Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: i miraggi di Marfa

Come ho detto alla fine della seconda parte, per quanto possa sembrare suggestiva e attraente l’ipotesi del contatto extraterrestre, essa è comunque la meno probabile in assoluto. Fare un viaggio di milioni di chilometri per mutilare una capra o rapire un boscaiolo (come Travis Walton di Snowflake, Arizona. Ci hanno ricavato pure un libro e un film; pensate ai soli diritti d’autore …) è un po’ come  prendere un aereo per l’Australia, suonare un paio di campanelli a caso per scherzo e tornarsene di corsa a casa per timore di essere scoperti. Se a voi pare logico … 

Le luci di Marfa.

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Marfa è un’amena cittadina dell’ovest texano. È un bel posticino 1, ha il suo celebre museo cittadino, la sua caserma dei pompieri rosa e le sue celebri … luci fantasma [1]!
In qualsiasi periodo dell’anno, verso il passo del Paisano (Paisano Pass) si rendono visibili delle curiose luci che sembrano fluttuare e muoversi nell’aria. Da riprese a lunghissima esposizione appare evidente uno schema: quello di una strada trafficata! E in effetti lì passa la Route 67, costruita negli anni ’20. Alcuni contestano questa spiegazione affermando che il piano stradale è diverso da quello delle luci osservate e che si hanno notizie di luci analoghe osservate fin dalla fine del XIX secolo, all’incirca dalla fondazione della città (nacque come stazione ferroviaria). 
Ma la spiegazione in realtà è molto semplice: miraggio, detto anche Fata Morgana. Un miraggio Fata Morgana avviene, un po’ come in tutti i miraggi, quando due strati di densità molto diversa di aria  deflettono e riflettono la luce di oggetti in realtà molto più lontani e addirittura fuori dal piano visibile dall’osservatore, Così la luce può essere deviata, riflessa o addirittura amplificata, distorcendo tutto ciò che mostra. Una carovana in transito, un bivacco o una lanterna da viandante possono benissimo essere responsabili di ciò che videro gli abitanti di Marfa prima della costruzione della strada. Coloro che andarono a cercare l’origine di quelle luci non trovarono niente semplicemente perché quelle che avevano osservato erano da qualche altra parte; ripeto, da un posto diverso e molto più lontano da dove sembravano provenire.

Cosa abbia visto realmente Kenneth Arnold forse non lo sapremo mai, ma la sua descrizione dei flying saucers somiglia tantissimo a quella dell’aereo sperimentale nazista catturato dagli Alleati Horten HO 229.

Le luci che osservò Kenneth Arnold erano molto più probabilmente frutto di un abbaglio ottico— l’equipaggio del DC-4 dietro di lui non notò alcunché. Più semplicemente lui si trovò nella condizione favorevole per assistere a qualcosa che al momento non seppe spiegare. Solo successivamente, quando il suo racconto apparve sui giornali,  quei piattini volanti che sembravano erratici divennero dischi volanti. Anche lo stesso Kenneth Arnold all’inizio pensò che potevano essere velivoli militari top secret, ma poi pensò che ancora quella tecnologia era ancora al di là delle capacità umane che aveva appena imparato a scindere l’atomo. 
Però quelle tecnologie che Arnold credeva ancora in divenire, forse si stavano già studiando. Sicuramente la sua storia insieme quella dei foo fighters fornì la copertura perfetta per la più grande operazione di depistaggio civile mai orchestrata. Ma anche questa è un’altra storia. Alla prossima.

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO: le origini moderne

E ora la seconda parte di questo lungo articolo. Il mio obbiettivo non è tanto dimostrare l’inesistenza del fenomeno, quanto quello ben più importante di chiedere al lettore di essere estremamente critico e più cauto nell’accettare le verità che spesso chi narra questi episodi pretende di imporre. Con questo approccio tutti i principali, e più noti, eventi UFO paiono frutto di interpretazioni errate e zeppi di mitologia metropolitana.

 

La nascita del fenomeno UFO moderno

Qui una ricostruzione in scala 1:1 del’Horten HO 229 per testarne le capacità di invisibilità ai radar. Fu sviluppato dai nazisti dopo la disfatta nella Battaglia di Inghilterra. L’avveniristico design lo fa assomigliare all’attuale bombardiere stealth Northrop Grumman B-2 Spirit. Era fatto di legno e disegnato per minimizzare la sua impronta sui radar. C’era l’idea di costruirne uno più grande alimentato da ben sei motori a getto per raggiungere la costa orientale degli Stati Uniti. Ecco come sarebbe stato il mitico UFO nazista.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti si era diffusa la leggenda di una nuova super arma nazista capace di colpire la Costa Orientale. Quest’arma doveva essere una versione più potente e complessa della V2 che stava martellando Londra. Era impensabile allora ottenere la precisione dei moderni ICBM (Intercontinental Ballistic Missile) e si supponeva che i tedeschi avessero sviluppato un nuovo tipo di velivolo capace di arrivare fino al continente americano [2] [1. In realtà i nazisti non svilupparono mai velivoli del genere; si avvicinarono a un aereo con prestazioni stealth come quello della prima foto (una riproduzione in scala reale di un aereo sperimentale catturato dal Gen. Patton) ma non riuscirono ad andare oltre, per nostra fortuna, alla fase sperimentale.Però erano abili comunicatori e manipolatori: seppero abilmente diffondere voci su super armi e congegni inverosimili al solo scopo di incutere terrore presso i loro nemici. Questa campagna di mistificazione non finì con la guerra e la sconfitta del nazismo; essa continuò anche negli anni ’50 del XX secolo ad opera di personaggi legati all’antisemitismo esoterico, oltreché a ciarlatani che trassero vantaggio dalle teorie complottistiche dell’epoca con la vendita dei loro libri.] 1.

Intanto si erano diffuse voci riguardanti strane sfere di fuoco avvistate dai piloti Alleati [3] intorno ai loro velivoli. Strane sfere luminose che apparivano improvvisamente intorno alle ali e che sembravano danzare attorno alla fusoliera prima di scomparire. Anni più tardi, dopo la fine del conflitto si scoprì che le medesime luci apparivano anche ai piloti dell’Asse e ai piloti impegnati nel Pacifico, pure a quelli giapponesi. Si venne a sapere anche che alcuni piloti tentarono addirittura di ingaggiare, invano, un combattimento [4][5] con queste luci che, stranamente ma non sempre, riuscivano ad apparire nei radar  2.
Un temporale in mare non è mai una bella cosa, ma spesso, quando il fronte nuvoloso sta per estinguersi e ci si avvicina al fronte d’aria più secco può capitare, con le navi a vela è più facile, che la differenza di potenziale elettrico dell’aria e l’imbarcazione superi i 20-30 mila volt per centimetro — non è difficile, è lo stesso fenomeno per cui basta spazzolarsi i capelli in una stanza con aria secca, magari al buio e davanti allo specchio — ed ecco apparire sugli alberi i celebri Fuochi di S. Elmo [6]. Per i marinai erano segnale di buon auspicio, infatti il fronte temporalesco era ormai alle loro spalle. La differenza di potenziale elettrostatico è innescata dallo sfregamento delle molecole d’aria del fronte più secco con quello umido.
La stessa azione può innescarsi tra un velivolo e il mezzo in cui si muove velocemente. Un po’ come quando si prende la scossa dall’auto dopo un lungo viaggio in una giornata secca: in questo caso siamo noi a chiudere il circuito e a prenderci la sberla; nel caso di un aeromobile metallico non c’è modo di chiudere il circuito e scaricare le cariche elettrostatiche. Allora queste si accumulano fino a rendersi visibili come aria ionizzata continuamente caricata dal moto dell’aeromobile. Poi occorre ricordare che il volo umano, eccettuati gli aerostati, non aveva nemmeno mezzo secolo. L’addestramento dei piloti, i complessi meccanismi biologici e psicologici del volo non erano compresi quanto oggi. Quindi fenomeni allucinatori seguiti da episodi di combattimenti al vento erano tutto sommato comprensibili.

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E qui si arriva a Kenneth Arnold, l’uomo da cui partì tutto il moderno fenomeno UFO.
O meglio, tutto partì dai pittoreschi articoli di giornale che riportarono la sua storia: era il 24 giugno 1947. La storia raccontata da Kenneth Arnold è nota un po’ a tutti: egli affermò che mentre stava cercando i resti di un aereo C-46 scomparso (c’era su una ricompensa di 5000 dollari) di aver visto nove luci che all’inizio lui stesso scambiò per riflessi o per qualche velivolo sperimentale segreto. Poi egli li descrisse come oggetti a forma di mezzaluna e molto sottili e che il loro movimento ricordava quello di flying saucers, ovvero piattini volanti, lanciati sull’acqua. Qui iniziarono le speculazioni della stampa: per alcuni giornali erano come un piattino da dolci tagliato a metà con una protuberanza triangolare sulla parte posteriore, per altri erano come dei grandi dischi piatti. Non ripercorrerò per intero la storia di Arnold, nel tempo altri testimoni indipendenti affermarono di aver visto qualcosa nel cielo quello stesso giorno a Mount Rainier [7] ma non l’equipaggio del DC-4 che viaggiava poco dietro a Kenneth Arnold e che lui usò per stimare rotta, dimensioni e velocità dei suoi flying saucers.

Riflessi e altri giochi di luce? Forse test militari segreti? A pensarci bene la descrizione fatta da Kenneth Arnold pare che si sposi molto bene con la sagoma dell’Horten HO 229 ma non ci sono prove che quel velivolo abbia mai volato sul suolo americano. Non ci sono neppure altre prove che confermino la veridicità del suo racconto o del contrario. Forse si trattò di una fortunata combinazione delle due cose, forse solo una di esse, oppure nessuna e in tal caso dovremo cercarne un’altra. L’unica certezza è che per quanto possa apparire attraente l’ipotesi extraterrestre è anche sicuramente la meno attendibile e probabile.

Il nostro viaggio ora si sposta in un luogo molto lontano — 2400 chilometri a sud-est — dallo stato di Washington: dal Texas, Ma questa è un’altra storia. Alla prossima puntata …

Fantasie metropolitane e fenomeno UFO, introduzione

Da sempre mi sono sentito dire di tutto, chiedere di tutto. Ma mai mi ero sentito domandare: “Sei stato rapito dagli Alieni?”. Anche se la cosa mi ha in quel momento strappato un sorriso divertito, dopo mi ha lasciato l’amaro sapore delle cose non comprese, o forse mal spiegate. Per un attimo ho percepito frustrazione e impotenza, sicuramente la medesima sensazione che prova un maestro nel bocciare un suo allievo perché di fatto sottolinea anche il suo fallimento. Ringrazio colui che mi ha fatto la domanda perché da quella riflessione è nata questa serie di articoli che usciranno in più puntate.

Non esistono domande sciocche, forse ingenue ma mai sciocche. Le risposte invece spesso lo sono.
Risposte su chi siamo, da dove veniamo e su cosa ci aspetta, spesso sono affidate a incompetenti e ciarlatani che si inventano idiozie come antichi astronauti, civiltà antichissime più evolute della nostra il cui sapere è andato perduto e così via, dalle catastrofi planetarie a società occulte che governano clandestinamente il mondo giusto per avere un attimo di notorietà e soldi facili.
Sì soldi, perché è sufficiente presentare un libro dalla copertina accattivante, un titolo roboante che accenna al mistero rivelato e questi si trasformano in best seller.

There are more things in Heaven and Earth than are dreamt of in your philosophy, Horatio.

Ci sono più cose in cielo e in terra di quante la tua filosofia possa sognare, Orazio.

William Shakespeare, Hamlet (1.5.167-8)

L’essere umano è sempre stato attratto dall’idea di voler dare un senso a tutto. In fondo questo desiderio ha permesso all’Uomo di evolversi e di elaborare concetti sempre più astratti fino a darsi le religioni e la scienza. Ma è anche la sua più grande debolezza.
Le prime hanno cercato di dare una significato al cosmo mescolando regole naturali e sociali. Rigidi codici strutturati per spiegare tutto e insieme dettare le vie del comportamento civile.
Un connubio che oggi a molti non appare percorribile e che però poi finiscono per cercare per altre vie. In questo, senza l’opportuno equilibrio, alcuni finiscono per idealizzare la scienza trasformandola suo malgrado in religione. Altri invece, più o meno consapevoli nel disconoscere anche le basi del metodo scientifico, mescolano antiche credenze e tradizioni col modernismo più sfacciato: ecco come nascono i seguaci di molte credenze non proprio scientifiche.
Ed è proprio in questo crogiuolo di misconoscenza verso il metodo scientifico che nascono le idee più bislacche. Io non voglio convincere nessuno a negare per partito preso il fenomeno UFO, non è questo l’intento di questa serie di articoli e neppure il mio scopo. Ma una volta escluse le mistificazioni, e di burloni ce ne sono in giro tanti come tanti sono quelli che cercano il loro breve momento di gloria e denaro, gli errori e gli altri effetti naturali o di manufatti dell’uomo, forse un decimo dell’uno percento ancora sfugge alle spiegazioni più razionali.

It is a capital mistake to theorize before one has data. Insensibly one begins to twist facts to suit theories, instead of theories to suit facts.

È sempre un madornale errore teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si finisce per deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario.

Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes

Magari è solo questione di tempo per trovare anche per loro una spiegazione convincente senza necessariamente invocare fantastici omini verdi (o Grigi).
Anche il celebre scienziato Carl Sagan suggeriva di studiare attentamente quei casi che sfuggivano all’interpretazione [8], se non altro per comprendere meglio i motivi che spingono le persone a credere al fenomeno UFO.

Nell’antichità c’era chi affermava di aver visto in cielo carri celesti multicolori ai lati del Sole, visto angeli e di udito perfino delle trombe. Oggi sappiamo cosa sono i pareli; abbiamo capito che gli arcobaleni che qualche volta circondano il Sole sono prodotti da aghi di ghiaccio sospesi nell’alta atmosfera anziché essere la strada del carro del Sole e che qualche volta i fenomeni aurorali possono produrre suoni come scoppiettii e brontolii di sottofondo ben udibili [9].
Tutta la scienza si regge su alcuni grandi pilastri filosofici; uno di questi è il Rasoio di Occam: se più fenomeni possono spiegare un evento, quello più semplice tende ad essere quello giusto. Magari qualche volta questo non accade ma spesso è così. Quindi anche qui, parlando del fenomeno UFO è importante ricordarsi di applicare questo sano principio. Limitarsi a chiudere l’argomento con una indifferente scrollata di spalle è a mio avviso altrettanto sbagliato quanto credere aprioristicamente al fenomeno UFO; questo tengo a precisarlo.

Il fenomeno UFO esplose con l’inizio della Guerra Fredda. Coincidenze? Non credo…

UmbyWanKenobi

Un esempio che trovo da sempre curioso: le abductions, ovvero quelli che affermano di essere rapiti dagli alieni. Perché mai una civiltà più evoluta della nostra dovrebbe sprecare così tante risorse economiche per compiere viaggi di milioni di chilometri e rapire una persona a caso e pure di nascosto, magari anche un po’ sempliciotta ed affidare ad essa messaggi di rinnovamento spirituale o scientifico? Non sarebbe più semplice e pratico atterrare sul prato della Casa Bianca (o nella Piazza Rossa a Mosca), presentarsi all’umanità e manifestare così la loro presenza insieme al loro messaggio?

La scoperta di vita extraterrestre o addirittura un contatto con una civiltà aliena è quello che più elettrizzerebbe il mondo scientifico. A confronto le scoperte degli ultimi secoli impallidirebbero di fronte a questa notizia. La susseguente rivoluzione del pensiero umano, la matematica certezza che non siamo soli nell’Universo, sarebbe paragonabile alla scoperta del fuoco o l’invenzione della ruota.
Proprio per questo non può essere lasciata in mano a ciarlatani, visionari e speculatori. E tutto il marasma da questi creato è stato abilmente sfruttato dai militari un po’ in tutto il mondo per nascondere i progetti più segreti.
Un altro esempio? La mitica Area 51. Qui si progettarono negli anni ’50 gli aerei spia U-2, poi, quando uno di essi fu abbattuto dalla contraerea sovietica, si passò a studiare i primi sistemi stealth: un DC-9 sarebbe dovuto apparire grande come un passerotto. La base era talmente segreta che per decenni il governo americano ne negò più volte anche l’esistenza. Anche i progetti militari erano talmente segreti che gli stessi ingegneri erano all’oscuro anche del lavoro dei loro colleghi e i ben pochi documenti scritti erano così segreti che non erano neppure classificati come tali; se uno di questi fosse caduto in mani sbagliate sarebbe apparso così banale da non destare attenzione!

[fancybox url=”https://www.google.it/maps/@37.2376948,-115.8234622,11.15z”][/fancybox]L’Area 51 è lì, da qualche parte …

Così il fenomeno UFO da pittoresco ma interessante elemento divenne la più abile ed efficace azione di copertura militare. Test di sistemi d’arma sperimentali incautamente visti da ignari civili diventarono UFO; la base Area 51, come altre basi in tutto il globo, divenne una fantasticheria piena di cadaveri alieni e retroingegneria di dischi volanti extraterrestri.
La cosa non finì certo lì. Il progetto HAARPS, nato per studiare le interazioni tra le comunicazioni militari a onde corte e la ionosfera — per questo era in Alaska, come gli analoghi impianti sovietici e svedesi — perturbata dalle aurore boreali e le tempeste solari (non credo che a qualcuno piacerebbe sapere che un missile teleguidato potrebbe mancare il bersaglio e colpire per sbaglio un centro abitato per colpa di una tempesta solare), divenne per i ciarlatani e i loro discepoli un’arma per il controllo atmosferico capace di scatenare a comando tempeste, siccità e perfino terremoti dall’altra parte del pianeta.

Bizzarro, vero? quello che più veniva demonizzato — i militari cattivi, capaci di svendere l’intera umanità ai biechi interessi di razze ‘liene — erano proprio quelli che più erano contenti della copertura gratuita che i creduloni di fantasie inventate da ciarlatani in ciabatte (quelli sì che intascavano bei soldi dalle loro ciarle sparate con libri, convegni e apparizioni in TV) fornivano loro.
Alla prossima puntata …

Le responsabilità umane nel riscaldamento globale e i rischi finanziari ad esso collegati.

Negare che periodi ed epoche passate sian stati ancora più caldi o molto più freddi di oggi è stupido ma rinnegare per questo le attuali gravi responsabilità umane nel processo di riscaldamento del pianeta trovo che sia semplicemente criminale. Ritengo che il Riscaldamento Globale sia un problema reale e che vada discusso — almeno per la sua parte antropogenica — molto più seriamente di quanto politici e governi di tutto il mondo facciano o abbiano fatto finora. I vari accordi internazionali sul tema, come anche il tanto osannato ultimo di Parigi, sono soltanto acqua fresca, specie se paragonato all’accordo di Montreal del 1994 che mise al bando totale i clorofluorocarburi (CFC) responsabili della distruzione del vitale scudo di ozono. Questo confronto mostra che se esistesse una reale volontà politica mondiale, anche il Riscaldamento Antropogenico Globale potrebbe essere risolto.

Il ciclo del carbonio atmosferico in sintesi. La riga di centro indica i principali serbatoi naturali di carbonio. In verde sono descritti i principali processi che sottraggono il carbonio nella forma di CO2 dall’atmosfera. In rosso tutti gli altri, che cioè rilasciano carbonio. Credit: Il Poliedrico

La composizione chimica della nostra atmosfera è nota. La percentuale di anidride carbonica (CO2), ormai circa 407 parti per milione, lo è altrettanto. Essa è continuamente monitorata dal NOAA, che ha una sua stazione di rilevamento globale sul Mauna Loa, nelle Isole Hawaii. Perché quel posto così lontano? Semplice, esso è abbastanza lontano da qualsiasi grande emissione di natura antropica che potrebbe falsare il risultato, anche se poi la media locale e stagionale viene studiata principalmente grazie ai satelliti.
Esiste un modo assai semplice per risalire all’origine del carbonio atmosferico. È un metodo ben conosciuto e accurato, usato di solito per stabilire l’età di un qualsiasi artefatto biologico; si chiama Metodo del Carbonio-14.
In natura esistono elementi chimici che possiedono una massa diversa rispetto ad un altro atomo dello stesso elemento; nel qual caso i due diversi atomi, detti isotopi, hanno lo stesso numero di protoni che determina le caratteristiche dell’atomo in sé, chiamato numero atomico, ma un diverso numero di neutroni che ne determina la massa finale. Nello specifico caso del carbonio, esso ha sempre 6 protoni, ma un numero che può variare da 2 a 8 di neutroni. Questi isotopi sono altamente instabili 1, solo il 12C e il 13C sono stabili. L’altro isotopo, il 14C, è prodotto in natura dai raggi cosmici, il cui flusso è abbastanza costante nel tempo 2.
Chiamato anche radiocarbonio, questo isotopo ha un’emivita di 5715 anni. Esso è assorbito come ogni altro atomo di carbonio nel naturale processo biologico, pertanto non c’è differenza tra la proporzione di radiocarbonio presente naturalmente nell’atmosfera e quella presente in un organismo biologico vivente. Quando però quest’ultimo cessa di vivere, cessa anche ogni scambio gassoso e cessa quindi di assorbire il radiocarbonio dall’atmosfera. La differenza tra la percentuale di 14C presente nell’organismo morto, che sia un tizzone di brace, un osso, oppure un coprolito, permette di risalire a quanto tempo è passato da quando tale organismo era vivo 3.

I numeri in gioco

Ora la storia si fa interessante. Quando bruciamo un legno o brucia una intera foresta, la quantità di radiocarbonio nell’atmosfera rimane pressoché invariata; non è trascorso abbastanza tempo per registrare un decadimento isotopico importante. Tanta CO2 era stata sottratta dall’atmosfera dalle piante e tanta è stata restituita all’atmosfera. Il bilancio totale finale è in pareggio. Non dico che questo sia irrilevante, perché comunque — e questo è l’aspetto più pernicioso del rilascio incontrollato di carbonio nell’atmosfera — un incendio impiega ore, se non minuti, a rilasciare tanto carbonio quanto la natura aveva messo anni e decine di anni a sequestrare dall’atmosfera.
Una fonte importante di anidride carbonica nell’atmosfera proviene dai vulcani, circa 200 milioni di tonnellate per anno (circa 55 milioni di tonnellate di carbonio). Spesso — a sproposito — i negazionisti del Global Warming la citano come l’unica fonte importante di carbonio atmosferico capace di alterare il clima. Peccato che anch’essa sia abbastanza costante nel tempo e continuamente monitorizzata. Nelle emissioni di natura geologica del carbonio il radioisotopo 14C è totalmente assente, esso decade del tutto nel giro di circa 50 mila anni, dati i tempi, geologici, del ciclo [10]. L’altra fonte è da cercarsi nella combustione dei combustibili fossili. Anche questa è esclusivamente composta dalla forma stabile del carbonio-12.
Misurando quindi le percentuali isotopiche del carbonio atmosferico è possibile notare come esso provenga per la maggior parte dall’azione antropica. Il risultato è impietoso: ogni anno vengono aggiunti circa 29 miliardi di CO2 all’atmosfera (quasi 8 miliardi di tonnellate di carbonio-12), più di 100 volte di quello prodotto dalla sola azione vulcanica. Questa è la dimostrazione definitiva della responsabilità umana nell’aumento della CO2  atmosferica.

Coralli morti per effetto dell’innalzamento della temperatura e dell’acidità delle acque superficiali a Lizard Island (Australia) sulla Grande Barriera Corallina tra il marzo e il maggio 2016. Prima arriva lo sbiancamento, indice della morte dei minuscoli organismi e poi la fioritura di alghe (a destra) completa l’opera di distruzione. Credit: XL Catlin Seaview Survey

Certo che 29 miliardi messi al confronto coi 700 miliardi di anidride carbonica contenuti naturalmente nell’atmosfera e i circa 750 che partecipano ogni anno al ciclo naturale del carbonio paiono certo ben poca cosa, ma attualmente tutti gli oceani contribuiscono a stoccare appena circa 6 miliardi di CO2 all’anno e il dato in verità è in diminuzione a causa dell’aumento della loro temperatura [cite]10.1038/nature21068[/cite]. La distruzione della Grande Barriera Corallina, l’unica struttura biologica vivente visibile dallo spazio, ne è la prova. Il meccanismo è ovvio: un aumento di temperatura dell’acqua diminuisce allo stesso modo le sue capacità di assorbire la CO2, mentre la comunque maggiore quantità ancora assorbita ne aumenta l’acidità danneggiando irreparabilmente gli organismi più delicati e inibendo ad altri, come i foraminiferi, la capacità di creare strutture di carbonato di calcio, come per esempio i loro gusci, che catturano in modo definitivo una parte importante del carbonio assorbito dagli oceani.
Sulla terraferma il discorso generale non è poi così diverso. È vero, ogni anno circa 11 miliardi di anidride carbonica sono sequestrate dall’atmosfera dalle piante, ma il disboscamento industriale e l’agricoltura intensiva riducono significativamente questa capacità. Inoltre, una temperatura mediamente più alta comporta un aumento del rilascio del carbonio ancora intrappolato nel suolo, principalmente per effetto della decomposizione dei resti organici e per il dilavamento del suolo dalla pioggia resa più acida dall’aumento della CO2 atmosferica.
Il risultato è che almeno il 40%, circa 12 miliardi di tonnellate all’anno, delle 29 prodotte dall’uomo, sono continuamente riversate nell’atmosfera, contribuendo a ridurre le capacità del pianeta di continuare ad assorbirle.
Non sono bruscolini, anche se per alcuni sembrano esserlo. Gli oceani non possono oltre un certo grado assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera senza creare danni ambientali gravissimi e l’anossia delle acque più superficiali. È vero, potrebbe aumentare momentaneamente la quantità di alghe verdi-azzurre che potrebbero, ancora momentaneamente, assorbire una parte del carbonio atmosferico,  ma questo andrebbe a discapito di tutta la catena alimentare ittica e umana. In più, Ogni incremento della temperatura degli oceani limita la capacità di questi di sequestrare altra anidride carbonica dall’aria.
In effetti il timore, anche espresso da Stephen Hawking [11] con molta enfasi — lui se lo può permettere, di un effetto domino con conseguenze incontrollabili non è poi così remoto.

Se trascurato, il Global Warming potrebbe essere un disastro economico

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Checché ne dicano i negazionisti — e sono molti di più di quanto si creda — il rapido riscaldamento del pianeta pone due serie minacce legate al sistema finanziario. La prima è legata al  costo dei danni fisici inflitti dal Riscaldamento Globale, un prezzo già alto e che comunque tende ad aumentare coi sempre più frequenti parossismi meteorologici. 

Per esempio, la celebre compagnia assicurativa, i Lloyd di Londra, ha prodotto uno studio che prova a stimare il maggior costo dei premi assicurativi in risposta alle perdite legate al cambiamento climatico, come lo fu in seguito all’uragano Sandy [12]. Un aumento della frequenza e dei costi dei risarcimenti per i danni legati al mutamento climatico, come per le inondazioni, siccità straordinarie e altri fenomeni meteorologici estremi sta già causando miliardi di dollari di perdite per le economie delle nazioni colpite.
Ma non solo, provate a immaginare quanti turisti si recavano a visitare la Grande Barriera Corallina prima del disastro ecologico e la vastità dell’intera filiera economica locale che essa alimentava. Provate a immaginare se tutti i ghiacciai alpini diventassero un ricordo, quale danno sarebbe per le comunità montane che adesso vivono di turismo. E lo stesso discorso varrebbe per le Isole Maldive, gli splendidi atolli polinesiani oppure le nostre meravigliose città costiere, Venezia, Napoli o Genova che rischiano di cedere al mare parte del loro territorio a causa dell’innalzamento delle acque.
I costi assicurativi potrebbero salire così tanto che soltanto poche compagnie potrebbero decidere di coprirle aumentando di molto il costo dei premi mentre altre potrebbero fallire per pagare i risarcimenti dovuti. Intanto le proprietà non assicurate o inassicurabili vedrebbero crollare il loro valore espellendole dal mercato mentre gli investimenti nelle aree a rischio crollerebbero. Lo scenario economico che potrebbe profilarsi col Riscaldamento Globale incontrollato è spaventoso.

Il cambiamento Climatico è uno dei cambiamenti più importanti che [oggi] la società sta affrontando. la […] è una multinazionale che si sta impegnando attivamente nel cercare soluzioni rivolte alla mitigazione e l’adattamento verso il Cambiamento Climatico. Riteniamo che una migliore divulgazione delle informazioni sui rischi e sulle opportunità legate al clima sia di stimolo per i nostri sforzi verso un mondo sostenibile.

La seconda minaccia, più subdola, è rappresentata dagli ancora pesanti investimenti sui combustibili fossili e le tecnologie ad essi collegate. Sulla carta si tratta di investimenti di migliaia di miliardi di dollari, ma essi in fondo dipendono esclusivamente dalla fiducia degli investitori. Ma se questa fiducia dovesse venire meno, la bolla dei subprime del 2007 sembrerà lo scoppio di una miccetta paragonato a una atomica.
Già oggi alcune compagnie finanziarie e le banche nazionali [13][14] si stanno chiedendo se il loro portafoglio sia in grado di sopportare i rischi derivati dal cambiamento climatico e se sia possibile mantenere una certa stabilità finanziaria nel più fosco degli scenari possibili.
Allo scopo di studiare e prevenire le vulnerabilità finanziarie legate al mutamento climatico, nel 2015 il Financial Stability Board diede il via alla Task Force on Climate-related Financial Disclosures. Questa iniziativa ha trovato l’appoggio di grandi banche d’affari come Morgan Stanley e Barclays e di grandi multinazionali come la PepsiCo (quella della Pepsi Cola e della Seven Up) che muovono cifre di migliaia di miliardi di dollari all’anno.

Le grandi contraddizioni della finanza

Anche se apparentemente i rischi legati al mutamento climatico attirano l’attenzione del mondo finanziario globale, sono ancora molte le banche d’affari che sostengono i progetti più estremi di estrazione dei combustibili fossili (carbone, olio da sabbie bituminose e trivellazioni nell’Artico) per una cifra di circa 100 miliardi di dollari all’anno [15].
In fondo il loro mestiere è quello di finanziare i progetti più appetibili in termini di ritorno finanziario e le compagnie petrolifere finora sono ancora quelle che propongono un ritorno quasi sicuro per i prossimi 50 anni.
Ma se questo dovesse cambiare per una mutata volontà politica globale, magari in seguito a un serio incidente ecologico o un grosso scandalo, sarebbe un dramma sia per le compagnie petrolifere che per le banche d’affari che vi hanno investito su. Per questo sia, ovviamente, le compagnie petrolifere che buona parte della finanza globale mirano a mantenere lo status quo.
Mentre la finanza globale sta cercando di trovare il modo di staccarsi da questo intreccio perverso, le compagnie petrolifere cercano in ogni modo di nascondere le loro esposizioni nel timore che si scateni quel panico finanziario che potrebbe annientarle.
Intanto la Shell ha dovuto rinunciare alle trivellazioni artiche e su altri progetti che prevedevano lo sfruttamento di giacimenti bituminosi, mentre la Cina sta mostrando chiari segnali di ripensamento della sua politica energetica  basata sul carbone [16].

Conclusioni

Potrei parlare per intere ore sui tanti aspetti, rischi e prospettive legate al Global Warming. Ripeto che è da stupidi negare le naturali ciclicità — ancora non ben comprese — del clima terrestre, ma lo è altrettanto il negare le gravi responsabilità umane nell’andamento attuale. E se è su questo che abbiamo colpa, allora abbiamo anche il dovere di intervenire. Anche se fosse solo per il più semplice Principio di Precauzione. 
Segnali importanti li abbiamo avuti, curiosamente, dalla crisi economica del 2007. Negli anni immediatamente successivi si è registrato un minore apporto di carbonio nell’atmosfera, per poi riprendere quando quella crisi si è risolta.
Lo sviluppo sempre più importante di fonti energetiche rinnovabili, anche se esse sono ancora un goccia nell’oceano, inizia timidamente a farsi sentire. I prezzi dell’energia da loro prodotta sta spingendo verso il basso anche quella generata dalle fonti tradizionali, buttando fuori mercato le centrali più obsolete ed inquinanti e obbligando al ripensamento dell’intera filiera energetica.
Compagnie automobilistiche come la Volvo stanno studiando come trasferire la loro industria automobilistica verso la trazione elettrica entro 20-30 anni. L’Audi già dal prossimo anno ha deciso di partecipare attivamente nel Campionato Mondiale di Formula E, il campionato riservato alle auto da corsa elettriche. In Formula 1 sono ormai anni che vengono studiati e impiegati i KERS, sistemi di recupero dell’energia cinetica. Queste tecnologie sono impiegate oggi anche nelle normali auto ibride per il recupero dell’energia in frenata che altrimenti andrebbe persa in calore.
Sono piccoli segnali è vero, ma importanti. Anche se piccole e ottuse menti ricordano che ancora per i prossimi anni dovremmo ricorrere ai combustibili fossili per generare l’elettricità necessaria al funzionamento dei nuovi veicoli elettrici, essi non comprendono che è più semplice, immediato e sicuro sequestrare la CO2  [17] da poche unità centralizzate piuttosto che da una miriade di veicoli sparsi in ogni dove, e che questi sarebbero indipendenti dai metodi usati per produrre la loro energia. Energia che potrebbe provenire anche dalle fonti alternative ai combustibili fossili più disparate, riducendo al contempo una importante fonte di inquinamento ambientale vagante.
Città più pulite, meno rumore, meno malattie indotte dall’inquinamento e dalle polveri sottili: questi sarebbero già notevoli risultati collaterali che potremmo già presto raggiungere durante la lotta alla componente antropica del cambiamento climatico.
Alcune case automobilistiche stanno guardando a questo come una grande opportunità, alcune banche di affari e grandi assicurazioni stanno studiando il fenomeno e ne iniziano a comprendere la gravità. Ora resta da convincere i governi, le istituzioni politiche e quelle sindacali, ancora troppo timide e legate al consenso transitorio e le irrazionali paure sociali.