Una colorita foresta (di bufale) su Marte

Foreste marziane

Credit:  NASA/JPL/Malin Space Science Systems.

Credit: NASA/JPL/Malin Space Science Systems.

Nonostante che siano passati ben 12 anni da quando il Mars Global Surveyor non risponde più ai comandi da Terra e la missione sia ufficialmente terminata,  in giro ci sono persone che ancora credono che il satellite abbia fotografato una foresta di alberi su Marte e che, nonostante questa evidenza, la NASA abbia messo tutto a tacere.
Questa qui accanto è una immagine ripresa il 19 ottobre 1999 dal MOC (l’originale potete trovarlo qui) e che ho dovuto tagliare  per ragioni di spazio. Qui vediamo delle strutture abbastanza regolari che ricordano sicuramente un po’ la chioma degli alberi, ma che sono oltremodo gigantesche per esserlo, almeno un chilometro di diametro, quanto 95 campi di calcio!
Le immagini che si trovano in giro sono …. verdi, nello spiacevole senso che sono artatamente ritoccate proprio per far credere che il MOC abbia ripreso della vera vegetazione 1, cosa tra l’altro impossibile visto che la camera ad alta risoluzione del MOC era in bianco e nero mentre le altre due, a bassa risoluzione, riprendevano una nel rosso e l’altra nel blu.

Ma cosa sono allora quelle cose che il Mars Global Surveyor ha mostrato?

Credit: Arizona State University/Ron Miller

Credit: Arizona State University/Ron Miller

Semplice: sbuffi di anidride carbonica provenienti dal permafrost ghiacciato di Marte.
Marte è sostanzialmente un pianeta polveroso. i venti marziani in eoni di perenne siccità hanno eroso l’intera superficie del pianeta ricoprendolo di sabbia. Quando il MOC riprese queste immagini era metà ottobre, in piena primavera nell’emisfero sud marziano; la temperatura in quel momento era salita abbastanza da far sublimare il ghiaccio secco  intrappolato nel permafrost sotto un sottile stato di sabbia.
Il risultato è uno sbuffo di sabbia che s’innalza dal suolo e che ricade per un raggio di diverse centinaia di metri come l’artista Ron Miller ha magistralmente illustrato nel suo disegno.

 Questa immagine dalla High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) montata sul Mars Reconnaissance Orbiter mostra il risultato dei geysers di polvere descriti nell'articolo.  di una zona 1,2 km di larghezza. Credit: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Questa immagine dalla High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) montata sul Mars Reconnaissance Orbiter copre una zona 1,2 km di larghezza e mostra il risultato dei geysers di polvere descriti nell’articolo. Credit: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

A maggior conferma di questi geysers di polvere è il fatto che nell’arco di poche ore essi sono  già estinti e lasciano sul terreno dei giganteschi arabeschi che con molta fantasia possono sembrare chiome di alberi spogli o ragni adagiati al suolo, oppure più semplicemente dei cumuli effimeri di polvere non ancora spazzati via da qualche tempesta di sabbia.

Il cielo marziano

Un altro teorema che coinvolge il Pianeta Rosso 2 è il colore del cielo che le immagini dal suolo riprese dalle varie sonde -Viking, Sojourner, Opportunity e Curiosity, tanto per citarne alcune – e diffuse dai centri di controllo missione appare ocra, giallastro o grigio e mai blu come sulla Terra 3 . Il motivo è assai semplice e un po’ si riallaccia con quanto ho detto sopra: Marte è un pianeta polveroso e la sua atmosfera è impregnata di questa polvere tanto da conferire questa tipica colorazione al cielo, un po’ come quando si segue una gara di rally su terra battuta e osserviamo il panorama attraverso le nuvole di polvere alzate dalle macchine. Questo perché la polvere diffonde la luce in maniera alquanto diversa dalle molecole dell’atmosfera dove comunque vale lo Scattering di Rayleigh 4.

Il cielo vicino al Sole sembra più blu nelle immagini da Marte, perché la polvere in "forward-scatter" luce blu aria, in altre parole ci vuole la luce blu dal Sole e si concentra più verso la macchina fotografica. Il cielo vicino al Sole sembra più blu, e più lontano sembra più rosso. Luce che si riflette sulle rocce possono anche soffrire di tutti i tipi di squilibri colore troppo. Credit: Wikipedia

Su Marte Il cielo vicino al Sole appare un po’ più blu perché la polvere diffonde la luce blu dell’aria. Il cielo vicino al Sole sembra più blu, e più lontano sembra più rosso. Queste luci influenzano i colori percepiti nell’ambiente marziano.
Credit: Wikipedia

Per le particelle le cui dimensioni sono paragonabili o superiori alla lunghezza d’onda incidente vale lo Scattering di Mie 5, che diffonde in egual misura tutte le lunghezze d’onda della luce incidente.
Questo fenomeno altera e appiattisce tutti i colori 6, mentre le immagini che ormai siamo abituati a vedere sono frutto del sapiente bilanciamento delle varie riprese con filtri diversi che, a seconda dello scopo per cui sono progettate le varie fotocamere, spaziano dal violetto all’infrarosso.
Per questo i colori, che sono comunque il più vicino possibile ai colori reali 7 appaiono comunque sempre un po’ alieni. Dopotutto Marte è pur sempre un pianeta ancora a noi alieno!


Note:

Bufale cosmiche

Ci risiamo:

in questi giorni sta circolando la notizia che narra di avvenuti contatti con altre civiltà extraterrestri attraverso vari radiotelescopi sparsi nel mondo che hanno intercettato segnali intelligenti provenienti da AldebaranEpsilon EridaniIzar, ThubanProxima Centauri. La notizia per ora sarebbe stata tenuta nascosta dai governi del pianeta ovviamente per non sollevare il caos nella popolazione mondiale. Di per sé sarebbe una meravigliosa notizia, specie per chi ha sempre ritenuto improbabile l’unicità della razza umana come specie senziente nell’Universo e da anni partecipa al progetto Seti@Home, se non fosse per un piccolo particolare che rende tutta la notizia una evidente bufala.

Si parla infatti di segnali trasmessi  in una non meglio precisata zona profonda nella banda dell’ultravioletto, una zona che, purtroppo per l’inventore della falsa notizia, i radiotelescopi  non possono vedere!

Lo spettro elettromagnetico è la gamma di tutte le frequenze possibili delle radiazioni elettromagnetiche. Questo rappresenta la distribuzione caratteristica delle radiazioni elettromagnetiche emesse o assorbite da un particolare oggetto.

Lo spettro elettromagnetico si estende dalle frequenze radio utilizzate per le radiocomunicazioni alle radiazioni gamma nella lunghezza d’onda più corta, esso copre tutte le lunghezze d’onda possibili, andando dalle dimensioni dell’Universo fino alla lunghezza di Planck, ed è veicolato da una particella fondamentale senza massa: il fotone.

Per sfortuna dell’inventore della bufala, ma per fortuna nostra, l’ultravioletto è un tipo di radiazione elettromagnetica che viene schermato con abbastanza efficacia dallo strato di ozono della nostra atmosfera. Essendo infatti molto energici, gli UV possono rompere i legami chimici, rendendo le molecole particolarmente reattive o ionizzate (effetto fotoelettrico). Ad esempio le scottature solari sono causate dagli effetti distruttivi delle radiazioni UV sulla pelle e sono la principale causa di cancro alla pelle quando la radiazione danneggia irreparabilmente il DNA delle cellule, per questo infatti le radiazioni UV vengono considerate mutagene. Il Sole emette una grande quantità di radiazioni UV che se arrivassero sulla superficie trasformerebbero  la Terra in un deserto sterile.

Quindi, l’ultravioletto proveniente dallo spazio non è visibile dalla superficie della Terra, tant’è che prima dell’avvento dei satelliti artificiali, le uniche osservazioni in questa banda dello spettro elettromagnetico venivano fatte con palloni sonda per lo più dall’Antartico dove lo strato di ozono è più sottile.

I radiotelescopi invece sono utilizzati per lo studio delle emissioni radio naturali degli oggetti astronomici tra le lunghezze d’onda comprese tra i 10 metri (30 megahertz [MHz]) e 1 millimetro (300 gigahertz [GHz]). A lunghezze d’onda più lunghe di circa 20 centimetri (1,5 GHz), le irregolarità della ionosfera falsano i segnali in ingresso. Questo è un fenomeno noto come scintillazione, che è analogo a quello scintillio che vediamo nelle stelle alle lunghezze d’onda ottiche. L’opacità della ionosfera alle onde radio cosmiche diventa sempre più importante con l’aumentare della lunghezza d’onda. A lunghezze d’onda più lunghe di circa 10 metri, la ionosfera diventa completamente opaca ai segnali in ingresso. Le osservazioni radio delle sorgenti cosmiche a queste lunghezze d’onda sono difficili per i radiotelescopi terrestri. Anche alle lunghezze d’onda inferiori di pochi centimetri, l’assorbimento dell’atmosfera diventa sempre più critico. A lunghezze d’onda inferiori a 1 centimetro (30 GHz), le osservazioni da terra sono possibili solo in poche bande specifiche che sono relativamente libere dall’assorbimento atmosferico. Tuttavia, alle lunghezze d’onda comprese tra 1 e 20 cm, l’atmosfera e la ionosfera introducono solo lievi distorsioni nel segnale in ingresso. Attraverso una elaborazione del segnale si possono correggere questi effetti, in modo che l’effettiva risoluzione angolare e la qualità delle immagini è limitata solo dalle dimensioni dello strumento.

Anche qui la storia dei radiotelescopi che ascoltano l’ultravioletto rivela la falsità della notizia.

MITO SFATATO!