Certo che spesso le cose più facili spesso prendono la via più difficile, ma così …
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A volte sembra che le Leggi di Murphy siano delle vere e proprie leggi naturali. Poi però come recitava un vecchio adagio dei cartoni animati “tutto è bene quel che finisce bene“, m’è riuscito di portare a casa, questo risultato.
Ma andiamo con ordine: domenica scorsa ho valutato attentamente le migliori -per me – condizioni per cercare di riprendere la 46P/Wirtanen nelle sue migliori condizioni di visibilità. Però anche la sempre maggiore presenza nel cielo della Luna in fase crescente poneva dei vincoli di visibilità non indifferenti, ormai non sono più un giovanotto e dopo cena preferisco il tepore di una coperta che il freddo zucchino di queste serate invernali! Per questo le date suggerivano di non andare oltre al 12 dicembre scorso. Ma anche le previsioni meteo erano impietose e prevedevano cielo sereno solo per il 10 e l’11. Il 10 dicembre è quello che infine ho scelto.
Il mio intento iniziale era quello di rendere omaggio a Siena riprendendola come sfondo ideale ma ogni sito che avessi in mente avrebbe sofferto di un notevole inquinamento luminoso e quindi questa idea è stata quasi subito abbandonata. Allora ho cercato altri siti con paesaggi bucolici come ce ne sono a bizzeffe da queste parti. Avrei dovuto scegliere un sito piuttosto lontano dai centri abitati ed il gioco sarebbe stato fatto. Purtroppo un altro vecchio adagio racconta che “Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni“. E così che io e l’altro mio amico che solitamente mi accompagna in questo genere di avventure, siamo rimasti impantanati con l’auto nel nulla della campagna senese lontano da strade frequentate. Niente che non potessimo risolvere da soli con qualche manovra degna di una competizione fuoristrada fatta con una vettura ibrida da oltre 1300 kg!
Pensate che le difficoltà siano così finite? Macché! Figurarsi quando ho scoperto di avere ben due cavalletti fotografici e nessun loro attacco! Per questo ho solo immagini dell’evento riprese col grandangolare da 10 mm: non potevo usare un cavalletto necessario per foto con focali più lunghe. In più, ogni mio sforzo di allontanarmi dall’inquinamento luminoso pur rimanendo in un punto comunque elevato si è dimostrato inutile: alla fine il luogo migliore si è rivelato essere una conca naturale tra due colline che di fatto hanno funto da schermo dal riverbero delle luci artificiali. Non proprio il massimo ma è stata la miglior soluzione possibile in quel momento. Poi con un supporto di fortuna e qualche spessore di sostegno mi è bastato puntare alla giusta zona di cielo e via; tanto ogni regolazione dei tempi e degli ISO li faccio tutti da remoto da dentro l’auto.
Sono comunque abbastanza fiero dei miei risultati che date le premesse potevano essere ben peggiori. Giusto ieri (il 15 n.d.a.) le mie foto principali – quelle in cima alla pagina – sono state usate al Gal Hassin da Sabrina Masiero in una presentazione al pubblico della cometa di Natale e dello sciame meteorico delle Geminidi che a causa del maltempo sulla regione non hanno potuto sfruttare il loro magnifico cielo. Ho saputo anche che sono state apprezzate. Sono piccole soddisfazioni anche quelle!
Cieli Sereni 🙂
Con l’avvento delle tecnologie di comunicazione di massa, come più in generale lo è Internet, il fenomeno del “complottismo” è diventato talmente importante che sta iniziando a erodere lo spazio dedicato alla democrazia.
Tempo fa parlai su queste pagine di analfabetismo funzionale e di ritorno. Esso è uno tra i più gravi problemi sociali che la nostra civiltà ha di fronte e che deve trovare la forza di affrontare, perché esso genera storture a ogni livello e rappresenta il vero problema con cui le democrazie dovranno prima o poi confrontarsi. Una migliore formazione culturale di massa però potrebbe fermare questo elemento.
Anzitutto mi preme fare una breve premessa, ma che da sola meriterebbe un intero trattato. Non c’è niente di male in un po’ di sana diffidenza. Dubium sapientiae initium è uno dei motti cardine di questo Blog, e invito i miei lettori a dubitare sempre, e su tutto, anche su quello che scrivo io. Sia la diffidenza che il cercare schemi in tutto quel che ci circonda è nella natura umana, istinti che nei millenni hanno permesso all’uomo di evolversi e diventare ciò che è oggi.
Guardate le nuvole, un quadro astratto o qualsiasi altra cosa non ben definita come il cielo stellato. Se vi sforzate un attimo vi scorgerete schemi a voi familiari: volti di persone, forme animali etc. Quella si chiama pareidolia, ovvero la capacità di scovare forme note in schemi casuali.
Lo stesso meccanismo funziona anche per gli eventi: ossia l’essere umano ha la capacità di ricollegare fatti casuali in uno schema più generale. Se avete letto Agatha Christie capirete immediatamente quel che intendo. Questa capacità è fondamentale per l’istinto di sopravvivenza dell’individuo, per esempio: piove ⇒ tuoni ⇒ possibilità di morire folgorato; ma però indirizza anche la percezione meccanicistica di causa-effetto tipica di qualsiasi evento verso una visione più finalistica, cioè che indica un fine ultimo occulto: ho lavato l’auto ⇒ piove ⇒ un essere superiore ce l’ha con me perché ho l’auto pulita. Questo genere di dibattito interessava Anassagora, Platone e Aristotele già 25 secoli fa.
Quindi è normale cercare schemi in eventi e fenomeni casuali, ma ora noi possiamo valutarli con un bagaglio infinitamente superiore di conoscenze e di informazioni rispetto ai nostri antenati: le correnti d’aria di diversa umidità e temperatura all’interno di una tempesta caricano elettricamente le nubi temporalesche dando poi origine ai fulmini che possono uccidere una persona; quindi non è il caso di andare fuori durante un temporale. Poi se qualcuno vuol vedere nei fulmini la furia di Thor o di Zeus o di qualche altro essere soprannaturale è liberissimo di farlo.
L’analfabetismo funzionale
Costituzione Italiana Articolo 33
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
[….] Articolo 34
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Sembra un controsenso parlare di analfabetismo funzionale in paesi, come l’Italia, dove la Costituzione suggerisce la scuola pubblica gratuita.
Eppure i dati degli istituti di ricerca internazionali sono impietosi: in Italia gli analfabeti funzionali sono almeno tra il 30 e 45% della popolazione tra i 16 e i 65 anni, a seconda dei parametri di riferimento presi.
Ma questo non è il punto di arrivo del mio discorso, ma soltanto la premessa che dovrebbe essere tenuta in debita considerazione quando si tentano di analizzare i complottismi.
Cos’è il complottismo? Sostanzialmente pensare che tutto: dalla narrazione di un evento fino alla trattazione di un argomento o la descrizione di un fatto siano frutto di un inganno volto a negare la realtà per fini più o meno oscuri. Non è affatto un fenomeno culturale moderno, anzi. Ci fu chi pensò che la Prima Guerra Mondiale o la nascita dell’Unione Sovietica fossero eventi pilotati da un disegno politico perverso (Rudolph Steiner, 1918), oppure chi credette al cumulo di sciocchezze descritte nei Protocolli dei Savi di Sion1 come Adolf Hitler e i nazisti.
Esiste poi diffusa nella società una buona dose di sfiducia nelle istituzioni che non sempre si sono mostrate integerrime e trasparenti. i casi di malasanità, di tangenti per scopi politici, la politica stessa usata da molti come strumento di elevazione sociale personale se non addirittura come strumento di potere e feudo, hanno minato la fiducia che le istituzioni invece dovrebbero tutelare come il bene più prezioso. Gli esempi che qui cito riguardano l’Italia, ma non è difficile scoprire che anche negli altri Paesi più o meno accade o è accaduto lo stesso.
Quindi non importa se l’ex ministro della Sanità Francesco de Lorenzo introdusse la vaccinazione obbligatoria contro l’epatite B nel 1991, oppure che istituì il numero unico per il soccorso sanitario 118 (1992): egli è passato alla storia per gli affari di Tangentopoli in concorso a Duilio Poggiolini, e per la leggenda metropolitana di aver aumentato le soglie di potabilità dell’acqua contaminata dall’atrazina 2, il messaggio che passa è spesso condizionato nella sua accezione negativa a prescindere dai risultati. Attenzione: non voglio con questo riabilitare certe figure a scapito di altre, ma credo che il compito di chi ha nel cuore il dibattito scientifico sia quello di attenersi ai fatti nudi e crudi e di lasciare il resto del giudizio alla Storia.
La sfiducia generalizzata nelle istituzioni democratiche
Questo clima di sfiducia è l’humus ideale per fare della dietrologia che poi spesso sfocia nel complottismo: perché mai dovrei fidarmi, dare fiducia, alle parole di un politico o di un ministro quando lui, o altri prima di lui, ha avuto comportamenti non proprio specchiati o è, o è stato, in odore di conflitto di interessi veri o presunti?
Una volta il popolo sapeva ciò che i canali ufficiali raccontavano; sì, è vero, qualche volta circolavano anche notizie tramite canali alternativi, ma essi erano sempre di terza mano e circoscritti ad una cerchia di persone piuttosto ristretta. Con la stampa, la radio e la televisione le cose non cambiarono se non in termini numerici di platea; d’altronde tutti questi sono canali a senso unico: qualsiasi notizia o informazione può essere veicolata in un’unica direzione, ossia proponente e fruitore. Internet ha cambiato tutto: ognuno — anche io in questo momento — può proporre informazione, giusta o sbagliata che sia, ad un pubblico più o meno vasto non meglio definito.
Una volta la chiacchiera da bar, magari detta per celia o in un momento di squilibrio, rimaneva per quel che era: una sbruffonata detta in libertà, condita da risatine e prese in giro lì per lì 3. Grazie ad Internet e ai social network, che dopotutto fanno ciò per cui sono stati progettati, oggi invece chiunque può raggiungere una platea infinitamente più vasta dei quattro buontemponi da osteria. E grazie alla tecnologia che consente — finalmente — lo scambio di informazioni, ossia che fonde in un unico soggetto ideale proponente e fruitore, anche le bischerate possono diventare oggetto di proselitismo. Però finché queste rimangono nell’ambito delle sciocchezze stravaganti, il danno è obbiettivamente poco, ma quando queste diventano oggetto di pressione mediatica e sociale allora diventano un problema serio.
Mi spiego meglio: se qualcuno mi parla di scie kimike o di ufini ‘lieni posso farci giusto una risata perché so che quelle che si vedono talvolta in coda agli aerei sono banali scie di condensazione (vapore acqueo) reso visibile dalle condizioni ambientali in cui si trova il vettore in quel momento, e che i ‘lieni non siano poi così stupidi da rapire qualche stravagante tipo e sgozzare alcune capre in giro per la campagna, quanto piuttosto mi aspetterei da parte loro un ingresso un attimino più eccitante come potrebbe essere l’atterrare sul tetto del Palazzo dell’ONU, sul prato della Casa Bianca o nella Piazza Rossa a Mosca: dopotutto hanno viaggiato per metà galassia per venirci a far visita. Ma quando le scie chimiche o gli UFO diventano oggetto di interrogazioni parlamentari allora inizio a preoccuparmi.
Ancora peggio quando vedo che strumenti importanti come i vaccini diventano oggetto di diatriba politica, in entrambi i sensi: e qui mi riferisco a coloro che tentano di dare un colore politico oppure ideologico alla Scienza: questa non ha colore politico e non appartiene alla causa di un partito, è frutto di secoli di esperienze e ingegno umano e appartiene a tutta l’Umanità. Cercare di tirarla per la giacchetta, come — anche ora — tenta di fare qualcuno è la cosa in assoluto più dannosa che si possa fare alla causa scientifica. È giusto — e si dovrebbe — abbracciarne lo spirito, ma mai attribuirsene la paternità., anche indirettamente, per colpire gli avversari accusandoli di non essere dalla parte della Scienza.
Qualche esempio
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Dietro a una alquanto distorta idea di democrazia libertaria, il movimento no-vax si fa scudo di concetti come Libertà dell’Individuo, Diritti del Cittadino, Libertà di Cura etc., sacri se presi nel giusto contesto, per una idea antiscientifica e perniciosa.
Prima di tutto è opportuno ricordare che l’idea che i vaccini siano dannosi non è nuova: R. Steiner, il pittoresco personaggio che ho menzionato qui sopra, nei primi anni del XX secolo era contrario ai vaccini sostenendo che le malattie esantematiche fossero un passaggio necessario alla crescita del bambino, fino ad ipotizzare che i vaccini sarebbero potuti diventare un mezzo per il controllo delle masse(!). Ma la paura verso i vaccini era ancora più antica, in pratica risale all’epoca della scoperta del metodo della vaccinazione, dove si mescolavano timori per la purezza dell’uomo, a credenze religiose.Se avesse vinto quella linea di pensiero avremmo ancora oggi malattie mortali come il vaiolo, la tubercolosi e la poliomielite con cui avere a che fare. Per fortuna invece, nel Mondo Occidentale soprattutto ma anche in buona parte del III Mondo, queste malattie sono virtualmente scomparse proprio grazie a poderose campagne di vaccinazione di massa: questo discorso da solo dovrebbe dimostrare che la fobia verso i vaccini è scientificamente immotivata.
Se questo non bastasse, l’altro ritornello complottista che vuole che i vaccini siano in realtà un’oscura trama dei Poteri Forti, di Big Pharma e compagnia cantante per arricchirsi con il loro commercio, basta ricordarsi che il vaccino è fondamentalmente una profilassi, cioè che previene l’insorgere di una patologia che richiede una cura. E allora: dove sarebbe realmente questo guadagno? Concentriamoci per un attimo su un altro cavallo di battaglia dei no-vax.
Il brevetto di Wakefield per una nuova serie di singoli vaccini al posto di un unico vaccino trivalente (MPR).
Un’altra obiezione riguarda la diffusa credenza che i vaccini contengano metalli pesanti o comunque sostanze dannose per l’uomo; questa malata convinzione si basa su uno studio falsificato ad hoc da un medico gastroenterologo, tale Andrew Wakefield, reo di aver intascato soldi da un avvocato, Richard Barr, al soldo di un movimento no-vax, JABS, orientato a dimostrare un legame tra incidenze di alcune patologie come il Morbo di Chron e l’autismo con le vaccinazioni MPR (Morbillo-Parotite-Rosolia, in inglese MMR: Measles-Mumps-Rubella) ricevute [cite]10.1136/bmj.c5258[/cite]: un po’ come se volessi dimostrare che la principale causa di morte per incidente stradale è aver conseguito la patente di guida dietro compenso dalla lobby dei Piloti della Domenica.
Non contento del suo falso studio, Wakefield suggerì poi di sostituire il trivalente con una serie di vaccini singoli di sua concezione — dopo averne depositato i brevetti — e organizzato una massiccia campagna di raccolta fondi per la loro produzione: un po’ come se suggerissi di sostituire la vostra auto con dei pattini a motore di mia invenzione.
Questa immagine è uno screenshot relativo a un cartone animato protetto da copyright della Warner Bros.
Ecco dove spunta il Rasoio di Occam che ho richiamato nel titolo: è qui che occorre pesare il pensiero complottista coi fatti reali, ovvero abbandonare una visione finalistica per tornare a inquadrare il problema per quel che è veramente. Davvero le scie degli aerei sono volte al compimento di un oscuro piano architettato per il controllo delle masse (notate la somiglianza di questa idiozia col pensiero di Steiner)?
In un’altro articolo illustrai [1] che studi — seri — per la geoingegneria climatica sono ancora al livello teorico, mentre per quanto riguarda il controllo meteorologico di aree specifiche ormai è routine. Ma in nessun caso si parla di scie chimiche e di irrorazioni, a meno che non viviate dentro a un un campo di mais da fertilizzare e tutto il mondo per voi inizi e finisca qui, e nel tal caso vi beccherete l’irrorata del contadino.
Se fosse vera l’idea del complottista medio di oscure trame volte a soggiogare e sterminare metà del genere umano, mi viene da pensare che questi siano un po’ come quelli della ditta ACME (A Company Making Everything) di Wile E. Coyote e Beep Beep: a furia di volersi occupare di tutto (scie chimiche, terremoti artificiali, segnali subliminali, vaccinazioni di massa, falsi allunaggi etc.) poi non ne azzeccano una manco per sbaglio.
Nonostante la manifesta imbecillità umana nel progettare e mettere in pratica conflitti militari quasi in ogni angolo del pianeta, programmare la distruzione dell’equilibrio biologico con la deforestazione selvaggia, l’inquinamento dei mari e il riscaldamento globale, la popolazione mondiale è in continuo aumento e l’accesso a Internet è oramai praticamente diventato un Diritto Fondamentale della Persona; in questo modo anche gli stolti possono guadagnarsi un minuto di celebrità inventando inverosimili panzane come la Terra Piatta 4.
Conclusioni
Per finire mi riallaccio al preambolo iniziale: l’analfabetismo funzionale. Se non si è in grado di capire un testo anche elementare, seguire compiutamente un dibattito etc., è assai difficile poi distinguere il confine tra una burla, una truffa oppure un complotto. Tutto appare reale e credibile; anche la più colossale fandonia. Diversi anni fa feci un esperimento sociale; niente di malizioso e senza alcuna valenza scientifica: proposi a una persona, oggi tra i miei più cari amici e che ora mi starà senz’altro leggendo, una rilettura alternativa dell’epopea umana partendo addirittura dall’estinzione dei dinosauri. Misi insieme alcune sciocchezze prese qua e là insieme a dati reali, ci confezionai attorno una cronistoria fantastica avvincente, ma soprattutto coerente. Più tardi svelai al mio amico l’arcano dimostrandogli quanto sia facile inventarsi una fantasia; in seguito, con la sua complicità, ho ripetuto tale bufala in una pagina social e ho visto che nessuno ha contestato la mia narrazione, anzi: essa era presa per vera perché apparente confermava altre loro sbagliate credenze.
Questo dimostra che è infinitamente più semplice credere che l’Allunaggio del 1969 e quelli successivi siano stati girati in qualche studio cinematografico da Stanley Kubrick (il regista di 2001: Odissea nello spazio) perché è più appagante fantasticare su un complotto mondiale che impegnarsi per capire l’immenso sforzo di ingegneria occorso per raggiungere la Luna. Ma anche ragionando un attimo soltanto su questo punto, si può notare subito quanto però sia difficile, e di conseguenza assurdo, nascondere un simile segreto che coinvolge, direttamente o indirettamente, decine di migliaia di persone per quasi cinquanta anni. E questo senza entrare in altri dettagli tecnici come la regolite lunare, l’apparente paradosso della bandiera che oscilla, le ombre e il cielo senza stelle nelle fotografie lunari.
Quindi nessun complotto o burla può reggere il vaglio di un principio fondante del metodo scientifico: a parità di informazioni su un certo fatto, il più semplice contesto che le racchiude è quello più probabilmente vero. Disegni, trame oscure, Nuovo Ordine Mondiale, perdonatemi il francesismo, sono tutte puttanate. Ma quando simili argomenti diventano dibattito politico, allora viene da chiedersi se davvero ci possa essere qualcosa di bacato nel nostro modo di concepire la democrazia.
Sì, qualcosa di sbagliato c’è, e a mio avviso la risposta sorprendente è che ancora nonostante tutto non c’è ancora abbastanza democrazia e che dovremmo trovare assolutamente il modo di rimediare. Quando a uno qualsiasi di noi non viene consentito, per motivi economici o sociali, di formarsi culturalmente, di ricevere una istruzione al passo della società e di conseguenza di evolversi come Cittadino Consapevole, allora la Democrazia arretra, rinuncia al suo più importante obbiettivo: farsi Popolo .
Tra le costellazioni dello Scorpione e della Bilancia c’è Ofiuco, detto anche Il Serpentario o Il Portatore del Serpente (Il Serpente è l’unica costellazione del cielo divisa in due parti distinte). Sta viaggiando in quella direzione la sonda Voyager 1, che ha impiegato quasi cinquanta anni per arrivare appena all’eliosfera del Sole.
L’eclittica, ossia il moto apparente del Sole nel cielo nell’arco di un anno, attraversa anche questa costellazione, rendendola di fatto il tredicesimo segno zodiacale. Pur essendo nota fin dall’antichità, dopotutto Ofiuco è una delle 24 costellazioni descritte da Tolomeo, questa è stata ingiustamente trascurata dall’astrologia ufficiale — non soltanto per questo però ritengo che l’astrologia sia una solenne bischerata — forse in nome di connessioni numerologiche che hanno origine nella ancor più remota tradizione babilonese (l’abitudine di suddividere il giorno in 12 ore viene proprio da loro). Ma non è per questo che oggi parlo di Ofiuco ma bensì per una stellina che in questo momento si trova proiettata proprio in questa regione dello spazio: la Stella di Barnard.
Questo è il quadro della distanza dal Sole delle stelle più vicine nell’arco di 6 anni luce.
Credit: IEEC/Science-Wave – Il Poliedrico
Di per sé la Stella di Barnard non è che una stellina insignificante, con una massa che non è neppure un sedicesimo del Sole, ossia una nana rossa di classe M4. Eppure questa stellina è la stella singola più vicina al Sole: 5,94 anni luce 1 e fu notata dall’astronomo americano Edward Emerson Barnard del Lick Observatory (Università della California) nel 1916 per il suo moto proprio apparente rispetto alle altre stelle più lontane: quasi 10″ d’arco all’anno.
La sua estrema vicinanza al Sole ne ha fatto una delle stelle più seguite e studiate del cielo in assoluto. Nel 1938 un altro astronomo, l’olandese Peter van de Kamp si era convinto che la nostra stellina avesse un compagno 1,6 volte più grande di Giove in un’orbita appena un po’ più piccola del nostro gigante gassoso [cite]10.1086/109001[/cite].
Curioso era il metodo dello scienziato olandese: egli mostrava le lastre della Stella di Barnard a non meno di dieci persone per ognuna in modo da minimizzare gli errori di lettura: oggi ci sono metodi più efficaci e precisi ma comunque anche quella dopotutto era una buona idea.
La scoperta
Ma col passare del tempo e con misurazioni sempre più accurate si scoprì che di quel pianeta non v’era traccia e Van de Kamp rimase il solo a crederci fino alla sua morte nel 1995, appena 5 mesi prima che il primo pianeta extrasolare, 51 Pegasi b, venisse scoperto.
Ma non tutto era perduto: per la loro piccola massa, le nane rosse sono le migliori candidate per la ricerca dei pianeti extrasolari. Comunque fino ad ora non era stato rivelato alcun corpo intorno alla Stella di Barnard: varie campagne osservative nel primo decennio di questo secolo avevano continuamente aggiornato le loro stime escludendo così pianeti gioviani di lungo periodo e imponendo limiti superiori alla ricerca [cite ]http://dx.doi.org/10.1088/0004-637X/764/2/131[/cite].
E qui entra in scena la campagna osservativa nota come Progetto Red Dots [1.Progetto Puntini Rossi. Il nome mi ricorda il celebre Pale Blue Dot di Carls Sagan.] che racchiude alcuni dei maggiori osservatori del pianeta dedicati alla scoperta degli esopianeti.
E qui, grazie al noto spettrografo HARPS che spesso ho descritto in altri precedenti articoli e al CARMENES (Calar Alto high-Resolution search for M dwarfs with Exoearths with Near-infrared and optical Échelle Spectrographs) 2 la ricerca di Barnard’s Star b ha avuto finalmente successo.
Questo pianeta in effetti sembra essere appena a 60 milioni di chilometri dalla stella, ossia poco più in là dell’orbita di Mercurio dal Sole, una massa minima stimata intorno alle 3,23 masse terrestri e che compie una rivoluzione in circa 233 giorni.
Data la distanza potrebbe sembrare naturale supporre che sia un mondo caldo: in realtà con quella stella così minuscola lì è freddissimo: appena 105 kelvin (circa 170 °C sotto zero). La temperatura di equilibrio della zona in cui il pianeta si trova a orbitare è paragonabile a quella che affronterebbe un uguale corpo a un miliardo di chilometri dal Sole, addirittura più in là dell’orbita di Giove.
Anche il limite di massa inferiore può aiutarci a capire questo novo mondo, come probabilmente avrebbe detto il grande Galileo: le sue dimensioni risulterebbero comprese tra 9000 e 13000 chilometri, a seconda della sua densità (qui io suppongo una forbice di densità tra i 2 e i 5,5 kg/m3). Questo è importante soprattutto per calcolare la sua velocità di fuga, che a seconda dei precedenti parametri potrebbe essere compresa tra 14 e 16 km/s.
E questo valore unito alla velocità quadratica media di un gas di idrogeno a 100 K (circa 1000 m/s) mi suggerisce che la sua atmosfera possa essere più simile a quella di un gigante gassoso che a quella di un pianeta di tipo roccioso.
Conclusioni
Quindi, con quella massa e quella temperatura di equilibrio (che ricordo non è la temperatura del pianeta come erroneamente alcuni tendono a credere) non mi stupirei quindi se quando riusciremo a vedere fisicamente il pianeta 3 e a studiarlo più nel dettaglio si scoprisse che la sua atmosfera non fosse poi molto dissimile a quella dei Giganti di Ghiaccio del nostro sistema solare.
Per i particolari vi rimando all’articolo apparso su Nature [cite]http://dx.doi.org/10.1038/s41586-018-0677-y[/cite] (trovate il PDF qui su ArXiv) e l’intervista a Ignasi Ribas sulla scoperta dell’esopianeta. [2].
Sono colpevolmente assente da queste pagine da molto, troppo tempo. Quest’anno non ho nemmeno avuto il tempo di partecipare alla pubblicità della Notte Europea dei Ricercatori sponsorizzata ogni anno a settembre per l’Italia dagli amici di Frascati Scienza. Ritengo quel momento fondamentale per l’intera ricerca scientifica europea e le importanti sfide che ci attendono nel futuro e spero di essere presente il prossimo anno come blogger.
Il motivo di questa mia lunga pausa è dovuto al fatto che ho da poco ripreso in mano l’idea, vecchia ormai di due o tre anni, di scrivere un mio libro. Non me la sento per ora di garantire un regolare flusso di articoli finché sarò preso in questo importante progetto che non so per quanto mi terrà impegnato nel prossimo futuro. Per farmi perdonare e per stuzzicare la vostra curiosità, pubblico in anteprima un breve estratto della presentazione che lo accompagnerà.
Ovunque posassimo lo sguardo nell’Universo vedremmo infinite varietà che rendono unico ogni anfratto.
Le leggi fisiche sono soltanto quattro, le combinazioni che i protoni, neutroni ed elettroni possono raggiungere — presumibilmente — sono appena 137. Eppure in questo sterminato Universo fatto di migliaia di miliardi di galassie e infiniti vuoti non c’è una stella, un mondo, un metro cubo di spazio esattamente uguale a un altro.
E anche là dove fosse sorta la vita, non potrebbe esserci un organismo esattamente identico a un altro, sia nello spazio che nel tempo. Restando su questa piccola gemma blu spersa nell’infinito cosmico, nelle migliaia di secoli non è mai esistito animale o vegetale del tutto identico al suo più prossimo. Un solo Pitagora, un solo Giulio Cesare, Gandhi o Einstein: ognuno di noi è lievemente diverso dal resto e proprio questo lo rende preziosamente unico.
Per estensione potremmo affermare che la Specie Umana e la Terra sono uniche in tutto l’Universo e in tutta la sua storia passata, presente e futura. Questo non deve essere visto come un inno all’antropocentrismo ma bensì come lode all’essere umano. Come esseri senzienti dovremmo riflettere bene su questo aspetto e di conseguenza mirare le nostre azioni se non vogliamo finire nell’oblio cosmico.
Una plausibile risposta alla celebre domanda “… allora dove sono tutti quanti?” di Enrico Fermi — poi passata alla storia come il Paradosso di Fermi — è che ogni civiltà tecnologica emergente prima o poi è costretta ad affrontare una o più sfide che ne potrebbero decretare il fallimento, un Grande Filtroche di fatto renderebbe il passaggio da civiltà tecnologica a civiltà interplanetaria e poi cosmica molto molto difficile.
Trent’anni fa era la prospettiva di una guerra apocalittica combattuta con armi di distruzione di massa [1. Carl Sagan sostenne che è proprio la durata di una civiltà il fattore più importante per stabilire quante esse ci siano adesso nella galassia: egli sottolineò l’importanza delle difficoltà che avrebbero incontrato le specie tecnologicamente avanzate per evitare l’autodistruzione. Questa consapevolezza accese l’interesse di Sagan verso i problemi ambientali e lo spinse ad impegnarsi contro la proliferazione nucleare.] per la supremazia tra due modelli sociali opposti e apparentemente inconciliabili 1, oggi quell’incubo, anche se non si è mai allontanato del tutto, è stato scavalcato dal degrado ambientale globale, di cui il Global Warming con tutte le sue conseguenze politiche ed economiche che comporta è soltanto il più noto, l’esaurimento delle risorse naturali causato dal dissennato sfruttamento imposto dal modello economico globale imperante, oppure una involuzione sociale causata da una o a tutte le minacce menzionate qui sopra messe insieme.
Qualora ci soffermassimo per un attimo a osservare il percorso evolutivo dell’Universo, potremmo renderci conto che quando facciamo della scienza e della filosofia non siamo nient’altro che Universo che si interroga su sé stesso, un angolo di Autocoscienza Universale che non merita di perdersi nell’oblio del nulla: una flebile scintilla di intelligenza che merita di diventare fuoco eterno. Affinché l’Umanità emerga nel panorama cosmico, cosa che mi auguro, essa dovrà saper affrontare grandi e importanti sfide: non esistono scorciatoie per questo traguardo.
E lo dobbiamo per nostri sacrifici, i nostri antenati e tutta la storia di questo pianeta; dobbiamo farlo per assicurare un futuro ai nostri figli e tutti i nostri discendenti. Altrimenti ogni sforzo, lacrima e sudore versati finora da ogni Uomo sarà stato vano.
Il mezzo flop delle riprese della scorsa eclissi lunare avrebbe potuto gettarmi nello sconforto e farmi abbandonare il mio progetto. E invece …
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum dice un vecchio detto latino, e spesso è vero. Ma non sempre: qualche volta perseverare dopo aver fatto tesoro dei propri errori è la vera chiave del successo.
Ho ordinato nuovi cavetti per lo scatto remoto, modificato il supporto del motore del mio Astro Dollyper sostenersi a un cavalletto fotografico (per ora c’è il nastro telato per non rovinarvi la sorpresa) e aggiornato il software di controllo del mio progetto (che presto renderò pubblico sul mio canale Github). Il risultato è che nella notte del 13 agosto (quella per intenderci tra il 12 e il 13) tutto ha funzionato a dovere: tra le 00:12 e le 02:41 sono state riprese 529 foto da 15 secondi di esposizione a 800 ISO con un intervallo di 2 secondi tra l’uno e l’altro scatto.
Nonostante l’inquinamento luminoso (ero in giardino) della vicina città di Siena e degli antipatici lampioni stradali poco più sotto, ho potuto registrare un paio di meteore delle Perseidi.
Non molte per la verità ma quello passava il convento e sono comunque soddisfatto del risultato.
Ora non mi resta che continuare con i test e avviare la progettazione della nuova versione dell’Astro Dolly, dopotutto questo è soltanto un prototipo, con schermo per la programmazione e la raccolta di informazioni come la durata dello scatto, la sua ora e la posizione GSM del sistema e soprattutto un bulb ramping per riprendere i tramonti.
Mi piacerebbe implementare anche un sistema di controllo remoto ma ho uno schermino touch screen da sfruttare in qualche modo e comunque il primo non esclude il secondo.
Ho un sacco di idee da realizzare e il tempo non è mai abbastanza.
Cieli sereni
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Timelapse di 529 fotogrammi ripresi con una Canon EOS 7D e un Samyang 10mm f 2.8 – 800 ISO per 15 secondi
Mea culpa: lo scorso mese non sono riuscito a scrivere niente. Nemmeno per finire la seconda parte riguardo alla scoperta di molecole organiche su Marte — tema che senz’altro voglio concludere — perché in questi ultimi mesi sono stato preso dall’evento clou di questo periodo: l’eclissi di Luna del 27 luglio scorso. Ma come insegna la celebre legge empirica di Murphy: « Se qualcosa può andar storto, sicuramente lo farà. » E al primo tentativo sul campo, aggiungo io.
Il mio dolly (per ora un prototipo) durante i primi test. Credit: Il Poliedrico
È noto che avrei voluto costruire un astroinseguitore cercando un approccio molto diverso dalla classica barn door tracker, dove la rotazione di una tavoletta su un suo asse esattamente in sincronia con la volta celeste permette di fotografare le stelle fisse senza moto apparente. Non voglio ripetermi sulla geometria di tale strumento, basti ricordare che l’asse va posizionato esattamente parallelo all’asse terrestre: in pratica è il medesimo schema di una montatura equatoriale. Concettualmente è banale ma la realizzazione del mio progetto richiede una precisione meccanica che io non possiedo e da solo non posso ottenere: sarebbe ben più pratico e meno costoso comprarmi una montatura equatoriale motorizzata e concentrarmi esclusivamente sulla parte elettronica e di programmazione.
Per questo ho ridimensionato il progetto a un semplice dolly, un aggeggio motorizzato che fa muovere la macchina fotografica mentre scatta. Il risultato è un time-lapse che ruota. Per evitare il mosso nelle esposizioni lunghe come richiede l’astrofotografia, la rotazione viene fermata durante lo scatto e ripresa durante l’intervallo tra due riprese. Per rendere il progetto più interessante ho pensato di sfruttare un sensore di luce (TSL2591) estremamente sensibile (da 0.000118 a 88000 lux) per determinare automaticamente la durata del tempo di scatto, quello che in gergo fotografico è chiamato bulb ramping, ovvero una compensazione graduale dell’esposizione nella transizione tra il giorno e la notte,
Il piano A
La variazione di luminosità del fondo cielo durante una eclissi di Luna appare evidente in questo curioso collage emerso durante la creazione del timelapse. Il puntino rosso in basso è Marte, il quale offre un inaspettato riferimento: esso diviene via via meno importante con l’aumentare della luminosità ambientale dovuta dall’uscita della Luna dal cono d’ombra. Credit: Il Poliedrico
Chi ha assistito a una eclissi di Luna avrà senz’altro notato come la luminosità del fondo cielo varia drasticamente durante questa: l’idea di una graduale compensazione dell’esposizione era troppo ghiotta perché me la facessi sfuggire.
Così ho scritto un po’ di codice per ottenere un effetto bulb ramping pilotato dal TSL2591 e questo … funzionava! O meglio, ottenevo una lettura dei lux corretta in ogni condizione di luce e da qui ho ricavato una routine che avrebbe poi regolato il tempo di scatto. Purtroppo quando andavo a integrare il sensore e le sue routine nel circuito di controllo del dolly ottenevo sempre dei crash di sistema del tutto casuali e imprevedibili.
Ho rivisto il codice, l’ho riscritto per buona parte, ma niente; Il problema era più un limite hardware: sia il sensore che io nel dolly stavamo usando lo stesso timer a 16 bit dell’ATmega328P dell’Arduino Nano (l’unico a 16 bit disponibile) e pasticciare con lo stesso timer per fare due cose diverse non è mai una bella cosa.
Avrei dovuto riprogettare la parte elettronica con un ATmega2560 ma ormai non c’era più tempo. Ed ecco:
Il Piano B
Il panorama era fantastico! Credit: Il Poliedrico
Vi ricordate il Canon Hack Development Kit (CHDK) di cui parlai qualche anno fa [3][4]? Ebbene, ne esiste una versione più evoluta e completa per le Canon EOS che si chiama Magic Lantern [5]. Anche questo è un firmware alternativo che, come il CHDK delle Canon Powershot, si installa nella RAM della fotocamera senza distruggere il firmware originale. Esso semplicemente aggiunge delle funzionalità alle preesistenti nel firmware ufficiale. Basta togliere il programma dalla memory card e tutto torna come prima.
Tra queste utilissime nuove funzioni c’è anche una specie di bulb ramping integrato piuttosto evoluto ma non avevo il tempo materiale per studiarne le regolazioni.
È pure disponibile perfino un grazioso intervallometro che non avrei mai immaginato quanto questo mi sarebbe stato utile. Ma andiamo con ordine.
Il Piano C
Questo è il mio power bank per le riprese sul campo. Alimentato da una batteria piombo/acido da 12 V-10 Ah. Le uscite avio e jack per il telescopio e altri accessori a 12V sono controllate e stabilizzate elettronicamente, poi prevede due uscite USB e una presa accendisigari. Credit: Il Poliedrico
Il bulb ramping interno alla fotocamera avrebbe risolto il primo problema: programmando il dolly di fare una pausa di scatto di 10 secondi mi avrebbe comunque permesso di fare riprese corrette come avrei voluto, ma la mancanza di esperienza nel regolare tutte le variabili necessarie mi ha costretto a rinunciare anche al piano B. A quel punto il dolly avrebbe dovuto semplicemente muovere la fotocamera e ordinare uno scatto di 3-4 secondi di esposizione a 400 ISO (per minimizzare il rumore) e via; d’altronde la configurazione da me scelta aveva dato buoni risultati con la Luna quasi piena delle sere precedenti.
Avete presente la nuvola nera di Fantozzi? La mia era uno sciame di moscerini (o erano zanzare?) che danzavano proprio sopra la mia testa; letteralmente! E per la fretta, le mie dita a prosciutto o la Maledizione della Prima Luna, mi è capitato anche che spezzassi il jack di scatto dentro la fotocamera 1: di conseguenza niente dolly e scatto remoto.
Se credete che questo basti per scoraggiarmi vi sbagliate. È a questo punto che l’intervallometro, mai sperimentato, dentro al firmware Magic Lantern ha in parte salvato la mia serata osservativa e consentito comunque di fare un timelapse dell’eclissi.
Avevo portato anche un’altra fotocamera sul campo ma imprevisti problemi di carica della batteria mi hanno impedito di fare riprese dell’evento a lunga focale.
Dicono che la fortuna è cieca ma nel mio caso la sfiga ci vede benissimo!
Conclusione
Nonostante tutte le avversità che mi sono capitate, io e chi si è unito a me per la serata cii siamo divertiti, mentre di tutto quello che mi è successo per questa occasione mi servirà di lezione per l’eclissi del 16 luglio prossimo 2, perché in questo campo non si smette mai di imparare. Se mi vorrete sarò molto probabilmente nello stesso posto, perché a parte il discreto viavai di coppiette in cerca di intimità 3 (i flash nel filmino sono dovuti ai fari delle loro auto 😀 ) perché trovo che quel luogo sia incredibilmente bello e suggestivo.
Cieli sereni
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Timelapse di 240 fotogrammi ripresi con una Canon EOS 7D e un Samyang 10mm f 2.8 – 400 ISO per 6 secondi
SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) sta davvero rivoluzionando l’astrofisica. Adesso è possibile scrutare i pianeti intorno alle loro stelle e studiare perfino per sommi capi la loro probabile atmosfera attraverso l’analisi spettroscopica di quella debole luce riflessa. Un traguardo che fino a pochi anni fa era ritenuto impossibile e che invece oggi si avvera. Già mi pare di sentire le critiche — stupide — di chi pensa che tutto questo non serva a niente. Le immagini spettroscopiche e termiche riprese da droni, aerei e satelliti permettono di studiare e identificare infezioni e parassiti nelle coltivazioni agricole ben prima che i segni siano visibili sul campo [6]. Le tecnologie e principi che consentono di scorgere altri pianeti sono le stesse degli strumenti che ci permettono di vivere meglio su questo sassolino sperduto nell’infinito cosmo.
La posizione nel cielo di PDS 70 (V* V1032 Cen), una stella di tipo T Tauri un po’ più piccola del Sole (0,82 M☉) a 370 a.l. dalla Terra.
A prima vistaPDS 70è soltanto una delle miriadi di stelline che un qualsiasi buon telescopio nell’emisfero australe permette di vedere. Ma in realtà è molto di più: essa è una stella nata da pochissimo, appena tra i 6 e i 10 milioni di anni ed è abbastanza vicina da permettere di studiare cosa accade in quel particolare momento, ovvero come si forma un sistema planetario.
Già nel 1992 i dati del satellite IRAS[7] suggerivano PDS 70 come candidata ospite di un disco planetario, poi scoperto nel 2006.
Nel 2012 la svolta: una regione vuota a circa 65 U.A. dalla stella suggerivano che lì si stava forse formando un pianeta [8] tra le 30 e le 50 volte Giove.
Successive osservazioni [9] hanno rivisto e corretto le prime stime confermando però la presenza di strutture protoplanetarie multiple: intorno a quella debole stellina si stavano formando più pianeti!
Lo studio con SPHERE: PDS 70b
Questa immagine, catturata dallo strumento SPHERE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, è la prima chiara fotografia di un pianeta nel momento in cui si sta formando; in questo caso intorno alla stella nana PDS 70, nella costellazione australe del Centauro. Il pianeta si distingue nitidamente; è il punto brillante alla destra della stella adeguatamente oscurata da un coronografo, una maschera che blocca la luce accecante della sorgente principale. Credit: ESO/A. Müller et al.
Quindi questa è per sommi capi la storia di PDS 70, una stellina di classe spettrale K5-K7 12, distante appena 370 anni luce — praticamente dietro l’angolo — e molto giovane (a quell’epoca sulla Terra le prime scimmie antropomorfe si preparavano a conquistare il mondo: i nostri antenati). E adesso, grazie allo strumento SPHEREinstallato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, è stato finalmente possibile osservare il primo pianeta mentre è ancora nella fase della sua formazione [10] e di distinguere spettroscopicamente la sua probabile atmosfera [11].
Il pianeta, chiamato PDS 70b, appare mentre si sta aprendo la strada nel disco primordiale di gas e polvere intorno alla giovanissima stella a circa 3 miliardi di chilometri da questa (circa 20 U.A.), più o meno la distanza che separa Urano dal Sole con un periodo orbitale di 119 anni. Data la distanza e il periodo di rivoluzione non è stato difficile risalire alla stima della sua massa, che appare così di circa 10 masse gioviane.
Atmosfera protoplanetaria
Lo spettro di PDS 70b alla base delle simulazioni della sua atmosfera. Per una migliore comprensione leggere lo studio al riferimento 6 di questo articolo.
Ma non solo. Grazie a SPHERE è stato possibile intercettare lo spettro di PDS 70b — che appare decisamente rosso, e stimare così anche la sua temperatura: circa 1200 ± 200 gradi Kelvin. E sempre grazie allo spettro del protopianeta è stato possibile risalire attraverso modelli e simulazioni numeriche alla possibile atmosfera di questo.
Conclusioni
Il primo esopianeta fu scoperto nel 1995, ossia più di vent’anni fa. I primi esopianeti osservati erano enormi e di solito orbitavano attorno a stelle più piccole del Sole. Questo perché per gli strumenti di quell’epoca erano gli unici oggetti che era possibile intercettare con le osservazioni, tant’è che per un momento si credette che tutte le nostre teorie sulla formazione planetaria fossero sbagliate. Dopo arrivarono strumenti più sofisticati, pensati apposta per raccogliere l’immane sfida di osservare oggetti sempre più piccoli e più difficili da scrutare. E così anche le teorie sulla formazione planetaria partendo dalla frammentazione dei resti della nube che aveva generato la stella furono confermate. Oggi lo vediamo con PDS 70b grazie a strumenti sempre più sofisticati come SPHERE. Anche strumenti di calcolo sempre più potenti permettono di risalire alla composizione chimica delle atmosfere esoplanetarie così come possiamo risalire alla composizione chimica delle nubi di Venere con un normale telescopio.
Tra vent’anni cosa potremmo scoprire partendo da queste premesse?
Quando mi è stato concesso, ho sempre cercato di osservare le cose nel modo più ampio possibile e a cercare di stabilire dei collegamenti logici tra tutte le informazioni che mi sarebbero state utili per cercare di descriverle. Spesso è difficile star dietro al mio modo di ragionare, ma questo genere di approccio mi è sempre stato di aiuto per comprendere meglio ciò che in quel momento era alla mia attenzione. E forse anche per questo che sono sempre stato moderatamente scettico sul passato biologico marziano. È vero, ci sono stati i controversi risultati del Labeled Released Experiment [12] e sono state indicate alcune similitudini tra le microbialiti terrestri (ex. le stromatoliti) e le strutture osservate nei depositi argillosi su Marte [13], ma diciamocelo: finora non è mai stata accertata la presenza di vita ora o nel passato di Marte. Affermare l’opposto o velatamente ammiccare alla scoperta della Vita su Marte come molti — anche autorevoli — siti e testate giornalistiche stanno facendo in queste ore è falso.
La ciclicità del metano
Andamento stagionale delle emissioni di metano nell’atmosfera di Marte in parti per miliardo correlati alla pressione atmosferica e alla posizione del pianeta nella sua orbita (longitudine solare). Le stagioni marziane sono analoghe a quelle terrestri ma molto più lunghe: un anno marziano corrisponde a 686,96 giorni terrestri. Credit: Christopher R. Webster, NASA/JPL — Edit: Il Poliedrico
Se avete seguito in questi anni questo blog, saprete senz’altro che la presenza sporadica di metano nell’atmosfera marziana era nota da anni: dal 2003 per la precisione [14]. In assenza di prove della presenza di organismi biologici per la metanogenesi (principalmente archaea) su Marte, è ovvio rivolgersi verso i meccanismi abiotici di produzione del metano [15][16], che qui sulla Terra sono responsabili di circa il 10% della produzione annua di questo gas rilasciato nell’atmosfera. Finora non erano note esattamente le cause della presenza del metano nell’atmosfera di Marte: si era creduto a una sporadicità magari derivata da un qualche impatto cometario passato inosservato. Ma a causa dell’ambiente continuamente bombardato dalle radiazioni ultraviolette del Sole, il metano marziano rilasciato nell’atmosfera non potrebbe esistere per più di 100-300 anni, in contrasto quindi con quanto viene registrato fin dall’anno della scoperta della sua presenza (si tratta pur sempre di una manciata di molecole per miliardo vista la tenuità dell’atmosfera marziana) e soprattutto in seguito quando vennero scoperti dei rilasci altamente localizzati di metano ritenuti allora sporadici.
Per questi si era teorizzata una qualche forma di attività geotermica ancora esistente ma si sa anche che Marte ha cesaato ogni sua attività vulcanica importante da miliardi di anni.
La scoperta della ciclicità stagionale del metano atmosferico marziano è la notizia. Questa è la conferma che l’ambiente marziano risente del cambiamento stagionale ben più di quanto finora era stato supposto. Qui i principali indiziati potrebbero essere i clarati 1 intrappolati nel sottosuolo che per effetto del mutare delle condizioni di insolazione e temperatura stagionali possono venire decomposti. l’acqua così liberata potrebbe anche avviare i processi di serpentinizzazione del basalto arricchendo così le quantità di metano rilasciato nell’atmosfera.
Questa scoperta è illustrata meglio nell’articolo di Science e nei suoi allegati che vi invito a leggere [17] nell’attesa che scriva anche la seconda parte.
Cieli sereni.
Appena tre articoli fa avevo stimato in un paio di miliardi di anni a partire dal Big Bang l’intervallo di tempo ragionevole per il crearsi delle condizioni minime necessarie per lo sviluppo degli elementi chimici più pesanti dell’idrogeno (per gli astrofisici questi sono chiamati tutti metalli a prescindere del loro peso atomico) necessari alla vita come la conosciamo, che io per comodità qui su questo Blog ho sempre chiamato Vita con la maiuscola. Ma forse mi sbagliavo, quelle condizioni potrebbero essersi sviluppate molto prima: almeno 2/3 di quel lasso di tempo: appena 250-500 milioni di anni dopo il Big Bang. Quella fu la prima, vera, alba del Cosmo? difficile dirlo per ora; certo è che la primissima generazione di stelle apparve molto, molto, presto.
Nella grande immagine a sinistra, le numerose galassie dell’ammasso galattico MACS J1149 + 2223. Le lenti gravitazionali del cluster hanno permesso di scoprire una galassia 15 volte più lontana: MACS 1149-JD. In alto a destra vediamo lo zoom della regione mentre MACS 1149-JD è in evidenza nel dettaglio in basso a destra. Credit: NASA / ESA / STScI / JHU
MACS1149-JD1 non è una galassia appena scoperta e nemmeno la più grande — è appena un centesimo della Via Lattea. Fu scoperta dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer nel lontano 2012 grazie all’azione di lensing gravitazionale mediato dall’ammasso di galassie MACS J1149.6+2223, nella costellazione del Leone. Ma è nota per essere tra le più distanti dell’Universo osservabile — ha un redshift z di 9.6. La luce che oggi osserviamo abbandonò quella lontana galassia circa 13.3 miliardi di anni fa, cioè circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang ed è talmente stirata per effetto dell’espansione dell’Universo da essere visibile solo nell’infrarosso (redshift cosmologico).
Ma seppur notevole non è questa la notizia più clamorosa che coinvolge MACS1149-JD1 [18]: un team di astronomi hanno studiato la luce di questa minuscola e debolissima galassia con ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimetr Array) e il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO scoprendo così in essa il debole segnale dell’ossigeno ionizzato. Questo significa che nei suoi 500 milioni di anni era lì esistita una primissima generazione di grandi stelle che alla fine del loro ciclo vitale avevano cosparso il cosmo con le loro ceneri ricche di elementi pesanti tra cui l’ossigeno.
Già nel 2016 ALMA aveva permesso di scoprire tracce di ossigeno ionizzato in un altro oggetto del profondo cielo, la galassia SDXF-NB1006-2 [19], distante 13.1 miliardi di anni luce. Anche se la quantità di ossigeno allora rivelata risultava essere circa 10 volte meno di quella presente attualmente nella nostra galassia, in linea con quanto ci suggeriscono le simulazioni, indicava anche che l’intensa radiazione ultravioletta di quelle lontane stelle stava ionizzando una enorme quantità di gas, ben più di quanto ci si aspetterebbe se la quantità di polvere e di carbonio fosse in linea con le proporzioni osservate dell’ossigeno. In pratica non c’era per SDXF-NB1006-2 quell’estinzione della componente ultravioletta che ci si sarebbe aspettato.
Ora MACS1149-JD1, oltre a spostare ancora più indietro nel tempo la presenza di ossigeno nell’Universo e di conseguenza la generazione stellare che l’ha creato, potrebbe contribuire a spiegare se la carenza di polveri era una caratteristica di quella lontana epoca oppure no.
Riprendo qui un argomento di cui avevo iniziato a parlare a dicembre [20] riguardo all’Intenso Bombardamento Tardivo e la curiosa Dicotomia Marziana. La scoperta di un asteroide ricco di carbonio, 2004EW95, nella Fascia di Kuiper potrebbe essere la “pistola fumante” del Grand Tack, la Grande Virata.
La linea rossa in questa immagine mostra l’orbita dell’asteroide 2004 EW 95 nella Fascia di Kuiper , in verde invece sono mostrate le orbite di altri corpi del Sistema Solare . Credit: ESO / L. Calçada
Se da un lato la scoperta di altri sistemi planetari in orbita a altre stelle ci ha permesso di comprendere definitivamente che il nostro sistema solare non è una eccezione nel cosmo, dall’altro ci mostra che questo comunque possiede qualcosa di precipuo: la sua struttura. Una recentissima indagine sui sistemi multiplanetari scoperti da Kepler [cite]https://arxiv.org/abs/1706.06204[/cite] sottolinea questa peculiarità: la stragrande maggioranza dei sistemi sinora scoperti possiede ‘grappoli’ di pianeti, ossia una sfilza di pianeti con caratteristiche e distanze piuttosto simili fra loro. In altre parole, se una stella possiede un pianeta di taglia terrestre, i precedenti e i successivi non sono poi così dissimili, e la stessa osservazione pare valere per una stella che abbia pianeti di stazza gioviana: anche in questo caso gli altri pianeti di quel sistema appaiono piuttosto simili.
Al contrario invece, la taglia dei pianeti del Sistema Solare è piuttosto disomogenea.
Giove errante
Questo diagramma mostra la distribuzione orbitale in scala logaritmica dei pianeti extrasolari più piccoli di Giove che sono stati rilevati dalla missione di Keplero, in confronto alle orbite di Mercurio, Venere, Terra e Marte. La maggior parte di questi pianeti extrasolari sono molto più vicini alle loro stelle di accoglienza di quanto non lo siano i pianeti più interni del nostro Sistema Solare. Credit: Batygin e Laughlin, PNAS
L’idea che un giovane Giove errante possa essere stato il grande protagonista della storia dei primordi del Sistema Solare risponde ai tanti quesiti ancora irrisolti sulle sue tante peculiarità.
Questa nuova teoria si deve a Konstantin Batygin , uno scienziato planetario del Caltech, e Gregory Laughlin dell’UC Santa Cruz [21].
Qui si propone che il Pianeta Gigante si sia formato fra 3 e le 5 U.A. dal Sole mentre il Sistema Solare interno si stava popolando di oggetti anche più grandi della Terra stessa. Man mano che la sua massa diventava sempre più importante, la viscosità della nebulosa interplanetaria ancora presente lungo la sua orbita l’avrebbe rallentato spingendolo verso il Sole in orbite via via più piccole 1. Tale decadimento avrebbe spinto Giove fino a una distanza di circa 1,5 U.A. dal Sole, perturbando così le orbite di tutti gli altri pianeti interni e spingendo su altrettante orbite fortemente ellittiche tutti i planetesimi che perturbava.
Intanto un altro corpo celeste si stava formando poco più indietro, e a lui si deve la nostra fortuna: Saturno. Il secondo corpo massiccio in formazione poco dietro il primo Giove entrò presto in risonanza orbitale 2:1 con questo: due orbite del primevo Giove corrispondevano a una singola orbita di Saturno.
Tale risonanza ebbe l’effetto di riaccelerare Giove e di trainarlo di nuovo verso le 5 U.A. nell’arco di 100 mila anni e di spingere Saturno oltre le 7 U.A.: un po’ come la piroetta che si dà un lanciatore del martello in atletica. Giove riacquistò così abbastanza velocità orbitale e momento angolare a scapito di Saturno e insieme la coppia dei pianeti giganti si stabilì dove più o meno sono oggi, dove la risonanza si è interrotta. In seguito poi Saturno si sarebbe stabilizzato attorno alle 9 U.A. L’incursione di Giove nel Sistema Solare interno ebbe alcuni importanti effetti: quando vi entrò destabilizzò le orbite dei planetoidi — alcuni probabilmente erano anche più grandi della Terra — che si erano già formati spingendoli verso il Sole e quando vi uscì portò via con sé un bel po’ di materiale asteroidale che avrebbe poi creato la Fascia Principale di asteroidi e quelli che orbitano intorno ai punti lagrangiani della sua orbita. Il risultato fu un sistema interno talmente povero di materiale che ce ne fu appena per formare Venere e Terra. Altri corpi minori del Sistema Solare interno, come 2004EW95[cite]https://arxiv.org/abs/1801.10163[/cite] furono espulsi fino alla Fascia di Kuiper [22].
Inoltre, con l’uscita dell’influenza di Giove del Sistema Solare interno non restò neppure abbastanza materiale per la crescita di Marte (avendo Marte un’orbita assai più grande della Terra avrebbe dovuto raccogliere molto più materiale di questa e di conseguenza essere anche più grande) e gli altri piccoli corpi in orbite fortemente ellittiche non ancora caduti sul Sole finirono per alimentare l’Intenso Bombardamento Tardivo di 3.9 miliardi di anni fa e le cui tracce si scoprono oggi sulla Luna.
No, ai suoi albori il Sistema Solare non era quel luogo tranquillo come lo è oggi, con pianeti su orbite stabili e quasi circolari per i pianeti più grandi. A causa di Giove e Saturno i primi milioni di anni furono tremendi ma è anche grazie a questi se oggi viviamo in un sistema planetario relativamente tranquillo e sicuro. Oggetti come 2004EW95 potrebbero raccontarci molto su ciò che era in quella remota era il Sistema Solare, come è nato,m la sua composizione e forse anche come è nata la vita qui sulla Terra. Sarebbe bello poter esplorare in futuro questi corpi, hanno ancora tanto da dirci!