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Global Warming for dummies (seconda parte)

Nella prima parte di Global Warming for dummies mi sono speso a spiegare come si possa senza ombra di dubbio attribuire all’uso dei combustibili fossili — e quindi in definitiva alle attività umane — la responsabilità dell’innalzamento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera fino a valori mai raggiunti nell’ultimo milione di anni.
Guardate Chernobyl dopo quasi 40 anni: lì dove l’uomo non può più arrivare sono tornate le foreste, gli orsi europei e i lupi. La natura non ha bisogno dell’uomo: siamo noi che abbiamo bisogno di lei per esistere; portiamole il rispetto che le è dovuto.

Radianza della Terra

La Terra riceve energia dal Sole. Un corpo nero ideale alla stessa distanza dalla Stella riemetterebbe quell’energia con una temperatura di 255 K. In realtà la temperatura media della Terra è un po’ più alta (288 K). Questo è dovuto all’effetto serra generato dalla sua atmosfera. Credit: Il Poliedrico

Spiegare in parole semplici cosa fosse l’effetto serra non è così facile come sembra: noi lo chiamiamo effetto serra perché l’accumulo in eccesso di calore (energia termica) provocato da alcuni tipi di gas è sostanzialmente uguale a quello che si sperimenta all’interno di una serra chiusa. Ma se la serra ricava il suo calore bloccando la convezione dell’aria al suo interno, ossia che la stessa aria viene esposta continuamente al tepore di una sorgente (il Sole o una stufa), ragion per cui il calore tende ad accumularsi, l’effetto serra atmosferico ha origini fisiche molto diverse. La comprensione di questi meccanismi deve essere alla base di qualsiasi discussione sul cambiamento climatico in atto.

Tutto ha inizio dall’energia irradiata dal Sole e la distanza che c’è tra la Terra e la Stella. Chi legge questo Blog sa che ho già illustrato questo argomento quando spiegavo cos’è una zona Goldilocks[1] insieme a Sabrina Masiero del Gal Hassin e anche in altri articoli precedenti sul medesimo argomento. Per gli altri faccio un breve riassunto: qualsiasi corpo — idealmente di corpo nero, ossia che assorbe (e poi riemette) tutta l’energia che riceve — si trova in uno stato di equilibrio termico con una sorgente di energia che è dettato unicamente dalla quantità di energia emessa da questa diviso per l’area della sfera basata sulla distanza tra il corpo e la prima1. In altre parole, se la Terra fosse distante la metà dal Sole riceverebbe quattro volte più energia mentre se fosse il doppio più lontano ne riceverebbe appena un quarto di adesso. Attualmente la Terra si trova a una distanza tale dal Sole che il suo equilibrio termico — tenendo conto di un albedo planetario di 0.30 —  è di circa 255 gradi Kelvin2, ossia circa 18° sotto lo 0 Celsius! Questo significa che tutta l’energia che riceve la Terra dal Sole, se questa fosse idealmente un corpo nero, verrebbe riemessa nel lungo infrarosso, con un picco di emissione attorno agli 11μm (vedi immagine qui a lato),  Però la temperatura mediata del Pianeta, cioè depurata dalle variazioni regionali e zonali, è di circa 288 K, ossia di circa 15° centigradi. La differenza tra 255 e 288 è il calore che che trattiene la nostra atmosfera proprio come una serra, ma l’analogia appunto finisce qui!

La composizione della nostra atmosfera ci è nota e ce la insegnano fin dalle elementari (io almeno ricordo di conoscerla fin da allora):

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Stati vibrazionali dell'anidride carbonica

La risonanza asimmetrica di dipolo delle molecole è alla base dell’effetto serra causato da queste. Il concetto vista di è da intendersi esemplificativo. Credit: Il Poliedrico

I due gas principali (azoto e ossigeno in forma molecolare, ricordiamolo) compongono da soli circa il 99% della nostra atmosfera e questo fa un po’ la differenza tra un pianeta con temperature accettabili come la Terra e e un pianeta come Venere col 95% di CO2.
Il segreto sta nella natura delle molecole diatomiche di azoto e ossigeno che possono eseguire solo vibrazioni simmetriche che non alterano il loro momento di dipolo e che quindi sono piuttosto trasparenti alla radiazione incidente. I gas più complessi, come ad esempio l’anidride carbonica, un gas triatomico, può produrre sia vibrazioni simmetriche che quelle che alterano il momento di dipolo della molecola, col risultato che queste oscillazioni la fanno entrare in risonanza ad una particolare lunghezza d’onda. Questo significa che a tali lunghezze d’onda la radiazione in ingresso viene assorbita e poi riemessa dalle molecole che entrano così in risonanza, il medesimo meccanismo che è alla base del concetto del laser. In pratica l’energia radiativa che viene catturata da quelle molecole viene poi diffusa in tutte le direzioni e intercettata da altre molecole uguali, e così via;  è così che a quella caratteristica lunghezza d’onda l’atmosfera risulta opaca. 
Questo meccanismo che brevemente ho cercato di illustrare non vale soltanto per l’anidride carbonica, ma anche per tutte le altre molecole che possono avere vibrazioni sbilanciate nel loro momento di dipolo come l’acqua (vapore acqueo, H2O), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O) e così via. In pratica tutti i gas biatomici composti da atomi differenti, come il monossido di carbonio (CO) e tutti i gas composti da 3 o più atomi, per esempio l”ozono (O3), assorbono e riemettono radiazione infrarossa.

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Come si può vedere dalla tabella qui sopra in realtà il contributo netto dell’anidride carbonica al riscaldamento globale non pare essere così rilevante quanto quello prodotto dal vapore acqueo. Ma c’è una cosa molto importante che occorre tenere bene a mente: l’acqua di superficie del pianeta, ossia mari, fiumi, ghiacciai e oceani, ricoprono più del 70% del globo. Questo significa che ogni più piccolo aumento della capacità di trattenere calore nell’atmosfera si traduce immediatamente in un aumento della quantità di vapore acqueo contenuto in essa e quindi anche dell’energia termica trattenuta. E anche se l’aumento della copertura nuvolosa provoca un aumento dell’albedo, ovvero la riflessione della radiazione solare in ingresso fino al 90%, altrettanto questa impedisce alla radiazione del pianeta di uscire, un po’ come una coperta trattiene il caldo.
Questo è un circolo vizioso: se non viene trovato il modo di fermarlo non può che peggiorare. E l’unico modo è quello di impedire che altra CO2 si accumuli nell’atmosfera e che porti alla formazione di altro vapore acqueo e anzi, sarebbe pure opportuno cercare di ridurla. E per farlo non c’è che un modo veloce, rapido e naturale: piantumare nuove foreste e rigenerare quelle già esistenti, ridurre se non proprio eliminare l’uso dei combustibili fossili e i loro derivati; insomma occorre ridurre l’impronta antropica nell’ambiente: proprio il contrario di quello che incoscientemente abbiamo fatto nell’ultimo secolo perché i primi allarmanti segnali di quello che stavamo facendo al nostro pianeta sono conosciuti da almeno altrettanto3.
Finora gli oceani sono riusciti a stabilizzare abbastanza bene il clima ma questa loro capacità è quasi arrivata al suo limite. Inoltre la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica diminuisce con l’aumentare della loro temperatura mentre l’aumento dell’acidificazione di questi è letale per gli ecosistemi più fragili come le barriere coralline che sono alla base della catena alimentare dei mari.

C’è più energia nell’aria

Rappresentazione grafica delle amplificazioni meteorologiche

Credit: Il Poliedrico

Ed eccoci al rebus che crea tanto sconcerto ai profani: come può essere in atto il Riscaldamento Climatico se qui, oggi, fa freddo?
Tralasciamo per un attimo la confusione che c’è tra clima e condizione meteorologica come  ho spiegato la volta scorsa. Spesso le persone credono che siano sinonimi ma non è affatto così: il clima si riferisce a un arco di tempo lungo, non necessariamente globale ma che comunque interessa una regione più o meno vasta o con caratteristiche simili: il clima mediterraneo, oppure tropicale o quello desertico; il tempo meteorologico invece interessa una porzione limitata nel tempo e nello spazio, ad esempio qui domenica quasi certamente pioverà mentre a Marsiglia oggi fa caldo. Allo stesso modo, se dico che nell’era pleistocenica i dati indicano che era più caldo di ora, mi riferisco all’andamento globale del clima di quel periodo e non che magari un giorno del Pleistocene accadde che nevicò sui Balcani.
Chiarito — una volta per tutte spero — questo concetto, passo ad illustrare perché proprio la settimana scorsa qui era freddo: nell’atmosfera c’è più energia; molta più energia di quanto serva a far sì che le escursioni termiche siano piccole come le vorremmo.  Immaginate di segnarvi anno dopo anno le temperature della vostra località sul calendario e poi di riportare quei valori su di un grafico; oggi le serie storiche di quasi tutto il mondo sono liberamente disponibili a chiunque: qui accanto potete vedere quella di New York. Come potete vedere quella che appare è una sinusoide: un picco minimo nella stagione più fredda e un massimo in quella più calda. 
Se l’energia atmosferica fosse contenuta, anche le oscillazioni tra il minimo e il massimo lo sarebbero. Ma con l’aumentare dell’energia intrappolata nell’atmosfera anche le escursioni termiche aumentano di conseguenza e si fanno sempre più estreme e imprevedibili, come ho cercato di illustrare nella figura qui sopra. Ecco spiegato perché qui oggi fa quasi fresco mentre in questi giorni la Cina sperimenta un’insolita ondata di calore.

Conclusione

I rapporti isotopici che inchiodano le responsabilità umane nell’aggravare il naturale effetto serra della nostra atmosfera sono lì, nell’aria che respiriamo ogni istante; essi sono disponibili a chiunque abbia interesse a volerli studiare. Certo, occorre avere accesso alle strumentazioni appropriate per leggerli oppure ci si può rivolgere a un ente terzo come il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) verso cui confluiscono tutte le serie storiche mondiali a cui generalmente i climatologi di tutto il mondo fanno riferimento, o a enti analoghi — in Italia ci sono le ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale)  — oppure a qualche università. Anche per farsi spiegare meglio di quanto abbia fatto io qual’è la differenza tra clima e tempo e cosa sia il Global Warming ci sono fior di accademici e professori — so che qualche fantademente usa questo termine in modo dispregiativo ma non me ne curo — pronti a farlo gratis.
Con queste due puntate ho tentato, e spero di esservi riuscito, a fare un po’ di luce su questo bruciante argomento; mi auguro che da adesso non vi facciate più trarre in inganno da incoscienti vestiti per bene che danno fiato alle trombe esclusivamente per i loro interessi.

Global Warming for dummies (prima parte)

Ho ascoltato con somma pazienza qualcuno affermare che a Bergamo con un paio di gradi in più si starebbe meglio.
Ma quando leggo di professori universitari o politici di una certa rilevanza — almeno mediatica — sparare castronerie come quelle che sento in questi piovosi giorni che “siccome oggi fa freddo allora il Global Warming è tutta una truffa mediatica“, vengo assalito dal tremendo dubbio se realmente stiano marciando così per propria convenienza (più probabile) o perché ne siano convinti (assai meno probabile).
Per questo ho deciso di tornare sull’argomento.

 

Articolo di giornale

Prima pagina di un (pessimo) giornale a tiratura nazionale.Il nome della testata è stato volutamente cancellato.

Nei giorni scorsi qualcuno mi fece notare la prima pagina di un quotidiano a tiratura nazionale, che qui ripropongo, per dimostrare quanto sia ancora controverso il dibattito sul Global Warming
Sì, qui ora mentre scrivo fa ancora freddo per essere metà maggio. Ma mentre qui e su più o meno tutta l’Europa centrale fa un po’ più freddo della media stagionale, in Spagna, nel sud della Francia e in Turchia la situazione è opposta. 
Coloro che denunciano l’inesistenza del Riscaldamento Globale trincerandosi dietro a una situazione meteorologica particolare hanno torto marcio. Non posso affermare se questa loro convinzione derivi dalla mancata comprensione del tema, dalla confusione che spesso viene fatta tra tempo meteorologico (locale sia nello spazio che nel tempo) e clima (andamento regionale o globale esteso nel tempo e depurato da fattori stagionali), oppure che si tratti di una scelta cosciente e ponderata.
Purtroppo propendo per questa seconda ipotesi, portata avanti da una corrente politica conservatrice e reazionaria transnazionale che si fa beffe del rischio globale che la civiltà umana in questo momento corre.
No, non penso che l’umanità corra il rischio di soccombere entro i prossimi decenni o secoli, ma tutta la nostra civiltà, il villaggio globale che faticosamente abbiamo costruito negli ultimi due secoli, potrebbe soccombere molto presto a causa della nostra scelleratezza se non abbiamo la volontà e la forza di correggere i nostri errori. 

Quindi non mi sento tranquillo quando sento gioire un uomo politico per lo scioglimento dell’Artide perché così si aprono nuove rotte commerciali[2] (dopo che il suo governo ha sempre negato che esista il Global Warming) e neppure quando vedo certi titoloni sbattuti in prima pagina come questo sopra che gioca pure sulle parole dando di fatto degli idioti a chi, in tutti questi anni, ha denunciato le pesanti responsabilità umane nell’attuale cambiamento climatico.

Dopo questa pesante filippica dove respingo ai mittenti la definizione di sciocco indirizzata verso chi si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere politiche di contenimento di un processo ormai quasi irreversibile quale è il Global Warming antropogenico, torno a spiegare cos’è e perché capita che, nonostante la tendenza al rialzo delle temperature medie del pianeta nel lungo periodo, possa in alcuni momenti fare ancora più freddo del solito.
Impiegherò un paio di puntate perché l’argomento non è difficile da comprendere ma lungo da spiegare ma spero lo stesso di riuscire nell’intento. Dopodiché sta a voi lettori cercare di spiegare agli scettici che incontrerete come stanno le cose.

Le prove che inchiodano le pesanti responsabilità umane: gli isotopi del carbonio.

Ciclo del carbonio atmosferico

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

Nessuno scienziato nega che il clima nei secoli scorsi sia stato anche molto diverso da quello attuale, ma i meccanismi di scambio gassoso con la litosfera hanno mantenuto per milioni di anni il tasso di concentrazione dell’anidride carbonica dell’atmosfera entro i 150-300 parti per milione. I complessi meccanismi alla base del ciclo naturale del carbonio (in realtà sono due: il ciclo organico e quello geologico) sono i responsabili di queste contenute oscillazioni: una minor concentrazione della CO2 atmosferica — sottratta dalle piante — porta all’abbassamento della temperatura a livello globale, ossia a una glaciazione; di conseguenza, anche le foreste che sequestrano l’anidride carbonica atmosferica trasformandola in lignina diminuiscono di pari passo con l’avanzata dei ghiacci mentre le emissioni vulcaniche intanto rimangono sempre abbastanza costanti. Questo ultimo fatto porta lentamente a un rialzo della percentuale di CO2, un riscaldamento globale naturale che sottrae di nuovo spazio ai ghiacciai e lo restituisce alle piante. E così all’infinito: cicli interglaciali caldi con alti (max 300 ppm) tassi di anidride carbonica atmosferica intervallati da periodi glaciali in cui la CO2 è più bassa (150-180 ppm).
L’anidride carbonica sequestrata dalle foreste sotto forma di lignina tramite processi di marcescenza e alte pressioni finisce per trasformarsi in carbone, mentre i medesimi processi trasformano in petrolio e gas naturale gli animali che, nella loro catena alimentare, in definitiva si sono nutriti di quelle stesse piante. Con l’inizio dell’Era Industriale tutto questo è cambiato: in appena 250 anni, e specialmente nell’ultimo secolo, l’Uomo ha imparato a sfruttare a proprio vantaggio l’energia racchiusa in quei serbatoi naturali di carbonio attraverso la combustione di quelle sostanze (combustibili fossili). Quindi buona parte di quel carbonio sequestrato dall’atmosfera in milioni di anni è stato liberato di nuovo in appena un paio di secoli e poco più.

Clima

Concentrazione della CO2 nell’atmosfera negli ultimi 800 mila anni (ppm). Credit NOAA/Il Poliedrico

La riprova di quanto ho detto sta nei rapporti isotopici del carbonio atmosferico: il 12C e il 13C sono due isotopi stabili del carbonio e poi c’è anche il 14C, un radioisotopo del carbonio che ha origine dall’interazione dell’azoto atmosferico coi raggi cosmici secondo lo schema: n+ 14Np+ 14C
Il radiocarbonio 14 (6 protoni e 8 neutroni) ha una emivita di appena 5715 anni, ossia circa la metà degli atomi di una certa quantità di 14C torna ad essere 14N (azoto 14) per effetto del decadimento β in quasi 6000 anni.  Siccome la quantità di raggi cosmici negli ultimi 100 mila anni è più o meno costante, anche la quantità di 14C atmosferico è rimasta pressappoco la stessa (circa 70 tonnellate) nel medesimo arco di tempo[3]. Il naturale decadimento radioattivo del carbonio 14 comporta che esso sia praticamente assente nei combustibili fossili, e infatti sono circa due secoli che i naturali rapporti tra gli isotopi 12C, 13C e 14C espressi negli ultimi 800 mila anni stanno mutando come conseguenza al consumo di questi 1.
Sempre rimanendo a parlare di isotopi del carbonio, occorre anche ricordare che a parità di proprietà chimiche i processi biologici prediligono sempre gli atomi più leggeri 2: per questo nell’anidride carbonica prodotta dall’uso dei combustibili fossili il δ13C è sbilanciato in favore della versione più leggera dell’atomo di carbonio (12C).
E come detto in precedenza, dalla combustione di fonti fossili è assente la versione più pesante del carbonio (14C) perché esso dopo appena 75 mila anni è ridotto a circa 1 millesimo di quanto era stato sequestrato all’inizio. Quindi, è l’analisi temporale dei rapporti fra i diversi isotopi che ci conferma che l’attuale surplus di anidride carbonica atmosferica è dovuta all’uomo e alle sue attività energivore basate sui combustibili fossili.

Non sono io, non è qualche scienziato prima di me o la ragazzina svedese Greta Thunberg a dirlo: sono gli isotopi del carbonio a farlo; i fatti, quelli su cui ogni giornale dovrebbe basarsi e sui quali qualsiasi politico dovrebbe tener conto prima di prendere una decisione che potrebbe influire sulla collettività, sono questi.


(fine prima parte)

Global Warming: non è il Sole

Figura 1 - "Lo sport su un fiume ghiacciato" di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi.  (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Figura 1 – “Lo sport su un fiume ghiacciato” di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi. (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Esiste una certa correlazione tra il numero di macchie solari e la temperatura media del pianeta.
Il Sole è la fonte di energia che fa muovere l’intera atmosfera e  che quindi è in grado di determinare sia il tempo a breve termine (vedi le stagioni) che il clima nel lungo periodo. Pertanto è ovvio che qualsiasi cambiamento  nel tasso di energia emessa dal Sole e ricevuta dalla Terra è in grado di modificare il clima. Esiste un equilibrio dell’energia emessa dal Sole alla distanza della Terra, è la temperatura di equilibrio è di soli 255 kelvin, pari a -18° centigradi; questa sarebbe la temperatura se il pianeta non avesse una atmosfera in grado di trattenere il calore, cosa che invece per nostra fortuna ha. Infatti la temperatura media della Terra è ben più alta perché una parte della radiazione solare è trattenuta dai gas che compongono l’atmosfera, mentre complessivamente il pianeta riemette nello spazio una radiazione che corrisponde alla sua temperatura media.
Ma sappiamo anche che la temperatura media del globo non è affatto costante: variazioni nell’albedo (percentuale tra energia ricevuta e riflessa nello spazio), nell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto all’eclittica, variazioni nella composizione atmosferica, vulcanismo etc. per la Terra, mutazioni sulla quantità di energia irradiata dal Sole, come flares, macchie solari, vento solare etc. possono alterare il bilancio energetico terrestre e con questo la sua temperatura media.
Tra il 1614 e il 1715 il Sole manifestò un singolare periodo di quasi totale assenza di macchie solari (quiescenza). Questo coincise con un altrettanto singolare periodo di freddo in Europa e nel Nord America, gli unici luoghi dove i dati di temperatura erano presi con una certa continuità. Nel resto del mondo invece i dati di quel periodo erano ancora troppo discontinui per avere una certa validità scientifica. Quel periodo oggi è indicato come Minimo di Maunder.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L'intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L’intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

A partire dalla fine del Minimo di Maunder, la presenza di macchie solari durante il ciclo undecennale del Sole è tornato a crescere, fino a registrare un picco, chiamato il Grande Massimo Moderno, tra il 1950 e il 2009.
Per registrare la presenza delle macchie solari gli astronomi si avvalgono di due metodi di indagine diversi: il Wolf Sunspot Number (WSN), messo a punto da Rudolf Wolf nel 1856 che combina il numero delle macchie solari col numero dei gruppi di macchie presenti sulla superficie del Sole, e il Group Sunspot Number (GSN), un metodo di calcolo che si basa unicamente sul numero di gruppi di macchie solari visibili, pensato per essere meno influenzato dalle singole interpretazioni dell’osservatore (meno rumore) rispetto alla precedente numerazione di Wolf e che permette di utilizzare anche le osservazioni più antiche fatte attraverso uno strumento ottico (prima metà del XVII secolo).
Questi due diversi metodi di calcolo producono risultati assai diversi. Ad esempio il GNS suggerisce che negli ultimi 300 anni il numero dei gruppi di macchie solari è in continua crescita fino al presunto Grande Massimo Moderno, in netto contrasto con i dati elaborati col metodo di calcolo di Wolf.
Questo andamento di continua crescita dell’attività solare evidenziato dal metodo GNS viene spesso indicato come l’unico responsabile del riscaldamento climatico da parte dei negazionisti del Global Warming perché andrebbe a modificare proprio il bilancio energetico ricevuto dalla Terra dal Sole.
Un gruppo di scienziati guidato da Frédéric Clette, dell’Osservatorio Reale del Belgio, Edward Cliver del National Solar Observatory e Leif Svalgaard dell’Università di Stanford hanno cercato di capire perché i due metodi apparivano così incongruenti dopo una certa data e hanno scoperto che le discrepanze tra la WSN e GSN erano provocate da un grave errore di calibrazione nel sistema GSN.
La soluzione di questo problema, il Sunspot Number Version 2.0 1, è stata presentata alla XXIX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale a Honolulu (3-14 agosto 2015) e corregge tutte le discrepanze tra i due metodi, mostrando che non c’è stato nessun reale aumento progressivo nel numero dei gruppi di macchie solari dal XVIII secolo in poi [cite]http://www.sidc.be/silso/datafiles[/cite]. Questo significa che dalla fine della quiescenza che corrispose al Minimo di Maunder, il flusso energetico solare è rimasto costante. Questo fa decadere l’ipotesi che il Global Warming sia dipeso dall’attività solare in aumento, ma allora cos’è che lo provoca?

Le analisi delle bolle d'aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \1(CO_2\) presente nell'atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm. Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014. Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Le analisi delle bolle d’aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di CO2 presente nell’atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm.
Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014.
Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Come ho detto prima, il bilancio energetico della Terra può che essere alterato da due parti: dal lato Sole con l’energia irradiata, e dal lato Terra con l’energia trattenuta. I vulcani espellono quantità incredibili di aerosol e polveri nell’alta atmosfera col risultato di raffreddare temporaneamente il pianeta. L’albedo modifica la quantità di energia riflessa dal pianeta ma ad un aumento medio di temperatura corrisponderebbe in aumento del tasso di evaporazione degli oceani e quindi della copertura nuvolosa (effetto di feedback). Resta un solo altro indiziato primario: la composizione chimica dell’atmosfera; in particolare un gas: l’anidride carbonica, passata da meno di 280 ppm dell’era pre-industriale ai 400 ppm di oggi. L’anidride carbonica è in grado di trattenere la luce solare e di riemetterla a lunghezze d’onda maggiori, dove l’atmosfera è opaca.
Ecco spiegato qual’è la causa del Riscaldamento Globale, ma anche cosa la provoca: le emissioni antropiche di CO2 nell’aria che sono aumentate da quando l’umanità ha imparato ad usare le fonti di energia fossile. Più o meno le stesse quantità di anidride carbonica che gli alberi avevano sottratto dall’aria nell’arco di milioni di anni sono state liberate in appena due secoli di utilizzo dei combustibili fossili.

Il nuovo Sunspot Number Version 2.0 ha già saputo mostrarci che riguardo alle mutazioni climatiche in atto stavamo prendendo una sonora cantonata, mentre adesso si renderà necessaria una rilettura dei cicli climatici registrati nelle carote di ghiaccio e negli anelli degli alberi. Questo permetterà agli scienziati di estrapolare la storia dei cambiamenti climatici su scale temporali ben più lunghe e precise di quelle attuali, tutti strumenti necessari per lo sviluppo di nuovi e più congrui modelli climatici necessari per curare la febbre del Pianeta.


Note:

Global Warming, New Deal and the foolishness

La differenza fra politico e statista. Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione.

Alcide De Gasperi

 

Umby

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è l’estremizzazione delle condizioni meteorologiche dovute a un  fenomeno tristemente noto come Riscaldamento Globale (Global Warming) 1.

Non è affatto facile dire di chi sia la colpa più immediata di questo fenomeno: potrebbe essere parte di un ciclo tutto sommato naturale di ampiezza secolare – la raccolta diretta delle informazioni sulla temperatura ha meno di duecento anni, oppure essere la conseguenza diretta della dipendenza della civiltà tecnologica attuale dai combustibili fossili 2.
Qualunque che sia l’origine del riscaldamento globale esso sta minacciando la nostra civiltà come nient’altro aveva fatto finora.
Per rimanere nel nostro cortile di casa, le cronache italiane di queste ore lo dimostrano ampiamente: è bastato un’ondata di maltempo generalizzato sul territorio nazionale che tutto si è paralizzato: traffico ferroviario e stradale , approvvigionamento elettrico e idrico paralizzato, rischio di esaurimento delle scorte di gas naturale per il riscaldamento … tutta una serie di incidenti che però si sono dimostrati efficaci per bloccare il paese per giorni e, in alcuni casi, per settimane.
Provate ad immaginare cosa potrebbero fare tanti singoli episodi di parossismo climatico tutti insieme: non molto tempo fa a Genova sono morte delle persone per l’imperizia di intubare un torrente nella città; piogge di 48 ore sono riuscite a paralizzare regioni intere con danni per milioni di euro: siccità che inginocchiano comunità e regioni che non vedono acqua da mesi con danni altrettanto gravi.
Eppure un minimo di prevenzione e di attenta pianificazione negli interventi sul territorio potrebbero evitare queste  spese: quello che è necessario per riparare – e ripagare – i danni è spesso molte volte il costo della semplice manutenzione e/o  messa in sicurezza del territorio. Strano che i tecnocrati prestati alla politica non mostrino di prestare abbastanza attenzione a questo.

La diga di Hoover fu costruita durante la grande depressione in maniera da fornire energia elettrica a basso costo per l'industria statunitense, fu inaugurata il 30 settembre 1935 dal presidente Franklin D. Roosevelt.

Occorre una leva per rilanciare l’economia? Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt lanciò all’interno del progetto socioeconomico conosciuto come New Deal uno strumento potentissimo, il Works Progress Administration (WPA), che impiegò milioni di disoccupati nella creazione di grandi opere pubbliche che avrebbero cambiato il volto dell’America per sempre rendendolo moderno ed efficiente.
Un piano per la messa in sicurezza del territorio e l’avvio di opere per la ristrutturazione e l’efficienza  energetica nell’edilizia pubblica e privata sotto il controllo e la gestione di un’agenzia governativa simile alla WPA porterebbe innumerevoli benefici in termini di spesa per le emergenze, una minore dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico e il rilancio dell’economia interna e l’assorbimento della disoccupazione.
Un piano simile sarebbe ancora più efficace se fosse deciso e coordinato in sede europea, ma la miopia dei politici europei interessati più alla finanza che all’economia, più alle successive elezioni che al progresso preferiscono cinesizzare 3 il sud del continente europeo piuttosto che occuparsi del benessere comune dei popoli che sono stati delegati a guidare.

Il Global Warming mette la nostra civiltà di fronte a una scelta: continuare come se niente potesse mai accadere, continuare a inseguire il mito della crescita infinita che i ciarlatani neoliberisti predicano – con successo purtroppo – alla  politica internazionale  o decidere di cambiare per il futuro della civiltà e delle prossime generazioni.
Certo è che se continueremo ad inquinare e consumare come abbiamo fatto finora il pianeta si scrollerà  di dosso la razza umana e continuerà come se questa non fosse mai esistita.

Il Global Warming esiste davvero

Credit: Il Poliedrico

 Un nuovo studio indipendente chiamato Berkeley Earth Poject (BEP) dimostra come l’effetto del riscaldamento globale sia reale al di là di qualsiasi dubbio espresso finora dagli scettici.

Nelle due pagine di presentazione del lavoro (disponibile in pdf a questo indirizzo) si dice:

Secondo un importante studio pubblicato oggi, il riscaldamento globale è reale. Nonostante le questioni sollevate dagli scettici del cambiamento climatico, lo studio condotto dal Berkeley Earth Surface Temperature trova una prova attendibile di un aumento della temperatura media mondiale terreno di circa 1 ° C rispetto alla metà del 1950.

 

Questo studio indipendente è stato avviato dal fisico dell’Università di Berkeley Richard Muller, non convinto dei metodi finora usati dagli altri ricercatori che non erano stati divulgati 1.
Tra questi ricercatori indipendenti c’era anche l’astrofisico Saul Perlmutter, fresco vincitore del Nobel per la Fisica 2011.

Il team ha usato oltre 1,6 miliardi di dati provenienti da oltre 39.000 stazioni meteorologiche di tutto il mondo, ottenendo circa gli stessi dati trovati anche da altre ricerche:

Questo grafico si vede benissimmo  quella che viene chiamata l’anomalia di temperatura, che si sviluppa dopo la metà degli anni settanta del secolo scorso, rispetto al valore medio di riferimento universalmente riconosciuto come la media dei valori di 30 anni, dal 1950 al 1980.
Qui sono riprodotti i risultati di quattro diversi studi, e come si può vedere sono tutti abbastanza concordi nel mostrare un aumento della temperatura media del pianeta, addirittura di circa un grado rispetto al  periodo di riferimento 1950-1980.
Vorei anche sottolineare come la parte a destra del grafico mostri una sostanziale stabilità verso la fine dell’ultima decade, è l’effetto che la stagnazione economica con la conseguente riduzione dei consumi globali ha avuto sul clima 2.

Ma questa ricerca indipendente da chi è stata finanziata? Non ci crederete, ma tra i principali finanziatori risulta essere  il gruppo petrolifero Koch Industries, in passato oggetto di pesanti critiche dai sostenitori del Global Warming per aver ostacolato per anni le politiche e i regolamenti volti a fermare il riscaldamento globale 3.

A questo punto anche se i negazionisti del Global Warming continueranno ottusamente a negare i fatti (altrimenti che negazionisti sono?), non potranno che prenderne atto, visti che uno dei loro leader ha di fatto finanziato una ricerca indipendente che dà loro torto.

 

Global Warming sui ghiacci polari

03[1]
ICESat 1 Cortesia NASA
Il ricercatore Thorsten Markus, del NASA Goddard Space Flight Center, ha utilizzato il satellite della NASA ICESat per monitorare lo spessore del ghiaccio marino intorno ai poli della Terra.Le misurazioni prima venivano effettuate mediante carotaggi e la loro precisione non era poi tanto accurata rispetto al monitoraggio satellitare.
I risultati da ICESat hanno dimostrato che da quando è stato lanciato nel 2003 (è stato spento all’inizio dell’anno, in attesa che venga lanciato il successore ICESat II), lo spessore del ghiaccio marino si è ridotto di oltre due metri diminuendo di oltre il 40 per cento durante questo periodo.
Il monitoraggio satellitare dell’ICESat funziona inviando impulsi laser da 600 km di altitudine e misurando il ritardo dell’impulso di ritorno dopo la riflessione della superficie, e consente misurazioni continue di appena due centimetri di scarto. Attraverso queste misurazioni è stato possibile determinare lo spessore e la variabilità stagionale dei ghiacci polari direttamente dallo spazio.
Il ghiaccio marino svolge un ruolo chiave nel sistema climatico terrestre: esso riflette la maggior parte della luce solare verso lo spazio, mentre l’acqua oceanica è molto scura e assorbe quasi tutta la radiazione incidente; pertanto, ogni variazione della copertura di ghiaccio marino ha un profondo impatto sul bilancio energetico globale.
2007-artic-ice-cap[1]
Variazione della Calotta polare Artica
dal 1979 al 2007

Quando il ghiaccio marino si forma, questo rilascia la maggior parte del suo sale nell’oceano. E l’aumento di salinità rende le masse d’acqua superiori dell’oceano più dense e pesanti, che sprofondando nel mare attivano un’immensa pompa di calore chiamata circolazione termoalina oceanica, che influenza fortemente il nostro tempo e il clima, come avevo già accennato in questo articolo: Meteorologia e riscaldamento globale.

I ghiacci si muovono grazie all’azione dei venti e delle correnti oceaniche. Quindi oltre che a fondersi localmente il ghiaccio marino artico va alla deriva nell’oceano, soprattutto nella parte orientale della Groenlandia. La quantità del ghiaccio marino artico che si disperde è immensa. Il risultato è che il ghiaccio più antico, che cioè si è depositato in più anni ed è anche quello più compatto e resistente, si è ridotto del 40 per cento dal 2003, diventando anche più mobile e, come accadde già nel 2007, può ancora succedere che i venti spingano gran parte del ghiaccio fuori l’oceano artico frenando così la circolazione termoalina della Corrente del Golfo provocando ondate di freddo intenso nell’emisfero nord.

Allarme Globale, nessun Grande Accordo? ((Global Warming: No Big Deal?)

Questo è un articolo di David Ropeik apparso sulla rivista «The Atlantic» a questo indirizzo: http://www.theatlantic.com/science/archive/2010/03/global-warming-no-big-deal/36835/, nei limiti delle mie capacità ne ho fatto la traduzione sperando che vi sia gradita.  Buona lettura.

La maggioranza  delle  persone  di  questo  mondo  concordano  sul  fatto  che  il  clima  della  Terra stia cambiando davvero in modo drammatico, che l’attività umana  ne sia almeno in parte la causa, e che noi dovremmo agire subito per risolvere il problema. Ma quando viene chiesto alle persone circa la loro disponibilità personale di fare qualcosa come pagare di più per la benzina o elettricità, oppure moderare il proprio stile di vita sociale la maggioranza si trasforma in una minoranza. Perché? I fatti sono i fatti, giusto? Beh, non proprio. Come è rischioso pensare che dipenda dal modo in cui  tali fatti siano percepiti. Le persone tendono a non preoccuparsi troppo dei rischi quando ritengono che non possano accadere a loro. Questo spiega il divario di percezione sui cambiamenti climatici. Si consideri un sondaggio dai cambiamenti climatici, una ricerca dello scienziato Anthony Leiserowitz di Yale. Nel sondaggio è stato chiesto agli americani:

Chi saranno i più colpiti dai cambiamenti climatici?

Gli intervistati ha dichiarato che il cambiamento climatico inciderebbe soprattutto:

• specie animali e vegetali: il 45 per cento
• Le future generazioni di persone: 44 per cento
• La gente nei paesi in via di sviluppo: il 31 per cento
• Le persone in altri paesi industrializzati: il 22 per cento
• La gente negli Stati Uniti: il 21 per cento
La vostra comunità locale: il 13 per cento
La vostra famiglia: l’11 per cento
personalmente: il 10 per cento

Quanto ti preoccupa personalmente il riscaldamento globale?

Meno della metà degli intervistati è “molto” preoccupato dai cambiamenti climatici vedendoli come una minaccia personale in Francia (46 per cento), Turchia (41 per cento ), Germania (30 per cento), Indonesia (38 per cento, in una nazione che comprende 6.000 isole abitate (in serio pericolo, ndt), Gran Bretagna (26 per cento), Cina (20 per cento) e, fanalino di coda, gli Stati Uniti (19 per cento)

A questo sondaggio, circa la metà degli americani e un terzo di cinesi ha risposto che non avevano paure personali sui cambiamenti climatici. Poi c’è il divario tra i credenti e non credenti. Alcuni guardano i fatti e vedono un potenziale disastro, mentre altri vedendo le stesse prove considerano il cambiamento climatico una bufala. Da dove viene questa differenza di percezione? Questa ha origine  nel momento in cui la cognizione “cultura del rischio” entra in gioco. Le decisioni da prendere su un tema come il cambiamento climatico saranno in parte un riflesso del diverso atteggiamento di base sulla società ideale. Si preferisce una società gerarchica, con linee decise di autorità e che regoli le classi economiche e sociali? Una società egualitaria, libera di imporre limitazioni economiche e sociali? Una società individualista, con scarso coinvolgimento del governo? Opure un modello di sistema comunitario, con il governo e società impegnati insieme per risolvere i problemi?I gerarchici sono spesso negazionisti del cambiamento climatico, perché le soluzioni al problema minacciano la status quo economico con il quale sono a loro agio. Gli individualisti, che, di regola si oppongono agli interventi di governo che le soluzioni al cambiamento climatico richiedono, tendono a negare il problema. Egualitari e comunitaristi, d’altra parte, in genere credono fortemente nella minaccia del cambiamento climatico, in quanto le soluzioni sfidano radicate strutture economiche e richiedono uno sforzo più importante del governo  e/o un  intervento sui costumi della società che siano in direzione del modello sociale auspicato da loro.

Le anomali perturbazioni che hanno colpito gli Stati Uniti (e l’Europa, ndt) sono un ottimo esempio di come questi fenomeni siano percepiti. I gerarchici e gli individualisti (politicamente rispettivamente l’area conservatrice e libertaria) hanno sostenuto che la recente nevicata a Washington DC smentisce il riscaldamento globale, mentre egualitari e comunitaristi (politicamente i liberali e progressisti) hanno sottolineato come la stessa neve insolitamente abbondante sia prova del fatto che il clima globale sta cambiando. Non si tratta di fatti, sono sono solo armi di una guerra tribale più profonda.

Nella cultura di guerra, la psicologia di base della percezione del rischio fornisce armi aggiuntive per entrambe le parti. In generale i rischi per i bambini per esempio, evocano più paura degli stessi rischi se questi minacciano solo gli adulti. Così, al fine di alimentare le preoccupazioni, quelli preoccupati per il riscaldamento globale sottolineano che saranno i nostri figli a soffrire di più se non riusciremmmo ad agire. E poiché le conseguenze delle azioni umane spaventano di più dei pericoli naturali, viene spesso sottolineato come il cambiamento climatico è prodotto dall’azione umana. I negazionisti del cambiamento climatico, d’altro canto,  suggeriscono che, se il clima sta cambiando, le cause possono in realtà essere naturali, il che rende il rischio più accettabile. E utilizzare gli eventi recenti, come le email trafugate agli scienziati del cambiamento climatico, o un errore rispetto al tasso di scioglimento dei ghiacciai della catena dell’Himalaya, per minare la fiducia in tutta la scienza dei cambiamenti climatici, dal momento che la fiducia gioca un ruolo importante nella percezione  maggiore  del rischio.

Ancora una volta, non si tratta di fatti. Ogni lato è intuitivamente giocato nel subconscio, dove i diversi fattori psicologici fanno percepire più o meno paura.Cosa significa? Discutere sulla questione se il cambiamento climatico sia un fatto reale (in cui il ruolo umano è importante, ndt) e la mancanza di un senso di pericolo personale, anche tra la maggioranza che conviene che invece lo sia (per sostenere le sue tesi, ndt), produce un’idea indistinta del pericolo. Come risultato, la volontà dell’agire sociale rimane debole, il che significa che il rischio politico per un leader di governo ad agire globale rimane alta. Affrontare la sfida del cambiamento climatico, quindi, richiede una comprensione non solo del clima fisico della terra, ma anche del clima psicologico delle nostre percezioni.

(per approfondimenti vedere il mio precedente articolo Meteorologia e riscaldamento globale, ndt).

David Ropeik è un istruttore presso la Harvard School of Continuing Education.

Le responsabilità umane nel riscaldamento globale e i rischi finanziari ad esso collegati.

Negare che periodi ed epoche passate sian stati ancora più caldi o molto più freddi di oggi è stupido ma rinnegare per questo le attuali gravi responsabilità umane nel processo di riscaldamento del pianeta trovo che sia semplicemente criminale. Ritengo che il Riscaldamento Globale sia un problema reale e che vada discusso — almeno per la sua parte antropogenica — molto più seriamente di quanto politici e governi di tutto il mondo facciano o abbiano fatto finora. I vari accordi internazionali sul tema, come anche il tanto osannato ultimo di Parigi, sono soltanto acqua fresca, specie se paragonato all’accordo di Montreal del 1994 che mise al bando totale i clorofluorocarburi (CFC) responsabili della distruzione del vitale scudo di ozono. Questo confronto mostra che se esistesse una reale volontà politica mondiale, anche il Riscaldamento Antropogenico Globale potrebbe essere risolto.

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

La composizione chimica della nostra atmosfera è nota. La percentuale di anidride carbonica (CO2), ormai circa 407 parti per milione, lo è altrettanto. Essa è continuamente monitorata dal NOAA, che ha una sua stazione di rilevamento globale sul Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. Perché quel posto così lontano? Semplice, esso è abbastanza lontano da qualsiasi grande emissione di natura antropica che potrebbe falsare il risultato, anche se poi la media locale e stagionale viene studiata principalmente grazie ai satelliti.
Esiste un modo assai semplice per risalire all’origine del carbonio atmosferico. È un metodo ben conosciuto e accurato, usato di solito per stabilire l’età di un qualsiasi artefatto biologico; si chiama Metodo del Carbonio-14.
In natura esistono elementi chimici che possiedono una massa diversa rispetto ad un altro atomo dello stesso elemento; nel qual caso i due diversi atomi, detti isotopi, hanno lo stesso numero di protoni che determina le caratteristiche dell’atomo in sé, chiamato numero atomico, ma un diverso numero di neutroni che ne determina la massa finale. Nello specifico caso del carbonio, esso ha sempre 6 protoni, ma un numero che può variare da 2 a 8 di neutroni. Questi isotopi sono altamente instabili 1, solo il 12C e il 13C sono stabili. L’altro isotopo, il 14C, è prodotto in natura dai raggi cosmici, il cui flusso è abbastanza costante nel tempo 2.
Chiamato anche radiocarbonio, questo isotopo ha un’emivita di 5715 anni. Esso è assorbito come ogni altro atomo di carbonio nel naturale processo biologico, pertanto non c’è differenza tra la proporzione di radiocarbonio presente naturalmente nell’atmosfera e quella presente in un organismo biologico vivente. Quando però quest’ultimo cessa di vivere, cessa anche ogni scambio gassoso e cessa quindi di assorbire il radiocarbonio dall’atmosfera. La differenza tra la percentuale di 14C presente nell’organismo morto, che sia un tizzone di brace, un osso, oppure un coprolito, permette di risalire a quanto tempo è passato da quando tale organismo era vivo 3.

I numeri in gioco

Ora la storia si fa interessante. Quando bruciamo un legno o brucia una intera foresta, la quantità di radiocarbonio nell’atmosfera rimane pressoché invariata; non è trascorso abbastanza tempo per registrare un decadimento isotopico importante. Tanta CO2 era stata sottratta dall’atmosfera dalle piante e tanta è stata restituita all’atmosfera. Il bilancio totale finale è in pareggio. Non dico che questo sia irrilevante, perché comunque — e questo è l’aspetto più pernicioso del rilascio incontrollato di carbonio nell’atmosfera — un incendio impiega ore, se non minuti, a rilasciare tanto carbonio quanto la natura aveva messo anni e decine di anni a sequestrare dall’atmosfera.
Una fonte importante di anidride carbonica nell’atmosfera proviene dai vulcani, circa 200 milioni di tonnellate per anno (circa 55 milioni di tonnellate di carbonio). Spesso — a sproposito — i negazionisti del Global Warming la citano come l’unica fonte importante di carbonio atmosferico capace di alterare il clima. Peccato che anch’essa sia abbastanza costante nel tempo e continuamente monitorizzata. Nelle emissioni di natura geologica del carbonio il radioisotopo 14C è totalmente assente, esso decade del tutto nel giro di circa 50 mila anni, dati i tempi, geologici, del ciclo [4]. L’altra fonte è da cercarsi nella combustione dei combustibili fossili. Anche questa è esclusivamente composta dalla forma stabile del carbonio-12.
Misurando quindi le percentuali isotopiche del carbonio atmosferico è possibile notare come esso provenga per la maggior parte dall’azione antropica. Il risultato è impietoso: ogni anno vengono aggiunti circa 29 miliardi di CO2 all’atmosfera (quasi 8 miliardi di tonnellate di carbonio-12), più di 100 volte di quello prodotto dalla sola azione vulcanica. Questa è la dimostrazione definitiva della responsabilità umana nell’aumento della CO2  atmosferica.

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli organismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione. Credit: XL Catlin Seaview Survey

Certo che 29 miliardi messi al confronto coi 700 miliardi di anidride carbonica contenuti naturalmente nell’atmosfera e i circa 750 che partecipano ogni anno al ciclo naturale del carbonio paiono certo ben poca cosa, ma attualmente tutti gli oceani contribuiscono a stoccare appena circa 6 miliardi di CO2 all’anno e il dato in verità è in diminuzione a causa dell’aumento della loro temperatura [cite]10.1038/nature21068[/cite]. La distruzione della Grande Barriera Corallina, l’unica struttura biologica vivente visibile dallo spazio, ne è la prova. Il meccanismo è ovvio: un aumento di temperatura dell’acqua diminuisce allo stesso modo le sue capacità di assorbire la CO2, mentre la comunque maggiore quantità ancora assorbita ne aumenta l’acidità danneggiando irreparabilmente gli organismi più delicati e inibendo ad altri, come i foraminiferi, la capacità di creare strutture di carbonato di calcio, come per esempio i loro gusci, che catturano in modo definitivo una parte importante del carbonio assorbito dagli oceani.
Sulla terraferma il discorso generale non è poi così diverso. È vero, ogni anno circa 11 miliardi di anidride carbonica sono sequestrate dall’atmosfera dalle piante, ma il disboscamento industriale e l’agricoltura intensiva riducono significativamente questa capacità. Inoltre, una temperatura mediamente più alta comporta un aumento del rilascio del carbonio ancora intrappolato nel suolo, principalmente per effetto della decomposizione dei resti organici e per il dilavamento del suolo dalla pioggia resa più acida dall’aumento della CO2 atmosferica.
Il risultato è che almeno il 40%, circa 12 miliardi di tonnellate all’anno, delle 29 prodotte dall’uomo, sono continuamente riversate nell’atmosfera, contribuendo a ridurre le capacità del pianeta di continuare ad assorbirle.
Non sono bruscolini, anche se per alcuni sembrano esserlo. Gli oceani non possono oltre un certo grado assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera senza creare danni ambientali gravissimi e l’anossia delle acque più superficiali. È vero, potrebbe aumentare momentaneamente la quantità di alghe verdi-azzurre che potrebbero, ancora momentaneamente, assorbire una parte del carbonio atmosferico,  ma questo andrebbe a discapito di tutta la catena alimentare ittica e umana. In più, Ogni incremento della temperatura degli oceani limita la capacità di questi di sequestrare altra anidride carbonica dall’aria.
In effetti il timore, anche espresso da Stephen Hawking [5] con molta enfasi — lui se lo può permettere, di un effetto domino con conseguenze incontrollabili non è poi così remoto.

Se trascurato, il Global Warming potrebbe essere un disastro economico

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Checché ne dicano i negazionisti — e sono molti di più di quanto si creda — il rapido riscaldamento del pianeta pone due serie minacce legate al sistema finanziario. La prima è legata al  costo dei danni fisici inflitti dal Riscaldamento Globale, un prezzo già alto e che comunque tende ad aumentare coi sempre più frequenti parossismi meteorologici. 

Per esempio, la celebre compagnia assicurativa, i Lloyd di Londra, ha prodotto uno studio che prova a stimare il maggior costo dei premi assicurativi in risposta alle perdite legate al cambiamento climatico, come lo fu in seguito all’uragano Sandy [6]. Un aumento della frequenza e dei costi dei risarcimenti per i danni legati al mutamento climatico, come per le inondazioni, siccità straordinarie e altri fenomeni meteorologici estremi sta già causando miliardi di dollari di perdite per le economie delle nazioni colpite.
Ma non solo, provate a immaginare quanti turisti si recavano a visitare la Grande Barriera Corallina prima del disastro ecologico e la vastità dell’intera filiera economica locale che essa alimentava. Provate a immaginare se tutti i ghiacciai alpini diventassero un ricordo, quale danno sarebbe per le comunità montane che adesso vivono di turismo. E lo stesso discorso varrebbe per le Isole Maldive, gli splendidi atolli polinesiani oppure le nostre meravigliose città costiere, Venezia, Napoli o Genova che rischiano di cedere al mare parte del loro territorio a causa dell’innalzamento delle acque.
I costi assicurativi potrebbero salire così tanto che soltanto poche compagnie potrebbero decidere di coprirle aumentando di molto il costo dei premi mentre altre potrebbero fallire per pagare i risarcimenti dovuti. Intanto le proprietà non assicurate o inassicurabili vedrebbero crollare il loro valore espellendole dal mercato mentre gli investimenti nelle aree a rischio crollerebbero. Lo scenario economico che potrebbe profilarsi col Riscaldamento Globale incontrollato è spaventoso.

Il cambiamento Climatico è uno dei cambiamenti più importanti che [oggi] la società sta affrontando. la […] è una multinazionale che si sta impegnando attivamente nel cercare soluzioni rivolte alla mitigazione e l’adattamento verso il Cambiamento Climatico. Riteniamo che una migliore divulgazione delle informazioni sui rischi e sulle opportunità legate al clima sia di stimolo per i nostri sforzi verso un mondo sostenibile.

La seconda minaccia, più subdola, è rappresentata dagli ancora pesanti investimenti sui combustibili fossili e le tecnologie ad essi collegate. Sulla carta si tratta di investimenti di migliaia di miliardi di dollari, ma essi in fondo dipendono esclusivamente dalla fiducia degli investitori. Ma se questa fiducia dovesse venire meno, la bolla dei subprime del 2007 sembrerà lo scoppio di una miccetta paragonato a una atomica.
Già oggi alcune compagnie finanziarie e le banche nazionali [7][8] si stanno chiedendo se il loro portafoglio sia in grado di sopportare i rischi derivati dal cambiamento climatico e se sia possibile mantenere una certa stabilità finanziaria nel più fosco degli scenari possibili.
Allo scopo di studiare e prevenire le vulnerabilità finanziarie legate al mutamento climatico, nel 2015 il Financial Stability Board diede il via alla Task Force on Climate-related Financial Disclosures. Questa iniziativa ha trovato l’appoggio di grandi banche d’affari come Morgan Stanley e Barclays e di grandi multinazionali come la PepsiCo (quella della Pepsi Cola e della Seven Up) che muovono cifre di migliaia di miliardi di dollari all’anno.

Le grandi contraddizioni della finanza

Anche se apparentemente i rischi legati al mutamento climatico attirano l’attenzione del mondo finanziario globale, sono ancora molte le banche d’affari che sostengono i progetti più estremi di estrazione dei combustibili fossili (carbone, olio da sabbie bituminose e trivellazioni nell’Artico) per una cifra di circa 100 miliardi di dollari all’anno [9].
In fondo il loro mestiere è quello di finanziare i progetti più appetibili in termini di ritorno finanziario e le compagnie petrolifere finora sono ancora quelle che propongono un ritorno quasi sicuro per i prossimi 50 anni.
Ma se questo dovesse cambiare per una mutata volontà politica globale, magari in seguito a un serio incidente ecologico o un grosso scandalo, sarebbe un dramma sia per le compagnie petrolifere che per le banche d’affari che vi hanno investito su. Per questo sia, ovviamente, le compagnie petrolifere che buona parte della finanza globale mirano a mantenere lo status quo.
Mentre la finanza globale sta cercando di trovare il modo di staccarsi da questo intreccio perverso, le compagnie petrolifere cercano in ogni modo di nascondere le loro esposizioni nel timore che si scateni quel panico finanziario che potrebbe annientarle.
Intanto la Shell ha dovuto rinunciare alle trivellazioni artiche e su altri progetti che prevedevano lo sfruttamento di giacimenti bituminosi, mentre la Cina sta mostrando chiari segnali di ripensamento della sua politica energetica  basata sul carbone [10].

Conclusioni

Potrei parlare per intere ore sui tanti aspetti, rischi e prospettive legate al Global Warming. Ripeto che è da stupidi negare le naturali ciclicità — ancora non ben comprese — del clima terrestre, ma lo è altrettanto il negare le gravi responsabilità umane nell’andamento attuale. E se è su questo che abbiamo colpa, allora abbiamo anche il dovere di intervenire. Anche se fosse solo per il più semplice Principio di Precauzione. 
Segnali importanti li abbiamo avuti, curiosamente, dalla crisi economica del 2007. Negli anni immediatamente successivi si è registrato un minore apporto di carbonio nell’atmosfera, per poi riprendere quando quella crisi si è risolta.
Lo sviluppo sempre più importante di fonti energetiche rinnovabili, anche se esse sono ancora un goccia nell’oceano, inizia timidamente a farsi sentire. I prezzi dell’energia da loro prodotta sta spingendo verso il basso anche quella generata dalle fonti tradizionali, buttando fuori mercato le centrali più obsolete ed inquinanti e obbligando al ripensamento dell’intera filiera energetica.
Compagnie automobilistiche come la Volvo stanno studiando come trasferire la loro industria automobilistica verso la trazione elettrica entro 20-30 anni. L’Audi già dal prossimo anno ha deciso di partecipare attivamente nel Campionato Mondiale di Formula E, il campionato riservato alle auto da corsa elettriche. In Formula 1 sono ormai anni che vengono studiati e impiegati i KERS, sistemi di recupero dell’energia cinetica. Queste tecnologie sono impiegate oggi anche nelle normali auto ibride per il recupero dell’energia in frenata che altrimenti andrebbe persa in calore.
Sono piccoli segnali è vero, ma importanti. Anche se piccole e ottuse menti ricordano che ancora per i prossimi anni dovremmo ricorrere ai combustibili fossili per generare l’elettricità necessaria al funzionamento dei nuovi veicoli elettrici, essi non comprendono che è più semplice, immediato e sicuro sequestrare la CO2  [11] da poche unità centralizzate piuttosto che da una miriade di veicoli sparsi in ogni dove, e che questi sarebbero indipendenti dai metodi usati per produrre la loro energia. Energia che potrebbe provenire anche dalle fonti alternative ai combustibili fossili più disparate, riducendo al contempo una importante fonte di inquinamento ambientale vagante.
Città più pulite, meno rumore, meno malattie indotte dall’inquinamento e dalle polveri sottili: questi sarebbero già notevoli risultati collaterali che potremmo già presto raggiungere durante la lotta alla componente antropica del cambiamento climatico.
Alcune case automobilistiche stanno guardando a questo come una grande opportunità, alcune banche di affari e grandi assicurazioni stanno studiando il fenomeno e ne iniziano a comprendere la gravità. Ora resta da convincere i governi, le istituzioni politiche e quelle sindacali, ancora troppo timide e legate al consenso transitorio e le irrazionali paure sociali.

Deforestazione e Riscaldamento Globale

Purtroppo spesso i media italiani lasciano poco spazio ai veri problemi del pianeta come il Riscaldamento Globale. Anche la politica mondiale preferisce cedere al ricatto del PIL piuttosto che preoccuparsi del futuro del pianeta, e questo è molto più grave.

Alberi abbattuti ai margini della Foresta Amazzonica

Secondo il World Carfree Network (WCN), auto e camion rappresentano circa il 14 per cento delle emissioni globali di carbonio nell’atmosfera, mentre molti analisti attribuiscono ad almeno il 15 per cento delle altre emissioni alla deforestazione.
Secondo molti ricercatori, la deforestazione nelle foreste pluviali tropicali aggiunge anidride carbonica in atmosfera più che la somma totale di auto e camion sulle strade del mondo.
La ragione di questa cifra spaventosa è dovuta al fatto che quando gli alberi vengono abbattuti rilasciano carbonio nell’atmosfera, dove si mescola agli altri gas a effetto serra provenienti da altre fonti e contribuendo così al riscaldamento globale 1.
Pertanto è necessario fare altrettanti sforzi per evitare la deforestazione di quanto si faccia per cercare di aumentare l’efficienza dei carburanti e di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili.

«Poiché la produzione di cenere comporterebbe una rapida distruzione di querce, cerri e altri legnami, vietiamo con il presente Statuto che alcuno faccia cenere nel contado e districtus di Arezzo o venda legna a chi voglia farne cenere. Pena 25 lire per ogni contravventore e per ogni volta che sia commesso il delitto; chiunque potrà sporgere la denunzia e muovere l’accusa…»
Gli Statuti di Arezzo anno 1327

Secondo i rapporti dell‘Environmental Defense Fund (EDF), 32 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati abbattuti ogni anno tra il 2000 e il 2009, e il ritmo della deforestazione non fa che aumentare.
A meno di non modificare l’attuale sistema che premia la distruzione delle foreste, il disboscamento immetterà altri 200 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera nei prossimi decenni …“, dice EDF, “Qualsiasi piano realistico sufficientemente veloce per ridurre gli effetti dell’inquinamento e del Riscaldamento Globale per evitare gravi e pericolose conseguenze deve affidarsi anche alla conservazione delle foreste tropicali2

Ma è difficile convincere gli abitanti poveri del bacino amazzonico e di altre regioni tropicali del mondo di smettere di tagliare gli alberi, quando queste sono l’unica loro risorsa economica.
Conservare le foreste ha un costo non indifferente, mentre i profitti che si fanno col commercio di legname e col carbone di legna, nella creazione di nuovi terreni da pascolo o destinati all’agricoltura premono per la riduzione delle foreste“, aggiunge EDF 3.

Inoltre un altro grave problema legato alla deforestazione è la perdita della biodiversità 4: più della metà delle specie vegetali e animali vivono nelle  foreste pluviali.

Un modo per aiutare i paesi tropicali  a ridurre la deforestazione è attraverso la partecipazione al programma di riduzione delle emissioni e delle deforestazione e degrado forestale delle Nazioni Unite (UN-REDD).
UN-REDD cerca di incentivare le persone – e gli Stati che vi partecipano – a prendersi  cura delle foreste e della loro gestione sostenibile.
Gli esempi includono l’utilizzo di minori risorse forestali per le attività agricole come la coltivazione del caffè e la produzione di carne e latte. A questo modo le nazioni partecipanti a questo programma possono accumulare e vendere i crediti di inquinamento come le nazioni industrializzate quando sono in grado di dimostrare di aver abbassato la deforestazione al di sotto di una linea di base.
Il programma UN-REDD ha incanalato più di 117 milioni di dollari 5 di aiuti finanziari diretti e attraverso il sostegno educativo alla riduzione della deforestazione in 44 paesi in via di sviluppo in Africa, Asia e America Latina fin dall’inizio del 2008.

Il Brasile è tra i paesi che grazie a UN-REDD ha compiuto gli sforzi maggiori per ridurre le emissioni di carbonio. Grazie a questo programma il Brasile ha rallentato la deforestazione entro i suoi confini del 40 per cento dal 2008 ed è sulla buona strada per conseguire una riduzione dell’80 per cento entro il 2020.
Il successo iniziale del programma UN-REDD in Brasile fa ben sperare per la riduzione della deforestazione in altre parti dei tropici.


Liberamente tratto da Scientific American 6

Il negazionismo climatico al tempo dei no-vax

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa su questo blog. L’intenzione sarebbe di scacciare questa pessima abitudine e riprendere a usare questo spazio. Per un po’ ho affidato i miei pensieri e le esternazioni ai Social, ma ora sento che ho fisicamente bisogno di un luogo dove conservarli. Non so se ci riuscirò, non resta che provare.

 

 

Indice incremento annuale dei gas serra nell'atmosfera.

A partire dal 2021, l’effetto di riscaldamento dei gas serra di lunga durata nell’atmosfera terrestre è aumentato del 49% rispetto al 1990. Rispetto all’epoca preindustriale, l’atmosfera odierna assorbe più di 3 Watt in più di energia per metro quadrato.

Dal punto di vista razionale l’ideologia dei no-vax e i negazionisti climatici hanno in comune il totale rigetto delle evidenze scientifiche che si basano sui dati.
Dati che, come ogni cosa quando si cerca di comprendere un qualsiasi fenomeno, sono sempre la base da cui partire. Non è la prima volta — e non sarà certo l’ultima — che spiego cosa sia il Global Warming e che sia la diretta conseguenza delle attività umane.
La congettura che in questi giorni va per la maggiore, pare appartenere a un professore associato dell’Università Federico II di Napoli — non cito il suo nome per non offrirgli maggiore visibilità che qui non merita.  Tale  presunzione quasi sicuramente non è nuova, è presente da diversi anni con qualche variante, nei circoli negazionisti che suppongono che il Riscaldamento Globale non esista affatto o che, al limite, sia il risultato di risonanze orbitali dei pianeti ed effetti gravitazionali ciclici. Questo  professore associato, oggi paladino dei negazionisti italiani che hanno ampio appoggio nei circoli politici del centrodestra italiano, ama raccontare di essere riuscito, nel 2018, a prevedere l’attuale siccità.
In pratica, in altri tempi, si sarebbe parlato di case astrali, di congiunzioni e opposizioni, di transiti dei pianeti su e giù per l’eclittica e di altre amenità astrologiche.

Per l’ennesima volta, l’emissione energetica del Sole è stabile da quando sono iniziate le campagne di misurazione satellitare mentre è cambiata la concentrazione di CO2 nell’atmosfera e negli oceani. E le proporzioni isotopiche tra 13C e 12C [12] confermano che è anidride carbonica emessa dalla combustione di fonti fossili.

Questi sono i dati: l’atmosfera terrestre a causa dell’effetto serra innescato dalla CO2 ora trattiene 3 watt per metro quadrato in più rispetto al periodo preindustriale ed è tanto.
L’immagine di destra mostra che l’irraggiamento solare varia di neanche 2 watt tra il periodo minimo e massimo di attività solare. È un ciclo undecennale, a cui si sommano altri cicli legati a periodi di maggiore o minore quiescenza dell’attività solare, che, inn tempi storici, hanno prodotto il Minimo di Maunder (d’inverno il Tamigi divenne una pista di pattinaggio) nel XVIII secolo oppure il Massimo Medievale. Questo grafico mostra due cose: che per quanto piccolo, se protratto per lungo tempo (il Minimo di Maunder fu innescato da 50 anni di inattività solare) una variazione comunque piccola, abbiamo detto un paio di watt per metro quadrato, ha senz’altro conseguenze sul clima del pianeta. Una variazione di qualche decimo di grado dell’acqua degli oceani può alterare le correnti oceaniche e le precipitazioni, soprattutto ai tropici, con conseguente riallineamento delle correnti cicloniche dell’atmosfera. Ma, il secondo appunto, per colpa dell’eccesso di emissioni di gas serra a opera dell’Uomo, ora l’atmosfera trattiene, come ho detto prima, ben tre watt in più di energia ricevuta dal Sole. Oggi un periodo di quiescenza del Sole della durata di cinquanta anni, sarebbe notato al più come un periodo di tregua del riscaldamento globale, dando adito ai negazionisti climatici di sproloquiare che non è in atto “alcun cambiamento climatico“.

Quest’ultima immagine mostra lo storico delle temperature medie della Terra da quando sono disponibili correlandole con lo storico dell’attività solare. Qui è ancora più evidente che la temperatura media del pianeta, che prima dell’era industriale seguiva grossomodo l’attività del Sole con un fisiologico margine di latenza, mentre adesso non è più così.
E l’andamento a crescere  per ora è inarrestabile. Ne abbiamo avuto la riprova durante il lungo lock down della Pandemia.
Nonostante il fermo quasi totale delle attività umane, il brusco calo dello smog nelle aree industrializzate etc. le quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è continuata a crescere!
Magari, ancora un a volta, i negazionisti climatici avranno ancora berciato: “Vedete? Nessuna attività umana, eppure la COè aumentata! Le attività umane non sono responsabili del Global Warming!“.
I bischeri però dimenticano che gli oceani ricoprono oltre del 70% della superficie della Terra. E che essi hanno assorbito gli eccessi di CO2 presenti nell’atmosfera al ritmo di 7 miliardi di tonnellate per anno fino ad un certo punto (circa 500 dall’inizio dell’era industriale), fino a quando cioè  le acque superficiali si sono saturate 1.
Ma è in virtù della legge sui gas soluti in un liquido (Legge di Henry) — che un qualsiasi studente di chimica conosce fin dalle scuole superiori  — che, riscaldandosi, gli oceani hanno iniziato a restituire milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica all’atmosfera. Per questo il fermo delle attività industriali non ha sortito alcun cambiamento nelle emissioni di CO2. Quindi anche se adesso, da domani, cessassimo ogni ricorso alle fonti fossili per produrre energia, il Riscaldamento Globale non cesserà e sarà un tremendo problema ancora per decenni, forse secoli, prima che si ricrei un accettabile equilibrio naturale. Per questo ogni secondo, ogni singolo grammo di CO2 impunemente rilasciata nell’atmosfera è un crimine verso le future generazioni.

Ma non dovete credere per forza a me, credete ai dati. Questa è scienza, le altre ciarle sono al più un oroscopo pure malfatto.