Echi da un lontano passato, le novità

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I risultati di BICEP2

Modelli di impronte di polarizzazione nella Radiazione Cosmica di Fondo.

Modelli di impronte di polarizzazione nella Radiazione Cosmica di Fondo.
L’E-mode (per analogia col campo elettrostatico) indica una perturbazione di tipo scalare unicamente dovuta a fluttuazioni di densità di energia del campo inflatone (φ) del mezzo.
Il B-mode invece è di tipo tensoriale ed è dovuto  alla propagazione di onde gravitazionali.
Ulteriori informazioni sono disponibili qui

Per comprendere meglio il seguito dell’articolo, occorre anche qui partire da principio. La polarità è una proprietà ondulatoria comune a molti fenomeni fisici dei campi come ad esempio quello elettromagnetico  che possono oscillare con orientamenti diversi 1. È l’interazione del flusso radiativo col mezzo di propagazione a determinare molto spesso la polarizzazione della radiazione, come quando osserviamo la luce di una stella lontana che viene polarizzata dalle polveri interstellari. Come la radiazione termica stellare che in origine non è polarizzata, è lecito sostenere che anche la CMB quando sorse dal disaccoppiamento materia-energia 380000 anni dopo il Big Bang non  lo fosse. Ma dovremmo aspettarci anche che un processo violento come quello inflattivo seguito al Big Bang che ha dato origine all’Universo può aver lasciato la sua impronta sulla radiazione che descrive il tessuto del cosmo. E in effetti eccessi di polarizzazione nelle anisotropie della CMB furono notate fin dal 2002 da John Kovac  [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/0209478[/cite].

Le onde gravitazionali infllative producono un debole schema di torsione nella polarizzazione della CMB noto come B-mode.
In questa immagine le fluttuazioni di densità – che sono comunque preponderanti nella polarizzazione della CMB – sono state annullate. Quello che resta è l’impronta B-mode rilevata da BICEP2.
I due diversi colori mostrano la chiralità registrata nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo.

Nella mappa della polarizzazione nella CMB ricavata dal celebre team del BICEP2 [cite]http://arxiv.org/abs/1307.5830[/cite] appaiono dei piccoli tratti che indicano la direzione dell’oscillazione del campo elettrico nella radiazione elettromagnetica. Da una mappatura così ampia si possono osservare i due diversi tracciati (E-mode e B-mode) spiegati meglio nella figura qui sopra.

Sia che le perturbazioni gravitazionali che di densità derivano dalle fluttuazioni quantistiche durante lo stadio inflativo; le loro dimensioni indicano quindi le scale di energia in gioco in quel momento. Le perturbazioni di densità (E-mode) che sono state rilevate sono attribuite all’oscillazione quantistica dell’ipotetico campo inflatone (indicato dalla lettera $\varphi$), legato alla densità di energia potenziale, da cui discende l’energia effettiva dell’Universo. Le perturbazioni gravitazionali (B-mode) invece sono assai diverse. Esse non dipendono da un ancora ipotetico campo, ma sono frutto di una forza invece ben conosciuta. Generalmente nei modelli inflativi semplici, si assume che l’ampiezza delle onde gravitazionali sia direttamente proporzionale all’energia inflativa. Se tale ipotesi fosse corretta, i dati di BICEP2 indicherebbero per le onde gravitazionali  un valore appena al di sotto della scala di Plank.
BICEP2 indica che le grandezze in gioco in quel momento erano enormi: circa $10^{16} GeV$, cioè circa 12 ordini di grandezza più grande di quella dell’HLC di Ginevra. Questo è un dato molto importante perché pone limiti alle teorie GUT (Grand Unified Theory) che dovrebbero accadere a $10^{15} GeV$ e allo sfuggente decadimento del protone che dovrebbe avvenire a temperature appena un po’ più basse 2. Questo conferma che l’inflazione si è verificata intorno alla scala GUT, poco al di sotto della scala di Planck.

Riassumendo i tratti che distinguono l’Universo, questo risulta essere omogeneo, sostanzialmente isotropo su grandi scale, e piatto. Di conseguenza,  le perturbazioni scalari di densità dovevano essere correlate alla scala dell’orizzonte cosmologico, avere una distribuzione Gaussiana ed essere invarianti di scala.  Questo significa che globalmente tutte le perturbazioni  dovrebbero aver interessato tutta l’energia potenziale disponibile, e questo corrisponde esattamente a quanto il satellite Plank dimostrò nel 2003 [cite]http://arxiv.org/abs/1303.5082[/cite].
Un altro importante risultato è lo sfoltimento di tante alternative proposte via via negli anni per spiegare il ritratto che le osservazioni avevano fatto dell’Universo. Quindi addio alle interpretazioni ekpyrotiche 3 [cite]http://arxiv.org/abs/hep-th/0103239[/cite] e a tante altre teorie che limitavano o cercavano di escludere il modello inflazionario. Comunque per dovere di cronaca ci sono anche altre proposte che mettono in dubbio l’interpretazione inflazionistica dei risultati di BICEP2 [cite]http://arxiv.org/abs/1403.5166[/cite] che potrebbero rimettere in auge le teorie soppresse.

Una simulazione computerizzata del modello di Inflazione Caotica di A.  Linde. Le cime rappresentano nuovi Big Bang, la cui altezza è determinata dalla loro energia. i diversi colori indicano leggi fisiche diverse che sui picchi non sono ancora stabili, Solo le valli (una è la nostra) dispongono di leggi fisiche stabili.

Una simulazione computerizzata del modello di Inflazione Caotica di A. Linde.
Le cime rappresentano nuovi Big Bang, la cui altezza è determinata dalla loro energia. i diversi colori indicano leggi fisiche diverse che sui picchi non sono ancora stabili, Solo le valli (una è la nostra) dispongono di leggi fisiche stabili.

Quindi pare che le anisotropie nella temperatura della radiazione cosmica di fondo e la distribuzione delle struttura a larga scala osservate nell’Universo proverrebbero dalle fluttuazioni quantistiche nel campo inflatone, mentre le perturbazioni tensoriali responsabili della polarizzazione B-mode riscontrate da BICEP2 sarebbero il risultato delle fluttuazioni quantistiche del gravitone. Il momento inflazionistico attraversato dall’Universo deriva quindi tutto da queste due.
Conseguenza non poi tanto indiretta – se le osservazioni venissero confermate – è che la mitica Gravità Quantistica, tanto a lungo cercata dai fisici e cosmologi, è forse scritta nel cielo. Forse, perché anche se  le fluttuazioni quantistiche del campo gravitazionale offrono la spiegazione più semplice e immediata di ciò che viene osservato, ci possono essere anche altri meccanismi – come le stringhe – che possono riprodurre gli stessi schemi della polarizzazione B-mode [cite]http://arxiv.org/abs/1109.0542[/cite].

Un modello che si adatta alle osservazioni esiste già ed è abbastanza in accordo con i dati osservati. È il modello dell’inflazione caotica di Andrei Linde, descritto verso la metà degli anni ’80 e rivisto di recente (2010) [cite]http://arxiv.org/abs/1008.3375[/cite], ispirato per implementare in esso anche la gravità quantistica.
Il modello di Linde suggerisce che non ci sia stato un unico Big Bang, piuttosto che il substrato che ha originato il nostro ribolla di infiniti Big Bang e di infiniti stati inflativi innescati dalle fluttuazioni quantistiche dell’inflatone. Le diverse energie disponibili dal decadimento sarebbero responsabili di diversi punti di rottura della simmetria delle costanti fisiche e delle conseguenti leggi che le governano. In pratica questo modello rende possibile l’esistenza di altri universi governati da diverse leggi e costanti fisiche in cui le stelle non potrebbero essersi mai accese, altri dominati dai buchi neri e così via.
Questa idea rende gli universi molto più simili ai semi di un frattale in dinamica evoluzione: così simili eppure così diversi tra loro, mentre il quadro generale dei multiversi a grande scala appare comunque omogeneo.
Un’idea così rivoluzionaria che non solo risolve i ben noti problemi dell’isotropia e della geometria dell’Universo (per non parlare dei monopoli magnetici che ho voluto tralasciare nella trattazione di questi due articoli piuttosto travagliati) ma che offre una elegante interpretazione al noto dilemma introdotto dal Principio Antropico: noi semplicemente viviamo in uno degli infiniti universi in cui le leggi fisiche hanno reso possibile la nostra esistenza.

A questo punto non resta che la conferma dei dati espressi da BICEP2 per sapere quale sia la natura dell’Universo.


Note:

La storia infinita della Ison

 

Nelle ultime ore si sono levate voci piuttosto allarmate sulle sorti di C/23012 S1 (ISON). E anche se, al momento in cui scrivo, queste non sono state affatto né confermate o smentite, riassumo i fatti finora accertati.

La C/2012 S1 (ISON) nel campo della LASCO C3 della SOHO. Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

La C/2012 S1 (ISON) nel campo della LASCO C3 della SOHO.
Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

Tutto è partito il 25 novembre da una segnalazione sulla mailing list di un gruppo su Yahoo.com che si occupa di comete 1.

Il radioastronomo Michael Drahus, del Caltech / NRAO, che lavora con il radiotelescopio millimetrico Iram, a Granada in Spagna, ha riferito di un rapido calo, circa 20 volte tra il 21 e il 25, delle emissioni molecolari nella Ison. Questo calo è netto contrasto con le altre (poche) osservazioni che continuano a indicare la presenza di una chioma 2.
Intanto, anche il telescopio robotico TRAPPIST dell’ESO, in Cile, ha rilevato un calo nel tasso di produzione delle polveri di un fattore 3.
Poi pure la posizione non torna: la Ison appare essere circa 3000 chilometri  – dalla Terra sono circa 5 arcosecondi – più indietro nella sua orbita. Questo potrebbe significare che il nucleo solido si è dissolto e la pressione della radiazione solare ora frena una nube di detriti sciolti tra loro.
In più alcuni osservatori non sono riusciti a vedere la Ison la mattina del 25,  ma qui i motivi possono essere diversi, la cometa era troppo bassa all’orizzonte prima della levata del Sole, circa 10° di elevazione, e velature di nubi nell’alta atmosfera possono aver estinto la luce di questa che era prevista essere di magnitudine 2,5.

Comunque adesso la Ison è entrata nel campo visivo dei diversi strumenti dei telescopi solari Stereo A e B e della SOHO, per cui  è possibile seguirla di nuovo fino al suo perielio.
E anche qui le voci di una completa dissoluzione del nucleo non si fermano. Anche se le diverse camere a bordo degli osservatori solari mostrano ancora una cometa intera, salta subito all’occhio l’irregolarità della coda, non si sa bene se per effetto di una CME che in queste ore avrebbe sconvolto la coda di ioni 3,  oppure se è la coda di polveri generata dalla dissoluzione del nucleo che inizia a disperdersi.
D’altronde la Ison non ha mai generato grandi quantità di polveri, o almeno non quante ci se ne aspettava poco dopo la sua scoperta, come  anche i dati Afrho della cometa finora hanno confermato. Questa invece adesso potrebbe essere la pistola fumante di una dissoluzione, almeno parziale, del nucleo.

 


Note:

 

La Ison a occhio nudo!

Credit: Michael Jäger, Austria

Le due code della C/2012 S1 (ISON)
Credit: Michael Jäger, Austria

Finalmente ci siamo!
La lunga attesa iniziata poco dopo la sua scoperta avvenuta nel settembre 2012 con l’arrivo dei primi dati riguardanti l’orbita e le prime estrapolazioni della curva di luce, è finita.
Adesso la C/2012 S1 (ISON) è visibile ad occhio nudo.
L’astronomo francese Nicolas Biver segnala da uno dei luoghi più bui rimasti in Europa (Pico del Veleta, Spagna) che stanotte la Ison è apparsa di magnitudine visuale di 6,3 – 6,5 contro l’oltre 7,4 del giorno precedente.
La notizia è stata confermata anche da Alexandre Amorim, brasiliano, che ha stimato la cometa a magnitudine 6,1.
Ricordo che la sesta magnitudine è il limite dell’occhio umano nei cieli veramente bui e lontani da ogni forma di inquinamento, sia luminoso che atmosferico. Quindi prima che la Ison sia visibile ad occhio nudo  anche dalle nostre regioni dove il cielo è molto più sporco 1 dovrà passare ancora qualche giorno, ma nel frattempo forse sarà troppo vicina al Sole da rendersi distinguibile nelle luci dell’alba prima del perielio.

Comunque anche con binocoli e piccoli telescopi è possibile già apprezzare la doppia coda della cometa, una più lunga e in direzione esattamente antisolare che è la coda di ioni di gas come il radicale cianogeno, l’ossidrile e il carbonio biatomico (è quello che fa apparire la cometa verde), e l’altra, composta dalle polveri disperse dall’astro, che flette un po’ come ben spiegato nel precedente articolo 2 di Sabrina Masiero.

Cieli sereni


Note:

Castore & Polluce

Non capita poi spesso ma qualche volta mi stupisco anch’io. Come per questa foto ripresa nel bel mezzo del nulla, con il mio smartphone appoggiato sul tettuccio dell’auto e sorretto dal  portamonete.

Questa sera stavo percorrendo la mia solita strada ad un’ora piuttosto insolita – per me – per sbrigare una faccenda.
Bassa all’orizzonte, vividissima, appariva Venere rapendomi il mio sguardo. Non conto più le volte che ho osservato quella luce vividissima, al mattino, prima dell’alba, la sera subito dopo il tramonto fino a tardissimo quando è più lontana dal Sole. Ho persino visto la sua ombra, quando è più brillante che mai.
Così decido al ritorno di fermarmi a fotografare il fulgido pianeta, giusto per provare un nuovo programma di scatto sul mio smartphone che promette di regolare il tempo di esposizione.
Quello che vedete è il risultato: la risoluzione non eccelle, 1280 x 720 a lunga esposizione, ma 3200 ISO, apertura f/2,4 per una lunghezza focale di 4,48 millimetri e soprattutto ben 5 secondi di esposizione hanno fatto la differenza.

Così nella foto ho trovato Venere, Castore, Polluce e Capella. Una buona ripresa, non c’è che dire!

M31 – PanSTARRS: una congiunzione straordinaria

Credit: Vesa Vauhkonen on April 2, 2013 @ Rautalampi, Finland

Credit: Vesa Vauhkonen on April 2, 2013 @ Rautalampi, Finland

Bella, vero?
Questa foto è stata scattata L’altra sera da Vesa Vauhkonen a Rautalampi​ in Finlandia.
Per chi, come me, ha dovuto subire l’inclemenza meteorologica di tutto il mese di marzo, almeno la soddisfazione di vederla in cartolina … volete mettere?
A parte gli scherzi, non mi è proprio stato possibile vedere questa splendida cometa proprio per colpa del maltempo che ha colpito l’Italia praticamente per tutto il mese. E quando le condizioni meteo sembravano migliorare un attimino, il mio lavoro e altri impegni – non da  ultimo la violazione del Blog – mi hanno tenuto lontano dallo scrutare il cielo.

Oltre alla mirabile estetica, c’è comunque un’altra ragione per cui ho scelto questa immagine. La congiunzione apparente di due astri fra loro lontanissimi almeno 2,5 milioni di anni luce. Una infatti è una galassia, Messier 31 conosciuta anche come la la Galassia di Andromeda, composta da mille miliardi di stelle che brillano di luce propria, mentre l’altra è una montagna di neve sporca che si è avvicinata al Sole e per questo sta sublimando gas che riflettono la luce del nostro astro.
Il loro accostamento nel cielo è solo apparente, esattamente come fa un qualsiasi altro pianeta del Sistema Solare che si  proietta in una porzione di cielo che prende il nome dalla costellazione che ospita.
Esattamente come accade con le stelle fra loro lontanissime e indipendenti che condividono la stessa porzione di cielo e che noi, per comodità, per ragioni storiche e mitologiche, chiamiamo costellazioni.

Quindi quando sentirete parlare di Plutone nel Sagittario, Marte nei Pesci e Giove nei Gemelli sappiate che queste sono soltanto proiezioni apparenti e nient’altro; esattamente come la C/2011L4 PanSTARRS e M 31 che nella foto dominano la costellazione di Andromeda.

Una congiunzione invisibile

stellarium-058

Credit: Il Poliedrico

Come avevo sommariamente indicato nel nuovo calendario disponibile su questo Blog proprio oggi avviene una congiunzione stretta fra Marte e Urano.
Il momento di massimo avvicinamento apparente si verificherà tra polco intorno alle 18:oo UTC, le 19:00 in Italia. In quei minuti l’evento sarà sotto l’orizzonte per il nostro paese, ma in verità anche le altre località nel mondo non sono messe meglio vista l’estrema vicinanza del Sole alla posizione apparente dei due pianeti.
Anche in questo caso ci viene incontro una delle sonde spaziali che studiano perennemente il Sole, appunto la SOHO con il suo coronografo a largo campo: lo strumento Large Angle and Spectrometric Coronagraph (LASCO) C3, capace di un campo visivo da 3,7 a 32 raggi solari.
a Voi lo spettacolo dell’evento!

soho lasco c3

Image credit: Nasa/SOHO/LASCO C3
Elaborazione grafica: Il Poliedrico

Di nuovo in linea!

Umby

Umby

È stata dura ma alla fine Il Poliedrico è di nuovo in linea.
Nella notte di sabato questo Blog ha subìto un pesante attacco ad opera di alcuni balordi nullafacenti che hanno approfittato di alcune vulnerabilità nascoste e hanno modificato la home page. Colpa sicuramente anche mia che proprio in quelle ore avevo abbassato i firewall per risolvere alcune latenze di caricamento che stavano appesantendo troppo il server ospite.

Adesso Il Poliedrico è ripartito con una nuova installazione e con nuovi plugins che non dovrebbero appesantire più di tanto il caricamento delle pagine. Il latex e le tabelle sono risorse troppo preziose per essere abbandonate, mentre (per ora) ci lasciano la sintesi vocale, i sondaggi e il calendario degli appuntamenti, troppo pesanti in termini di risorse.

A presto 🙂

La nebulosa Lamantino e il suo microquasar SS 433

L’uomo ha sempre inteso scorgere figure a lui familiari in ogni dove 1, nelle nuvole come nella volta stellata, proiettandovi immagini di miti e leggende, facendo nascere così le costellazioni, così diverse da cultura e cultura eppure tutte egualmente degne di essere conosciute. Forse un giorno ve ne parlerò.  

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Pensate di scorgere la figura di un lamantino – una specie di grosso tricheco senza zanne – nel cielo e ampia circa 700 anni luce, per noi grande quanto quattro lune piene, in direzione dell’Aquila. Questa è W50 2, conosciuta anche come Nebulosa Lamantino (Manatee in inglese),  il resto di una supernova esplosa almeno 20000 anni fa a 18000 anni luce dal Sole:  SNR G039.7-02.0.

Normalmente si è portati a pensare che il guscio di una supernova sia grossomodo sferico o giù di lì, eppure i resti di questa supernova dimostrano che non sia sempre così. In questo caso infatti il guscio è notevolmente alterato dai poderosi getti e dai campi magnetici emessi  dal curioso oggetto che ne è al centro: SS 433.

SS 433 3 e in realtà un sistema binario ad eclisse composto dai resti dell’antica supernova, una stella di neutroni oppure – più probabilmente – un buco nero, che risucchia materia dalla stella compagna, una vecchia stella di classe A ancora nella sequenza principale, che una volta doveva essere la componente più piccola di questo stretto sistema stellare. La materia risucchiata dall’accrettore crea un disco di accrescimento attorno al resto di supernova che dà origine a due getti perpendicolari di idrogeno ionizzato che si propagano nello spazio a velocità relativistiche: circa il 26% della velocità della luce.

La nebulosa Lamantino e la sorgente SS 433.
Credit: Il Poliedrico

Per tutte queste peculiarità SS 433 viene oggi considerato un microquasar 4, in quanto rispecchia in scala ridotta quello che le galassie attive fanno nella loro  gioventù.
L’asse di rotazione del resto di supernova non è complanare con l’asse del sistema ma inclinato di circa 20 gradi con questo. Il risultato è che l’asse di rotazione ruota di conseguenza intorno alla perpendicolare del sistema con un ciclo di 162,5 giorni. Il moto precessionale conseguente attorciglia le linee del campo magnetico del disco che si propagano nello spazio, mentre i due getti di plasma emessi spazzano lo spazio con un movimento elicoidale che disegna due coni divergenti. Tutto questo si traduce nel bizzarro spettro di SS 433 che appare contemporaneamente avvicinarsi e allontanarsi da noi, ma che in realtà è dovuto ai flussi di plasma che viaggiano in direzioni opposte.
Non solo, oltre all’effetto Doppler lo spettro di SS 433 è influenzato anche dalla relatività: sottraendo infatti gli effetti dello spostamento Doppler rimane una componente di spostamento verso il rosso corrispondente ad una velocità di circa 12000 chilometri al secondo. Questa non rappresenta l’effettiva velocità di recessione di SS 433, ma è dovuta dalla dilatazione temporale che si manifesta alle velocità relativistiche dei getti dove, per le componenti del plasma e di conseguenza anche per la radiazione da loro emessa, il tempo scorre più lentamente.
E sono appunto questi getti a deformare la sfericità del guscio e a farla somigliare più alla figura abbastanza familiare di un lamantino che riposa.

Ecco spiegata quindi la strana forma della Nebulosa Lamantino e il curioso microquasar che ne è al centro.


Le prime novità dell’anno: due nuove iniziative targate Il Poliedrico.

Umby

Anche se alcune maliziose voci possono essere circolate, no, non sono sparito.
Non mi sono ritirato in una sperduta isola del Pacifico e non sono stato rapito dagli alieni. Più semplicemente ho avuto molto da fare per mettere a punto un paio di novità che senz’altro qualcuno di voi saprà apprezzare.
Innanzitutto è tornata la Galleria Immagini che avevo dovuto giocoforza abbandonare già quando ancora questo Blog era ospitato sui server di Altervista. Lo spazio su disco per le immagini era troppo esiguo e con troppi limiti in upload. Inoltre l’avvio del Progetto Drake richiedeva che ad esso fossero destinate le esigue risorse che erano disponibili senza spendere eccessivamente.
Adesso il processo che ha portato al cambio di hosting e di dominio iniziato qualche mese fa può dirsi quasi compiuto.
Dopo che la nuova galleria immagini – a proposito, scegliete e votate le immagini che più vi piacciono – ho creato un nuovo servizio che credo apprezzerete senz’altro.
Si tratta del 
Calendario degli Appuntamenti Astronomici, nato con lo scopo di tenervi informati su eventi come congiunzioni, sciami meteoritici, transiti di comete e altro.
Così che siate astrofili, appassionati o soltanto dei semplici curiosi, pianificare una osservazione sarà così più semplice ed immediato: la Natura ci offre pressoché tutti i giorni  nuovi e meravigliosi spettacoli che aspettano solo di essere visti.
Per questa agenda avrò senz’altro bisogno anche del vostro aiuto: se siete a conoscenza di qualche evento celeste futuro che ancora non è ancora nel calendario, trovate imprecisioni sulle informazioni tradotte, oppure volete offrire il vostro supporto  a questa nuova iniziativa, comunicatemelo con una e-mail, sulla
Comunità Il Poliedrico su Facebook, o anche via piccione viaggiatore. L’importante è partecipare! 

La fine del mondo

Spesso mi viene chiesto come e quando morirà il Sole, associando la sua fine con quella della Terra. Tranquilli, mancano ancora diversi miliardi di anni affinché il Sole muoia, ma la Terra cesserà di essere abitabile molto tempo prima, sempreché non accada una catastrofe cosmica imprevista o noi non la distruggiamo molto prima.

Credit: Wikipedia. Rielab. Il Poliedrico

Cinque o sei miliardi di anni fa una o più stelle di seconda generazione esplosero in un remoto angolo di questa galassia disperdendo il loro prezioso contenuto di metalli pesanti in una oscura nebulosa ormai scomparsa 1.
Le onde d’urto destabilizzarono quella nebulosa che si frammentò in diverse parti che a loro volta incominciarono a collassare su se stesse. Uno di questi frammenti avrebbe in seguito dato origine al Sole e a tutto il suo sistema solare, compresa la Terra e alla Vita come la conosciamo, circa quattro miliardi e mezzo di anni fa.
È da allora che il nostro Sole converte – brucia – idrogeno in elio nelle profondità del suo nucleo in una incessante – per nostra fortuna – reazione termonucleare. I nuclei di idrogeno – protoni, di carica elettrica positiva – scontrandosi riescono a superare la barriera coloumbiana che normalmente li allontanerebbe solo grazie all’enorme calore (calore == movimento) e all’enorme pressione che esistono nel suo nucleo 2.

Credit: Il Poliedrico

Il prodotto di scarto di questa reazione, nuclei dell’atomo di elio, per ora inerte a quelle condizioni fisiche, spinge le reazioni termonucleari  dell’idrogeno a migrare sempre più in su verso la superficie, facendo espandere la zona di fusione e aumentare così la luminosità della stella.
L’aumento di luminosità è impercettibile ai sensi e a scale temporali umane ma è costante, circa il 10% ogni 1100 milioni di anni: quando il Sole iniziò a brillare di luce propria brillava il 30% in meno di oggi  e era anche un po’ più piccolo.
Se non fosse stato per un poderoso effetto serra, quattro miliardi di anni fa la temperatura sulla Terra sarebbe stata ben al di sotto del punto di congelamento dell’acqua. La zona Goldilocks a quel tempo era vicina all’orbita di Venere ma è evidente che questo non ha portato bene a quel pianeta.
Il quasi impercettibile innalzamento della luminosità e temperatura del Sole dovuto all’espandersi della zona di fusione, provocherà l’aumento della quantità di energia irradiata nello spazio e ricevuto dal nostro pianeta, rendendo questo inabitabile nel giro di poco più di 1 o 2 miliardi di anni a partire da adesso, quindi ben più prima che il Sole diventi una gigante rossa.

Formazioni saline sulle rive del Grande Lago Salato, Utah – USA. Così appariranno gli oceani tra un paio di miliardi di anni.

Il Sole, l’astro che ha assistito alla nascita della vita e della specie umana su questo pianeta, renderà nel giro di un altro paio di miliardi di anni, ben prima quindi che esaurisca la sua capiente scorta di idrogeno nel suo nucleo, inabitabile questo bel Pallino Blu del cosmo.
Ogni anno sarà impercettibilmente un poco più assolato e caldo del precedente. Anche le dimensioni del Sole visto da quaggiù saranno appena appena più grandi col passare dei secoli, dei millenni.
Alla fine sulla Terra farà così caldo -70° centigradi – che anche gli oceani finiranno per evaporare del tutto lasciando una spessa crosta di sale su gran parte del pianeta.
All’inizio una spessa coltre di vapore acqueo avvolgerà la Terra come un mantello facendo aumentare l’albedo del pianeta permettendogli di riflettere nello spazio la gran parte della radiazione solare.
Al contempo il vapore nell’atmosfera innescherà un effetto serra a valanga che disperderà completamente gli oceani, mentre l’accresciuta radiazione ultravioletta solare dissocerà le molecole di vapore acqueo nei suoi componenti più fondamentali e ne farà aumentare l’energia cinetica.
A quel punto l’aria sarà così calda che la velocità media degli atomi più leggeri supererà la velocità di fuga del pianeta, che così perderà parte della sua atmosfera nello spazio.

Quando tra 2,4 miliardi di anni la Via Lattea e M31, la galassia di Andromeda, inizieranno a scontrarsi probabilmente del Lapislazzulo della Via Lattea non resterà più neppure il  ricordo.