Breakthrough Listen Candidate 1: molto extra ma quasi certamente terrestre.

Premetto che ancora poco o nulla si sa su Breakthrough Listen Candidate 1. Non esiste ancora un documento ufficiale su questo segnale captato nei pressi di Proxima Centauri. Tutto ha avuto origine da un articolo sul Guardian[1] e poche altre indiscrezioni apparse qua e là.  Le voci finora a me giunte sono ancora troppo poche per poter suggerire quale sia l’esatta origine di BLC-1.
Questo però dimostra ancora una volta che la scienza non teme di rincorrere un tema spinoso come la ricerca di altre intelligenze extraterrestri, così come è impossibile che una notizia simile rimanga celata tanto a lungo. come suggeriscono alcuni furbi ai tanti beoti teorici del complotto.

Il sistema Alpha Centauri

Si fa presto a dire che Breakthrough Listen Candidate 1 (BLC-1) sia stato un segnale emesso da una civiltà tecnologica extraterrestre.
Tra aprile e maggio del 2019, il radiotelescopio Parkes (Australia), nell’ambito della ricerca Breakthrough Initiatives [2] per la ricerca di civiltà extraterrestri, è stato puntato verso la regione di cielo che ospita Proxima Centauri. la terza stella del sistema di Alpha Centauri.
Proxima è una stellina piccola e fredda, una M5 con una massa circa un decimo del Sole. Questo la rende soggetta a esplosioni coronali molto vivaci e frequenti causate dalla sua instabilità magnetica, esplosioni capaci di sterilizzare qualsiasi pianeta le orbitasse vicino.
Proxima in effetti ha due di pianeti uno appena più grande della Terra, in orbita nella zona abitabile (5 centesimi di unità astronomiche, 7,5 milioni di chilometri), e uno a 1,48 UA, grande 6 volte la Terra e completamente ghiacciato. I grandi brillamenti, che per loro natura hanno tutte le stelle di piccola massa, rendono assai poco probabile che si possa essere sviluppata la vita e poi una civiltà avanzata analoga alla nostra in un sistema siffatto, perché semplicemente, le condizioni non sono certamente le più adatte 1.
Parkes era stato puntato verso Proxima non per cercare gli alieni, i ricercatori quello che ho appena detto lo sanno, ma per studiare probabilmente i lampi di energia tipici di una stella a flares. Questo genere di studi è necessario se si vuol  capire come riconoscere un segnale di origine artificiale da uno naturale.
Ma, durante l’ascolto, è stata notata una nota a 982,002 MHz, un debole segnale monotonico, ossia che, apparentemente, non contiene alcuna informazione codificata in esso. Ci si aspetterebbe che qualsiasi segnale di natura artificiale emesso da una civiltà extraterrestre con l’intento di comunicare contenga informazioni, modificando cioè l’intensità del segnale o modulando la sua frequenza, oppure ruotando il suo piano di polarizzazione, come avviene anche nelle comunicazioni terrestri, per esempio.
Ma BLC-1 (il nome dato al segnale) è stato, come ho detto, un debole segnale monotonico, l’equivalente di un fischio di una locomotiva, o di un fascio radar che non necessariamente si pretende che contenga qualche sorta di informazione. Curioso, ma non eccezionale: noi terrestri usiamo spesso segnali di questo genere.
Per dimostrare di essere un segnale di origine extraterrestre, i ricercatori in genere cercano subito se appare una qualche deriva di frequenza2, ovvero l’analogo dello spostamento verso il rosso o il blu caratteristico di una sorgente (o del ricevitore) che si muove nello spazio rispetto al suo opposto. È così che vengono scoperti i pianeti extrasolari col metodo spettrale: osservando e misurando le oscillazioni delle righe spettrali delle stelle. E questa caratteristica, pare che BLC-1 l’abbia mostrata. Ma il monotono è stato registrato per troppo poco tempo (alcune indiscrezioni parlano di 5 volte nell’arco di 3 ore) per stabilire se la sua deriva appartiene al movimento della Terra attorno al Sole (ricevitore) o se è la sorgente (il segnale) a muoversi attorno a Proxima Centauri.

Ipotesi

Come ho sottolineato prima, non necessariamente un segnale artificiale deve per forza contenere informazioni codificate al suo interno: basti pensare ai fasci di radioonde dei radar, che devono semplicemente illuminare un oggetto e captarne il riflesso. Oppure uno di quei transponder usati per la triangolazione e localizzazione delle piste di atterraggio degli aeromobili 3 che, quando sono fuori servizio di solito non trasmettono il loro codice identificativo proprio per dimostrare che non sono operativi.
Anche alcuni satelliti spia della vecchia Unione Sovietica trasmettevano in prossimità della banda L di radiocomunicazioni (tra 1 e 2 Ghz) e anche alcune vecchie telecomunicazioni usavano la parte alta della banda P (UHF).
Un detrito spaziale in un’orbita insolita, pressoché stazionaria, che avesse potuto riflettere un segnale di questi verso la Terra, anche se appare alquanto poco probabile, potrebbe offrire una spiegazione ben più convincente di una ipotetica civiltà tecnologicamente avanzata evolutasi su un pianeta in orbita a Proxima Centauri. Oppure un satellite artificiale non identificato, magari un satellite spia militare non classificato, potrebbe essere all’origine del misterioso segnale.
Un segnale spurio o una sua armonica 4 appare difficile da spiegare, perché il segnale era presente solo quando il Parkes era puntato in direzione di Proxima Centauri, il segnale scompariva appena il radiotelescopio veniva spostato (questa tecnica è chiamata nodding, dal termine inglese usato per descrivere l’annuire con un gesto della testa) ma non impossibile.
Poteva essere un segnale prodotto da una sorgente naturale molto più lontana e non necessariamente sulla stessa linea di vista, che le particolari attività di Proxima di quel momento, per esempio campi magnetici e plasma, hanno deflesso, messo in risonanza ed esaltato, producendo poi il segnale monotonico osservato (BLC-1) a 982 MHz. Oppure un’altra sorgente posta casualmente sulla stessa direttrice di Proxima Centauri, così come la scorsa settimana Giove e Saturno sembravano quasi sovrapporsi se visti dalla Terra.

Conclusioni

Quel che cerco di evidenziare è che non serve necessariamente ricorrere all’ipotesi più fantasiosa e affascinante per spiegare la natura di un segnale radio transitorio. Sì, perché BLC-1 nel frattempo pare che sia scomparso: qualunque cosa fosse stato, ha cessato di trasmettere, o forse noi non siamo più in grado di rivelarlo.
Anche noi, in passato, abbiamo intenzionalmente diretto un segnale radio transitorio verso lo spazio[3] con l’intento di comunicare la nostra presenza al panorama cosmico, ma condensammo un sacco di informazioni nel nostro segnale (se poi chi lo capterà sarà in grado di decifrarlo e comprenderlo, quello è un altro discorso) e BLC-1 non pare essere questo.
Solo il tempo — e ulteriori analisi — potrà dirci qualcosa di più della reale natura di Breakthrough Listen Candidate 1.

Interminati mondi e infiniti quesiti

La copertina del mio libro: anche la fotografia qui è mia. Su Amazon si può leggere sia la sinossi che un breve estratto gratuito.

Ho sempre sostenuto che nell’affrontare un argomento tanto complesso non si dovrebbe mai prescindere dal raccontare anche le condizioni che lo circondano, esattamente come per lo scrivere, o il parlare, occorre conoscere il significato di ogni singola parola usata. Mi è altrettanto caro però anche un altro concetto: un libro non serve a dare esclusivamente nozioni, ma deve offrire al lettore anche qualcosa su cui riflettere e proporre di approfondire autonomamente l’argomento di cui tratta.

Per questo saggio[4] a me sono serviti quattro anni. O forse anche di più.
Sicuro che il primo embrione di quello che poi sarebbe diventato il mio primo libro — non ho affatto intenzione di fermarmi a questo, uscì proprio su questo Blog nel 2015[5], attraverso una serie di articoli sul celebre Paradosso di Fermi. Non sto a ripeterne qui la storia, l’ho spiegata in un capitolo del mio lavoro.
Ho detto quattro anni, perché ne parlai durante un pranzo con la Responsabile della Didattica e Divulgazione presso la Fondazione GAL Hassin-Centro Internazionale per le Scienze Astronomiche, Isnello (PA), (blogger di Tutti Dentro , firmatrice di diversi articoli qui ospitati, nonché mia carissima amica) Sabrina Masiero nel lontano 2016, e che poi mi ha aiutato tantissimo proprio nelle ultime revisioni alla fine dello scorso anno.

È stata una genesi lunga che alla fine mi ha portato molto lontano — e non solo da queste pagine — e fatto maturare in modi che, sinceramente, non avrei mai creduto possibile. Ho rivisto alcune mie posizioni, affrontato argomenti e campi a me del tutto sconosciuti o appena osservati da lontano.
Esplorare le innumerevoli domande insite in questo saggio è virtualmente impossibile, perché ognuna di esse apre infiniti altri quesiti che richiederebbero altrettanti trattati. Per questo ne ho scelti e affrontati soltanto qualcuno. Una scelta difficile, che mi ha portato a scrivere e abbandonare centinaia di bozze e sviluppare quelle che ho comunque ritenuto più significative.

Affrontare i temi della Vita, Intelligenza e Civiltà extraterrestri prendendo spunto unicamente dall’umana esperienza su questo mondo può sembrare scontato, ma molto spesso tale sforzo non viene  compiuto.
Duecento o quattrocento miliardi di stelle nella nostra Galassia non significa che ognuno di quei soli sia accompagnato da qualche forma di vita, anche se appena batterica. Anzi: la maggior parte delle stelle che vediamo ad occhio nudo (appena qualche migliaio) o è troppo grande oppure possiede qualche altro handicap da scontare.
Eppure tra queste centinaia di miliardi si possono ancora calcolare milioni di altre stelle che potrebbero benissimo ospitare altrettante terrificanti e pur sempre meravigliose forme di vita; queste potrebbero funzionalmente somigliare ad alcune di quelle che la Terra ha ospitato in quattro miliardi di anni, oppure no.
Come è esattamente sorta la vita sulla Terra ancora nessuno lo sa, ma ci sono buoni e ragionevoli motivi per pensare che questo sia accaduto — e che accada ancora — attorno a quei milioni di stelle che ho appena citato, e questo lo si è creduto o, perlomeno sospettato, fin dalla preistoria.
Il concetto stesso di Vita ha mutato significato nei secoli e con esso anche il modo in cui si è supposto che la Vita sarebbe potuta emergere. Dall’aristotelica abiogenesi alla sua definitiva smentita da parte di Pasteur, dal concetto fumoso di Erasmus Darwin (il nonno di Charles) fino agli esperimenti di Miller e Urey[6] che hanno spianato poi la strada alla moderna astrobiologia.
Ma quello che — almeno per me, amante da sempre del razionalismo scientifico — è apparso sempre più evidente, man mano che andavo avanti con la stesura, è stata la similitudine tra il concetto metafisico del Divino e quello dell’Universo e la sua storia che  faticosamente stiamo scoprendo nel’ultimo secolo.
Deus sive Natura, diceva più di tre secoli fa il filosofo olandese Baruch Spinoza, Dio ossia la Natura. E l’implicito che qui in parte tento di mostrare è simile: tutta la storia dell’Universo che abbiamo ricostruito ci mostra che sotto molti aspetti il Divino e la Natura possono essere concetti piuttosto simili e spesso essere perfino sovrapponibili. Col mio studio desidero soltanto offrire alcuni spunti su cui riflettere partendo da una domanda fatta per celia all’ora di pranzo dal grande fisico che fu Enrico Fermi e che è matematicamente riassunta nell’Equazione di Francis Drake.

Come ogni buon libro che si rispetti, ho chiesto a Marco Castellani, dell’Osservatorio Astronomico di Roma – INAF, blogger di Gruppo Locale e scrittore, di curare la prefazione del mio lavoro. Ne è sortita una piccola perla che merita di essere gustata per intero, perché anch’essa offre al lettore miriadi stimoli di riflessione.

Non voglio svelare di più per non rovinarvi il gusto della lettura del mio saggio, ma posso dirvi che per me è stato un viaggio meraviglioso e che spero, con l’approvazione di voi lettori, presto di rifare.

 

Cieli sereni.