Sono colpevolmente assente da queste pagine da molto, troppo tempo. Quest’anno non ho nemmeno avuto il tempo di partecipare alla pubblicità della Notte Europea dei Ricercatori sponsorizzata ogni anno a settembre per l’Italia dagli amici di Frascati Scienza. Ritengo quel momento fondamentale per l’intera ricerca scientifica europea e le importanti sfide che ci attendono nel futuro e spero di essere presente il prossimo anno come blogger.
Il motivo di questa mia lunga pausa è dovuto al fatto che ho da poco ripreso in mano l’idea, vecchia ormai di due o tre anni, di scrivere un mio libro. Non me la sento per ora di garantire un regolare flusso di articoli finché sarò preso in questo importante progetto che non so per quanto mi terrà impegnato nel prossimo futuro. Per farmi perdonare e per stuzzicare la vostra curiosità, pubblico in anteprima un breve estratto della presentazione che lo accompagnerà.
Ovunque posassimo lo sguardo nell’Universo vedremmo infinite varietà che rendono unico ogni anfratto.
Le leggi fisiche sono soltanto quattro, le combinazioni che i protoni, neutroni ed elettroni possono raggiungere — presumibilmente — sono appena 137. Eppure in questo sterminato Universo fatto di migliaia di miliardi di galassie e infiniti vuoti non c’è una stella, un mondo, un metro cubo di spazio esattamente uguale a un altro.
E anche là dove fosse sorta la vita, non potrebbe esserci un organismo esattamente identico a un altro, sia nello spazio che nel tempo. Restando su questa piccola gemma blu spersa nell’infinito cosmico, nelle migliaia di secoli non è mai esistito animale o vegetale del tutto identico al suo più prossimo. Un solo Pitagora, un solo Giulio Cesare, Gandhi o Einstein: ognuno di noi è lievemente diverso dal resto e proprio questo lo rende preziosamente unico.
Per estensione potremmo affermare che la Specie Umana e la Terra sono uniche in tutto l’Universo e in tutta la sua storia passata, presente e futura. Questo non deve essere visto come un inno all’antropocentrismo ma bensì come lode all’essere umano. Come esseri senzienti dovremmo riflettere bene su questo aspetto e di conseguenza mirare le nostre azioni se non vogliamo finire nell’oblio cosmico.
Una plausibile risposta alla celebre domanda “… allora dove sono tutti quanti?” di Enrico Fermi — poi passata alla storia come il Paradosso di Fermi — è che ogni civiltà tecnologica emergente prima o poi è costretta ad affrontare una o più sfide che ne potrebbero decretare il fallimento, un Grande Filtroche di fatto renderebbe il passaggio da civiltà tecnologica a civiltà interplanetaria e poi cosmica molto molto difficile.
Trent’anni fa era la prospettiva di una guerra apocalittica combattuta con armi di distruzione di massa [1. Carl Sagan sostenne che è proprio la durata di una civiltà il fattore più importante per stabilire quante esse ci siano adesso nella galassia: egli sottolineò l’importanza delle difficoltà che avrebbero incontrato le specie tecnologicamente avanzate per evitare l’autodistruzione. Questa consapevolezza accese l’interesse di Sagan verso i problemi ambientali e lo spinse ad impegnarsi contro la proliferazione nucleare.] per la supremazia tra due modelli sociali opposti e apparentemente inconciliabili 1, oggi quell’incubo, anche se non si è mai allontanato del tutto, è stato scavalcato dal degrado ambientale globale, di cui il Global Warming con tutte le sue conseguenze politiche ed economiche che comporta è soltanto il più noto, l’esaurimento delle risorse naturali causato dal dissennato sfruttamento imposto dal modello economico globale imperante, oppure una involuzione sociale causata da una o a tutte le minacce menzionate qui sopra messe insieme.
Qualora ci soffermassimo per un attimo a osservare il percorso evolutivo dell’Universo, potremmo renderci conto che quando facciamo della scienza e della filosofia non siamo nient’altro che Universo che si interroga su sé stesso, un angolo di Autocoscienza Universale che non merita di perdersi nell’oblio del nulla: una flebile scintilla di intelligenza che merita di diventare fuoco eterno. Affinché l’Umanità emerga nel panorama cosmico, cosa che mi auguro, essa dovrà saper affrontare grandi e importanti sfide: non esistono scorciatoie per questo traguardo.
E lo dobbiamo per nostri sacrifici, i nostri antenati e tutta la storia di questo pianeta; dobbiamo farlo per assicurare un futuro ai nostri figli e tutti i nostri discendenti. Altrimenti ogni sforzo, lacrima e sudore versati finora da ogni Uomo sarà stato vano.
Su un numero stimato di 200 miliardi di stelle nella Via Lattea, è abbastanza lecito ipotizzare che almeno più della metà di queste posseggano i requisiti minimi per poter ospitare pianeti adatti a sostenere la vita. Dal 1995, data della scoperta del primo pianeta extrasolare, ne sono stati scoperti per adesso quasi 4000, perlopiù in un’area grande quanto un piccolo francobollo di cielo. È vero, per ora conosciamo solo un pianeta su cui è presente la vita: questo; ma le leggi fisiche che governano la chimica della vita sono universali ed è quindi ragionevole supporre che essa possa essere presente anche su innumerevoli altri mondi in altrettante fantastiche forme. Molti di quei pianeti – per ora soltanto stime – saranno semplicemente inadatti a sostenere la vita, altri potrebbero essere terribilmente inospitali e altri ancora invece potrebbero ospitare entità biologiche dalle più semplici alle più complesse per noi immaginabili. Ipotizzare l’esistenza di altre forme di vita complesse e intelligenti sparse qua e là nel cosmo non merita di essere considerata una semplice fantasticheria ma un esercizio di apertura mentale che già più di 450 anni fa Giordano Bruno, e prima ancora di lui anche altri filosofi, invitavano a compiere. Il programma di ricerca SETI (Search of ExtraTerrestrial Intelligence) cerca di rispondere proprio a questo. E se un giorno venisse confermata l’esistenza, passata o presente, di una civiltà extraterrestre tecnologicamente evoluta abbastanza da lasciare il segno della sua presenza?
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Innumerevoli Soli e innumerevoli Terre [1]
Quanti possono essere i pianeti potenzialmente in grado di ospitare la Vita secondo i canoni terrestri? Non lo sappiamo, ma già oggi possiamo stimare quanti pianeti ci sono nella Via Lattea.
Non passa praticamente giorno che da qualche parte del mondo qualcuno affermi di aver scorto un UFO nel cielo. A me, che più o meno sempre osservato il cielo, non è mai capitato ma conosco persone che sono pronte a giurare di averne visti.
Una volta verso il tramonto vidi verso Nord-Est rispetto alla mia posizione una “stella” arancione che stimai ad occhio di magnitudine -4 (più o meno come Venere). Ricordo che stavo guidando e che addirittura mi fermai per vedere meglio. Era apparsa così, all’improvviso e sembrava quasi immobile nel cielo. Pochi secondi dopo questa si affievolì e scomparve. Non poteva essere Venere o un altro pianeta perché l’evento era lontano dal piano dell’eclittica e il Sole non era ancora tramontato e neanche poteva essere una vera stella o un fulmine o una meteora, che sarebbe stata indubbiamente più veloce. Quell’episodio avrebbe potuto essere preso per un tipico avvistamento UFO: un puntino luminoso che improvvisamente appare e scompare nel cielo. Ma scrutando meglio nel punto in cui la luce era scomparsa vidi una macchiolina, un puntino scuro che proseguiva la sua rotta: era un aereo che per un attimo aveva brillato della luce riflessa del Sole al tramonto e che per una fortuita coincidenza mi ero trovato nel giusto angolo di riflessione.
Ho visto bolidi e stelle cadenti, assistito a eventi Earth-grazer 1 e una volta quand’ero piccolo ho visto anche un fulmine globulare, ma ahimè neanche un UFO piccino picciò o a qualcosa che potrei definire tale.
Quanto è mai credibile la tesi che vuole navicelle spaziali aliene che si schiantano sulla Terra dopo un viaggio cosmico di migliaia di miliardi di chilometri?
Però, giusto per il fatto che io non ne abbia mai visto uno, non posso arrivare a negare che là fuori nel cosmo possa esserci, o esserci stata, una qualche altra forma di vita intelligente seriamente intenzionata ad esplorare lo spazio come abbiamo intenzione di fare noi. Solo che ritengo altamente improbabile che una qualche civiltà aliena spedisca qualche sua astronave a migliaia di anni luce giusto per ingaggiare un balletto di luci con qualche nostro aereo militare, succhiare il sangue di qualche pecora e rapire qualche contadino semialfabeta di qualche fattoria isolata. E poi questi benedetti UFO crash che qualcuno immagina essere quasi voluti per far progredire la tecnologia umana: non vi pare altrettanto assurdo che le stesse civiltà di sopra viaggino per migliaia di anni luce superando difficoltà gravitazionali, nubi cosmiche e radiazioni indotte per poi non saper come atterrare sulla superficie di un pianeta senza rischio alcuno?
Piuttosto mi aspetterei che una qualche civiltà aliena interessata a noi possa tentare un approccio più serio cercando di mostrarsi a tutto il genere umano o almeno con le sue emanazioni politiche. Qualcuno senza giudizio è arrivato ad affermare che questo sia già realtà almeno fin dai tempi del Presidente Eisenhower e che i governi di tutto il mondo fin da allora collaborino o comunque che siano bene a conoscenza della presenza di extraterrestri sulla Terra e che su questa notizia mantengono il riserbo più assoluto. Ma gli stati sovrani indipendenti e riconosciuti sulla Terra sono 196 e in settant’anni un simile segreto ormai non sarebbe più tale nonostante tutto; nondimeno, la stragrande maggioranza di essi sono rappresentazione diretta e partecipata dei loro cittadini, quindi è bizzarro credere che una notizia di questa portata possa essere così bene occultata per tanto tempo.
Gli sprite, o spiritelli rossi per via del loro colore, furono documentati scientificamente soltanto nel 1989. Raramente sono visibili a occhio nudo.
No, non credo che le cose stiano così e che tutta la faccenda degli UFO così come vuole descrivere una certa vulgata sia una colossale sciocchezza giusto per attirare qualche turista in qualche bizzarra località e vendere qualche libro-spazzatura buono per gente senza arte né parte.
Ma nondimeno, come ho affermato in passato [2], ritengo che sia doveroso non sottovalutare il fenomeno. Ad esempio per migliaia di anni abbiamo creduto che i fulmini si propagassero solo verso terra o le altre nubi, oggi sappiamo che possono propagarsi anche verso lo spazio scatenando una enorme potenza (gli sprite).
Magari altre scoperte importanti si celano dietro quei — pochi — fenomeni ancora inspiegati. È compito della scienza indagare prima che ciarlatani e buoni a nulla insozzino tutto con la loro spazzatura.
“Lamentarsi di violazione della privacy su Facebook è come piagnucolare se ti toccano il sedere in un’orgia. “
Questa esternazione non è mia ma di Leonardo Pieraccioni, comico toscano.
A seguito dello scandalo che ha travolto Facebook conseguente all’uso improprio dei dati personali di più di 50 milioni di utenti da parte della società Cambridge Analytica, dati usati probabilmente per influenzare l’opinione pubblica per le elezioni presidenziali americane, sono state avviate class action negli USA, da noi sono stati presentati esposti in procura dal Codacons, account cancellati in tutta fretta e così via.
Lo so, sono un bastian contrario per eccellenza, e riguardo a tutto lo sconcerto generato da questa scoperta a me non fa alcun effetto. Mi spiego meglio: i nostri dati, le nostre emozioni, le nostre speranze e paure, le mettiamo lì, in quella che oggi è diventata l’agorà virtuale per eccellenza. E adesso cancellarsi, cancellare il proprio account per rappresaglia o per cercare di tutelare le propria privacy è sia stupido che inutile: un po’ come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.
Ma davvero credete che basti questo per ristabilire l’ordine delle cose? E poi, quale ordine?
Quando fate la spesa e vi viene proposta la tessera sconto, fate un acquisto online o usate il vostro bancomat per pagare il pieno dell’auto, dite in giro chi siete, quali sono i vostri gusti e interessi e dove vi trovate in quell’istante. Non è l’orwelliano Grande Fratello che vi sorveglia, siete voi come Pollicino che spargete sassolini bianchi per la strada con l’intento di non perdervi. Un programmino del tutto banale e sciocco, come quelli “Come sarete tra vent’anni” o “Qual’è l’amore segreto della vostra vita” ha avuto accesso ai vostri dati – siamo stati noi ad accettare la sua richiesta di consenso dell’analisi del nostro profilo Facebook – e li ha scaricati da qualche parte per poi usarli a suo modo.
È una bischerata scrivere un programmino simile, Facebook, Twitter, Whatsapp, Google Plus etc. mettono a disposizione di chiunque le API per scrivere applicazioni che si interfacciano in maniera trasparente e naturale con loro. Basta leggere la documentazione di questi strumenti e usarle per i propri scopi, anche non leciti. E credete che chi si occupa di sicurezza nazionale ognuno per il proprio paese (FBI, MI 5, SISDE, Mossad etc.) questo non sappia farlo? Credete davvero che Cambridge Analytica sia lo sola che abbia fatto incetta dei nostri dati per poi rivenderseli a chi ha avuto l’interesse di pilotare le elezioni presidenziali americane? E più in generale: credete davvero alla solenne bischerata che il Presidente russo Putin decida di influenzare e pilotare le libere elezioni democratiche distribuendo meme su Salvini o Di Maio piuttosto che Le Pen o Ollande?
Queste sono bischerate per allocchi, giusto per coloro che vogliono farsi pilotare nelle decisioni e gusti esattamente come quando decidono di usare un dentifricio o un tipo di carta igienica piuttosto che altro e per far berciare allo scandalo chi adesso cerca di strumentalizzare la notizia.
Cent’anni fa era la carta stampata che aveva questo potere di persuasione, la gente voleva bere l’acqua additivata col radio (sicuramente on ottimo lassativo visto gli effetti delle radiazioni sui tessuti molli dell’intestino) perché era scritto sui giornali. Poi fu la volta della radio: Goebbels (capo della propaganda nazista) volle introdurre una radio [1. Il Volksempfänger (in tedesco “il ricevitore del popolo”).] in ogni casa tedesca affinché tutti potessero ascoltare i discorsi di Hitler. La televisione, il cinema e oggi Internet: tutto ciò che è in grado di raggiungere grandi masse della popolazione può essere usato per pilotare le sue emozioni e i suoi desideri.
Non volete che questo vi tocchi? bene, trasferitevi su un’isola deserta senza alcun contatto col mondo esterno, niente PC o TV, radio e l’elettricità per usarli. Forse così sareste al riparo da ogni influenza ma neppure ne potreste produrre voi stessi: condannati all’irrilevanza perpetua più assoluta, il concetto a mio avviso più vicino alla morte.
I media, la scienza, la religione e così via, sono semplicemente strumenti creati dall’uomo esattamente come lo sono un martello, un coltello o un fucile; tutto sta nel come li si usano: un martello serve a tirar su una casa ma può fracassare una testa, un coltello serve a tagliare il pane ma può sgozzare un uomo, un fucile può uccidere una fiera pericolosa e procurarci il cibo per sfamarci ma può anche ammazzare una persona.
Sta a noi decidere come usare questi mezzi o decidere di essere usati: non vorremmo che Facebook o qualche altro Social Network usi i nostri profili per scopi che non vorremmo venissero usati? e allora non divulghiamo certe cose che noi riteniamo private e importanti. Continuiamo pure a postare in giro foto di gattini e di paesaggi bucolici, io mi iscrissi a Facebook nel 2010 per seguire le notizie della NASA e le pagine di scienza in generale, poi da qui mi sono creato la mia piccola comunità di amici di cui sono fiero.
Non consento a Cambridge Analityca, a Putin o ad altri di pilotare le mie scelte perché le mie idee e i miei convincimenti, magari opinabili e pure sbagliati per alcuni, sono fondate sulla mia esperienza e le nozioni sull’argomento che posso raccogliere. Magari anche quelle fonti sono state manipolate, su questo non posso pronunciarmi, ma Internet offre forse per la prima volta nella storia umana la possibilità a chiunque di risalire alla fonte della notizia e di ascoltare più versioni di questa e quindi elucubrare il proprio convincimento.
Ripeto: partecipate pure all’agorà virtuale dei Social Network, ma cum grano salis.
Ammirate la foto qui sopra.
A tanti di voi magari non dice niente, anche perché certamente per il comune sistema mediatico è più proficuo mostrare una soubrette o una di quelle che immeritatamente chiamano vip semplicemente perché hanno posato svestite per Playboy o qualche altra stupida testata scandalistica, oppure hanno sposato qualche miliardario.
Guardando la foto penserete alla classica nerd con gli occhiali, la secchiona dell’ultima fila che posa accanto a una pila alta quanto lei di noiosissimi libri: il classico topo (o dovrei usare la declinazione al femminile visto che è una donna) di biblioteca.
Quei tomi non sono l’antologia russa, quello è il codice dei computer delle missioni Apollo e Skylab; il software che ha portato l’Uomo sulla Luna. Lei è Margaret Hamilton[3], ingegnere capo del team che ha scritto quel codice.
Vera Cooper Rubin al Vassar College negli anni Quaranta. Crediti: Vassar College.
Per me le Very Important Person da ammirare e portare ad esempio per le nuove generazioni sono queste: donne che niente meritano di meno rispetto ai loro più noti colleghi maschi: donne come Vera Rubin, scopritrice della discrepanza tra il movimento angolare previsto delle galassie e quello osservato, oggi spiegato introducendo il concetto della materia oscura, e l’apparente anisotropia nel moto di espansione dell’Universo dovuta alla disomogeneità di distribuzione delle galassie su scala di centinaia di milioni di anni luce (i filamenti di materia nell’Universo che si frappongono a grandi vuoti).
E proprio Vera Cooper Rubin fu anche una paladina dei diritti civili delle donne, un impegno che lei ha portato avanti per tutta la vita e che spesso l’ha portata a scontrarsi col rigido conformismo accademico: se oggi abbiamo donne scienziato lo dobbiamo anche al suo contributo; per questo sarebbe opportuno oggi ricordarla.
Oggi voglio ricordare qui l’essenziale contributo che donne come queste offrono quotidianamente all’intera Umanità.
Que será, será
Whatever will be, will be
The future’s not ours to see
Que será, será
What will be, will be.
Que será, será
Quel che sarà, sarà;
non ci è concesso conoscere il futuro Que sera sera,
Quel che sarà sarà
No, non è la celebre canzone di Doris Day del film L’uomo che sapeva troppo di Alfred Hitchcock. Mi riferisco invece agli annunci che sia l’ESO (European Southern Observatory) [4] che LIGO-Virgo (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration[5]) terranno in luoghi diversi ma alla stessa identica ora (16 ottobre alle 16:oo CEST).
Come era solito dire un noto politico italiano ormai scomparso “A pensar male sempre si sbaglia ma spesso ci si azzecca“, due conferenze stampa di due istituzioni scientifiche così importanti contemporaneamente fanno sorgere il sospetto che si possa essere di fronte all’annuncio di qualcosa che sia in qualche modo connesso; tanto più che la conferenza VIGO-Lirgo è stata annunciata usando il medesimo fuso orario, quello estivo dell’Europa Centrale, pur tenendosi a Washington D.C. dove saranno le 10 del mattino (10 EDT). Curioso, no?
Però rimane da chiedersi perché allora non fare un annuncio congiunto; non è plausibile che tali due organizzazioni non si parlino come due bimbetti dell’asilo in conflitto che si fanno i dispetti. Non resta allora che credere che le due conferenze stampa siano del tutto scollegate tra loro e che la concomitanza sia dovuta a una cattiva comunicazione tra gli uffici stampa incaricati di organizzare gli eventi.
Non resta quindi che attendere Lunedì prossimo alle 16:00 ora estiva dell’Europa Centrale per sentire gli annunci. Io una mia idea me la sono fatta. Voi?
Possiamo senz’altro dire che questo è l’anno in cui le notizie false (fake news) e la farfugliante battaglia politica contro di esse stanno, per ora, dominando il dibattito.
Trovo quella discussione priva di senso perché senza comprendere il meccanismo che si cela dietro di esse non è possibile curare tale fenomeno, un po’ come combattere un ascesso con un analgesico: si può star bene lì per lì ma l’infezione rimane e si propaga agli altri denti.
Prima di Internet e dei social network c’erano i mitici Bar dello Sport, o le osterie se preferite, dove alcuni avventori, di solito sempre gli stessi, facevano a gara a chi la sparava più grossa o magari si limitavano a raccontare fatti in modo talmente distorto e convincente da stravolgere il significato delle notizie in sé. Ma tutto rimaneva confinato nella sfera di paese e, per il fatto che tutti conoscono tutti, finiva che tali racconta storie venivano bollati per quel che erano e infine erano pochi quelli che continuavano a dar loro credito passando poi per creduloni agli occhi della comunità. Con l’arrivo di Internet e la comunicazione globale diretta tali personaggi non si sono moltiplicati ma hanno acquistato una platea infinitamente più vasta dei soliti avventori di osteria; di conseguenza anche il numero dei boccaloni disposti a dar loro credito è parimenti più ampio mentre il classico meccanismo di autodifesa che funzionava per le piccole comunità su Internet ha perso la sua efficacia.
Poi è la volta delle cancellerie e le segreterie politiche, dove la diramazione di notizie false è prassi piuttosto usata per screditare e denunciare le (presunte) malefatte degli avversari: esempi di questi gesti li si trovano all’inizio della II Guerra Mondiale con l’incidente della stazione radio tedesca nel 1939, o l’altrettanto famoso Incidente del Tonchino che scatenò la Guerra del Vietnam, oppure la ben più recente balla delle fialette di antrace (borotalco) dell’ex Segretario di Stato USA Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 2003 che portò alla II Guerra in Irak.
Ma non solo: il triste fenomeno delle fake news colpisce anche la scienza. Senza andare troppo lontano nella memoria basta ricordare l’impossibile miracolo promesso dal Metodo di Bella o dallo Stamina di Vannoni che sono costati milioni di euro di sperimentazioni a tutta la comunità italiana, oppure il caso del pittoresco transistor organico del ricercatore tedesco Jan Hendrik Schön che pubblicava un articolo scientifico (falso) mediamente ogni 8 giorni e che rischiò anche di vincere addirittura un Nobel per le sue finte scoperte. Per carità la scienza ha alcuni suoi automatismi che impediscono alle frodi scientifiche e alle fake news di fare danni irreparabili, come l’obbligo di riproducibilità degli esperimenti, la divulgazione dei dati e la revisione tra pari. Ma tutto questo non basta, basta guardare l’attuale dibattito scientifico sul Global Warming o quello appena più vecchio sulla tossicità del fumo del tabacco prima che questa venisse universalmente accettata e che è costata la vita di milioni di persone mentre i dati delle ricerche scientifiche incaricate di valutarne gli effetti venivano alterati o omessi fino alla palese evidenza che qualcosa non tornava.
In verità esistono antidoti alle fake news e le frodi in generale: la conoscenza e la cultura.
Io – parlo per me e le mia povera cultura, ovviamente – per esempio quando sento di apocalittiche catastrofi che stanno per colpire la Terra, come la recente ma periodica bischerata di Nibiru (il Pianeta IX) che starebbe per collidere con la Terra, quella legata al calendario Maya del 2012, o le tante altre scemenze come le scie chimiche degli aerei sorrido, perché so quel che sono: panzane. Ma chi non è dotato delle conoscenze adeguate sul campo preso di mira dalla fandonia — perché questo sono le fake news: bugie create scientemente ad arte — è assai facile da abbindolare. Per questo è importante dare ascolto a chi studia ed conosce quello specifico argomento.
Per questo la Commissione Europea promuove e finanzia ogni anno la Settimana della Scienza e l’evento conclusivo La Notte Europea dei Ricercatori che quest’anno ci sarà il 29 di settembre 2017. Del tema della manifestazione di quest’anno curata da Frascati Scienza ne ho parlato nello scorso articolo, così come l’elenco delle università e enti scientifici che da questa sono coordinate per conto della Commissione Europea.
Conoscere, cercare la verità ovunque si celi, essere culturalmente preparati. È questo quel che serve per riconoscere una fandonia o una frode, e la Notte Europea dei Ricercatori non è certo la cura ma è un assai promettente inizio da non lasciarsi senz’altro sfuggire.
Certi della Vostra partecipazione, all’evento di quest’anno (29 settembre), Frascati Scienza, la Commissione Europea, io ma sopratutto le migliaia di ricercatori che lavorano e studiano per noi ogni giorno dell’anno vi ringraziamo.
No, non sto abbandonando questo blog. È vero, negli ultimi tempi ho trattato di argomenti assai complessi, dall’entropia dei buchi neri agli UFO, dalla ricerca della vita extrasolare alle dimensioni dell’Universo. Tutti argomenti questi che mi hanno richiesto grande impegno e lunghe ricerche. È giunto il momento quindi che mi riposi un attimo per ricaricare le … batterie. E allora eccomi qui, tutto preso nello sforzo (è più forte di me e lo trovo assai rilassante) di realizzare il mio antico progetto, mai tramontato, di un astroinseguitore astronomico 1. Per questo ho ripristinato l’antico spazio web de Il Poliedrico su Blogspot con un nuovo nome: URANOPEDIA, il nome con cui all’inizio avevo pensato di chiamare questo blog ma che poi avevo messo da parte.
Qui ho deciso di mettere parte i miei progressi e le mie esperienze su questo e altri progetti futuri dello stesso genere sperando che esse siano di aiuto e ispirazione anche ad altri che decidono di avviare esperienze o progetti simili. Avrei potuto scrivere qui le mie ricerche ma il timore di generare ancora più confusione nei visitatori occasionali di questo sito era troppo grande.
URANOPEDIA cercherà di non essere l’ennesimo blog di elettronica open source dove verrà proposto il tipico schema senza troppe spiegazioni e listatini in croce senza aiuto. Il mio intento è quello di aiutare coloro che non masticano certi argomenti, così come con queste pagine cerco di spiegare argomenti complessi ad un pubblico più vasto. E spero di riuscirvi.
Ora non vi resta che seguirmi anche lì. Cieli sereni.
Giorni fa avevo delle faccende da sbrigare a Ciampino — per chi non è pratico dico che è vicino a Roma, poco prima di Frascati — ma essendo in netto anticipo, decido di passar a fare visita a un mio caro amico presso l’osservatorio astronomico di Monte Porzio Catone. Non conoscendo esattamente la strada, come ormai tutti siamo abituati a fare ho semplicemente digitato la località di destinazione sul navigatore satellitare dell’auto e mi sono lasciato guidare fino a destinazione.
Ecco, quello è un perfetto esempio, banale quanto volete, di applicazione pratica della ricerca scientifica di base. Quando nel 1905 un brillante e alquanto squattrinato (dovette accettare un noiosissimo lavoro all’Ufficio Brevetti di Berna per mandare avanti la famiglia) scienziato riscrisse le leggi della meccanica celeste attraverso la nota Relatività Ristretta, tutti si chiesero se avesse un senso pratico riformulare i concetti di corpi inerziali e in accelerazione, e stabilire che la velocità della luce è invariante rispetto al sistema di rifermento. Dieci anni dopo lo stesso brillante e un po’squinternato — in senso buono, ovviamente — scienziato si spinse ancora più in là riscrivendo la teoria di gravitazione e postulando il concetto di spazio-tempo. Ancora i benpensanti si chiesero se servisse a qualcosa sapere se la luce veniva deviata da una grande massa o se se il Sole fosse scomparso noi ne avremmo percepito gli effetti istantaneamente o solo dopo otto minuti.
Non c’era, ai loro occhi, alcuna utilità pratica in questo sapere; non come l’empirica termodinamica o nelle — allora ancora nuove — leggi dell’elettromagnetismo che avevano appena regalato all’umanità le radiocomunicazioni. Eppure, se oggi possiamo andare in un posto sconosciuto o mai visitato prima qui sulla Terra, lo dobbiamo alla ricerca di base di quel ragazzotto geniale e testardo, Albert Einstein, che sognava di cavalcare un raggio di luce.
Oppure se volete stare più sul recente, non potremmo stare qui su Internet se a cavallo degli anni settanta un gruppo di ragazzotti un po’ nerd (sfigati) non avesse incominciato a trovarsi e a condividere ognuno le proprie idee ed esperienze su circuiti logici e lampadine progettati per tutt’altro che l’home computing (l’Homebrew Club), gettando così le basi per i personal computer.
Provate per un attimo ad immaginarvi di essere coloro che per primi compresero il concetto di ruota e vedere oggi un’autostrada o di fare il bagno dentro una tinozza come Archimede di Siracusa e vedere poi una immensa portaerei nucleare. Le leggi sul rotolamento dei corpi e l’idrostatica esistevano da prima della loro scoperta ma da quando ci sono diventate note abbiamo trovato miriadi di modi per sfruttarle a nostro vantaggio.
Ogni anno centinaia di eventi hanno luogo simultaneamente in Europa e nei paesi confinanti.
La scienza e la tanto bistrattata ricerca di base sono questo, servono a scoprire e a capire oggi per restituire a tutto il genere umano qualcosa di concreto nel futuro. Lo scopo della prossima Settimana della Scienza in programma dal 23al30 settembre 2017 è proprio questo: far conoscere — e in qualche caso coinvolgere — al pubblico le più recenti conquiste e ricerche europee in ogni campo scientifico.
Sì, europee, perché come ogni anno l’evento finale — promosso e finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma europeo Horizon 2020 — è la Notte Europea dei Ricercatori.
Come anticipato l’anno scorso, il titolo della Settimana della Scienza coordinata da Frascati Scienza rimane il medesimo della volta scorsa: Made in Science. Frascati Scienza si occuperà di dirigere gli avvenimenti organizzati dalla Regione Lazio, Comune di Frascati, ASI, CNR, CINECA, CREA, ESA-ESRIN, GARR, INAF, INFN, INGV, ISPRA, ISS, Sapienza Università di Roma, Sardegna Ricerche, Università di Cagliari, Università di Cassino, Università LUMSA di Roma e Palermo, Università di Parma, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Università degli Studi Roma Tre, Università di Sassari, Università della Tuscia, Astronomitaly, Associazione Tuscolana di Astronomia, Explora, G.Eco, Ludis, Osservatorio astronomico di Gorga (RM), Fondazione GAL Hassin di Isnello (PA), Sotacarbo.
Ora non vi resta che partecipare … numerosi.
Cieli sereni!
Un aerostato del Progetto Mogul in fase di allestimento precedente al volo. I volti dei tecnici sono stati oscurati per nascondere la loro identità.
Credit: USAF/CIA, 1997
L’ambiente sociale in cui scoppiò il fenomeno UFO era molto particolare. Da un lato gli Stati Uniti avevano vinto una guerra mondiale contro un nemico, almeno inizialmente, tecnologicamente più avanzato. La paura per una rappresaglia nazista era ancora ben viva nella mente degli americani. Ma appena finita la guerra col Giappone grazie a due bombe atomiche, ecco affacciarsi un nuovo e più temuto nemico che fino al giorno prima era stato suo alleato durante la guerra: l’Unione Sovietica.
La fobia per i sovietici spinse gli USA come mai era accaduto nella loro storia a finanziare la ricerca, sia civile che, soprattutto, militare. Nel 1947 il timore che i russi sviluppassero armi atomiche in grado di colpire il suolo americano spinse gli americani a progettare una rete di fonometri ad alta quota per monitorarne i progressi. Tale progetto fu affidato all’università di New York che, basandosi sul concetto che le onde acustiche di una sonora esplosione possono raggiungere l’alta atmosfera ed essere captabili quindi oltre il raggio della curvatura terrestre. Il nome di quell’operazione era Mogul [6].
Tale programma in verità ebbe vita assai breve: troppo costoso e assai poco affidabile.
Operazione Mogul
Nella pratica l’intera operazione consisteva nell’inviare nell’atmosfera superiore tutta una serie di palloni aerostatici che sorreggevano i microfoni con la relativa elettronica. Per i primi test di lancio fu impiegata una boa marina e riflettori ottaedrici per monitorare la posizione delle sonde al posto dei più classici sistemi di triangolazione del radiosegnale (Non c’era posto in aereo per portare i ricevitori!).
Ecco come erano i famosi geroglifici tanto decantati dagli ufologi.
Credit: USAF/CIA, 1997
Il radar del sito di lancio ([fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/Holloman+AFB,+NM+88330/@32.8431167,-106.1366451,13z/data=!3m1!4b1!4m13!1m7!3m6!1s0x0:0x0!2zMzTCsDE1JzAyLjAiTiAxMDXCsDM1JzQ0LjAiVw!3b1!8m2!3d34.250556!4d-105.595556!3m4!1s0x86e05c343376eabd:0xaed4091d6eaea12f!8m2!3d32.8438274!4d-106.0990906?hl=en”]Holloman Air Force Base, Alamogordo, New Mexico[/fancybox]) non riusciva infatti a seguire efficacemente il pallone sonda fatto di neoprene — un materiale con una resa molto migliore della comune gomma per i palloni stratosferici, oggi di uso comune per esempio nelle tute da sub (è difficile da tagliare o strappare e torna sempre nella sua forma originale …) ma piuttosto innovativo nel 1947 — e per questo i tecnici fecero ricorso all’ultimo momento ai riflettori radar, commissionandoli a una fabbrica di giocattoli, che usò lo stesso nastro adesivo rosa e viola con motivi fantasia, usato dall’azienda per alcuni loro giocattoli, per rinforzare la balsa usata per costruire i riflettori ottaedrici, del resto molto simili agli aquiloni per bambini.
La sonda n°4 del progetto Mogul partì dalla base aerea di Holloman il 4 di giugno. Come ho cercato di spiegare, le sonde erano ancora nella fase sperimentale, quasi tutto il materiale necessario alla loro costruzione proveniva dal libero mercato, anche il fonorivelatore era una banale boa d’ascolto marina, una AN/CRT-1 [7][8].
Tutto l’impianto della sonda era quindi sperimentale: 20 palloncini collegati in cordata alla distanza di 6 metri l’uno dall’altro (le sonde meteo usavano soltanto un palloncino da 350 grammi), 5 riflettori ottaedrici fatti con carta stagnola (probabilmente una versione del Mylar conosciuto come Terylene, noto anche come PET) e balsa e una boa marina lanciati nell’atmosfera superiore; la storia di copertura della solita sonda meteorologica non avrebbe retto neanche un minuto in caso di incidente.
Una notte buia e tempestosa
[A] large area of bright wreckage made up of rubber strips, tinfoil, a rather tough paper and sticks.
[Una] grande area di brillanti detriti, composti da strisce di gomma, da stagnola, da carta e bastoncini.
There was no sign of any metal in the area which might have been used for an engine and no sign of any propellers of any kind, although at least one paper fin had been glued onto some of the tinfoil.
Non trovammo alcun segno di metallo nella zona che potesse sembrare un motore o qualcosa di simile, anche se c’era un’aletta di carta che aveva incollati alcuni [pezzi] di carta stagnola.
There were no words to be found anywhere on the instrument, although there were letters on some of the parts. Considerable scotch tape and some tape with flowers printed upon it had been used in the construction.
Non trovammo alcuna parola [o scritta] sull’oggetto, sebbene ci fossero delle lettere su alcuni pezzi. Molto nastro adesivo e qualche nastro con fiori stampati erano stati utilizzati nella costruzione.
No strings or wire were to be found but there were some eyelets in the paper to indicate that some sort of attachment may have been used.
Nessuna stringa o filo furono trovati ma c’erano alcuni occhielli nella carta che suggerivano che un qualche tipo di legatura potrebbe essere stata utilizzata.
William “Mac” Brazel
Ed è quello che avvenne il 7 luglio 1947, o uno dei giorni immediatamente precedenti secondo alcune fonti, vicino a [fancybox url=”https://www.google.com/maps/place/33%C2%B058’06.0%22N+105%C2%B014’36.0%22W/@34.1680175,-106.1775067,8.61z/data=!4m5!3m4!1s0x0:0x0!8m2!3d33.968333!4d-105.243333?hl=en”]Roswell, New Mexico[/fancybox], dopo un volo di 145 chilometri dal sito di lancio. Un temporale fece precipitare la sonda Mogul n° 4 senza controllo in un ranch dove poi fu trovata da William Brazel, il rancher della contea di Lincoln che scoprì il relitto (alcune frasi della sua testimonianza sono riportate qui a fianco).
Nulla nel luogo dell’incidente poteva far credere a uno schianto di un disco volante; anche la cordata di palloni era volata via da qualche altra parte mentre quello che fu trovato sul primo sito erano i resti, stando alla prima testimonianza del rancher, che potevano appartenere a qualcuno dei cinque riflettori — in effetti racconta Brazel che tentarono inutilmente di ricomporre quello che pensavano essere un aquilone — e qualche pezzo di neoprene translucido di qualche palloncino distrutto, forse dalla tempesta o forse dalla caduta.
Il resto è una storia che finì lì. Per un paio di settimane i giornali locali dettero spazio alla notizia e anche qualche agenzia internazionale lo fece, come la [fancybox url=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2017/07/afp9jul1947.jpg”]France Press.[/fancybox]
Comunque, già nel 1952 si era scoperto che i rottami di Roswell erano i resti di un qualche bersaglio radar [9] quasi certamente appartenuto a qualche tipo di progetto militare segreto.
Erano trascorse soltanto un paio di settimane dal curioso racconto di Kenneth Arnold [10] e stava diventando assai comune e sarcastico descrivere tutto ciò che non si poteva riconoscere in cielo con un lapidario “They’re a flying saucers“, un po’ come oggi usiamo ironicamente dire “Sono degli UFO” [1.
Tuttavia poi l’ilarità suscitata da questo argomento portò nel 1950 a Los Alamos durante una pausa pranzo Enrico Fermi a chiedersi: “Where’s Everybody?“] [11].
Trent’anni di silenzio
Comunque fu nel 1978 che la storia di Roswell riprese vigore. Nel paragrafo XVIII di Retrievals of the Third Kind: A case study of alleged UFOs and occupants in military custody [12], il saggista e ricercatore UFO Leonard Stringfield 1 racconta di essere stato contattato da un maggiore dell’Intelligence dell’Air Force , J.M. (Jesse Marcel) che disse di aver partecipato al recupero dei resti di Roswell.
Major J.M. and aides were dispatched to the area for investigation. There he found many metal fragments and what appeared to be “parchment” strewn in a 1 square mile area. “The metal fragments,” said the Major, “varied in size up to 6 inches in length, but were of the thickness of tinfoil. The fragments were unusual,” he continued, “because they were of great strength. They could not be bent or broken, no matter what pressure we applied by hand. The area was thoroughly checked, he said, but no fresh impact depressions in the sand were found. The area was not radioactive. The fragments, he added, were transported by a military carry-all to the air base in Roswell and from that point he was instructed by General Ramey to deliver the “hardware” to Ft. Worth, to be forwarded to Wright-Patterson Field for analysis. When the press learned of this retrieval operation, and wanted a story, Major J.M. stated, “To get them off my back I told them we were recovering a downed weather balloon.” When the major was asked for his opinion as to the identification of the fragments he was certain they were not from a balloon, aircraft, or rocket. He said because of his technical background he was certain that the metal and “parchment” were not a part of any military aerial device known at that time.
[Il] Maggiore J.M. e i suoi assistenti furono inviati nella zona per l’inchiesta. Lì trovarono molti frammenti di metallo e quella che sembrava essere “pergamena” sparsi in un’area di un miglio quadrato.
“I frammenti di metallo”, disse il maggiore, “variavano in dimensioni fino a 6 pollici di lunghezza, ma erano dello spessore della carta stagnola. Questi frammenti erano insoliti”, continuò, “perché erano molto robusti. Non potevamo piegarli o romperli con le mani a prescindere dalla forza che impiegassimo.”
Aggiunse anche che la zona fu accuratamente controllata ma non furono scoperte altre depressioni da impatto sulla sabbia. L’area non era radioattiva. I frammenti furono caricati su un mezzo militare e trasportati tutti alla base aerea di Roswell e il generale Ramey ordinò di consegnare l’hardware a Ft. Worth, per inviarli al Wright-Patterson Field per l’analisi.
Quando la stampa seppe di questa operazione di recupero, chiese [altre] informazioni e il maggiore J.M. dichiarò: “Per levarmi l’impiccio, ho detto loro che stavamo recuperando un pallone meteorologico perduto.” 2
Quando gli fu chiesta la sua opinione sull’identificazione dei frammenti, disse che era certo che non provenissero da un pallone, un velivolo o un razzo. Aggiunse [anche] che a causa del suo background tecnico era certo che quel metallo e la “pergamena” non potessero essere parte di qualsiasi dispositivo aereo militare noto a quel tempo.
Leonard H. Stringfield
Il testimone, J. M., affermò di aver raccolto dal luogo dello schianto dei frammenti di una specie di carta stagnola non più grandi di 15 centimetri, però molto resistenti alla trazione e alla piegatura, tutte caratteristiche del polietilene tereftalato, inventato nel 1941 in Inghilterra col nome di Terylene e brevettato come Mylar nel 1952.
Se effettivamente i riflettori radar fossero stati costruiti con tessuto di polietilene come il Terylene, non ci sarebbe niente di anomalo o di alieno nei resti raccolti dai militari guidati dal maggiore J. M.. Esso era soltanto un materiale inventato pochi anni prima e ancora sconosciuto al pubblico e il suo impiego in un pallone meteo sarebbe sembrato troppo curioso.
Nessuna radioattività, nessun altro cratere da impatto, nessun congegno che possa somigliare a un motore o propulsore. Niente di niente, nessuna prova che una navicella extraterrestre si sia mai schiantata a Roswell quel giorno.
Ma la fantasia dei fuffologi (io scherzosamente li chiamo così, non posso neanche immaginare che le storie da essi raccontate siano anche solo lontanamente verosimili e che possano crederci veramente anche loro) non finisce certo qui, con l’ufino che dopo un viaggio di ben 39.2 anni luce — sì, perché i ‘lieni pensati dai fuffologi vengono da ζ Reticuli! — va a schiantarsi nel bel mezzo del nulla come un autista ubriaco.
Tale nave spaziale, prelevata dai militari, sarebbe stata impacchettata e spedita presso una base militare talmente segreta che non ne esisterebbe traccia neppure negli archivi militari.
Area 51
Tale base è la famigerata Area 51. Qui secondo la mitologia ufologica la nave spaziale sarebbe stata smontata, studiata e riprodotta.
Quei fanatici sono convinti che sia stata l’ingegneria inversa applicata sulla tecnologia dell”UFO a darci oggi i componenti elettronici miniaturizzati, i microchip che controllano anche la nostra lavatrice, i cristalli liquidi delle nostre TV e le altre mille diavolerie moderne. Nulla riguardo a nuovi sistemi di energia e propulsione, su come affrontare i viaggi interstellari o come risolvere i nostri, gravi, problemi di inquinamento che minacciano la nostra specie di più di quanto faccia l’intero arsenale nucleare globale!
Non contenti, questi pittoreschi narratori, hanno aggiunto in seguito ‘lieni morti o moribondi, biopsie segrete sui cadaveri dei suddetti, contatti con specie extraterrestri e alleanze o collaborazioni di comodo occulte, perfino.
Al di la di tutte queste idiozie, la super segreta Area 51 esiste davvero. Non è poi così segreta anche se i vertici militari USA ne celarono l’esistenza fino al 2013.
Anche i programmi svolti in questa base erano talmente segreti e compartimentati che gli stessi ingegneri non avevano coscienza del loro lavoro o di quello dei loro colleghi 3.
L’area in cui sorge la base, i resti di un lago salato ormai asciutto, Groom Lake, è piuttosto lontana da qualsiasi insediamento civile e è un’ottima pista naturale per il collaudo di aerei. Per questo è un sito militare di enorme importanza strategica.
Qui furono sviluppati e testati aerei militari super segreti: il Progetto Acquatone, che portò al primo aereo stratosferico Lockheed U-2, il cui scopo era proprio quello di spiare dall’alto i progressi militari sovietici, nacque proprio qui. Nel 1960 però un missile contraereo russo riuscì ad abbattere uno di questi [13].
Questo incidente causò un ripensamento generale dell’intero progetto, anche se è importante sottolineare che l’U-2, essendo ancora in servizio, resta uno dei velivoli più longevi della storia militare. Così nacque il Progetto Oxcart, che portò alla realizzazione di un nuovo velivolo con capacità supersonica (Mach 3.35) a quota di crociera (23000 metri), il Lockheed A-12. In confronto l’U-2 era quattro volte e mezza più lento 4. L’aereo poteva volare a oltre tre volte la velocità del suono a quote che erano il triplo dei normali aerei di linea di quel tempo, e alcune sue configurazioni non erano verniciate. In sostanza erano interamente lucide tanto da poter riflettere i raggi del sole ed essere visto anche dal suolo. La particolare forma era stata studiata per eliminare gli angoli retti per aver la più piccola impronta radar possibile e questo lo rendeva il velivolo più bizzarro che si fosse visto a quell’epoca. Però presto l’A-12 si rivelò essere un aereo costosissimo e tutto quel calore in eccesso lo rendeva un ottimo bersaglio per i missili a guida termica. Fu così che nacque l’idea di progettare i primi velivoli avanzati con tecnologia stealth come il Lockeed SR-71 Blackbird.
Non voglio qui ripercorrere tutti i progetti ormai non più segreti di tutte le tecnologie nate nell’Area 51. Ma dal gigantesco U-2 al costosissimo A-12, fino ai moderni bombardieri B-2 e altri aerei dalle forme più strane e improbabili, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con i prototipi del bombardiere Northrop YB-35 (primo volo nel 1946) che riprendevano il concetto del Horten HO-229 nazista, poi nella versione a turbogetto YB-49 dell’anno dopo — curiosamente simile alle descrizioni dei flying saucers di Kenneth Arnold, negli Stati Uniti è stato un gran fiorire di prototipi di velivoli segreti che a occhi non preparati venivano descritti come UFO. Si calcola che almeno la metà di tutti i presunti avvistamenti UFO negli anni ’50 e ’60 siano da imputarsi a velivoli sperimentali segreti, alcuni dei quali li abbiamo visti entrare in servizio attivo mentre altri sono finiti nel dimenticatoio, abbandonati o cancellati.
Guardate la carrellata di alcuni aerei qui sotto, in attesa del gran finale …
Come ho detto alla fine della seconda parte, per quanto possa sembrare suggestiva e attraente l’ipotesi del contatto extraterrestre, essa è comunque la meno probabile in assoluto. Fare un viaggio di milioni di chilometri per mutilare una capra o rapire un boscaiolo (come Travis Walton di Snowflake, Arizona. Ci hanno ricavato pure un libro e un film; pensate ai soli diritti d’autore …) è un po’ come prendere un aereo per l’Australia, suonare un paio di campanelli a caso per scherzo e tornarsene di corsa a casa per timore di essere scoperti. Se a voi pare logico …
Le luci di Marfa.
[fancybox url=”https://www.google.it/maps/place/Marfa,+Texas+79843,+Stati+Uniti/@30.3123365,-105.5402904,7.49z/data=!4m5!3m4!1s0x86efb0a37f4025ff:0x720e0d3e89d4c90!8m2!3d30.3094622!4d-104.020623″][/fancybox]Le celebri Luci di Marfa, in Texas
Marfa è un’amena cittadina dell’ovest texano. È un bel posticino 1, ha il suo celebre museo cittadino, la sua caserma dei pompieri rosa e le sue celebri … luci fantasma [14]!
In qualsiasi periodo dell’anno, verso il passo del Paisano (Paisano Pass) si rendono visibili delle curiose luci che sembrano fluttuare e muoversi nell’aria. Da riprese a lunghissima esposizione appare evidente uno schema: quello di una strada trafficata! E in effetti lì passa la Route 67, costruita negli anni ’20. Alcuni contestano questa spiegazione affermando che il piano stradale è diverso da quello delle luci osservate e che si hanno notizie di luci analoghe osservate fin dalla fine del XIX secolo, all’incirca dalla fondazione della città (nacque come stazione ferroviaria).
Ma la spiegazione in realtà è molto semplice: miraggio, detto anche Fata Morgana. Un miraggio Fata Morgana avviene, un po’ come in tutti i miraggi, quando due strati di densità molto diversa di aria deflettono e riflettono la luce di oggetti in realtà molto più lontani e addirittura fuori dal piano visibile dall’osservatore, Così la luce può essere deviata, riflessa o addirittura amplificata, distorcendo tutto ciò che mostra. Una carovana in transito, un bivacco o una lanterna da viandante possono benissimo essere responsabili di ciò che videro gli abitanti di Marfa prima della costruzione della strada. Coloro che andarono a cercare l’origine di quelle luci non trovarono niente semplicemente perché quelle che avevano osservato erano da qualche altra parte; ripeto, da un posto diverso e molto più lontano da dove sembravano provenire.
Cosa abbia visto realmente Kenneth Arnold forse non lo sapremo mai, ma la sua descrizione dei flying saucers somiglia tantissimo a quella dell’aereo sperimentale nazista catturato dagli Alleati Horten HO 229.
Le luci che osservò Kenneth Arnold erano molto più probabilmente frutto di un abbaglio ottico— l’equipaggio del DC-4 dietro di lui non notò alcunché. Più semplicemente lui si trovò nella condizione favorevole per assistere a qualcosa che al momento non seppe spiegare. Solo successivamente, quando il suo racconto apparve sui giornali, quei piattini volanti che sembravano erratici divennero dischi volanti. Anche lo stesso Kenneth Arnold all’inizio pensò che potevano essere velivoli militari top secret, ma poi pensò che ancora quella tecnologia era ancora al di là delle capacità umane che aveva appena imparato a scindere l’atomo.
Però quelle tecnologie che Arnold credeva ancora in divenire, forse si stavano già studiando. Sicuramente la sua storia insieme quella dei foo fighters fornì la copertura perfetta per la più grande operazione di depistaggio civile mai orchestrata. Ma anche questa è un’altra storia. Alla prossima.