Alba cosmica

Appena tre  articoli fa avevo stimato in un paio di miliardi di anni a partire dal Big Bang l’intervallo di tempo ragionevole per il crearsi delle condizioni minime necessarie per lo sviluppo degli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno (per gli astrofisici questi sono chiamati tutti metalli a prescindere del loro peso atomico) necessari alla vita come la conosciamo, che io per comodità qui su questo Blog ho sempre chiamato Vita con la maiuscola.
Ma forse mi sbagliavo, quelle condizioni potrebbero essersi sviluppate molto prima: almeno 2/3 di quel lasso di tempo: appena 250-500 milioni di anni dopo il Big Bang. Quella fu la prima, vera, alba del Cosmo? difficile dirlo per ora; certo è che la primissima generazione di stelle apparve molto, molto, presto.

Nella grande immagine a sinistra, le numerose galassie dell’ammasso galattico MACS J1149 + 2223. Le lenti gravitazionali del cluster hanno permesso di scoprire una galassia 15 volte più lontana: MACS 1149-JD. In alto a destra vediamo lo zoom della regione mentre MACS 1149-JD è in evidenza nel dettaglio in basso a destra. Credit: NASA / ESA / STScI / JHU

MACS1149-JD1 non è una galassia appena scoperta e nemmeno la più grande — è appena un centesimo della Via Lattea. Fu scoperta dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer nel lontano 2012 grazie all’azione di  lensing gravitazionale mediato dall’ammasso di galassie MACS J1149.6+2223, nella costellazione del Leone. Ma è nota per essere tra le più distanti dell’Universo osservabile — ha un redshift z di 9.6. La luce che oggi osserviamo abbandonò quella lontana galassia circa 13.3 miliardi di anni fa, cioè circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang ed è talmente stirata per effetto dell’espansione dell’Universo da essere visibile solo nell’infrarosso (redshift cosmologico).

Ma seppur notevole non è questa la notizia più clamorosa che coinvolge MACS1149-JD1 [1]: un team di astronomi hanno studiato la luce di questa minuscola e debolissima galassia con ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimetr Array)  e il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO scoprendo così in essa il debole segnale dell’ossigeno ionizzato. Questo significa che nei suoi 500 milioni di anni era lì esistita una primissima generazione di grandi stelle che alla fine del loro ciclo vitale avevano cosparso il cosmo con le loro ceneri ricche di elementi pesanti tra cui l’ossigeno.
Già nel 2016 ALMA aveva permesso di scoprire tracce di ossigeno ionizzato in un altro oggetto del profondo cielo, la galassia SDXF-NB1006-2 [2], distante 13.1 miliardi di anni luce. Anche se la quantità di ossigeno allora rivelata risultava essere circa 10 volte meno di quella presente attualmente nella nostra galassia, in linea con quanto ci suggeriscono le simulazioni, indicava anche che l’intensa radiazione ultravioletta di quelle lontane stelle stava ionizzando una enorme quantità di gas, ben più di quanto ci si aspetterebbe se  la quantità di polvere e di carbonio fosse in linea con le proporzioni osservate dell’ossigeno. In pratica non c’era per SDXF-NB1006-2 quell’estinzione della componente ultravioletta che ci si sarebbe aspettato.
Ora MACS1149-JD1, oltre a spostare ancora più indietro nel tempo la presenza di ossigeno nell’Universo e di conseguenza la generazione stellare che l’ha creato, potrebbe contribuire a spiegare se la carenza di polveri era una caratteristica di quella lontana epoca oppure no.

Energia oscura e anisotropia nella radiazione cosmica di fondo

Sono passati almeno 15 anni da  quando è stato scoperto che il nostro Universo subisce una spinta repulsiva che lo sta accelerando, ossia che le sue dimensioni, contrariamente a quanto si era finora supposto, crescono più di quanto la spinta iniziale del Big Bang e al contrario la reciproca attrazione della materia che lo frena possano spiegare.

le varie ipotesi evolutive dell’Universo.
Credit: Il Poliedrico

Nel giugno scorso parlai di un tema particolarmente scottante in cosmologia 1: l’accelerazione dell’espansione dell’universo.
Questo è un fenomeno inflattivo che fu scoperto alla fine del XX secolo e che finora è stato spiegato soprattutto facendo ricorso a una misteriosa energia oscura spiegata prevalentemente in vari modi:
come costante cosmologica, quindi integrata nella natura stessa del tessuto dell’Universo e indicata con la lettera lambda Λ e valore repulsivo fisso wq = −1, o come quintessenza, ovvero una quinta forza fondamentale della natura 2 che può assumere una natura attrattiva o repulsiva a seconda del rapporto tra energia cinetica ed energia potenziale nell’universo.

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Tabella 1

Stando alle teorie della quintessenza, questa divenne repulsiva – ossia cambiò stato come l’acqua diviene ghiaccio a 0° C. – circa 10 miliardi di anni fa a seguito dell’espansione iniziale dell’Universo.
Qui i valore repulsivo della quintessenza varia col variare delle condizioni locali nell’universo, ovvero questa avrà valori diversi tra i super ammassi di galassie dove la materia è concentrata e gli spazi di vuoto che li separano, come una ragnatela e soprattutto, come è ovvio, il suo valore cambia nel tempo.

Un team di astronomi dell’università di Portsmouth – R. CrittendenR. NicholA. J. Ross  –  e dell’università Ludwig Maximilians di Monaco di Baviera – T. Giannantonio – ha riproposto uno studio del 2008 3 4 sui dati del satellite Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP) riguardante l’effetto Sachs-Wolfe integrato 5.
Questo nuovo studio 6 tiene conto di nuovi dati e nuovi metodi di indagine per venire incontro alle obiezioni sollevate dagli altri cosmologi 7 che sostanzialmente però non mutano il quadro emerso dalla precedente ricerca che conferma un valore specifico per il modello Lambda-CDM pari a w = −1 per redshift superiori  a 1.

L’effettto Sachs-Wolfe integrato.
Credit: Istituto di astronomia dell’Università delle Hawaii

Fu proprio R. Crittenden insieme a  Neil Turok nel 1996 a proporre di cercare nell’anisotropia secondaria della radiazione cosmica di fondo le prove della presenza di energia oscura nell’Universo 8 9.
I fotoni della CMB inizialmente isotropi avrebbre risentito dell’influenza gravitazionale delle grandi concentrazioni di materia diventando ovviamente leggermente più freddi per effetto della curvatura dello spazio locale ma avrebbero acquistato più energia (effetto blueshift) riscaldati dalla stessa materia autrice della curvatura. Questi due effetti in assenza di energia oscura si controbilancerebbero quasi esattamente – si devono comunque  tener conto anche di altri effetti come la focalizzazione gravitazionale, l’effetto Sunyaev-Zel’dovich etc. – ma l’energia oscura che dilata lo spazio consentirebbe alla CMB rilevata di avere un’impronta energetica leggermente più alta là dove le concentrazioni di massa l’hanno riscaldata.
Quindi la presenza di energia oscura si potrebbe rilevare confrontando le concentrazioni di materia conosciute nell’universo locale con le impronte delle fluttuazioni della CMB.
E in effetti importanti correlazioni pare che ci siano, tanto che il team di Portsmouth e Monaco parla che il  99,996% di queste sia da imputarsi all’energia oscura.

Comunque sia, il capitolo Energia Oscura non è affatto finito.  Il team di Crittenden si dice sicuro dei risultati ma manca la verifica di altri gruppi di ricerca e l’immancabile controrisposta dei cosmologi scettici. Ma soprattutto com’è fatta questa Energia Oscura?


Altri riferimenti:
http://www.ras.org.uk/news-and-press/219-news-2012/2167-dark-energy-is-real-say-portsmouth-astronomers

http://www.ifa.hawaii.edu/cosmowave/supervoids/