimetri (1,5 GHz), le irregolarità della ionosfera falsano i segnali in ingresso. Questo è un fenomeno noto come scintillazione, che è analogo a quello scintillio che vediamo nelle stelle alle lunghezze d’onda ottiche. L’opacità della ionosfera alle onde radio cosmiche diventa sempre più importante con l’aumentare della lunghezza d’onda. A lunghezze d’onda più lunghe di circa 10 metri, la ionosfera diventa completamente opaca ai segnali in ingresso. Le osservazioni radio delle sorgenti cosmiche a queste lunghezze d’onda sono difficili per i radiotelescopi terrestri. Anche alle lunghezze d’onda inferiori di pochi centimetri, l’assorbimento dell’atmosfera diventa sempre più critico. A lunghezze d’onda inferiori a 1 centimetro (30 GHz), le osservazioni da terra sono possibili solo in poche bande specifiche che sono relativamente libere dall’assorbimento atmosferico. Tuttavia, alle lunghezze d’onda comprese tra 1 e 20 cm, l’atmosfera e la ionosfera introducono solo lievi distorsioni nel segnale in ingresso. Attraverso una elaborazione del segnale si possono correggere questi effetti, in modo che l’effettiva risoluzione angolare e la qualità delle immagini è limitata solo dalle dimensioni dello strumento.

Anche qui la storia dei radiotelescopi che ascoltano l’ultravioletto rivela la falsità della notizia.

MITO SFATATO!