Nuovi studi sul surriscaldamento del permafrost artico

Mentre i segnali di una catastrofe ambientale di enorme portata sta allarmando seriamente  gli scienziati, il  massimo interesse della politica mondiale pare concentrata su “escortate” come il mantenimento in vita dell’attuale modello di sviluppo economico piuttosto che il benessere del pianeta e la democrazia dei popoli. L’ideologia che è alla base del disastro planetario lungi dall’essere messa pubblicamente sotto accusa 1 viene ancora strenuamente difesa da ottusi ottuagenari  e i loro poco più giovani lacché, tant’è che tutte le conferenze internazionali sul clima sono miseramente fallite – l’ultima è quella di Durbans in Sud Africa – per miopi interessi di bottega.

Il dipartimento americano per l’energia (DOE) ha iniziato un programma di ricerca per indagare gli effetti sul clima se i 1500 miliardi di tonnellate di carbonio organico congelati nel permafrost della fascia artica (Siberia, Canada, Alaska, Nord Europa) dovessero essere scongelati dal riscaldamento globale 2.
Questo programma – dal costo di 100 milioni di dollari – si chiama Next-Generation Ecosystem Experiments (Ngee) e serve per sviluppare un raffinato modello di simulazione di come microbi del suolo, piante e acque sotterranee possono reagire e controllare l’immensa quantità di carbonio 3 immagazzinato nella tundra artica. Il modello climatico che uscirà da questo esperimento verrà incluso nei modelli previsionali dell’andamento climatico terrestre per i prossimi 50-100 anni.
Il programma cercherà di analizzare gli effetti del cambiamento climatico dalla più piccola scala molecolare fino alle dimensioni delle cellule climatiche ambientali che misurano dai  30 ai 100 km di lato.
Altre ricerche precedenti avevano stimato che un riscaldamento di 2,5 ° C nell’Artico entro il 2040 potrebbe causare il rilascio tra i 30 e i  63 miliardi di tonnellate di carbonio 4. Le attuali emissioni globali di CO2 derivate dalla combustione di combustibili fossili, la deforestazione e le altre attività umane sono stimate complessivamente di oltre 10 miliardi di tonnellate l’anno.
I ricercatori sono particolarmente preoccupati per il fatto che che il disgelo del permafrost rilascerà il carbonio nell’atmosfera principalmente sotto forma di metano 5, un gas serra molto più potente del biossido di carbonio, che potrebbe accelerare il riscaldamento globale con conseguenze difficilmente immaginabili 6.
La squadra di progetto Ngee coinvolgerà circa 50 ricercatori ed è una collaborazione tra i laboratori del dipartimento di energia nazionale e l’Università dell’Alaska Fairbanks.
Il programma Ngee probabilmente verrà esteso anche ad altri ricercatori internazionali che vorranno includere altre zone artiche fuori dall’Alaska.

Fonti:
http://www.nature.com/news/permafrost-science-heats-up-in-the-united-states-1.9681

La prima condanna per inquinamento luminoso in Italia

 

 

 

 

 Finalmente una bella notizia!
Per lo specifico vi rimando al link dell’Unione Astrofili Italiani, permettetemi però di spiegare perché reputo questa una buona notizia non solo per la lotta contro l’inquinamento luminoso, ma anche per  quello ambientale.

Per illuminare un’area del vostro giardino o terrazzo (ma questo vale anche per gli spazi pubblici) occorre una certa energia per produrre luce. Se a questa però si consente anche di disperdersi verso il nulla, occorrerà più luce – e quindi più energia – per illuminare ad un certo modo il luogo desiderato.
Se invece quella luce dispersa viene diretta dove è necessario occorrerà generare meno luce – e quindi sarà necessaria meno energia – per ottenere lo stesso grado di illuminazione.

Minore consumo di energia significa generarne di meno e di conseguenza inquinare di meno. Quindi un attento uso di lampade ad alta efficienza, superfici riflettenti e specchi può limitare fortemente l’inquinamento luminoso e contemporaneamente contribuire alla riduzione dei gas serra responsabili del Global Warming generati per produrre l’energia elettrica che alimenta le vostre lampadine.

Unione Astrofili Italiani – UAInews.

Le nubi nottilucenti e il buco nell’ozono artico

Le nubi nottilucenti

Nubi nottilucenti a Venezia - Credit: Mautizio Estri, 2006

Alle latitudini più elevate, di solito sopra i 50° 1, nei mesi estivi capita di osservare nel cielo un tipo molto particolare di nubi chiamate nottilucenti (in inglese Noctilucent Clouds o NLC, oppure Polar Stratospheric Clouds o PSC), chiamate così perchè paiono risplendere quasi di luce propria contro il fondo più scuro del cielo.
In realtà non è così, sono particolari e rare formazioni nuvolose che si formano nella mesosfera (la parte più alta della stratosfera),  a 50-70 chilometri di quota – mentre di solito le nubi più alte non superano i 12 km di quota (troposfera) – illuminate dal Sole sotto l’orizzonte tra il crepuscolo civile 2 e il crepuscolo astronomico 3, ovvero tra 24 minuti a 72 minuti prima – o dopo – che il Sole sorga – o tramonti.

Credit: Il Poliedrico

Le NLC furono notate la prima volta nel 1885, dopo l’esplosione del vulcano Krakatoa, avvenuta nel 1883 in Indonesia. Questo evento portò a ipotizzare che queste nubi fossero causate dal residuo di polveri vulcaniche nell’alta atmosfera, e che meccanismi simili, come ad esempio polveri meteoriche, potessero alimentarle.
Purtoppo è estremamente difficile analizzare queste nubi: sono troppo alte per i palloni sonda e troppo basse per i satelliti. Solo le sonde a razzo possono analizzarle per pochi secondi, insufficienti per qualsiasi tipo di analisi approfondito e continuativo.
Adesso sappiamo però che sono minuscoli granuli di ghiaccio che probabilmente si aggregano attorno  al pulviscolo metorico o vulcanico che funge da seme di crescita per i cristalli.
Le recenti eruzioni vulcaniche del 2010 in Islanda e in Kamchatka hanno certamente contribuito al pulviscolo vulcanico nella mesosfera, il problema però che non è di facile soluzione è il meccanismo che trasporta l’acqua (o meglio vapore acqueo) in quella fascia atmosferica che è orribilmente secca.

Il ruolo dell’acqua

Credit: Wikipedia

Il ciclo del  vapore acqueo nella mesosfera è estremamente importante quanto per ora quasi sconosciuto.
Infatti se l’acqua sulla superficie del pianeta  è necessaria per la vita, nella mesosfera distrugge lo strato di ozono che ci ripara dalla radiazione ultravioletta del Sole 4.

Uno dei principali responsabili del meccanismo di produzione dell’acqua stratosferica pare essere il metano, considerato da molti politici e scienziati come il più pulito dei combustibili naturali – volutamente dimenticando di menzionare  che è un potente gas serra naturale 72 volte più potente dell’anidride carbonica, che viene trasportato dalle correnti d’aria oltre la  stratosfera e scisso nei suoi componenti atomici dalla radiazione ultravioletta del Sole 5.
I prodotti della scissione del metano distruggono le molecole di ozono per produrre molecole d’acqua,  che poi si manifesta formando le nubi mesosferiche polari.

Credit: Wikipedia

In pratica, la fotolisi del metano (CH4) produce metile (CH3) e idrogeno atomico (H). L’ozono invece si produce attraverso l’assorbimento della radiazione solare ultravioletta da parte delle molecole di ossigeno che si scompongono e ricompongono continuamente, ma l’ossigeno atomico anziché ricombinarsi con quello molecolare per riformare l’ozono, si lega con l’idrogeno formando ossidrile (O + H -> OH) e in seguito acqua (H + OH -> H2O).
Il feedback positivo innescato dai radicali liberi prodotti dalla fotolisi del metano, e probabilmente anche da altri tipi di idrocarburi arrivati nella troposfera, sopra lo scudo di ozono e la conseguente produzione di vapore acqueo, è in grado di distruggere lo strato di ozono con estrema facilità.
Altra acqua può arrivare attraverso materiale microcometario dallo spazio esterno. Non sappiamo quale meccanismo tra questi sia il più importante, ma  quasi certamente l’ordine è questo, e sappiamo che il vapore acqueo e i cristalli di ghiaccio sono altrettanto nocivi per lo strato di ozono quanto i meccanismi che li creano 6, quasi quanto il cloro e il bromo dei CFC rilasciati nell’atmosfera dalle attività umane fino alla loro messa al bando nel 1990 7.
Un’altro evento deleterio per l’ozono che diventa ancora più instabile perché ostacola il suo ciclo naturale è il freddo.
Durante l’estate la mesosfera polare raggiunge i 110° K (-163 Celsius) perché è troppo sottile (un centomillesimo di bar) per trattenere il calore come gli strati più bassi, anzi il calore solare assorbito viene consumato per espandersi, e quindi raffreddarsi ancora di più. Un accentuato effetto serra limita la convezione del calore trattenuto dagli strati inferiori dell’atmosfera verso la stratosfera, col risultato che questa si raffredda molto di più a fronte dell’aumento della temperatura nella troposfera, alterando significativamente il ciclo di produzione dell’ozono.
Le conseguenze per l’equilibrio termodinamico dell’atmosfera sono tremende anche per la circolazione dei venti come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

Alcuni scienziati sono scettici che stia aumentando il metano nella mesosfera – e quindi il vapore acqueo – necessario alla produzione delle NLC, obbiettando che una maggiore presenza di vapore acqueo dovrebbe riflettersi nella formazione di cristalli più grandi e quindi di nubi più luminose.
A mio avviso sbagliano, le dimensioni dei cristalli di ghiaccio possono rimanere le stesse per i più disparati motivi legati alla particolare chimico-fisica ambientale, questo si tradurrebbe automaticamente con l’avere nubi molto più estese con la stessa solita luminosità.
In effetti è quello che si registra da quasi cinquant’anni: nonostante che il numero degli osservatori sia rimasto pressoché costante, un po’ tutti loro sono concordi di un aumento delle NLC segnalate 8, mentre anche le attività industriali fanno sempre più ricorso ai combustibili fossili e naturali.

Il buco nell’ozono artico

Comunque sia, il gemello del famigerato buco dell’ozono antartico adesso lo abbiamo anche noi sulle nostre teste 9, e non sono i CFC i responsabili, quanto potrebbe quasi sicuramente essere la nostra stessa tecnologia che fa largo uso degli idrocarburi: infatti se mettessimo sullo stesso grafico temporale la storia umana degli ultimi 200 anni e le nubi nottilucenti ci renderemo conto come siano apparse la prima volta all’inizio della cosiddetta seconda era industriale 10 e siano state presenti nei cieli polari quasi ininterrottamente fino ad oggi 11.

Conclusioni

Adesso è chiaro il collegamento tra l’esistenza delle NLC e il deterioramento dell’ozono stratosferico. Molto probabilmente il principale responsabile è il metano e in ultima istanza la dipendenza dai combustibili fossili e naturali (CFN) della nostra società.
Così scopriamo come i CFN non sono responsabili solo del Global Warming, ma anche del significativo deterioramento dello strato d’ozono che ci protegge dagli ultravioletti solari, con tutte le sue deleterie conseguenze, visto che va a incidere proprio sulle aree più densamente popolate e tecnologicamente avanzate del pianeta.
Ovviamente è improponibile un passo indietro nel progresso tecnologico, piuttosto è indispensabile un passo avanti per superare la dannosa dipendenza dai CFN verso forme energetiche sostenibili, rinnovabili e più efficienti.
Sono bastati sessant’anni di uso dei CFC per fare un danno ecologico senza precedenti e di questi 21 sono trascorsi tra accorgersi del problema e avviare una soluzione. Lo sforzo politico mondiale è stato notevole e nella giusta direzione.
Soprattutto ora in questa fase di crisi economica sarà più facile chiedere dei sacrifici nello stile di vita alla popolazione del pianeta, soprattutto poi se da questi tutti ne trarranno beneficio in termini di riduzione degli sprechi energetici e dell’inquinamento ambientale.
Ricordate il mio Punto Triplo dell’Umanità? Sta a noi decidere adesso con le nostre scelte e i nostri sacrifici se lasciare alle future generazioni un mondo pienamente vivibile o un mondo di caos senza più speranza.

Intanto è importante tenere d’occhio il fenomeno delle nubi nottilucenti anche dove – per ora – non sono state avvistate, non si sa mai … 12.

Altre letture consigliate:
The Ozone Hole
Atmospheric Chemistry and Physics

 

Il Global Warming esiste davvero

Credit: Il Poliedrico

 Un nuovo studio indipendente chiamato Berkeley Earth Poject (BEP) dimostra come l’effetto del riscaldamento globale sia reale al di là di qualsiasi dubbio espresso finora dagli scettici.

Nelle due pagine di presentazione del lavoro (disponibile in pdf a questo indirizzo) si dice:

Secondo un importante studio pubblicato oggi, il riscaldamento globale è reale. Nonostante le questioni sollevate dagli scettici del cambiamento climatico, lo studio condotto dal Berkeley Earth Surface Temperature trova una prova attendibile di un aumento della temperatura media mondiale terreno di circa 1 ° C rispetto alla metà del 1950.

 

Questo studio indipendente è stato avviato dal fisico dell’Università di Berkeley Richard Muller, non convinto dei metodi finora usati dagli altri ricercatori che non erano stati divulgati 1.
Tra questi ricercatori indipendenti c’era anche l’astrofisico Saul Perlmutter, fresco vincitore del Nobel per la Fisica 2011.

Il team ha usato oltre 1,6 miliardi di dati provenienti da oltre 39.000 stazioni meteorologiche di tutto il mondo, ottenendo circa gli stessi dati trovati anche da altre ricerche:

Questo grafico si vede benissimmo  quella che viene chiamata l’anomalia di temperatura, che si sviluppa dopo la metà degli anni settanta del secolo scorso, rispetto al valore medio di riferimento universalmente riconosciuto come la media dei valori di 30 anni, dal 1950 al 1980.
Qui sono riprodotti i risultati di quattro diversi studi, e come si può vedere sono tutti abbastanza concordi nel mostrare un aumento della temperatura media del pianeta, addirittura di circa un grado rispetto al  periodo di riferimento 1950-1980.
Vorei anche sottolineare come la parte a destra del grafico mostri una sostanziale stabilità verso la fine dell’ultima decade, è l’effetto che la stagnazione economica con la conseguente riduzione dei consumi globali ha avuto sul clima 2.

Ma questa ricerca indipendente da chi è stata finanziata? Non ci crederete, ma tra i principali finanziatori risulta essere  il gruppo petrolifero Koch Industries, in passato oggetto di pesanti critiche dai sostenitori del Global Warming per aver ostacolato per anni le politiche e i regolamenti volti a fermare il riscaldamento globale 3.

A questo punto anche se i negazionisti del Global Warming continueranno ottusamente a negare i fatti (altrimenti che negazionisti sono?), non potranno che prenderne atto, visti che uno dei loro leader ha di fatto finanziato una ricerca indipendente che dà loro torto.

 

Idrocarburi sintetici da scisti bituminosi (I parte)

Carrozza a cavallo in Central Park, New York Credit: Library of Congress: LC-DIG-ggbain-00138

I periodi di transizione sono in assoluto i più difficili: il treno e l’automobile dovettero superare molti pregiudizi prima di affermarsi come strumenti di locomozione. Alla fine del XIX secolo le scoperte scientifiche di Pasteur costrinsero le amministrazioni pubbliche a risolvere  i problemi di trasporto urbano all’interno delle grandi metropoli come New York, Parigi e Londra.
All’inizio furono i tram elettrici (i filobus) a cavallo del 1890-95  che andarono a sostituire parzialmente i sistemi di locomozione  animale, i quali generavano una quantità immensa di sporcizia, ritenuta – a ragione – responsabile di decine di migliaia di morti per febri tifoidi nei grandi centri urbani americani.
Alle automobili, inventate agli inizi del XX secolo, era proibito l’uso nelle città, ma poi la necessità di disporre di una sempre maggiore e flessibile mobilità e la necessità di eliminare del tutto  l’uso di animali per la locomozione 1 si unirono e aprirono le porte all’uso delle automobili anche nelle città.

Adesso lo stesso problema esiste sul fronte energetico: se centotrenta anni fa la necessità di avere nuove tecnologie di locomozione più pulite  hanno anche ristretto le dimensioni del mondo per l’uomo e le merci, oggi la tecnologia energetica non ne vuol sapere di rinnovarsi e di cercare soluzioni ai problemi ambientali e climatici che essa pure  ha prodotto, nonostante gli innumerevoli vantaggi di cui il genere umano beneficerebbe.
Ormai l’industria del petrolio ha raggiunto i suoi massimi estrattivi di sempre, il famoso picco di Hubbert è stato o quasi raggiunto. La disponibilità di estrarre petrolio facilmente sta diventando un ricordo e ormai sta diventando sempre più economico – anche se più caro  – estrarre petrolio da piccoli giacimenti di scarsa qualità come quelli che esistono al largo delle isole Tremiti 2.

Addirittura adesso sta diventando conveniente recuperare gli idrocarburi fossili dal fango e da un tipo particolare di roccia: lo scist0 bituminoso, con orribili conseguenze ambientali, che purtroppo in una logica di profitto diventano del tutto secondari.

Gli scisti bituminosi

Le argilliti
Le argilliti sono rocce sedimentarie originate da altri  sedimenti precedenti che hanno subito un cambiamento fisico o chimico (diagenesi) che ne altera la composizione originale.

Mappa dei depositi di gas da scisti bituminosi nel mondo. Credit: U-S. Energy Information Administration - Wikipedia

Gli scisti bituminosi sono rocce nere di origine sedimentaria ricche di materiale organico non ancora trasformato in  petrolio. In pratica i depositi di scisti bituminosi possono essere considerati i precursori dei giacimenti di petrolio (in inglese oil shales o black shales).
Conosciuti anche come argilliti petrolifere, queste possono essere usate direttamente come materiale combustibile 3 o lavorate per estrarne  gli idrocarburi e i gas (gas di scisto) che le compongono per un utilizzo più tradizionale.
Nel mondo sono diversi i siti censiti, perlopiù in Nord Europa, Stati Uniti, Canada e Brasile 4.
Il problema è che sfruttare questi giacimenti non è altrettanto semplice quanto sfruttare un normale pozzo di petrolio e, se i campi petroliferi non sono proprio il massimo dal punto di vista dell’impatto ambientale, i campi di scisti sono proprio devastanti.

Gli olii da scisti

 

Combustione dell'olio di scisto

Il  più comune metodo di estrazione è quello a cielo aperto . Questo sistema consiste nel rimuovere la maggior parte del terreno sovrastante per esporre i depositi di argillite petrolifera. Pratico,  se i depositi sono in superficie. Nel caso di depositi di scisti bituminosi sotterranei, si possono utilizzare i metodi classici simili a quelli usati per le miniere di carbone.

L’estrazione degli elementi utili dallo scisto bituminoso avviene solitamente  in luoghi diversi dai siti di estrazione, anche se diverse tecnologie più recenti consentono il processamento delle argilliti in loco. In entrambi i casi, un processo di pirolisi, ossia un riscaldamento in assenza di ossigeno ad una temperatura che varia tra i 450°C e i 500°C, trasforma il cherogene contenuto nello scisto bituminoso in olio di scisto (conosciuto anche come petrolio sintetico) e gas di olio di scisto.
Il trattamento in-situ comporta il riscaldamento degli scisti bituminosi direttamente nel sottosuolo. Questa tecnologia è potenzialmente in grado di estrarre più petrolio a parità di superficie rispetto ai sistemi tradizionali  ex-situ, in quanto consente di sfruttare a pieno le capacità produttive della miniera.
Alcune argilliti petrolifere sono ricche anche di altri elementi,  come zolfo, ammoniaca, allumina e anche … uranio 5 6.
L’olio di scisto derivato ​​da scisti bituminosi non è comunque adatto a sostituire il petrolio greggio in tutte le applicazioni. Esso può essere comunque ricco di alcheni, ossigeno e azoto in percentuali significativamente maggiori rispetto al greggio convenzionale.  Alcuni oli di scisto possano presentare una maggiore contenuto di zolfo o di arsenico o di altri metalli pesanti anche di 20 o 30 volte. Questorende l’olio di scisto più adatto per la produzione di distillati medi, come il kerosene , il carburante per aerei , e il diesel per autotrazione. Solo attraverso processi di raffinazione  adeguati come il cracking è possibile trasformare l’olio di scisto in idrocarburi leggeri come la benzina.

Diagramma dei processi di lavorazione degli scisti bituminosi: Credit: Office of Naval Petroleum and Oil Shale Reserves, U.S. Department of Energy, Wikipedsia

L’impatto ambientale  è ovviamente  più accentuato nelle miniere di superficie che in quelle sotterranee. Tra i più importanti sono il  drenaggio acido provocato dall’ esposizione improvvisa e conseguente ossidazione dei materiali sepolti, il rilascio di metalli pesanti, come visto sopra, tra cui il mercurio nelle acque di superficie e sotterranee, l’aumento dell’erosione, le emissioni di zolfo e anche l’inquinamento atmosferico causato dalla produzione di particolato durante l’attività estrattiva e il trasporto.
L’attività estrattiva può danneggiare il valore biologico del territorio e l’ecosistema della zona mineraria. La necessità di riscaldare il cherogene genera materiale di scarto ed emissioni di diossido di carbonio, uno dei  gas responsabili dell’effetto serra.
Gli ambientalisti si oppongono giustamente allo sfruttamento di olio di scisto, in quanto la sua produzione – e il successivo utilizzo – genera più gas serra anche rispetto ai tradizionali combustibili fossili, tant’è che l’Energy Independence and Security Act proibisce agli enti governativi degli Stati Uniti di acquistare l’olio prodotto da processi che producono più emissioni di gas a effetto serra di quanto potrebbero fare i prodotti petroliferi tradizionali.
Alcune tecniche sperimentali di cattura e stoccaggio della CO2 possono mitigare alcuni di questi problemi in futuro, ma allo stesso tempo possono causare altri problemi, tra cui l’onnipresente inquinamento delle falde acquifere.
Altra contaminanti dell’acqua comunemente associati alla lavorazione dell’olio di scisto sono gli idrocarburi eterociclici 7.
Ma forse uno dei danni maggiori riguarda proprio l’uso eccessivo di acqua necessaria per l’estrazione: a seconda della tecnologia estrattiva utilizzata si arriva a consumare da 1 a 5 litri di acqua per ogni litro di olio di scisto prodotto, in Estonia -paese di riferimento che fa largo uso di questa tecnologia energetica – nel 2002 l’industria petrolifera consumò circa il 91% dell’intera acqua consumata nel paese! Altri studi rilasciati dal  Bureau of Land Management degli Stati Uniti confermò simili analisi 8 9.

 

 

fine prima parte

22 Aprile 2011: Giornata Mondiale della Terra

4 luglio 2010, mare di Chukchi, missione ICESCAPE Credit: NASA / Hansen Kathryn

Il 22 aprile 2011 si festeggerà la Giornata Mondiale della Terra, un giorno speciale per ricordarsi del nostro mondo.

Mi chiedo con quale spirito andremo a festeggiare questo giorno quando siamo rei di aver distrutto – come esseri umani – interi ecosistemi, avvelenato mari e fiumi e terre.
Abbiamo forti responsabilità nel Global Warming 1, nello sterminio di altre specie animali – come le balene tanto per fare l’esempio più noto,  eppure pur riconoscendo la gravità delle  nostre colpe non facciamo abbastanza per invertire il nostro comportamento.
Siamo ormai una scheggia impazzita dell’evoluzione, capace di commuoversi per un orso bianco isolato su una zattera di ghiaccio nel mare che però ama la comodità del telecomando per accendere la televisione.

Molti nostri elettrodomestici vanno solo in standby, sono specificatamente progettati senza chiedere più il fastidio di azionare un interruttore per accenderli, giusto giusto per succhiare avidamente quel poco di energia da giustificare l’incessante rincorsa alla sempre maggiore produzione di questa.
Nel 2005 l’Unione Europea stimò in oltre 40-45 Twh 2 i consumi degli apparati elettrici in standby in Europa e per questo emise una direttiva 3 per dimezzare questi consumi e oltre, a partire proprio dal 2011. Ma anche solo 20 o 10 Twh sono sempre tanti per un solo continente, troppi per un pianeta al limite del collasso ecologico.

Dovremmo festeggiare il 22 aprile col capo chino e cosparso di cenere,  piangere per quello che abbiamo distrutto e chiedere scusa alle future generazioni per lo stato in cui abbiamo ridotto il nostro pianeta: inquinato, sporco e febbricitante.
Dovremmo ricordarci del Nostro Pianeta invece tutti i giorni ed esprimergli il nostro amore con i nostri gesti quotidiani, attraverso il riciclo dei rifiuti o la conservazione dell’acqua, lo staccare la spina agli apparecchi in standby o la manutenzione delle nostre automobili.

Se vogliamo festeggiare degnamente il 22 aprile la Giornata Mondiale della Terra, iniziamo a cambiare le nostre abitudini già dal giorno prima e manteniamole nei giorni successivi, la Terra ce ne sarà grata.

Pareli nel Texas

Credit: David Blackburn - Amarillo, Texas

Se cercate su Wikipedia informazioni sul clima della città di Amarillo, troverete che la temperatura media oscilla tra gli 8,9 gradi centigradi di gennaio ai 33,3 gradi di luglio. Qualche volta capita che ci nevichi, ma raramente capita che sia freddo giù nel Texas.
Eppure il 9 febbraio scorso è capitato di vedere dei pareli 1 anche ad Amarillo, anche se da quelle parti deve essere raro come  vincere il primo premio alla lotteria!

il Teatro del Agua

Non sono un economista e di questo ne vado fiero, specialmente dopo che ho scoperto 1 che questi qualche volta si affidano ai maghi e agli oroscopi (!) per le loro previsioni che influenzano poi l’agire politico di intere nazioni e quindi di tutti noi; non farò un trattato new age di economia, ma cercherò di illustrare che una alternativa di sviluppo sostenibile per l’ambiente è realmente possibile e magari anche piacevole.

Rappresentazione artistica del Teatro del Agua. Credit: Charles Paton per studio Grimshaw (Progetto Eden)

… Non vogliate negar l’esperienza
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
2

Chi pensa che un’alternativa all’attuale modello economico di crescita infinita/PIL non esista o crede che l’altro modello della decrescita sostenibile porti alla disoccupazione di larga parte della popolazione e alla rinuncia del nostro tenore di vita, secondo me sbaglia di grosso. Come indicò anche il Sommo Poeta 800 anni fa, dovremmmo tornare a pensare in termini di qualità della vita, quindi anche della salubrità ambientale, piuttosto che accanirsi sulla produzione di merci che poi non possono essere assorbite dal mercato.
Il problema è che le risorse del pianeta sono finite, nel senso che sono limitate,  e che per quanti sforzi si possano fare nel risparmio energetico e nella redistribuzione delle risorse, il pianeta con l’attuale modello socioeconomico dominante non può sostenere la spinta di 10 miliardi di persone che, giustamente, chiedono le stesse opportunità.
La principale risorsa finita che è di importanza vitale per l’umanità è l’acqua.
Intorno all’acqua sono sorte tutte le grandi civiltà, e per la sua mancanza sono crollati imperi 3 .

Il Teatro del Agua 4  ideato qualche anno fa da Charles Paton col team del Progetto Eden e lo studio di architettura Grimshaw potrebbe risolvere molti grossi problemi di approvvigionamento idrico per molte comunità costiere e contemporaneamente essere usato come spazio ricreativo.
Il meccanismo di funzionamento è estremamente semplice: l’acqua di mare viene nebulizzata nell’aria più calda. Questo vapore entra in contatto con i condensatori raffreddati dalla stessa acqua di mare e si condensa in acqua dolce separandosi della componente salina; in pratica è lo stesso ciclo naturale delle nubi e della pioggia. L’energia per tutto l’impianto di pompaggio è prodotto con fonti energetiche rinnovabili.

Questa tecnologia può essere applicata per creare serre in climi aridi 5, purificare l’acqua in ambienti malsani etc. con un minimo dispendio energetico, cosa che gli attuali impianti dissalatori non riescono a fare.

È solo un esempio, è solo un  inizio, ma si  può fare.

Napoli, Italy

Napoli dallo spazio. Credit: Paolo Nespoli (ESA-NASA)

“Suol dirsi che Napoli abbia un gran nemico, il Vesuvio.
Chi non ne ha?
Altrove è un fiume, forse, altrove un lago, altrove l’aria pestilente.”
1

Come non dar ragione al nostro astronauta Paolo Nespoli, attualmente a bordo della stazione spaziale internazionale ISS, che vede inquietante la presenza di un vulcano attivo in mezzo alla città di Napoli?
Sì, perché quei paesi che sono ancora chiamati Portici, Torre del Greco, Boscotrecase, Ottaviano, Somma Vesuviana etc. in realtà sono tutti attaccati tra loro e con la città di Napoli sotto l’imponente spinta della crescita demografica del recente passato e dalla disordinata urbanizzazione del territorio (anche dei frequenti abusi edilizi).
Il Vesuvio, anche se ora è dormiente, è un terribile vulcano esplosivo ancora attivo, l’ultima attività importante risale al 1944 e i vulcanologi temono un prossimo devastante risveglio del vulcano.
I piani di evaquazione messi a punto dalla Protezione Civile sono largamente insufficienti, ma non per sua colpa:  da 600.000 a 1 milione di persone che dovrebbero fuggire dalle loro case con un preavviso di poche ore, attraverso strade inadatte a sostenere l’evacuazione, con la popolazione che non viene stimolata con esercitazioni continue.

Potremmo dire che la colpa è dei politici e che in democrazia  questi  sono scelti dal popolo. Vedendo la foto mi domando: gli abitanti di questa megalopoli hanno potuto veramente scegliere democraticamente i responsabili della loro devastazione?

Quattro vie per dire addio ai combustibili fossili

Un anno fa su Scientific American apparve un articolo 1 di Mark Z. Jacobson e Mark A. Delucchi che illustrava la fattibilità di produrre l’energia  mondiale necessaria solo col supporto delle fonti rinnovabili, ossia vento, acqua e sole (Wind Water Sun) a cui mi sento di unire anche la geotermia come importante fonte energetica pulita.  Il lavoro svolto presso l’Università di Stanford tiene conto di fattori importanti come l’impatto ambientale globale di tutta la filiera di produzione: riscaldamento globale, inquinamento, approvvigionamento idrico, uso del suolo, la biodiversità etc… .
Tenere conto di tutti i fattori che causano turbamento del delicato equilibrio planetario non è semplice, comunque questo ha di fatto eliminato tutte le fonti di approvvigionamento tradizionali come carbone, petrolio, gas e nucleare ma anche tutti i sistemi che riguardano i biocombustibili e i termogeneratori a combustione.

Energia e Combustibili

L’energia è un concetto tutto sommato astratto:  può essere qualsiasi cosa che produce un lavoro, sia esso meccanico, chimico o elettrico; tutti i combustibili quindi sono veicoli di energia: in seguito a una reazione chimica o nucleare questi rilasciano una certa quantità di energia che genera lavoro 2, 3.
Tutti i combustibili chimici che usiamo producono energia tramite la rottura dei legami chimici di molecole complesse rilasciando sottoprodotti di scarto come la CO2 4. Il problema risiede nel fatto che molti combustibili chimici  che usiamo sono di origine fossile, praticamente tutti, tranne quelli provenienti dalle biomasse attuali, originati cioè in milioni di anni da piante e animali morti che durante la loro esistenza avevano catturato il carbonio dall’ambiente. Nel momento del loro utilizzo perciò rilasciano il carbonio estratto dall’ambiente milioni di anni fa di cui erano custodi riversandolo nell’ambiente attuale. Le biomasse invece raccolgono ora il loro carbonio e ora viene liberato, quindi ad apporto virtualmente zero per l’ambiente.

A questo punto è facile intuire che i combustibili fossili sono vettori energetici che creano un grave danno all’ambiente. I biocarburanti apparentemente no, però questi non potrebbero risolvere la domanda energetica del pianeta senza distogliere all’agricoltura alimentare risorse importanti come acqua e suolo, possono essere vettori tollerabili solo  fino a quando un diverso sviluppo tecnologico con un diverso vettore non sarà diventato dominante 5.

Noi usiamo già questo terzo vettore, nelle nostre case e nelle fabbriche, negli uffici e nel tempo libero, è fondamentale per lo sviluppo tecnologico dell’umanità: si chiama elettricità.
Finora usiamo i combustibili fossili (o nucleari) per produrla, ma nuove tecnologie permettono la produzione di elettricità in grandi quantità senza intaccare l’ambiente e a costi sempre più competitivi rispetto ai metodi tradizionali, mi riferisco alle WWS + G di prima: vento, acqua, sole e geotermia.

Vento e Acqua

La centrale mareomotrice di Saint-Malo. Essa copre il 3 % del fabbisogno elettrico della Bretagna francese. Credit: Wikipedia

Il vento e l’acqua possono generare movimento, quindi energia, convertibile direttamente in elettricità esattamente come fa una turbina di una centrale a combustibile, l’unica difficoltà è che queste due risorse non sono ovunque e sempre disponibili, ma l’energia da loro prodotta può essere immagazzinata in un altro tipo di vettore (ex. idrogeno) o trasportata attraverso la rete elettrica. Non solo, essendo il vento mediamente disponibile sul pianeta, date le relativamente ridotte dimensioni e l’assenza di inquinamento dei mezzi di conversione d’energia movimento/elettricità, il suo sfruttamento si presta anche per la produzione locale di energia elettrica.
L’acqua come risorsa idroelettrica è già ampiamente sfruttata, manca solo di sfruttare l’energia resa dalle maree e dalle correnti marine 6, anche se esercizi pilota in questo senso sono già stati avviati in diverse parti del mondo.