Sogno di una notte di mezza estate

 

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Ho un ricordo piuttosto nebuloso di questo momento, avevo solo 3 anni e francamente allora non ero in grado di capire cosa significasse esattamente.
Negli anni immediatamente successivi, fino all’ultima missione Apollo, la 17 con il comandante E. Cernan, R. Evans e H. Schmitt del dicembre 1972, era stato aperto uno spiraglio per l’Umanità che per colpa della stolta miopia di alcuni uomini fu subito richiuso.

L’idea della Corsa allo Spazio tra Stati Uniti d’America e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nacque come sfida militare per dimostrare chi delle due fosse la società tecnologicamente più avanzata. Due modelli sociali completamente opposti che però per un attimo impararono a cooperare nel programma congiunto Skylab, antesignano della moderna – ormai non più – Stazione Spaziale Internazionale.
Mi ricordo che avevo un soldatino di plastica bianco. Non era un soldatino vero e proprio: era un astronautino delle missioni Apollo di quegli anni gloriosi, trovato come gadget in qualche sacchetto di patatine. Lo portavo sempre con me, anche a scuola, prima che lo perdessi. Lo usai anche come modello per un disegno in classe per ricordare proprio l’ultima delle missioni Apollo; avrò disegnato sicuramente uno sgorbietto, non sono mai stato bravo nelle arti manuali, ma mi ricordo che ne ero fiero e che quando mi veniva chiesto rispondevo che da grande sarei diventato astronauta proprio come Schmitt, Armstrong e gli altri. Erano quelli i miei eroi.
Poi però la vita mi ha dato ben altro, non sono diventato astronauta come avevo sognato e neppure astrofisico, eppure non mi sono arreso! Nonostante tutto ho caparbiamente continuato a sognare e a credere nelle mie capacità fino a diventare quello che conoscete.
Ma credetemi quando dico che non cambierei una virgola della mia vita finora trascorsa, anche i miei sbagli e le tante sofferenze – che come tutti – ho dovuto subire. Esse mi hanno plasmato e fatto crescere, mi hanno reso ciò che sono, nel bene e nel male, e di questo ne sono fiero.
Anche per me in quei lontani anni si era aperto uno spiraglio che qualcuno cercò in fretta di richiudere. Intanto però quello spiraglio si era fatto sogno e i sogni non si possono sopprimere, forse solo ritardare e io, pur azzoppato, il mio sogno provo a viverlo anche attraverso queste pagine.

Penso ai tristi momenti di Nizza, di Parigi, di Baghdad, di Beirut e le migliaia di tensioni etniche e religiose nel mondo, di interi popoli oppressi da veri dittatori e schiacciati da false democrazie. E ripenso a quel piccolo passo compiuto da un Uomo su un altro mondo e al grande balzo che avrebbe potuto fare l’Umanità intera negli anni successivi se solo avesse avuto il coraggio di continuare.
Voglio sognare che quel breve spiraglio sia stato solo socchiuso; che quel sogno espresso da Armstrong con le sue parole possa trovare la forza di reagire così come ho fatto io.
Cieli sereni

L’importanza della divulgazione scientifica.

La scorsa settimana ho partecipato a una conferenza presso la Facoltà di Fisica dell’Università di Siena sui pianeti extrasolari tenuto dalla mia carissima amica – e collaboratrice di questo blog – Sabrina Masiero. Non sto a raccontare la cronaca dell’incontro, spero che presto sia disponibile l’intero filmato dell’evento, ora voglio parlare di qualcos’altro.
Sabrina è rimasta ospite qui a Siena per l’intero fine settimana, così che abbiamo avuto modo di parlare a lungo. È emerso come purtroppo spesso il ruolo di divulgazione sia considerato marginale rispetto all’altrettanto importante ruolo di ricercatore. Ovvio, fare ricerca significa accedere a fondi economici importanti, accedere a strutture all’avanguardia e progettarne di nuove; scrivere pubblicazioni, fare nuove scoperte e perché no, aspirare ad incarichi e vincere premi prestigiosi.
Vero, indubbiamente vero se si guardano le soddisfazioni personali, fare ricerca scientifica è indubbiamente gratificante, ma quella è solo la punta dell’iceberg di cosa è la scienza.
La ricerca fine a sé stessa finisce per essere autoreferenziale, oserei dire quasi inutile.  È  come scoprire un immenso tesoro e non poterlo portar via al sicuro; come scoprire un metodo banale per produrre diamanti in casa ma non poterlo usare perché altrimenti il loro valore di mercato crollerebbe a zero. La ricerca deve sempre essere accompagnata da una efficace opera di divulgazione, altrimenti non ha senso.
cosmos_saganQualche volta vengono portati alla mia attenzione opere d’ingegno di persone che – in buona fede – credono che la fisica in qualche punto è fallata e che  vada riscritta, o che, secondo loro, dovremmo aspettarci un certo risultato piuttosto che un altro in un particolare esperimento. Qualche volta trovo le loro domande legittime e degne di attenzione e altre volte, ben più spesso, mi accorgo che sono ragionamenti senza capo né coda, dove spesso si confonde la causa con l’effetto, si usano concetti assolutamente diversi ed estranei al loro contesto (un po’ come spiegare il Teorema di Pitagora con le leggi del moto lineare) e così via. Questi episodi, lungi da me causare ilarità o qualche risentimento, mi dicono invece la desolante realtà per quel che è. Mostrano che esistono persone dotate di senso critico e di passione ma che purtroppo non hanno le basi per poter giungere a qualcosa di coerente. A loro sono venute a mancare le fondamenta su cui si regge la scienza, la comunicazione e l’apprendimento. In parte accuso il sistema scolastico che qui, a parte poche eccezioni, pare schiacciato più sull’apprendimento mnemonico alla vecchia maniera che pensato per sviluppare un pensiero scientifico critico, finendo per scoraggiare tanti giovani studenti. Ma condanno senza appello anche il cortocircuito provocato di chi si balocca con l’autoreferenzialità delle sue posizioni, del “io so’ io e voi non sapete un …” di tanti soloni di cui ho accennato anche in un altro precedente pensiero [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/04/la-fusione-dei-ghiacciai-campanilismo-antiscientifico.html[/cite].
È qui che il ruolo di divulgatore scientifico – come il mio con questo modesto blog e quello di Sabrina per conto dell’INAF –  entra in gioco. Saper parlare di scienza ad un pubblico non specialistico è fondamentale. Vuol dire creare quell’anello di congiunzione tra la ricerca scientifica più avanzata e il pubblico. Significa saper capire il linguaggio spesso criptico dei ricercatori e di adattarlo senza stravolgimenti in qualcosa di comprensibile alle persone comuni. l’astronomo americano Carl Sagan e uno dei fondatori del Progetto SETI, divenne noto presso il grande pubblico per il suo libro Cosmos che era la trascrizione letterale di una serie televisiva di documentari per la PBS da lui condotta. Egli era un valente divulgatore, grazie al suo impegno valenti scienziati come Neil deGrasse Tyson sono venuti fuori e tanti altri meno noti hanno intrapreso una carriera scientifica arricchendo così tutta l’umanità.
Saper parlare e decidere di parlare di scienza è essenziale perché la scienza non sia percepita come il male e gli scienziati non siano visti come sciamani. Parlare di scienza significa dare alle persone la capacità di ammutolire gli stolti che oggi predicano contro i vaccini o che vendono acqua zuccherata a peso d’oro con la forza della ragione ma anche gli strumenti per comprendere quello che è vero dal falso, come le bischerate delle scie chimiche rilasciate dagli aerei. Significa trasmettere il testimone della curiosità scientifica alle nuove generazioni, nuovi ricercatori e divulgatori di domani, come il Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Siena Alessandro Marchini sta facendo con i ragazzi delle scuole superiori di qui.
Quindi non penso che essere divulgatori sia un ruolo secondario nella scienza, anzi è vero il contrario, e del compito  che mi sono ritagliato ne sono fiero.

Svecchiamento del blog

cappella_sistinaNiente è per sempre. Questo vale per tutto nell’universo.
Vale per la nostra tazza preferita, le nostre scarpe preferite, l’innamoramento del vecchio e quello del fanciullo.
Perché abbia senso tutto deve avere un inizio e una fine. Provate ad immaginare la vostra vita come fosse eterna. Vedreste nascere i vostri figli, per poi invecchiare e morire. Potreste innamorarvi e sposarvi e piangere la dipartita della persona amata innumerevoli volte, fino ad abituarvi agli ‘eventi e accettarlo passivamente fino a perderne l’interesse. Potreste imparare tutto: medicina, letteratura e tutte le altre scienze alla perfezione ma tutto lo scibile perderà pian piano anch’esso il suo fascino ai vostri occhi.
Tutti abbiamo paura della fine, di quella che chiamiamo morte, e chi non ne ha. Eppure sono convinto che l’immortalità al contrario sia tremendamente più spaventosa perché il suo prezzo sarebbe troppo alto in confronto.
La vita al contrario è cambiamento, è dinamismo. È accettare che se qualcosa nasce prima o poi dovrà finire e nel frattempo mutare, crescere e trasformarsi.
È per questo che anche Il Poliedrico si rinnova, abbandona alcune cose, come il calendario che forse tornerà in futuro, il Progetto Drake che non è più aggiornato da tempo e che probabilmente i suoi articoli saranno trasferiti qui, mentre le pagine social pian piano subiranno lo stesso maquillage mentre ora sono più a portata di mano.
Queste sono le novità. Buona lettura!

blog

La fusione dei ghiacciai e il campanilismo antiscientifico

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d'acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall'articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate. Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d’acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall’articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate.
Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

La scienza  aborre i campanilismi. Ogni campanilismo.
Solo 120 anni fa la Legge di Gravitazione di Newton pareva spiegare tutto: dalla caduta di un frutto dall’albero all’orbita della Luna e dei pianeti; eccetto uno. Un pianetino poco più di un terzo più grande della nostra Luna, Mercurio, ha un moto orbitale che non può essere spiegato con le leggi di Keplero, di cui la legge di Gravitazione Universale è l’espressione matematica. Occorse attendere la Relatività Generale di Einstein per capire perché quel sassolino nello spazio, così vicino al Sole, avesse quell’orbita. Per questo affermo che la scienza aborre ogni forma di campanilismo, ogni teoria è valida finché qualche fenomeno fino ad allora inspiegabile trova una nuova spiegazione universalmente valida.

E la climatologia è una scienza.  Può non sembrare esatta perché è estremamente complessa, ma è una scienza e come tale anche lei aborrisce i campanilismi.
Giusto stamani una mia carissima amica è stata oggetto di deploro per aver condiviso un articolo che nel titolo manifesta perplessità sulla responsabilità del Riscaldamento Globale sullo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia [cite]http://goo.gl/5WBgoS[/cite] [cite]http://goo.gl/xJ70qp[/cite]. Bastava leggere l’articolo senza soffermarsi al titolo per capire che esso descrive un fatto reale e che questa forma di campanilismo è quanto di più becero e lontano che ci possa essere dalla scienza.
Pur esprimendo conclusioni che io considero opinabili, l’articolo di cui offro il link più sotto, il primo, mette in evidenza un fenomeno forse poco conosciuto dai più ma che invece ha una grande importanza sugli effetti del clima: la neve sporca.
In pratica diversi studi del ricercatore Marco Tedesco del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, indicano che è in atto da almeno un paio di decadi un meccanismo di feedback positivo causato dalla maggiore capacità dei ghiacciai di assorbire la radiazione solare che provoca la loro fusione. La causa sono le polveri presenti nell’atmosfera e che la neve raccoglie a scatenare questo meccanismo. Durante la stagione più calda la neve che man mano si scioglie aumenta per ogni unità di superficie il tasso di impurità presente e che fino ad allora era intrappolata nel manto nevoso. Queste impurità aumentano la capacità di trattenere ancora più energia e questo provoca ancora altro discioglimento. I vari cicli di fusione diurna e congelamento notturno favoriscono la creazione di cristalli di ghiaccio ancora più grandi e meno riflettenti col risultato di abbassare ancora di più l’albedo – il rapporto tra la radiazione solare riflessa e quella in arrivo – dei ghiacciai, ossia un aumento del tasso di scioglimento di questi.
Dove sia la contraddizione tra questa notizia e il Global Warming in atto non lo capisco. Il clima globale è il risultato di tanti piccoli eventi e fenomeni che presi singolarmente alcuni di essi paiono in contrasto o che sembrano slegati fra loro.
IMG_0427Qui la componente comune col Riscaldamento Globale è da ricercarsi  nelle polveri. Non è affatto un mistero che già in passato siano state rivelate tracce di polveri inquinanti di origine antropica nelle carote di ghiaccio prelevate in Antartide [cite]http://www.nature.com/articles/srep05848[/cite] e in Groenlandia [cite]http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/es970038k[/cite], dove addirittura furono trovate tracce dell’inquinamento Romano e Cartaginese. Nell’aria il pulviscolo atmosferico (quella polvere che vedete sospesa nei raggi di luce che attraversano una stanza buia e che si accumula sotto i letti e sui mobili) è in perenne movimento; ogni volta che respirate fate entrare alcune particelle prodotte giorni e mesi fa in Cina, altre in India o in Perù o in Canada. Queste possono essere di origine biologica, minerale, il prodotto di processi industriali oppure un miscuglio di tutti questi. Le precipitazioni atmosferiche intrappolano e trasportano al suolo queste polveri e nel caso delle nevi possono rimanere intrappolate anche per anni e secoli; dipende dal clima locale.
Nel caso dei ghiacciai groenlandesi questo fenomeno di rilascio sta avvenendo ora. Non è necessario vedere la neve più sporca ad occhio nudo, al meccanismo di retroazione che ho descritto più sopra non serve; avviene.  E tutti i meccanismi di retroazione positiva, come questo, sono molto difficili da controllare e bloccare. l’unica cosa veramente efficace è quella di prenderne atto e di bloccarli alla fonte. Ovviamente non si possono fermare i fenomeni naturali come le polveri provenienti dai deserti – vi è mai capitato di scoprire che dopo una pioggia il vostro balcone o la vostra auto fosse ricoperta di una patina rossastra? quella è spesso la polvere del Sahara – o le eruzioni vulcaniche o il pulviscolo biologico. Ma molte polveri originate dalle attività umane sì. Abbattitori industriali che catturano le polveri delle ciminiere, conversione degli impianti di riscaldamento a olio combustibile a forme meno inquinanti e più efficienti (i frequenti allarmi dell’inquinamento metropolitano sono causati molto più dai sistemi di riscaldamento domestico che dal traffico automobilistico, solo che fermare le auto è più facile) abbandonare la tecnologia dei combustibili fossili là dove è fisicamente possibile.

Quindi non c’è contraddizione tra Global Warming e la fusione dei ghiacciai groenlandesi, alpini e del Tibet, così come non c’è con la morte della Grande Barriera Corallina australiana. Sono tutti fenomeni in gran parte riconducibili all’inquinamento umano che ha innescato diversi meccanismi che si autoalimentano e che sono quasi impossibili da controllare.
Qui ha ragione il Presidente Barak Obama quando afferma che noi siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per fermare tutto questo.  Non voglio che questa generazione sia ricordata come quella che poteva ma che non fece.

Le (buone) ragioni del partito del NO

Sono stato indeciso fino all’ultimo se scrivere questo post o meno; e passato molto tempo da quando parlavo di politica su queste pagine. Ma adesso credo che il momento sia maturo per affrontare l’importante argomento politico del Partito del NO a tutto; un partito abbastanza trasversale (da destra a sinistra, dagli accademici più premiati ai più fessi che si possono incontrare un po’ in ogni dove).
Purtroppo la corruzione endemica di questo paese ha impedito che in più di cinquant’anni non si completassero 500 chilometri di autostrada, dove i piloni stradali crollano per l’inconsistenza dei materiali usati eppure pagati 10 volte tanto quanto ne costerebbe uno buono. Fareste costruire una centrale nucleare, una piattaforma estrattiva o una semplice galleria (guardate in proposito il valico tra Toscana ed Emilia …) a costoro?
A volte dire no in questo paese anche se forse non sembra la scelta più logica da fare, inevitabilmente si rivela col senno del poi quella più giusta.
Aggiornamento: lo studio sui costi della linea ad alta velocità Torino -Lione della Corte dei Conti francese del 2012 non è più disponibile sul sito originale ma ne esiste una copia su web.archive.org.

images (1)Un detto abbastanza comune nel mondo anglosassone “Not in my back yard!” almeno in Italia pare riscuotere molto successo. Il perché di questo è presto detto: negli ultimi anni molti comitati cittadini si sono costituiti per dire NO a tante opere e infrastrutture volute spesso imposte come necessarie ed emergenziali da un certo modo, spesso sordo e non lungimirante, di fare politica.
Ma se fino agli anni ’90 del XX secolo la notizia dell’esistenza di molti di questi comitati cittadini spesso non varcava neppure i confini della propria provincia, con l’avvento della comunicazione democratica di Internet, la notorietà di questi comitati è – giustamente – esplosa. Si possono condividere o meno le ragioni di questi comitati, ma è giusto e anche democratico scoprirne l’esistenza e conoscere i motivi della loro battaglia.
Qualche volta il valore di queste battaglie è stato usato  anche a sproposito o per fini di visibilità, onorificenze e carriere politiche, ad esempio.

NO-NUKE

Prendiamo ad esempio i due referendum sull’uso dello sfruttamento a scopo civile dell’energia nucleare. Il primo, del maggio 1986, sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl gli italiani scelsero di abbandonare quel settore, nonostante che fosse ben evidente che la centrale nucleare sovietica era ben più pericolosa di una italiana: diversi i sistemi di raffreddamento del nocciolo combustibile e gli scopi per cui era stata creata. Uno di quei promotori di quel NO al nucleare vent’anni dopo, due legislature politiche e incarichi altrettanto prestigiosi, decise che era giunto il momento per l’Italia di riconsiderare le proprie scelte energetiche e, da buon lobbista, questa volta si schierò per il ritorno del nucleare in Italia.
Si dice che è prerogativa unica degli stolti quella di non cambiare mai idea, e infatti, non mi vergogno affatto a dirlo, nel 1986 infatti votai per l’uso civile dell’energia nucleare in Italia perché non esistevano ancora alternative economicamente più vantaggiose all’uso dei combustibili fossili.
Quello che negli anni mi ha spinto a riconsiderare la mia posizione  non è legata al mio percorso scientifico, politico e formativo, quanto piuttosto alle mutate condizioni socio-economiche del nostro Belpaese.
In primis le condizioni economiche e la tecnologia per lo sfruttamento delle tecnologie rinnovabili hanno reso virtualmente improponibile una riproposizione dell’energia nucleare in questo paese. Un centrale elettronucleare ha una vita tutto sommato breve a fronte dei suoi ingenti costi di realizzazione e gestione. Adesso non siamo nella situazione molto più rosea per i conti pubblici degli anni ’90. Con un debito pubblico così alto gli incentivi economici necessari al recupero della somma investita sarebbero improponibili, scaricando così i costi su tutta la collettività, mentre invece un investimento serio su un piano di rientro energetico a lungo termine basato sulle fonti rinnovabili sarebbe molto più economico, al di là delle solite bischerate raccontate sui costi indotti di queste.
Poi c’è l’aspetto secondo me ben più importante, anche se sembra di parte: la corruzione che parte dal piccolo “Lei non sa chi sono io!” fino ai vertici politici di questo Paese che non ha abbastanza memoria per ricordare i suoi macroscopici errori, come ad esempio – e perdonatemi se parto da lontano – gli infiniti errori nella pianificazione e nella costruzione della diga del Vajont, ma anche dei piloni dei cavalcavia che crollano prima – per fortuna – dell’inaugurazione delle strade, dei controsoffitti in materiale scadente di molti edifici scolastici, delle case della New Town del dopo terremoto dell’Aquila. Fareste costruire una centrale nucleare a chi lucra sulla bontà dei materiali una centrale elettronucleare anche se questa sulla carta fosse la più sicura del mondo? Io credo proprio di no, e principalmente per questi due motivi nel 2011 mi sono apertamente schierato per dire NO al ritorno del nucleare in Italia.
Ma se il mio NO al nucleare non vi sembra supportato da buoni motivi, esiste anche il mio NO alla linea ad alta velocità in Val di Susa.

NO-TAV

 Ulteriori dettagli Rapporto Alpinfo 2010 - Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi. Credit Wikipedia

Rapporto Alpinfo 2010 – Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi.
Credit Wikipedia

Il progetto della ferrovia Torino-Lione nasce in un contesto di viabilità europea sviluppato tra gli anni ’90 e il 2000. Il mastodontico progetto da 23 miliardi di euro nacque in un quadro economico precedente alla crisi economica del 2008 e dal quale l’Italia, ben lungi dai canti di sirena dei vari governi che si sono succeduti nel frattempo,  non è mai risorta. Qui valgono le stesse motivazioni economiche del quadro precedente e dico che essa è troppo costosa per potercela permettere. Inoltre proprio li vicino esiste già un’altro tracciato ferroviario molto simile: quello del Frejus. Questo tracciato, che già collega la Francia con l’Italia nacque nel XIX secolo ma durante tutto il ‘900 e il decennio appena trascorso è stato più volte aggiornato agli standard dell’epoca. L’ultima opera di ammodernamento risale al periodo 2003-2011 per un costo complessivo ufficiale di 108 milioni di euro (alcune voci parlano che in  realtà il costo finale sia stato intorno ai 400 e non stento a crederlo) ma che per colpa dei francesi che volevano risparmiare dalla loro parte l’opera in realtà è riuscita zoppa, facendo così di conseguenza lievitare i costi di manutenzione della tratta [cite]http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=11149[/cite].
Nel frattempo l’ipotesi che rendeva apparentemente spendibile il tratto Torino-Lione, lo scambio merci principalmente tra i due paesi in un più vasto quadro di collegamenti europei, veniva meno quando già diversi rapporti internazionali indicavano in realtà un prepotente calo nel transito delle stesse. Come se questo non bastasse, anche la stessa Corte dei Conti francese dichiarava nel 2012 che il costo di questa nuova infrastruttura era ben più alto rispetto ai benefici raggiunti [gview file=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2016/03/rapport_situation_perspectives_finances_publiques_2012.pdf”]
Poi dal punto di vista ambientale ci sono i rischi ambientali legati alla natura metamorfica delle rocce in quel tratto. Uno studio del 2003 del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena [cite]http://www.spintadalbass.org/images/sienaamianto.pdf[/cite] ha evidenziato la presenza di minerali di amianto, che ricordo essere estremamente tossico per gli esseri umani, che andrebbero smaltiti in modo poi adeguato per non esporre tutte le comunità montane limitrofe alle polveri del minerale, con conseguente innalzamento spropositato dei costi delle operazioni di scavo 1.

LTF (Lyon Turin Ferroviarie) ha stimato che i due tunnel principali (il tunnel di base e il tunnel di Bussoleno), le discenderie, ecc. riceveranno un flusso cumulativo di acque sotterranee compreso tra 1951 e 3973 L/s nel caso stabilizzato. Ciò equivale a una portata compresa fra i 60 e i 125 Milioni di m3 /anno, comparabile alla fornitura d’acqua necessaria a una città di circa 1 milione di abitanti. Il drenaggio delle acque sotterranee è tutt’altro che trascurabile comparativamente al ricarico totale delle acque sotterranee nelle zone situate lungo il tunnel. (Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino,   Client : European Commission – DG-TREN [cite]http://ec.europa.eu/ten/transport/priority_projects/doc/2006-04-25/2006_ltf_final_report_it.pdf[/cite])

Altri sudi scientifici (anche dello stesso consorzio committente, la Lyon Turin Ferroviarie, presentato alla Commissione Europea) indicano che l’impatto ambientale sul sistema idreogeologico non sono poi così piccoli come spesso si vuole far credere da chi vuole quest’opera. È inutile girarci intorno, i motivi per dire NO a questa costosissima e inutile opera pubblica internazionale sono tanti, mentre a favore cantano solo coloro che vogliono realizzarla costi quel che costi, anche a scapito di tutti i pareri e degli studi scientifici e qualificati, che ne dimostrano la totale inutilità. Forse anche per questo il governo italiano (Monti) nel 2012 cessa di considerare prioritario il traffico merci per una versione a più basso costo della tratta internazionale, ma i costi comunque sarebbero ancora troppo alti rispetto ai dubbi vantaggi che può portare, soprattutto considerando l’investimento – a paragone molto più contenuto – dell’ammodernamento del Frejus che i tirchi francesi hanno cannato.
Ma se anche qui i motivi economici non bastano (chissà perché quando si tratta di far risparmiare denaro della collettività questi motivi non vengono mai ascoltati), ecco che spuntano inchieste della magistratura italiana che dimostrano che “… negli ultimi trent’anni l’Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata…” [cite]http://www.repubblica.it/cronaca/2012/03/06/news/tav_saviano-31013967/[/cite] [cite]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/25/tav-aderenze-politiche-di-imprenditore-coinvolto-in-processo-per-mafia-per-lui-interventi-del-senatore-esposito/2067985/[/cite] [cite]http://video.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/de-magistris-la-tav-imbroglio-serve-far-fare-quattrini-mafia/bf9acb26-87b3-11e5-b16f-562f60a54edb[/cite] dimostrando ancora una volta di più la mia seconda convinzione sul NO convinto al nucleare si applica esattamente anche a questo caso. Garda a volte le coincidenze!

NO-TRIV

Il caso sul prossimo referendum del 17 aprile p.v. è un vero guazzabuglio giuridico che spesso confonde gli elettori. Non entro nel merito di discutere le motivazioni storiche che hanno portato 10 regioni (in seguito 9 perché l’Abruzzo, fino ad allora in prima fila per la battaglia referendaria poi improvvisamente si è ritirato) a chiedere il referendum nazionale perché riguardano anche lo spirito politico personale di ognuno di voi e di me e io non voglio influenzare nessuno facendo una sterile campagna politica.
Nonostante vi siano molti siti internet che spiegano le ragioni del dire SI e del NO, una valutazione scientifica ed economica sono necessarie per decidere cosa scegliere di votare.
Questo è il testo del quesito referendario:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Ora andarsi a leggere tutto il decreto e le sue successive modifiche è una fatica immane che mi sento di risparmiarvi, dico solo che il bizantinismo delle leggi italiane è qualcosa di unico fatto apposta perché le persone normali non possano interpretarlo, un po’ come la supercazzola del Conte Mascetti nell’ottimo film “Amici miei“; uguale.

Questo è il quadro normativo che uscirebbe in caso di vittoria del SI 2, in neretto barrato le parti che verrebbero cancellate:

«17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l’aliquota di prodotto di cui all’articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l’olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell’incremento dell’aliquota ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione , rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino.»

Credit: il Sole 24 Ore

Credit: il Sole 24 Ore

Questo significa che ai pozzi estrattivi entro le 12 miglia marine, principalmente il giacimento di Guendalina (Eni) nel Medio Adriatico, il giacimento Rospo (Edison) davanti all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) al largo di Ragusa, debbano cessare le estrazioni al termine della durata di concessione. Sul Sole 24 Ore del 22 febbraio scorso si suggerisce che gli altri sono troppo vecchi e quasi completamente esauriti per essere interessanti o non rientrano nello spettro delle dodici miglia dalla costa: oppure no?
Ora possiamo leggere dal suddetto articolo di legge (quello toccato dal referendum) che ogni attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione 3 di idrocarburi non siano comunque consentite entro le 12 miglia marine, ma prevede anche però per le concessioni già esistenti la prosecuzione delle suddette attività per tutta la loro durata temporale. La vecchia disciplina italiana (normata dalla legge n. 9 del 1991 e n. 152 del 2006) prevedeva concessioni della durata trentennale, prorogabili per tre volte: la prima proroga sarebbe stata di dieci anni le altre due di cinque. Scaduti i 50 anni complessivi, le aziende avevano la possibilità di proseguire le trivellazioni, previa richiesta, fino all’esaurimento del giacimento senza però svolgere altre ricerche. Con la modifica imposta nella Legge di Stabilità del 2015 si è voluto estendere tutta la durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti ma, siccome il diavolo è spesso nei dettagli, questo garantisce anche la possibilità di fare nuove ricerche, prospezioni e estrarre da nuovi pozzi accanto a quelli già esauriti con la stessa concessione!
Di fatto la situazione legislativa attuale tornerebbe ad ad essere quella prevista dalle leggi del 1991 e 2006; basta. Torneranno a non essere possibili nuove ricerche, prospezioni ed estrazioni entro le dodici miglia marine per coloro che attualmente detengono una concessione entro questo limite da sfruttare, che invece in caso di vittoria del fronte del NO o di non raggiungimento del quorum sarebbero trasformate de facto in concessioni a tempo quasi indeterminato col diritto di ricerca e sfruttamento in perpetuo.

Un’argomento che ricorre spesso – a sproposito secondo me – al fronte del NO è che così in caso di vittoria del SI l’Italia rinuncerebbe a 126 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio accertate a fronte di 58 milioni di tonnellate equivalenti di consumo complessivo. Questo equivarrebbe al fabbisogno energetico di appena due anni (25 mesi appena!). Attualmente però solo il 7% del fabbisogno energetico italiano di origine fossile viene estratto nel territorio italiano. Solo appena qualche mese fa (12 dicembre 2015) e solo pochi giorni prima della pessima trovata nella Legge di Stabilità (28 dicembre) il governo italiano aveva firmato l’Accordo Internazionale sul Clima (Conferenza di Parigi) COP 21; in più, accordi interni all’Unione Europea (Accordo Europeo 2020) impegnano il nostro Paese a ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, a raggiungere entro tale scadenza il 20% (almeno) del fabbisogno energetico nazionale da fonti rinnovabili (e non coi trucchetti delle equiparate del CIP 6 che consentono di bruciare le peggio schifezze dei residuati petroliferi e la spazzatura!) e un aumento sempre del 20% almeno dell’efficienza energetica. Invece con la vittoria del NO o con il mancato raggiungimento del quorum si sta perseguendo una strada pericolosa e in netta controtendenza con le raccomandazioni e gli impegni presi dall’Italia in sede internazionale.
Molte altre sciocchezze poi sono state dette dal fronte del NO che non sto a ricordarle e ribatterle tutte; già ora ho scritto tantissimo e ho molte altre cose da dire (o sassolini da togliermi dalla scarpa).

Il bastian contrario

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l'efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illluminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c'è ancora molto da lavorare sul fronte dell'effficientamento.

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l’efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illuminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c’è ancora molto da lavorare sul fronte dell’efficientamento.

Nei giorni scorsi il direttore di una nota rivista scientifica accomunava i NO a tutto, NO-NUKE, NO-TRIV (i SI al prossimo referendum), NO-EOLICO, NO-OGM e così  via agli antivaccinisti, agli anti pesticidi e così via cantando, salvo poi giustificare poche ore dopo il suo strambo ragionamento affermando che “non esiste un pasto gratis“. È vero non esistono pasti gratis, soprattutto quando dovremmo cercare di preservare senza stravolgere inquinare e distruggere quello che abbiamo e che dovremmo preservare per le generazioni future.
Io trovo che sia demenziale distruggere un bosco, un campo o un prato per piazzarci supra centinaia di metri quadrati di pannelli solari, quando gli stessi potrebbero essere integrati ben più produttivamente sui tetti delle case e dei fabbricati industriali e rivedere in concreto il paradigma della produzione centralizzata di energia.
Trovo demenziale devastare i fianchi delle montagne per le centrali geotermiche (vedi il caso Amiata) a grande entalpia quando sarebbe ben più produttivo, ecologico e sicuro (anche come impatto ambientale e paesaggistico) costruire le nuove strutture, e adattare quelle più vecchie, allo sfruttamento del geotermico a bassa entalpia che si può usare anche in zone non geotermicamente sensibili (a Follonica (GR) esiste dal 2011 un quartiere dove le abitazioni sono virtualmente a costo zero per l’energia consumata).
Trovo addirittura idiota rendere l’intera penisola uno spazioporto per gli  assai improbabili alieni con tutta quella luce improduttiva rivolta contro il cielo; da astrofilo e uomo di scienza la trovo un insulto all’intelligenza e da italiano come un furto alle mie tasche.
Invece di volere sventrare montagne come in Val di Susa, di voler costruire improbabili centrali elettronucleari che richiedono molta acqua per funzionare (le facciamo sul PO, l’Arno o il Tevere?) e la cui produzione di energia non è né semplice – tutte le riserve mondiali di uranio e torio coprono appena un arco temporale di 50-100 anni e sono tutte in mano straniera –  e né facile da modulare (quella notturna i cari cugini d’oltralpe sono costretti a svenderla quasi sottocosto, altro che pasto gratis!), distruggere la fauna ittica (e così anche la nostra industria ittica e tutto il suo indotto di centinaia di migliaia di famiglie 4 ) entro le nostre 12 miglia per qualche bicchiere di maleodorante bitume o una sniffata di metano (come gas serra il metano è ben più pericoloso – 23 volte – dell’anidride carbonica tanto che gli allevatori neozelandesi pagano 60 centesimi l’anno per ogni bovino e ben 8 euro per ogni pecora), non crede caro direttore che sia giunta l’ora di mettersi a investire sul serio (di buzzo bono come diciamo a Siena) su soluzioni concrete al problema energetico italiano con un piano di riconversione serio che escluda – per principio – l’uso di energia fossile se non come soluzione temporanea d’emergenza?
Altri paesi si stanno ingegnando per raggiungere la piena autosufficienza energetica puntando tutto sulle risorse rinnovabili; perché non dovremmo fare altrettanto noi? La porta di questo blog sarà sempre aperta ad una sua risposta.

ps. Io, mia moglie e i miei due figli siamo tutti vaccinati, mangiamo pasta di frumento Creso e sfruttiamo l’energia solare termodinamica per lavarci tutto l’anno.
pps. Io possiedo e uso un’ottima auto ibrida …


Note:

A spasso nel cielo

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Ed eccoci qua con uno dei primi appuntamenti più visibili di quest’anno. Per tutto il mese di febbraio infatti saranno visibili nel cielo subito prima dell’alba tutti e cinque pianeti noti fin dall’antichità: Mercurio e Venere, i due pianeti più vicini al Sole di noi, e Saturno, Marte e Giove in ordine di distanza apparente dal Sole sul piano dell’eclittica; come è evidente dalla foto qui sopra. Qui in effetti Mercurio sta sorgendo dietro ai cipressi (qui siamo in Toscana, il cipresso è un po’ l’albero tipico di questa regione) poco sotto la Luna e non è ancora visibile, mentre Venere – che è appena sorto – fa capolino proprio nel momento dello scatto.
Questa immagine è in realtà un mosaico ben sette fotogrammi (su otto) uniti in un unico puzzle; non è stato facile unire così tante immagini in una ma con un po’ di pazienza e un potente software libero (HUGIN) sono riuscito ad unirli là dove software ben più blasonati avevano miseramente fallito.

E ora vi offro un’altra immagine da me ripresa sempre il 6 mattina inseme a tanto freddo (-2° C.):

Mercury, Venus and Moon in Tuscany

Qui invece è visibile la bella congiunzione Luna – Venere – Mercurio, dove il Pianeta Messaggero degli Dei è appena spuntato sopra i tipici cipressi toscani e disegna un magnifico triangolo con gli altri due corpi celesti.

Spesso la gente crede che la scienza, e l’astrofisica in questo caso, uccide la poesia del mistero del Creato; a me invece sapere dare un nome a quei puntini sospesi nel cielo, saper distinguere i diversi pianeti, alcune (non tutte) costellazioni, dare un nome a qualche stella e sapere cosa le fa brillare così tanto da anni luce di distanza tanto da permettermi di scorgerle ad occhio nudo o in qualche foto, mi emoziona allo stesso modo, e probabilmente,  ancor di più.

Cieli sereni.

Pensieri sul cielo di quasi estate

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La costellazione del Cigno e l’area di ricerca del telescopio orbitale Kepler. Credit: Il Poliedrico

In queste calde sere il cielo è dominato dalla costellazione del Cigno e da Vega (α Lirae), la quinta stella più luminosa del nostro cielo. Questa qui sopra l’ho fotografata giusto iersera dal mio studiolo.
Vedete quel quadratone tra Vega e il Cigno? Sono i centoquindici gradi quadrati in cui ha scrutato l’osservatorio spaziale dedicato alla ricerca di altri mondi Kepler. Non lasciatevi trarre in inganno dalle dimensioni in foto; in realtà è grande più o meno quanto il dorso della vostra mano vista a braccio teso contro il cielo (se poi avete delle mani particolarmente grandi sarà sicuramente meno).
In questa modesta porzione di cielo  non lontana dal piano galattico ma relativamente sgombra da nubi molecolari Kepler ha identificato 1  oltre mille pianeti di cui è stata poi confermata l’esistenza con altri metodi.

Di questi mille pianeti alcuni appaiono decisamente inospitali, almeno per il metro terrestre. Altri sono ben più promettenti, mentre alcuni mostrano un indice ESI [cite]http://goo.gl/kgCavI[/cite] decisamente simile alla Terra. Ancora non sappiamo se questi strani e nuovi mondi ospitino altre forme di vita e civiltà [cite]http://goo.gl/F6Kutc[/cite], ma comunque possiamo ragionevolmente crederlo almeno per qualcuno di essi.  
Se poi pensiamo che l’area osservata da Kepler copre appena lo 0,28% della volta celeste, provate a immaginare quanti altri mondi , e che magari ospitano pure altre forme di vita, ci possono essere solo nella nostra galassia 2!


Note:

 

Una eclissi quasi alla cieca

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Un collier di immagini dell’eclissi. Il sorriso del celebre gatto di Schrödinger potrebbe essere così 🙂

E così l’eclissi del 20 marzo scorso è passata.
Intanto voglio pubblicamente ringraziare Stefano Cardinali per il prezioso aiuto dato durante la mattinata osservativa e per la sua piacevole compagnia. Ma cominciamo dall’inizio.
Una serie di disguidi e ritardi nella consegna di alcuni materiali (alcuni li ho ricevuti a eclissi finita!) hanno quasi compromesso miei propositi di immortalare il raro fenomeno.
Tanto per fare un esempio, i fogli di Baader Astrosolar li ho ricevuti, anche questi con diverse tribolazioni, solo il giovedì 19 alle 13:00! Così,  tra preparare così i nuovi filtri, che hanno però funzionato subito benissimo, le videocamere, i cavalletti etc. è passato il  resto della serata senza aver alcun modo di testare tutto.
Anche la scelta del sito di osservazione non è stata semplice.
Il sabato precedente all’evento ebbi il classico colpo di genio 1: usare la celebre Piazza del Campo di Siena come sfondo! Ero a conoscenza dei vincoli a cui sono sottoposte ogni forma di ripresa non occasionale della Piazza, e così provai a chiedere le autorizzazioni.
Nonostante la tempestiva e cortese risposta dei funzionari del Comune, ormai era troppo tardi per ottenere l’autorizzazione alle riprese e quindi ho dovuto ripiegare sul più tradizionale sito spesso usato per le mie riprese. 
A questo punto non posso che mostrarvi queste foto, che non avranno certo uno sfondo particolare, ma sono state sempre fatte col cuore!

 

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Il momento del massimo dell’eclissi.

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Una delle fasi iniziali dell’eclissi. vicino al bordo sinistro è possibile scorgere la macchia solare 2303. Le altre regioni attive presso il bordo occidentale sono troppo deboli per essere qui riprese.

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Sequenza di tutta l’eclissi nel suo cammino apparente nel cielo. Ogni fotogramma dista 3 minuti e 36 secondi dal successivo. i primi 8 fotogrammi sono stati ripresi con un tempo più breve rispetto ai successivi.

Cavalcando la luce

 

Riding Light from Alphonse Swinehart on Vimeo

Le scale cosmiche sfuggono all’umana comprensione dove tutto è incredibilmente più grande. La sola età dell’Universo ci rende le dimensioni dell’universo osservabile:  260 mila miliardi di miliardi di chilometri di diametro. Anche la cosa più veloce in natura come la luce impiega 13,8 miliardi di anni per arrivare a noi dal confine ultimo che ci è concesso scorgere.
Il nostro piccolo, accogliente Gruppo Locale di galassie – una settantina in tutto – ha ben 10 milioni di anni luce di diametro, mentre la distanza che ci separa dalla galassia più prossima è di soli 2 milioni e mezzo anni luce, circa 23 miliardi di miliardi di chilometri.
Il diametro della nostra Via Lattea è di appena 100 mila anni luce, la stella a noi più vicina appena – si fa per dire – 4,3 anni luce e l’oggetto più lontano mai lanciato dagli esseri umani è la sonda spaziale Voyager 1 con oltre 19 miliardi e mezzo di chilometri (circa 36 ore e un quarto luce di distanza) sul groppone e viaggia nello spazio dal lontano settembre 1977.

Questi numeri tuttavia non rendono comunque bene l’idea delle dimensioni cosmiche quanto questa animazione di  che ha immaginato una corsa attraverso il Sistema Solare (si è fermato a Giove per restare entro l’ora) a cavallo di un fotone partendo dal Sole. Ogni secondo del film corrispondono al percorso di quasi 300 mila chilometri, più o meno quanti ne percorrerebbe mediamente un’auto in una decina di anni. 

Buona visione!