Decreto Sviluppo, non è oro tutto quello che luccica.

Non ho molta fiducia sul nuovo Piano di Sviluppo proposto dal governo italiano.  Anche se apparentemente sembra che qualcosa si stia muovendo nella giusta direzione, molto è solo fumo negli occhi.

Il fondo per la crescita sostenibile – Il decreto provvede a riordinare il fondo speciale rotativo sull’innovazione tecnologica, denominandolo Fondo per la crescita sostenibile, abrogando 43 norme di agevolazione alle imprese. Al nuovo Fondo affluiranno gli stanziamenti iscritti al bilancio e non utilizzati e le somme restituite o non erogate a seguito di revoche ai sensi delle leggi di incentivazione abrogate, così come le risorse di competenza del ministero dello Sviluppo già depositate presso la Cassa depositi e prestiti (Cdp). “Si andranno in questo modo a recuperare circa 650 milioni di euro nel 2012, più altri 200 milioni negli anni successivi”, dice il governo. Saranno rese disponibili anche le risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (Fri) istituito presso Cdp stimabili in circa 1,2 miliardi di euro.

Il capitolo offshore Il decreto stabilisce una fascia di rispetto unica e più rigida, per petrolio e per gas, passando dal minimo di 5 miglia alle 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Sono fatti però salvi i procedimenti concessori in materia di idrocarburi off-shore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto correttivo ambientale, il decreto legislativo 128 del 2010 varato dopo il disastro ambientale causato dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Viene poi creato un fondo per le attività di salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore finanziato attraverso l’aumento delle royalties per le estrazioni in mare (dal 7 al 10% per gas e dal 4 al 7% per petrolio).

Fonte: SkyTG24

Proprio nel precedente articolo neppure troppo velatamente accusavo il governo italiano di non impegnarsi verso l’adozione di misure politiche ed economiche che le varie associazioni ambientaliste chiedono da tempo per il paese.  E subito dopo, il testo per lo Sviluppo Economico 1 approvato dal governo – a parole – mi smentisce.
Di questo avrei dovuto essere comunque contento, perché vuol dire che le voci di chiede giustamente un piano di sviluppo che tenga conto anche del risparmio energetico e delle energie rinnovabili alla fine sono state ascoltate, ma dopo averlo letto ….

Ad esempio di un riordino della delibera Cip6 2 che avrebbe potuto liberare risorse importanti verso le energie rinnovabili, non c’è traccia.
Ancora molto si punta sugli idrocarburi travestiti da biocarburanti invece che puntare coraggiosamente verso una loro progressiva alienazione incentivando forme diverse di trasporto, fluviale, marittimo, su rotaia etc. piuttosto che su gomma.
Poi viene il capitolo delle esplorazioni e  trivellazioni petrolifere offshore.
È vero che il limite per le attività offshore viene uniformato a 12 miglia nautiche dalla linea di costa per qualsiasi gamma di combustibili fossili, ma solo per quelle future!
Infatti stabilisce che tutti i progetti che erano stati fermati dal decreto legislativo n. 128/2010 successivo all’incidente della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico del 2010 3 possono riprendere la loro attività, questo per impedire che le varie compagnie possano avanzare richieste di risarcimento  allo Stato italiano per la revoca degli affidamenti fatta ad investimenti in
corso, ma poi invece si scopre che nell’ambito delle licenze già rilasciate « … possono essere svolte, oltre alle attivita’ di esercizio, tutte le altre attivita’ di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti gia’ noti o ancora da accertare, consentendo di valorizzare nel migliore dei modi tutte le risorse presenti nell’ambito dei titoli stessi.», ossia chi possedeva una licenza di esplorazione e/o di trivellazione prima del maggio 2010 può riprendere tranquillamente la sua attività e farne delle altre con la scusa che sono parte di un progetto già esistente.

Come spesso si scopre le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e infatti anche qui il diavolo sta nei dettagli, questo decreto malgrado le apparenze non punta verso un’economia ambientalmente sostenibile, proprio quando ce ne sarebbe stata più l’occasione.


Biodiversità ed ecosostenibiltà per salvare il mondo

In questi giorni sul Web è tutto un fiorire di annunci roboanti del tipo “La Terra al collasso climatico …” e così via. Così sono andato a vedere cosa ci sia dietro, visto che in nome del professore citato non mi era sconosciuto.
È vero, l’allarme che lancia il professore californiano è concreto come più volte anche io denunciato su queste pagine in tempi di certo non sospetti, mo non è nuovo né tanto meno indica la fine del mondo, ma probabilmente per questo è ben più traumatico che aspettarsi più o meno passivamente l’Apocalisse.
È giunto il momento di rimboccarci le maniche tutti, ora e subito, e cercare di cambiare drasticamente il nostro stile di vita, dobbiamo imparare a vivere in punta di piedi sul nostro pianeta dove finor marciavamo con gli anfibi.

Antony D. Barnosky

Chi ha letto veramente qualcosa di Anthony D. Barnosky sa che non è nuovo nel lanciare l’allarme – peraltro giustificato – sui concreti rischi che l’eccessivo sfruttamento delle risorse planetarie a opera dell’uomo ha sulla civiltà umana.
Barnosky è professore di biologia integrativa  presso l’università della California e autore del libro Heatstroke, uscito nel 2009.

Già in quel suo libro – e in molte altre sue pubblicazioni scientifiche 1 – Antony Barnosky cercava già allora di spiegare come l’attività umana sia – in gran parte – responsabile del Riscaldamento Globale che sta modificando in modo radicale e imprevedibile l’intero ecosistema planetario.
Nell’immaginario collettivo il riscaldamento globale è subito associato ai ghiacciai artici che scompaiono, ai sempre più violenti fenomeni atmosferici 2 etc., ma esiste anche un altro aspetto che in genere viene dimenticato: la minaccia alla biodiversità.

La realtà del riscaldamento globale significa che la natura così come lo conosciamo – le specie che amiamo, i servizi degli ecosistemi che ci sostengono, i luoghi selvatici dove cercare conforto – è sotto assedio come è mai accaduto prima. Oltre ad aggiungere il  peso di altre minacce ecologiche a lungo riconosciute, il riscaldamento globale sta influenzando la natura in forme prima inimmaginabili e potenzialmente letali, non solo per le innumerevoli specie, ma per interi ecosistemi.
È scoraggiante cercare di salvare la natura  in queste circostanze, sapendo che può essere alla nostra portata se agiamo adesso.
Dovremmo rallentare le emissioni di gas a effetto serra e attuare nuove filosofie di conservazione e politiche che riconoscono che noi, insieme a tutte le altre specie viventi viviamo in un mondo globale.

Nature in   the hot seat,  Antony  D. Barnosky

Barnosky ricorda nel suo libro come possa essere più probabile che il cambiamento climatico spazzi via interi gruppi di specie viventi che riesca a crearne di nuovi. Molte specie animali e vegetali che si sono evolute nel corso di centinaia di migliaia di anni seguendo sempre  gli stessi ritmi adesso devono confrontarsi con una realtà ambientale e climatica che in poche centinaia di anni è stata stravolta dall’homo sapiens.
Da qui l’esortazione dello scienziato a cercare di riparare ai danni creati dall’uomo, visto che la scienza e la tecnologia adesso possono consentirlo, finché siamo in tempo per farlo.

L’articolo pubblicato su Nature da Barnosky 3 ricorda come l’impatto  antropico negli ultimi 200 anni (dall’inizio della rivoluzione industriale) sia stato devastante per il pianeta più di quanto lo fosse stato prima fin dai tempi dell’ultima glaciazione.
Tutte le grandi estinzioni di massa sono state causate da un improvviso collasso dell’ecosistema che fino ad un attimo prima era perfetto. Ma mentre prima il collasso era causato da eventi naturali improvvisi e violenti come terremoti, meteore o vulcani, che potevano modificare 
radicalmente il clima e l’habitat di molte specie viventi in brevissimo tempo, adesso è l’attività umana la principale responsabile dell’attuale pericolo per il pianeta.

Il quasi azzeramento dei ghiacci artici e la perdita dei ghiacciai perenni che ancora 3000 anni fa ricoprivano circa il 30% delle terre emerse, è il prodotto del riscaldamento globale del pianeta 4, mentre ormai quasi la metà delle terre emerse è sfruttato in qualche modo dall’uomo.
Questo gigantesco impatto sull’intero ecosistema terrestre comporta notevoli rischi per la sopravvivenza di molte specie animali o vegetali, molte delle quali si sono estinte negli ultimi 1600 anni per colpa dell’uomo.
Il rischio reale è che adesso o ci fermiamo a curare le ferite che abbiamo inflitto al pianeta oppure l’intero ecosistema non sarà più in grado di sostenere il peso di una umanità composta da 7 miliardi di individui che divora le risorse finite del pianeta come un parassita 5.

Appelli simili provenienti dal mondo accademico, finora sono stati in gran parte inascoltati dagli organi decisionali internazionali. Proprio oggi un appello 6 a rivedere le priorità del paese è stato rivolto da sei associazioni ambientaliste 7 al Primo Ministro italiano Mario Monti in vista del prossimo vertice internazionale di Rio +20, ma purtroppo molto probabilmente a parte di una generica risposta di circostanza alle parole non seguiranno i fatti, visto che per rilanciare un generico Piano di Sviluppo c’è al governo anche chi pensa – irresponsabilmente – di accorciare l’attuale limite delle 12 miglia nautiche a 5  per le trivellazioni petrolifere offshore 8.

Come spesso ho detto su queste pagine non è possibile immaginare un progetto di crescita materiale infinita in un sistema finito quale lo è un pianeta. Il concetto principale dell’attuale economia planetaria, il PIL (Prodotto Interno Lordo), non può crescere indefinitamente senza provocare un danno irreversibile all’intero habitat terrestre. Occorre che l’Umanità se davvero tiene a sé stessa e alla sua esistenza si dia altri obbiettivi e diversi traguardi  da raggiungere.
Altrimenti che continui a farsi male così, ascoltando vecchi ciarlatani ossessionati dalla ricchezza materiale che neppure più sanno a cosa serve il PIL, sperando che poi impari a nuotare in fretta …



Attentato a Brindisi uccide due studentesse.

Stamani alle 07:45 (Tempo di Roma) 2 ordigni nascosti vicino all’Istituto Morvillo Falcone sono esplosi uccidendo 2 studentesse e altri 7 studenti sono rimasti feriti in gravi condizioni.
La vigliaccheria di piazzare ordigni in Italia è nota da decenni, meno noti alla giustizia sono i mandanti e gli esecutori.
La novità è che questa volta non si colpisce una manifestazione politica, un obbiettivo strategico o una persona scomoda.
Qui si è voluto colpire la scuola, il futuro e le nuove generazioni.
La scuola e l’istruzione fanno paura, da sempre. Perché la conoscenza scaccia l’ignoranza e la paura, rende le persone consapevoli delle loro condizioni sociali e dona loro gli strumenti per migliorarsi.
E la conoscenza in mano alla gioventù spaventa molto.
Spaventa la criminalità organizzata perché perde consenso, mano d’opera e mercato.
Spaventa tanti, troppi interessi e gruppi perché li possa elencare tutti …

Il Poliedrico

25 Aprile, la giornata del Perdono

Umby

Permettetemi una riflessione.

Se da queste pagine parlo a Voi di scienza è perché ho avuto accesso tra mille difficoltà familiari a una Istruzione  (con la I maiuscola) Pubblica, a una forma di libertà di pensiero e di azione che mi è stata garantita fin dalla nascita dalla Nostra Carta Costituzionale Repubblicana.

La Costituzione nacque col sacrificio di migliaia di Cittadini che, pur essendo molti di loro analfabeti o quasi, credevano in ideali di Equità e Giustizia e sapevano benissimo distinguere il Bene – Comune – dal Male 1.
Cittadini Italiani che donarono il loro sangue e le loro giovani vite perché la Costituzione della Repubblica Italiana venisse finalmente scritta
2.

Oggi io chiedo pubblicamente perdono a quei Ragazzi per come è stato distorto e stravolto il Loro Sacrificio, L’Italia di oggi non è quella che Loro sognavano per noi.
Tutte le Istituzioni, il Parlamento, il governo, i partiti, la politica tutta 3 in questa giornata – e per ogni altro giorno – dovrebbero chiedere il perdono per non essere riusciti in oltre sessanta anni a eseguire il loro compito di Servitori dello Stato e attuatori della Costituzione.
Hanno permesso che altre entità esterne prendessero il sopravvento sullo Stato e diventassero più importanti della libera volontà della maggioranza dei Cittadini senza chiedere esplicitamente il loro consenso.

Chiediamo perdono a chi è morto per liberare l’Italia dal nazifascismo e ripudiamo pubblicamente chi ci ha venduti di nuovo agli stranieri  e vilipeso la Costituzione della Repubblica Italiana.


Fonti rinnovabili a rischio in Italia?

Una ottusa visione (quasi ottocentesca) del problema energetico italiano rischia di compromettere i buoni – ma ancora scarsi – sforzi per introdurre le fonti energetiche rinnovabili nel nostro Paese. Intanto, una falange di filonuclearisti chiede con insistenza all’attuale Governo Italiano di dichiarare nullo il parere dei Cittadini espresso nel refendum dello scorso anno 1.

Umby

Tutto ebbe più o meno inizio dopo il primo referendum antinuclearista italiano nel 1987, quando sotto  l’onda emotiva del Disastro di Černobyl’ gli italiani scelsero di abbandonare la via dell’energia atomica quale fonte energetica.
A quel punto lo Stato Italiano per mezzo dell’Enel 2 decise di costruire – o riconvertire come nel caso di Montalto di Castro (Viterbo) – nuove centrali a policombustibile che, unite a quelle preesistenti, alle centrali idroelettriche e geotermiche, adesso arrivano a un volume di energia di picco teorici di 95-100 GW  contro i 30-40 GW consumati quotidianamente in Italia [1.   ].
In Italia si è investito troppo in impianti a cicli combinati: circa 25 miliardi di euro, nonostante che già fosse evidente in ambito accademico fin dagli anni ’80 la necessità di limitare il ricorso alle fonti di combustibile fossile e che nel 1997 venisse approvata l’intesa del protocollo di Kyōto 3.
Con l’aggiunta di circa 30 TWh dalle risorse rinnovabili generate dall’eolico, biomasse e fotovoltaico (circa il 10% del consumo lordo totale) alla produzione tradizionale, l’offerta di energia adesso è spaventosa. Mentre però gli impianti più vecchi sono ancora incentivati con la delibera Cip6 4, gli impianti più nuovi per ripagarsi gli investimenti dovrebbero funzionare circa 4-5mila ore l’anno, invece ne stanno funzionando, quando va bene, 3mila 5.

I dati forniti dal GME (Gestore Mercati Energetici)  indicano che una volta c’erano due picchi nel prezzo dell’energia, uno di giorno, verso le 11 di mattina, e uno di sera, verso le 18-20.
Adesso il picco mattutino è scomparso – grazie anche al fotovoltaico che in quelle ore raggiunge il massimo dell’efficienza giornaliera – mentre il prezzo si impenna proprio durante il picco serale, due volte il costo medio del primo pomeriggio e fino a quattro volte quello notturno. Il perché è presto detto: i produttori cercano di compensare il minor costo che ha l’energia durante il giorno per rientrare delle spese.
Un modo per ridurre il costo del picco serale ci sarebbe, ma questo viene sottoutilizzato (meno di un quarto rispetto a soli dieci anni fa), altrimenti gli impianti a policombustibile lavorerebbero ancora meno: si tratta dei pompaggi idroelettrici 6. In questo modo, il costo del picco serale potrebbe essere abbattuto dalla maggiore offerta di energia derivata dall’idroelettrico.
C’è da dire per correttezza di informazione che i pompaggi rendono solo il 70% dell’energia spesa per spostare l’acqua dal basso verso l’alto, mentre di notte una centrale a policombustibile può essere spenta o fatta funzionare al minimo. Il costo del combustibile rappresenta più del 70% del costo complessivo del KWh, rendendo di fatto economicamente sconveniente il ricorso ai pompaggi idroelettrici notturni.
Solo se il costo energetico del KWh dovesse ancora scendere per l’effetto della produzione eolica o delle centrali a biomasse – che funzionano anche di notte –  potrebbe tornare in questo caso conveniente ricorrere ai pompaggi. L’unico grande problema è che la maggior parte dei bacini idroelettrici è nel nord Italia mentre i più grandi impianti eolici sono nel sud del paese.

Il problema italiano quindi adesso è chiaro:
la mancanza di un piano energetico nazionale a lungo termine (20 – 50 anni) stilato da autorevoli e indipendenti studi non c’è, non è mai stato voluto e ancora qualcuno ha interesse che non ci sia. Abbiamo – come italiani – sul groppone infelici scelte energetiche che hanno investito troppo sui combustibili fossili tradizionali e che adesso si devono ripagare. Inoltre lo scherzo delle paroline “e assimilate” ha dirottato almeno il 75% dei fondi stanziati per lo sviluppo delle energie rinnovabili 7  8 per tutti questi anni verso qualcosa che non è mai stato nello spirito per cui la delibera Cip6 era stata pensata, costringendo poi i Governi a rifinanziare altri incentivi per queste risorse preziose 9.
Prima si studi, si pianifichi e si attui un piano energetico nazionale serio e di lungo respiro che tenga conto delle innovazioni tecnologiche nel settore delle energie rinnovabili e del risparmio energetico come vincoli portanti.
Se poi quindi si rende necessario rivedere anche i meccanismi di incentivazione presenti nella bolletta elettrica per offrire nel frattempo un reale risparmio ai cittadini, ma anche al Paese, che per prima si tolgano le due famigerate paroline dall’impianto Cip6.


fonti:
http://qualenergia.it/articoli/20120329-ecco-chi-danno-fastidio-le-rinnovabili
http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/7333-referendum-nucleare-veronesi-monti
http://ilpoliedrico.com/
http://it.wikipedia.org

Global Warming, New Deal and the foolishness

La differenza fra politico e statista. Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione.

Alcide De Gasperi

 

Umby

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è l’estremizzazione delle condizioni meteorologiche dovute a un  fenomeno tristemente noto come Riscaldamento Globale (Global Warming) 1.

Non è affatto facile dire di chi sia la colpa più immediata di questo fenomeno: potrebbe essere parte di un ciclo tutto sommato naturale di ampiezza secolare – la raccolta diretta delle informazioni sulla temperatura ha meno di duecento anni, oppure essere la conseguenza diretta della dipendenza della civiltà tecnologica attuale dai combustibili fossili 2.
Qualunque che sia l’origine del riscaldamento globale esso sta minacciando la nostra civiltà come nient’altro aveva fatto finora.
Per rimanere nel nostro cortile di casa, le cronache italiane di queste ore lo dimostrano ampiamente: è bastato un’ondata di maltempo generalizzato sul territorio nazionale che tutto si è paralizzato: traffico ferroviario e stradale , approvvigionamento elettrico e idrico paralizzato, rischio di esaurimento delle scorte di gas naturale per il riscaldamento … tutta una serie di incidenti che però si sono dimostrati efficaci per bloccare il paese per giorni e, in alcuni casi, per settimane.
Provate ad immaginare cosa potrebbero fare tanti singoli episodi di parossismo climatico tutti insieme: non molto tempo fa a Genova sono morte delle persone per l’imperizia di intubare un torrente nella città; piogge di 48 ore sono riuscite a paralizzare regioni intere con danni per milioni di euro: siccità che inginocchiano comunità e regioni che non vedono acqua da mesi con danni altrettanto gravi.
Eppure un minimo di prevenzione e di attenta pianificazione negli interventi sul territorio potrebbero evitare queste  spese: quello che è necessario per riparare – e ripagare – i danni è spesso molte volte il costo della semplice manutenzione e/o  messa in sicurezza del territorio. Strano che i tecnocrati prestati alla politica non mostrino di prestare abbastanza attenzione a questo.

La diga di Hoover fu costruita durante la grande depressione in maniera da fornire energia elettrica a basso costo per l'industria statunitense, fu inaugurata il 30 settembre 1935 dal presidente Franklin D. Roosevelt.

Occorre una leva per rilanciare l’economia? Nel 1933 Franklin Delano Roosevelt lanciò all’interno del progetto socioeconomico conosciuto come New Deal uno strumento potentissimo, il Works Progress Administration (WPA), che impiegò milioni di disoccupati nella creazione di grandi opere pubbliche che avrebbero cambiato il volto dell’America per sempre rendendolo moderno ed efficiente.
Un piano per la messa in sicurezza del territorio e l’avvio di opere per la ristrutturazione e l’efficienza  energetica nell’edilizia pubblica e privata sotto il controllo e la gestione di un’agenzia governativa simile alla WPA porterebbe innumerevoli benefici in termini di spesa per le emergenze, una minore dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico e il rilancio dell’economia interna e l’assorbimento della disoccupazione.
Un piano simile sarebbe ancora più efficace se fosse deciso e coordinato in sede europea, ma la miopia dei politici europei interessati più alla finanza che all’economia, più alle successive elezioni che al progresso preferiscono cinesizzare 3 il sud del continente europeo piuttosto che occuparsi del benessere comune dei popoli che sono stati delegati a guidare.

Il Global Warming mette la nostra civiltà di fronte a una scelta: continuare come se niente potesse mai accadere, continuare a inseguire il mito della crescita infinita che i ciarlatani neoliberisti predicano – con successo purtroppo – alla  politica internazionale  o decidere di cambiare per il futuro della civiltà e delle prossime generazioni.
Certo è che se continueremo ad inquinare e consumare come abbiamo fatto finora il pianeta si scrollerà  di dosso la razza umana e continuerà come se questa non fosse mai esistita.

Il Punto Triplo dell’Umanità

Chiedo venia per aver trascurato il blog questo mese. Tra lavori domestici non più rimandabili e alcuni problemi di salute (leggasi acciacchi di vecchiaia) ho avuto altro a cui pensare. Cercherò di porre rimedio nei prossimi giorni con due chicche che sto partorendo.

 

Questo video mostra il ghiaccio marino artico dal 7 marzo 2011 al 9 settembre 2011. Alla fine un confronto tra la media di 30 anni di estensione minima (in giallo) e il mitico Passaggio a Nord-Ovest che collega il Mare del Nord (Oceano Atlantico) con l’Oceano Pacifico settentrionale (in rosso). (Credit: NASA’s Goddard Space Flight Center)

 

È molto tempo che desidero scrivere su queste pagine una riflessione su quello che sta accadendo alla nostra società squassata da una grave crisi economica che si somma a un sempre più accentuato calo delle risorse naturali e il sempre più vicino e irrimediabile collasso del nostro ecosistema.

I dati diffusi dalla NASA lo scorso 4 ottobre 1 mostrano un Oceano Artico ormai compromesso dal riscaldamento globale, inequivocabile segno che purtroppo il pianeta si avvicina all’orlo di una crisi ecologica senza precedenti nell’arco della storia della civiltà umana.

La crisi economica globale di questi ultimi tre anni ha provocato una importante contrazione dei consumi che si è tradotto in un moderato miglioramento della qualità delll’aria del pianeta, mostrando quanto sia importante l’impatto antropico sull’andamento climatico globale.
Nonostante il leggero ritocco al ribasso dei gas serra di origine antropica, questo non è bastato a invertire la tendenza al riscaldamento globale, né tantomeno a stabilizzarla. Occorrono sforzi molto maggiori che tradotti su scala reale significano un cambiamento reale di società e di mentalità.

Adesso assistiamo a quello che io chiamo “il Punto Triplo dell’Umanità” – crisi economica, fine delle risorse naturali non rinnovabili e rischio di catastrofe ambientale globale.  Questo dovrebbe far  riflettere seriamente sulle possibili soluzioni e le conseguenti strategie socioeconomiche su larga scala da intraprendere.
Le alternative possibili all’attuale modello di sviluppo capitalista-liberista non sono molte: c’è chi ritiene che una decrescita lenta e costante in termini di PIL sia l’unica soluzione; un’altra è quella di rimettere in campo tutta una serie di regole e paletti all’economia finanziaria sulla falsariga di  quello che Franklin Delano Roosvelt fece durante il New Deal.
Finora però le ricette economiche messe in campo per risolvere questa crisi sono portroppo le stesse che l’hanno causata: aumento dei consumi, contrazione delle sovranità nazionali e libertà di sfrutttamento delle poche risorse planetarie ormai disponibili per inseguire il mito della crescita incondizionata del PIL (Prodotto Interno Lordo) 2.
L’aumento della produttività – e quindi ovviamente dei consumi – implica gravi conseguenze per l’intero ecosistema, da un lato occorre reperire sempre più risorse  in un sistema finito, il che, logicamente, è un nonsense, e dall’altro richiede un mercato che abbia la disponibilità di acquistare i prodotti, tralasciando volutamente la conseguenza dello smaltimento dei prodotti giunti a fine vita, il che è un’altro enorme problema, soprattutto in termini di inquinamento.
Ma se una larga fetta dell’umanità viene tenuta fuori dal circuito dell’accesso al credito, e anche nei paesi industriali vengono chiesti alla popolazione grossi sacrifici economici (accade negli Stati Uniti d’America, in vari Paesi Europei e dell’America Latina), chi ha il diritto di beneficiare dell’aumento della produttività?
La filosofia ultraliberista degli ultimi 30 anni portata avanti da Ronald Reagan (eletto Presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989) e da Margaret Tatcher in Europa (eletta Primo Ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990) ha smantellato definitivamente i pochi  paletti alla finanza che erano spravvissuti alla fine degli accordi di Bretton Wood nel 1971 3.
Questa filosofia è fondamentalmente la stessa che produsse nel 1929 la Grande Depressione, anche i nefasti risultati – una classe molto ristretta sempre più ricca mentre l’altra va impoverendosi sempre più  e che allora in Europa vide affermarsi spietate dittature – sono gli stessi: solo che al posto di dittature nazionali adesso abbiamo imperi multinazionali che non si fanno scrupoli nella loro azione di lobbying presso le istituzioni politiche nazionali, o divenendo essi stessi strumenti politici senza alcuna legittimazione elettiva.
Lungi da me ritenere che la filosofia ultraliberista sia l’unica responsabile del disastro ecologico (anche il socialismo sovietico si fece beffe dell’equilibro ecologico del pianeta e adesso il capital-comunismo cinese sta facendo altrettanto), occorre una visione completamente nuova prima che sia troppo tardi.
Occorre un piano globale che ponga fine allo sfruttamento scellerato delle ultime risorse del pianeta e usare queste piuttosto per avviare una massiccia riforma energetica planetaria basata sulle tecnologie rinnovabili, sullo sviluppo dell”agricoltura locale e la biodiversità, e quale riforma  più importante di tutte, il riordino delle priorità economiche e umane.
Se vogliamo che la razza umana abbia qualche chance su questo pianeta, probabilmente questa è l’unica via: abbandonare la filosofia dell’incremento del Prodotto Interno Lordo come indice per misurare le capacità e il benessere (!) delle nazioni e fine ultimo di questa logica economica perversa in favore di un più importante indice in cui al centro ci sia la valorizzazione dell’essere umano, del suo intelletto e delle sue capacità.
Questo vorrà dire la fine dell’esperienza capitalista, delle lobbies di potere e le loro ricchezze? forse, ma in gioco c’è il futuro dell’intera civiltà.
Non è questa una riflessione di stampo  marxista o socialista come forse a qualcuno potrà sembrare, è solo una riflessione sulle parole più sagge che potevano essere concepite da mente umana e che furono scritte 224 anni fa:

Noi, il popolo [ ], al fine di perfezionare la nostra Unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità all’interno, provvedere alla difesa comune, promuovere il benessere generale, salvaguardare per noi e per i nostri posteri il bene della libertà, poniamo in essere questa Costituzione quale ordinamento per gli Stati Uniti [ ].

Meritocrazia e libertà fondamentali

Tra le libertà fondamentali garantite all’essere umano e sancite nelle Costituzioni democratiche moderne ci sono la libertà di espressione e di credo religioso. Ma quanto vale l’abuso di questi diritti?

Nei giorni scorsi, in alcuni interventi a Radio Maria, il vice presidente del CNR Roberto De Mattei ha affermato che le catastrofi naturali,  come il terribile terremoto che ha devastato il nord del Giappone  a cui faceva esplicito riferimento, “sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio”.
Non contento della discutibile sparata, se non altro per rispetto per le migliaia di vittime giapponesi a cui vanno aggiunte le vittime della centrale nucleare di Fukushima che verranno nei prossimi mesi o anni,  ha invitato a riflettere, sempre dai microfoni dell’emittente fondamentalista,  sulle affermazioni – io le chiamo farneticazioni – di uno storico cristiano del V secolo, Salviano di Marsiglia, che attribuiva  la caduta dell”Impero Romano ai comportamenti immorali e innaturali di pochi cartaginesi  omosessuali e che i barbari provenienti dal nordest dell’Europa fossero una sorta di spirito purificatore.

Personalmente non mi importa un fico di cosa pensi il creazionista De Mattei, esso è libero di pensarla come vuole, che il mondo sia stato creato da Dio il 23 ottobre del 4004 a.C. alle 12:00 in punto  1giusto all’ora di pranzo, che i resti fossili dei dinosauri siano un’invenzione del Diavolo come anche il decadimento radioattivo delle rocce che indica la reale età della Terra, e che la Terra è piatta al centro dell’Universo.
Anzi, se gli fa piacere, può anche mutilarsi la carne se il suo credo religioso glielo impone per quanto me ne importa.

Quello che penso sia discutibile e anche di cattivo gusto è che approfitti della sua posizione politica di vice presidente del CNR per divulgare al resto del mondo le sue poco scientifiche e balzane idee.
Da privato cittadino può anche andarsene in televisione, alla radio o nelle piazze a divulgare il suo pensiero, perché è un suo sacrosanto diritto, ma comunque dopo essersi allontanato da un incarico così prestigioso come la vice presidenza di un istituto di ricerca scientifica nazionale.

Si fa un gran parlare di meritocrazia e di valore della ricerca scientifica, allora De Mattei si dimetta dall’incarico e rinunci ai 100 000 euro  -tutti dei contribuenti – di stipendio all’anno, lasci il posto a scienziati più meritevoli, così che possa fare quello che veramente ama fare: il telepredicatore.

Link esterni:

Roberto de Mattei, sodomiti, castigo, provvidenza

”Il terremoto? Voce della bontà di Dio”: bufera sul vicepresidente Cnr Roberto De Mattei

Napoli, Italy

Napoli dallo spazio. Credit: Paolo Nespoli (ESA-NASA)

“Suol dirsi che Napoli abbia un gran nemico, il Vesuvio.
Chi non ne ha?
Altrove è un fiume, forse, altrove un lago, altrove l’aria pestilente.”
1

Come non dar ragione al nostro astronauta Paolo Nespoli, attualmente a bordo della stazione spaziale internazionale ISS, che vede inquietante la presenza di un vulcano attivo in mezzo alla città di Napoli?
Sì, perché quei paesi che sono ancora chiamati Portici, Torre del Greco, Boscotrecase, Ottaviano, Somma Vesuviana etc. in realtà sono tutti attaccati tra loro e con la città di Napoli sotto l’imponente spinta della crescita demografica del recente passato e dalla disordinata urbanizzazione del territorio (anche dei frequenti abusi edilizi).
Il Vesuvio, anche se ora è dormiente, è un terribile vulcano esplosivo ancora attivo, l’ultima attività importante risale al 1944 e i vulcanologi temono un prossimo devastante risveglio del vulcano.
I piani di evaquazione messi a punto dalla Protezione Civile sono largamente insufficienti, ma non per sua colpa:  da 600.000 a 1 milione di persone che dovrebbero fuggire dalle loro case con un preavviso di poche ore, attraverso strade inadatte a sostenere l’evacuazione, con la popolazione che non viene stimolata con esercitazioni continue.

Potremmo dire che la colpa è dei politici e che in democrazia  questi  sono scelti dal popolo. Vedendo la foto mi domando: gli abitanti di questa megalopoli hanno potuto veramente scegliere democraticamente i responsabili della loro devastazione?

Caos nel Mediterraneo

Preferisco più parlare di scienza che di politica, scusate se però qualche volta non mi trattengo, specie ora che i media nazionali parlano solo di bordelli e mignottume vario…

Manfestante tunisino

La situazione politica nel mediterraneo sta esplodendo: la Tunisia ha rovesciato il suo dittatore Zine El Abidine Ben Ali  il cui partito (RCD) alle elezioni del 2009 aveva riscontrato l’89.62% di consensi, più o meno come nelle vecchie finte democrazie socialiste mitteleuropee del secolo scorso (per questo si parla di percentuali bulgare), dopo che Wikileaks aveva rivelato il pensiero di dell’ambasciatore americano sul l’ex Presidente 1, 23.

Wikileaks è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma la realtà è che il paese era stremato e alla fame, senza più prospettive per il futuro, governato da una dittatura imposta dall’esterno 4 e che verso l’esterno doveva rispondere.

L’Algeria, scossa nei giorni scorsi dallo stesso furore tunisino,  in queste ore sta meditando per un rimpasto di governo 5 ma credo che non sarà sufficiente, purtroppo.

L’Egitto è teatro in queste ore di una rivolta popolare per gli stessi motivi, disoccupazione, caro vita, corruzione  e stipendi da fame contro una dittatura che non esita a sparare sui giornalisti e che taglia tutte le telecomunicazioni col mondo per non far trapelare – inutilmente- il quadro drammatico del paese 6.

Per la cronaca, lo stesso sta accadendo in Albania, più o meno per le stesse ragioni, nonostante le lodi sperticate della Banca Mondiale 7, 8.

Non sto a fare la cronaca di queste ore drammatiche, voglio però sottolineare una cosa: questi regimi hanno vissuto tutto questo tempo grazie anche al consenso dei paesi occidentali, soprattutto europei, preoccupati da un ipotetico mega-stato musulmano e dal fondamentalismo religioso, che hanno permesso a questi dittatori corrotti di rimanere al potere (a moglie delll’ex Presidente tunisino Ben Alì è scappata con 1, 5 tonnellate d’oro 9 e di depredare la popolazione.

Questa  è miopia, stoltezza. Se avessero chiesto e appoggiato più democrazia e sviluppo sociale, non esisterebbe ora un reale pericolo fondamentalista religioso musulmano  10 nella regione, la colpa è nostra perché non abbiamo obbligato le nostre classi politiche di chiedere qli stessi nostri diritti quando interagiscono con Stati non proprio liberi e non proprio trasparenti.

Sarebbe ora di incominciare a chiedere….