L’importanza della divulgazione scientifica.

La scorsa settimana ho partecipato a una conferenza presso la Facoltà di Fisica dell’Università di Siena sui pianeti extrasolari tenuto dalla mia carissima amica – e collaboratrice di questo blog – Sabrina Masiero. Non sto a raccontare la cronaca dell’incontro, spero che presto sia disponibile l’intero filmato dell’evento, ora voglio parlare di qualcos’altro.
Sabrina è rimasta ospite qui a Siena per l’intero fine settimana, così che abbiamo avuto modo di parlare a lungo. È emerso come purtroppo spesso il ruolo di divulgazione sia considerato marginale rispetto all’altrettanto importante ruolo di ricercatore. Ovvio, fare ricerca significa accedere a fondi economici importanti, accedere a strutture all’avanguardia e progettarne di nuove; scrivere pubblicazioni, fare nuove scoperte e perché no, aspirare ad incarichi e vincere premi prestigiosi.
Vero, indubbiamente vero se si guardano le soddisfazioni personali, fare ricerca scientifica è indubbiamente gratificante, ma quella è solo la punta dell’iceberg di cosa è la scienza.
La ricerca fine a sé stessa finisce per essere autoreferenziale, oserei dire quasi inutile.  È  come scoprire un immenso tesoro e non poterlo portar via al sicuro; come scoprire un metodo banale per produrre diamanti in casa ma non poterlo usare perché altrimenti il loro valore di mercato crollerebbe a zero. La ricerca deve sempre essere accompagnata da una efficace opera di divulgazione, altrimenti non ha senso.
cosmos_saganQualche volta vengono portati alla mia attenzione opere d’ingegno di persone che – in buona fede – credono che la fisica in qualche punto è fallata e che  vada riscritta, o che, secondo loro, dovremmo aspettarci un certo risultato piuttosto che un altro in un particolare esperimento. Qualche volta trovo le loro domande legittime e degne di attenzione e altre volte, ben più spesso, mi accorgo che sono ragionamenti senza capo né coda, dove spesso si confonde la causa con l’effetto, si usano concetti assolutamente diversi ed estranei al loro contesto (un po’ come spiegare il Teorema di Pitagora con le leggi del moto lineare) e così via. Questi episodi, lungi da me causare ilarità o qualche risentimento, mi dicono invece la desolante realtà per quel che è. Mostrano che esistono persone dotate di senso critico e di passione ma che purtroppo non hanno le basi per poter giungere a qualcosa di coerente. A loro sono venute a mancare le fondamenta su cui si regge la scienza, la comunicazione e l’apprendimento. In parte accuso il sistema scolastico che qui, a parte poche eccezioni, pare schiacciato più sull’apprendimento mnemonico alla vecchia maniera che pensato per sviluppare un pensiero scientifico critico, finendo per scoraggiare tanti giovani studenti. Ma condanno senza appello anche il cortocircuito provocato di chi si balocca con l’autoreferenzialità delle sue posizioni, del “io so’ io e voi non sapete un …” di tanti soloni di cui ho accennato anche in un altro precedente pensiero [cite]http://ilpoliedrico.com/2016/04/la-fusione-dei-ghiacciai-campanilismo-antiscientifico.html[/cite].
È qui che il ruolo di divulgatore scientifico – come il mio con questo modesto blog e quello di Sabrina per conto dell’INAF –  entra in gioco. Saper parlare di scienza ad un pubblico non specialistico è fondamentale. Vuol dire creare quell’anello di congiunzione tra la ricerca scientifica più avanzata e il pubblico. Significa saper capire il linguaggio spesso criptico dei ricercatori e di adattarlo senza stravolgimenti in qualcosa di comprensibile alle persone comuni. l’astronomo americano Carl Sagan e uno dei fondatori del Progetto SETI, divenne noto presso il grande pubblico per il suo libro Cosmos che era la trascrizione letterale di una serie televisiva di documentari per la PBS da lui condotta. Egli era un valente divulgatore, grazie al suo impegno valenti scienziati come Neil deGrasse Tyson sono venuti fuori e tanti altri meno noti hanno intrapreso una carriera scientifica arricchendo così tutta l’umanità.
Saper parlare e decidere di parlare di scienza è essenziale perché la scienza non sia percepita come il male e gli scienziati non siano visti come sciamani. Parlare di scienza significa dare alle persone la capacità di ammutolire gli stolti che oggi predicano contro i vaccini o che vendono acqua zuccherata a peso d’oro con la forza della ragione ma anche gli strumenti per comprendere quello che è vero dal falso, come le bischerate delle scie chimiche rilasciate dagli aerei. Significa trasmettere il testimone della curiosità scientifica alle nuove generazioni, nuovi ricercatori e divulgatori di domani, come il Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Siena Alessandro Marchini sta facendo con i ragazzi delle scuole superiori di qui.
Quindi non penso che essere divulgatori sia un ruolo secondario nella scienza, anzi è vero il contrario, e del compito  che mi sono ritagliato ne sono fiero.

Alla ricerca delle origini della vita

Il bacino del Sudbury in Canada è uno degli ultimi resti dei grandi bombardamenti cometari subiti dalla Terra nella sua infanzia di cui sia rimasta qualche traccia.  Il suo studio è quindi molto importante per capire cosa è davvero successo in quell’epoca così remota e come sia arrivato il nostro pianeta ad ospitare la Vita.

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Credit: NASA & MNDM

Credit: NASA & MNDM

Nella regione dell’Ontario (Canada) esiste un cratere, ormai quasi del tutto eroso dal tempo, vecchio di 1,8 miliardi di anni. Fu una cometa di circa dieci o quindici chilometri a provocarlo, più o meno quanto si pensa che fosse stato il terribile asteroide che si suppone pose fine al dominio dei dinosauri su questo pianeta 65 milioni di anni fa. Perché vi possiate rendere conto delle dimensioni, immaginatelo grande quanto Firenze o Deimos, una luna di Marte.
Un impatto di un corpo simile oggi contro la Terra è molto più remoto che in passato, se dovesse comunque accadere esso segnerebbe la fine della nostra civiltà e probabilmente anche della nostra specie. Ma impatti simili nei primi 500 milioni di anni della Terra quasi sicuramente hanno portato gli ingredienti necessari alla vita e creato le condizioni ambientali adatte perché questa potesse formarsi e prosperare.
La comparsa della vita sulla Terra avvenne circa 3,8 – 3,4 miliardi di anni fa, ossia appena 700 milioni – un miliardo di anni dopo la sua formazione, circa alla fine del periodo conosciuto come Intenso Bombardamento Tardivo. Un periodo forse fin troppo breve per spiegare la formazione di molecole complesse come la glicina, la β-alanina, gli acidi amminobutirrici etc. che si suppone siano state i precursori della vita sul nostro pianeta. Diversi studi [cite]http://www.acs.org/content/acs/en/pressroom/newsreleases/2012/march/new-evidence-that-comets-deposited-building-blocks-of-life-on-primordial-earth.html[/cite] svolti in passato mostrano come le molecole organiche più semplici che comunemente vengono osservate nelle nubi interstellari possono essere arrivate qui sulla Terra cavalcando le comete senza distruggersi nell’impatto ma altresì trovare in questo l’energia sufficiente per formare strutture organiche , peptidi, ancora più complesse [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/05/aminoacidi-astrostoppisti.html[/cite].

sudbury-impact1Da diverso tempo si sono sostituite le scariche elettriche dei fulmini e delle radiazioni ultraviolette delle teorie di Haldane e di Oparin con fonti energetiche più dolci e continue come le bocche idrotermali oceaniche. Lì metalli come ferro, zinco, zolfo disciolti in un ambiente acquatico ricco di energia non ionizzante, avrebbero avuto modo da fungere da catalizzatori per la creazione di molecole organiche complesse prebiotiche e, in seguito, per la vita. Le ricerche di laboratorio però mostrano che anche i luoghi di impatto cometario possono essere stati luoghi altrettanto interessanti.
Il bacino di Sudbury è ideale per verificare questa ipotesi: l’impatto cometario ha deformato la crosta fino a una profondità di ben sedici chilometri, permettendo così ai minerali di nichel, ferro e zinco di risalire dal mantello. Il cratere, inizialmente inondato dal mare subito dopo l’impatto, è poi rimasto isolato abbastanza a lungo da permettere la formazione di un sedimento spesso un chilometro e mezzo. Per i ricercatori che attualmente stanno studiando questo complesso [cite]http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0016703716301661[/cite] l’acqua raccolta nel cratere avrebbe quindi promosso i processi idrotermali non dissimili a quelli che vengono attualmente osservati nelle dorsali oceaniche.

Qui gli ingredienti per la creazione della vita ci sono tutti: molecole organiche semplici che vengono portate sulla Terra da una cometa e che si pensa che possano sopravvivere all’olocausto dell’impatto e trasformarsi in molecole anche più complesse; l’acqua trasportata dalla stessa cometa e dal mantello fessurato; energia prodotta dall’attività idrotermale indotta dall’impatto; metalli e solfuri pronti per fungere da catalizzatori per i processi organici immediatamente disponibili …
Insomma, un mix di condizioni ideali all’abiogenesi iniziale possono essersi create già nei primissimi milioni di anni di vita della Terra.

Svecchiamento del blog

cappella_sistinaNiente è per sempre. Questo vale per tutto nell’universo.
Vale per la nostra tazza preferita, le nostre scarpe preferite, l’innamoramento del vecchio e quello del fanciullo.
Perché abbia senso tutto deve avere un inizio e una fine. Provate ad immaginare la vostra vita come fosse eterna. Vedreste nascere i vostri figli, per poi invecchiare e morire. Potreste innamorarvi e sposarvi e piangere la dipartita della persona amata innumerevoli volte, fino ad abituarvi agli ‘eventi e accettarlo passivamente fino a perderne l’interesse. Potreste imparare tutto: medicina, letteratura e tutte le altre scienze alla perfezione ma tutto lo scibile perderà pian piano anch’esso il suo fascino ai vostri occhi.
Tutti abbiamo paura della fine, di quella che chiamiamo morte, e chi non ne ha. Eppure sono convinto che l’immortalità al contrario sia tremendamente più spaventosa perché il suo prezzo sarebbe troppo alto in confronto.
La vita al contrario è cambiamento, è dinamismo. È accettare che se qualcosa nasce prima o poi dovrà finire e nel frattempo mutare, crescere e trasformarsi.
È per questo che anche Il Poliedrico si rinnova, abbandona alcune cose, come il calendario che forse tornerà in futuro, il Progetto Drake che non è più aggiornato da tempo e che probabilmente i suoi articoli saranno trasferiti qui, mentre le pagine social pian piano subiranno lo stesso maquillage mentre ora sono più a portata di mano.
Queste sono le novità. Buona lettura!

blog

Alla ricerca di forme di vita evolute: i limiti del Principio di Mediocrità

La vita è poi così comune nell’Universo? Oppure l’Uomo – inteso come forma di vita evoluta – è veramente una rarità nel’infinito cosmo? Forse le risposte a queste domande sono entrambe vere.

16042016-2D68D8DD00000578-0-image-a-23_1459508636554Finora il Principio di Mediocrità scaturito dal pensiero copernicano ci ha aiutati a capire molto del cosmo che ci circonda. L’antico concetto che pone l’Uomo al centro dell’Universo – Principio Antropocentrico – ci ha fatto credere per molti secoli in cosmogonie completamente errate, dalla Terra piatta all’idea di essere al centro dell’Universo, dall’interpretazione del moto dei pianeti alla posizione del sistema solare nella Galassia (quest’ultimo ha resistito fino alla scoperta di Hubble sull’espansione dell’Universo).
Per questo è comprensibile e del tutto legittimo estendere il Principio di Mediocrità anche alla ricerca della vita extraterrestre. Dopotutto nulla vieta che al presentarsi di condizioni naturali favorevoli il fenomeno Vita possa ripetersi anche altrove: dalla chiralità molecolare [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/10/omochiralita-quantistica-biologica-e-universalita-della-vita.html[/cite] ai meccanismi che regolano il  funzionamento cellulare sono governate da leggi fisiche che sappiamo essere universali.
Una delle principali premesse che ci si attende da un pianeta capace di sostenere la vita è quello che la sua orbita sia entro i confini della zona Goldilocks, un guscio sferico che circonda una stella (in genere è rappresentato come fascia ma è un concetto improprio) la cui temperatura di equilibrio di radiazione rientri tra il punto di ebollizione e quello di congelamento dell’acqua (273 – 373 Kelvin)  intorno ai 100 kiloPascal di pressione atmosferica; un semplice esempio lo si può trovare anche su questo sito [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/12/la-zona-circumstellare-abitabile-del-sole.html[/cite]. Ci sono anche altri vincoli [cite]http://ilpoliedrico.com/?s=+goldilocks[/cite] ma la presenza di acqua liquida pare essere fondamentale 1.
Anche se pur con tutti questi limiti il Principio di Mediocrità suggerisce che la biologia a base carbonio è estremamente diffusa nell’Universo, e questo non stento a crederlo. Stando alle migliori ipotesi le stelle che possono ospitare una qualche forma di sistema planetario potenzialmente adatto alla vita solo in questa galassia sono almeno 10 miliardi. Sembra un numero considerevole ma non dimentichiamo che la Via Lattea ospita circa 200 miliardi di stelle. quindi si tratta solo una stella su venti.
orologio geologicoMa se questa stima vi fa immaginare che là fuori ci sia una galassia affollata di specie senzienti alla Star Trek probabilmente siete nel torto: la vita per attecchire su un pianeta richiede tempo, molto tempo.
Sulla Terra occorsero almeno un miliardo e mezzo di anni prima che comparissero le prime forme di vita fotosintetiche e le prime forme di vita con nucleo cellulare differenziato dette eukaryoti – la base di quasi tutte le forme di vita più complessa conosciute – apparvero solo due miliardi di anni fa. Per trovare finalmente le forme di vita più complesse e una biodiversità simile all’attuale  sul pianeta Terra bisogna risalire a solo 542 milioni di anni fa, ben poca cosa se paragonati all’età della Terra e del Sistema Solare!

Però, probabilmente, il Principio di Mediocrità finisce qui. La Terra ha una cosa che è ben in evidenza in ogni momento e, forse proprio per questo, la sua importanza è spesso ignorata: la Luna.
Secondo recenti studi [cite]http://goo.gl/JWkxl1[/cite] la Luna è il motore della dinamo naturale che genera il campo magnetico terrestre. L’idea in realtà non è nuova, ha almeno cinquant’anni, però aiuta a comprendere il perché tra i pianeti rocciosi del Sistema Solare la Terra sia l’unico grande pianeta roccioso 2 ad avere un campo magnetico abbastanza potente da deflettere le particelle elettricamente cariche del vento solare e dei raggi cosmici. Questo piccolo particolare ha in realtà una grande influenza sulle condizioni di abitabilità sulla crosta perché ha consentito alla vita di uscire dall’acqua dove sarebbe stata più protetta dalle radiazioni ionizzanti, ha permesso che la crosta stessa fosse abbastanza sottile e fragile da permettere l’esistenza di zolle continentali in movimento – il che consente un efficace meccanismo di rimozione del carbonio dall’atmosfera [cite]http://ilpoliedrico.com/2013/12/la-caratterizzazione-delle-super-terre-il-ciclo-geologico-del-carbonio.html[/cite][cite]http://ilpoliedrico.com/2013/07/venere-e-terra-gemelli-diversi.html[/cite] – e la stabilizzazione dell’asse terrestre.
In pratica la componente Terra Luna si comporta come Saturno con Encelado e, in misura forse minore, Giove con Europa.
Il gradiente gravitazionale prodotto dai due pianeti deforma i satelliti che così si riscaldano direttamente all’interno. Per questo Encelado mostra un vulcanismo attivo e Europa ha un oceano liquido al suo interno in cui si suppone possa esserci le condizioni ideali per supportare una qualche forma di vita. Nel nostro caso è l’importante massa della Luna che deforma e mantiene fuso il nucleo terrestre tanto da stabilizzare l’asse del pianeta, fargli generare un importante campo magnetico e possedere una tettonica attiva [cite]http://ilpoliedrico.com/2010/11/limportanza-di-un-nucleo-fuso.html[/cite].

Ora, se le nostre teorie sulla genesi lunare sono corrette 3, questo significa che una biologia così varia e complessa come quella sulla Terra è il prodotto di tutta una serie di eventi che inizia con la formazione del Sistema Solare e arriva fino all’Homo Sapiens passando attraverso la formazione del nostro curioso – e prezioso – satellite e le varie estinzioni di massa. Tutto questo la rende molto più rara di quanto suggerisca il Principio di Mediocrità. Beninteso, la Vita in sé è sicuramente un fenomeno abbastanza comune nell’Universo ma una vita biologicamente complessa da dare origine a una specie senziente capace di produrre una civiltà tecnologicamente attiva è probabilmente una vera rarità nel panorama cosmico.

Le quattro fasi che avrebbero portato la Terra ad avere un grande campo magnetico (MFI Moon-forming impact, Impatto che dette origine alla Luna)

Le quattro fasi che avrebbero portato la Terra ad avere un grande campo magnetico (MFI Moon-forming impact, Impatto che dette origine alla Luna)

Analizziamo per un attimo più da vicino il sistema Terra-Luna.
La distanza media tra il centro della Luna e il centro della Terra è di circa 384390 chilometri. Questo varia tra l’apogeo e il perigeo dell’orbita ma sostanzialmente questa è una cosa che non inficia il nostro conto.
Questo significa che nello stesso momento la parte più vicina alla Luna è distante 1,66% in meno della distanza Terra-Luna mentre la sua parte opposta lo è della stessa misura in più; tradotto in numeri la parte rivolta direttamente alla Luna dista dal suo centro 378032 km  mentre la parte più lontana 390774 km. Il 3,32% di discrepanza tra le due facce non pare poi molto, ma significa che se stabiliamo che la forza esercitata gravitazionale dal satellite sulla faccia più vicina fosse pari a 100, la forza esercitata sul lato opposto sarebbe solo del 96,74%. Il risultato è che la faccia rivolta verso la Luna è attratta da questa di più del centro del pianeta e la faccia più lontana ancora di meno, col risultato di deformare la Terra ad ogni rotazione..
Ma anche la Terra esercita la sua influenza sul suo satellite allo stesso modo. Ma essendo la Luna più piccola, anche la caduta gravitazionale tra le due facce è molto più piccola, circa 1,8%. Essendo solo un quarto della Terra ma anche 81 volte meno massiccia la forza di marea esercitata dalla Terra sulla Luna è circa 22 volte dell’opposto.
Mentre la Terra ruota si deforma di circa mezzo metro, la frizione interna spinge la crosta nel sollevarsi e ricadere e, per lo stesso meccanismo si ha produzione di calore nel nocciolo e nel mantello e il più evidente fenomeno di marea sulle grandi masse d’acqua del pianeta. Ma l’effetto mareale combinato con la rotazione terrestre fa in modo che la distribuzione delle masse sia leggermente in avanti rispetto all’asse ideale Terra-Luna. Questo anticipo disperde parte del momento angolare in cambio di un aumento della distanza media tra Terra e Luna. La durata del giorno aumenta così – attualmente – di 1,7 secondi ogni 100 000 anni mentre pian piano la Luna si allontana al ritmo di 3,8 centimetri ogni anno [cite]http://goo.gl/ALyU92[/cite], mentre la frizione mareale indotta restituisce parte del calore che sia il mantello che il nucleo disperdono naturalmente. Questo calore mantiene il nucleo ancora allo stato fuso dopo ben 4,5 miliardi di anni, permettendogli di generare ancora il campo magnetico che protegge la vita sulla superficie.
Ecco perché l’idea dell’unicità della Terra non è poi del tutto così peregrina. Non è un istinto puramente antropocentrico, quanto semmai la necessità di comprendere che la Terra e la Luna sono da studiarsi come parti di un unico un sistema che ha permesso che su questo pianeta emergessero tutte quelle condizioni favorevoli allo sviluppo di vita che poi si è concretizzata in una specie senziente. Queste condizioni avrebbero potuto crearsi altrove – e forse questo è anche avvenuto – invece che qui e allora noi non saremmo ora a parlarne. Ma è questo è quel che è successo e se questa ipotesi fosse vera farebbe di noi come specie senziente una rarità nel panorama cosmico.
Come ebbi a dire in passato, anche se il concetto non è del tutto nuovo, Noi siamo l’Universo che in questo angolo di cosmo ha preso coscienza di sé e che si interroga sulla sua esistenza. Forse questo angolo è più vasto di quanto si voglia pensare; il che ci rende ancora più unici.


Note:

La fusione dei ghiacciai e il campanilismo antiscientifico

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d'acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall'articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate. Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

Questa immagine aerea della Groenlandia mostra i fiumi d’acqua causati dal disgelo e le aree di ghiaccio più scuro descritte dall’articolo. la superficie della Groenlandia sta assorbendo più radiazione solare e i processdi di fusione sono proporzionali alle dimensioni dei grani di ghiaccio e alle impurità liberate.
Credit: Marco Tedesco / Lamont-Doherty Earth Observatory

La scienza  aborre i campanilismi. Ogni campanilismo.
Solo 120 anni fa la Legge di Gravitazione di Newton pareva spiegare tutto: dalla caduta di un frutto dall’albero all’orbita della Luna e dei pianeti; eccetto uno. Un pianetino poco più di un terzo più grande della nostra Luna, Mercurio, ha un moto orbitale che non può essere spiegato con le leggi di Keplero, di cui la legge di Gravitazione Universale è l’espressione matematica. Occorse attendere la Relatività Generale di Einstein per capire perché quel sassolino nello spazio, così vicino al Sole, avesse quell’orbita. Per questo affermo che la scienza aborre ogni forma di campanilismo, ogni teoria è valida finché qualche fenomeno fino ad allora inspiegabile trova una nuova spiegazione universalmente valida.

E la climatologia è una scienza.  Può non sembrare esatta perché è estremamente complessa, ma è una scienza e come tale anche lei aborrisce i campanilismi.
Giusto stamani una mia carissima amica è stata oggetto di deploro per aver condiviso un articolo che nel titolo manifesta perplessità sulla responsabilità del Riscaldamento Globale sullo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia [cite]http://goo.gl/5WBgoS[/cite] [cite]http://goo.gl/xJ70qp[/cite]. Bastava leggere l’articolo senza soffermarsi al titolo per capire che esso descrive un fatto reale e che questa forma di campanilismo è quanto di più becero e lontano che ci possa essere dalla scienza.
Pur esprimendo conclusioni che io considero opinabili, l’articolo di cui offro il link più sotto, il primo, mette in evidenza un fenomeno forse poco conosciuto dai più ma che invece ha una grande importanza sugli effetti del clima: la neve sporca.
In pratica diversi studi del ricercatore Marco Tedesco del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, indicano che è in atto da almeno un paio di decadi un meccanismo di feedback positivo causato dalla maggiore capacità dei ghiacciai di assorbire la radiazione solare che provoca la loro fusione. La causa sono le polveri presenti nell’atmosfera e che la neve raccoglie a scatenare questo meccanismo. Durante la stagione più calda la neve che man mano si scioglie aumenta per ogni unità di superficie il tasso di impurità presente e che fino ad allora era intrappolata nel manto nevoso. Queste impurità aumentano la capacità di trattenere ancora più energia e questo provoca ancora altro discioglimento. I vari cicli di fusione diurna e congelamento notturno favoriscono la creazione di cristalli di ghiaccio ancora più grandi e meno riflettenti col risultato di abbassare ancora di più l’albedo – il rapporto tra la radiazione solare riflessa e quella in arrivo – dei ghiacciai, ossia un aumento del tasso di scioglimento di questi.
Dove sia la contraddizione tra questa notizia e il Global Warming in atto non lo capisco. Il clima globale è il risultato di tanti piccoli eventi e fenomeni che presi singolarmente alcuni di essi paiono in contrasto o che sembrano slegati fra loro.
IMG_0427Qui la componente comune col Riscaldamento Globale è da ricercarsi  nelle polveri. Non è affatto un mistero che già in passato siano state rivelate tracce di polveri inquinanti di origine antropica nelle carote di ghiaccio prelevate in Antartide [cite]http://www.nature.com/articles/srep05848[/cite] e in Groenlandia [cite]http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/es970038k[/cite], dove addirittura furono trovate tracce dell’inquinamento Romano e Cartaginese. Nell’aria il pulviscolo atmosferico (quella polvere che vedete sospesa nei raggi di luce che attraversano una stanza buia e che si accumula sotto i letti e sui mobili) è in perenne movimento; ogni volta che respirate fate entrare alcune particelle prodotte giorni e mesi fa in Cina, altre in India o in Perù o in Canada. Queste possono essere di origine biologica, minerale, il prodotto di processi industriali oppure un miscuglio di tutti questi. Le precipitazioni atmosferiche intrappolano e trasportano al suolo queste polveri e nel caso delle nevi possono rimanere intrappolate anche per anni e secoli; dipende dal clima locale.
Nel caso dei ghiacciai groenlandesi questo fenomeno di rilascio sta avvenendo ora. Non è necessario vedere la neve più sporca ad occhio nudo, al meccanismo di retroazione che ho descritto più sopra non serve; avviene.  E tutti i meccanismi di retroazione positiva, come questo, sono molto difficili da controllare e bloccare. l’unica cosa veramente efficace è quella di prenderne atto e di bloccarli alla fonte. Ovviamente non si possono fermare i fenomeni naturali come le polveri provenienti dai deserti – vi è mai capitato di scoprire che dopo una pioggia il vostro balcone o la vostra auto fosse ricoperta di una patina rossastra? quella è spesso la polvere del Sahara – o le eruzioni vulcaniche o il pulviscolo biologico. Ma molte polveri originate dalle attività umane sì. Abbattitori industriali che catturano le polveri delle ciminiere, conversione degli impianti di riscaldamento a olio combustibile a forme meno inquinanti e più efficienti (i frequenti allarmi dell’inquinamento metropolitano sono causati molto più dai sistemi di riscaldamento domestico che dal traffico automobilistico, solo che fermare le auto è più facile) abbandonare la tecnologia dei combustibili fossili là dove è fisicamente possibile.

Quindi non c’è contraddizione tra Global Warming e la fusione dei ghiacciai groenlandesi, alpini e del Tibet, così come non c’è con la morte della Grande Barriera Corallina australiana. Sono tutti fenomeni in gran parte riconducibili all’inquinamento umano che ha innescato diversi meccanismi che si autoalimentano e che sono quasi impossibili da controllare.
Qui ha ragione il Presidente Barak Obama quando afferma che noi siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa per fermare tutto questo.  Non voglio che questa generazione sia ricordata come quella che poteva ma che non fece.

Le (buone) ragioni del partito del NO

Sono stato indeciso fino all’ultimo se scrivere questo post o meno; e passato molto tempo da quando parlavo di politica su queste pagine. Ma adesso credo che il momento sia maturo per affrontare l’importante argomento politico del Partito del NO a tutto; un partito abbastanza trasversale (da destra a sinistra, dagli accademici più premiati ai più fessi che si possono incontrare un po’ in ogni dove).
Purtroppo la corruzione endemica di questo paese ha impedito che in più di cinquant’anni non si completassero 500 chilometri di autostrada, dove i piloni stradali crollano per l’inconsistenza dei materiali usati eppure pagati 10 volte tanto quanto ne costerebbe uno buono. Fareste costruire una centrale nucleare, una piattaforma estrattiva o una semplice galleria (guardate in proposito il valico tra Toscana ed Emilia …) a costoro?
A volte dire no in questo paese anche se forse non sembra la scelta più logica da fare, inevitabilmente si rivela col senno del poi quella più giusta.
Aggiornamento: lo studio sui costi della linea ad alta velocità Torino -Lione della Corte dei Conti francese del 2012 non è più disponibile sul sito originale ma ne esiste una copia su web.archive.org.

images (1)Un detto abbastanza comune nel mondo anglosassone “Not in my back yard!” almeno in Italia pare riscuotere molto successo. Il perché di questo è presto detto: negli ultimi anni molti comitati cittadini si sono costituiti per dire NO a tante opere e infrastrutture volute spesso imposte come necessarie ed emergenziali da un certo modo, spesso sordo e non lungimirante, di fare politica.
Ma se fino agli anni ’90 del XX secolo la notizia dell’esistenza di molti di questi comitati cittadini spesso non varcava neppure i confini della propria provincia, con l’avvento della comunicazione democratica di Internet, la notorietà di questi comitati è – giustamente – esplosa. Si possono condividere o meno le ragioni di questi comitati, ma è giusto e anche democratico scoprirne l’esistenza e conoscere i motivi della loro battaglia.
Qualche volta il valore di queste battaglie è stato usato  anche a sproposito o per fini di visibilità, onorificenze e carriere politiche, ad esempio.

NO-NUKE

Prendiamo ad esempio i due referendum sull’uso dello sfruttamento a scopo civile dell’energia nucleare. Il primo, del maggio 1986, sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl gli italiani scelsero di abbandonare quel settore, nonostante che fosse ben evidente che la centrale nucleare sovietica era ben più pericolosa di una italiana: diversi i sistemi di raffreddamento del nocciolo combustibile e gli scopi per cui era stata creata. Uno di quei promotori di quel NO al nucleare vent’anni dopo, due legislature politiche e incarichi altrettanto prestigiosi, decise che era giunto il momento per l’Italia di riconsiderare le proprie scelte energetiche e, da buon lobbista, questa volta si schierò per il ritorno del nucleare in Italia.
Si dice che è prerogativa unica degli stolti quella di non cambiare mai idea, e infatti, non mi vergogno affatto a dirlo, nel 1986 infatti votai per l’uso civile dell’energia nucleare in Italia perché non esistevano ancora alternative economicamente più vantaggiose all’uso dei combustibili fossili.
Quello che negli anni mi ha spinto a riconsiderare la mia posizione  non è legata al mio percorso scientifico, politico e formativo, quanto piuttosto alle mutate condizioni socio-economiche del nostro Belpaese.
In primis le condizioni economiche e la tecnologia per lo sfruttamento delle tecnologie rinnovabili hanno reso virtualmente improponibile una riproposizione dell’energia nucleare in questo paese. Un centrale elettronucleare ha una vita tutto sommato breve a fronte dei suoi ingenti costi di realizzazione e gestione. Adesso non siamo nella situazione molto più rosea per i conti pubblici degli anni ’90. Con un debito pubblico così alto gli incentivi economici necessari al recupero della somma investita sarebbero improponibili, scaricando così i costi su tutta la collettività, mentre invece un investimento serio su un piano di rientro energetico a lungo termine basato sulle fonti rinnovabili sarebbe molto più economico, al di là delle solite bischerate raccontate sui costi indotti di queste.
Poi c’è l’aspetto secondo me ben più importante, anche se sembra di parte: la corruzione che parte dal piccolo “Lei non sa chi sono io!” fino ai vertici politici di questo Paese che non ha abbastanza memoria per ricordare i suoi macroscopici errori, come ad esempio – e perdonatemi se parto da lontano – gli infiniti errori nella pianificazione e nella costruzione della diga del Vajont, ma anche dei piloni dei cavalcavia che crollano prima – per fortuna – dell’inaugurazione delle strade, dei controsoffitti in materiale scadente di molti edifici scolastici, delle case della New Town del dopo terremoto dell’Aquila. Fareste costruire una centrale nucleare a chi lucra sulla bontà dei materiali una centrale elettronucleare anche se questa sulla carta fosse la più sicura del mondo? Io credo proprio di no, e principalmente per questi due motivi nel 2011 mi sono apertamente schierato per dire NO al ritorno del nucleare in Italia.
Ma se il mio NO al nucleare non vi sembra supportato da buoni motivi, esiste anche il mio NO alla linea ad alta velocità in Val di Susa.

NO-TAV

 Ulteriori dettagli Rapporto Alpinfo 2010 - Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi. Credit Wikipedia

Rapporto Alpinfo 2010 – Andamento 1980-2010 dei traffici ferroviari e stradali attraverso le Alpi.
Credit Wikipedia

Il progetto della ferrovia Torino-Lione nasce in un contesto di viabilità europea sviluppato tra gli anni ’90 e il 2000. Il mastodontico progetto da 23 miliardi di euro nacque in un quadro economico precedente alla crisi economica del 2008 e dal quale l’Italia, ben lungi dai canti di sirena dei vari governi che si sono succeduti nel frattempo,  non è mai risorta. Qui valgono le stesse motivazioni economiche del quadro precedente e dico che essa è troppo costosa per potercela permettere. Inoltre proprio li vicino esiste già un’altro tracciato ferroviario molto simile: quello del Frejus. Questo tracciato, che già collega la Francia con l’Italia nacque nel XIX secolo ma durante tutto il ‘900 e il decennio appena trascorso è stato più volte aggiornato agli standard dell’epoca. L’ultima opera di ammodernamento risale al periodo 2003-2011 per un costo complessivo ufficiale di 108 milioni di euro (alcune voci parlano che in  realtà il costo finale sia stato intorno ai 400 e non stento a crederlo) ma che per colpa dei francesi che volevano risparmiare dalla loro parte l’opera in realtà è riuscita zoppa, facendo così di conseguenza lievitare i costi di manutenzione della tratta [cite]http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=11149[/cite].
Nel frattempo l’ipotesi che rendeva apparentemente spendibile il tratto Torino-Lione, lo scambio merci principalmente tra i due paesi in un più vasto quadro di collegamenti europei, veniva meno quando già diversi rapporti internazionali indicavano in realtà un prepotente calo nel transito delle stesse. Come se questo non bastasse, anche la stessa Corte dei Conti francese dichiarava nel 2012 che il costo di questa nuova infrastruttura era ben più alto rispetto ai benefici raggiunti [gview file=”https://ilpoliedrico.com/wp-content/uploads/2016/03/rapport_situation_perspectives_finances_publiques_2012.pdf”]
Poi dal punto di vista ambientale ci sono i rischi ambientali legati alla natura metamorfica delle rocce in quel tratto. Uno studio del 2003 del Centro di Geotecnologie dell’Università di Siena [cite]http://www.spintadalbass.org/images/sienaamianto.pdf[/cite] ha evidenziato la presenza di minerali di amianto, che ricordo essere estremamente tossico per gli esseri umani, che andrebbero smaltiti in modo poi adeguato per non esporre tutte le comunità montane limitrofe alle polveri del minerale, con conseguente innalzamento spropositato dei costi delle operazioni di scavo 1.

LTF (Lyon Turin Ferroviarie) ha stimato che i due tunnel principali (il tunnel di base e il tunnel di Bussoleno), le discenderie, ecc. riceveranno un flusso cumulativo di acque sotterranee compreso tra 1951 e 3973 L/s nel caso stabilizzato. Ciò equivale a una portata compresa fra i 60 e i 125 Milioni di m3 /anno, comparabile alla fornitura d’acqua necessaria a una città di circa 1 milione di abitanti. Il drenaggio delle acque sotterranee è tutt’altro che trascurabile comparativamente al ricarico totale delle acque sotterranee nelle zone situate lungo il tunnel. (Analisi degli studi condotti da LTF in merito al progetto Lione-Torino,   Client : European Commission – DG-TREN [cite]http://ec.europa.eu/ten/transport/priority_projects/doc/2006-04-25/2006_ltf_final_report_it.pdf[/cite])

Altri sudi scientifici (anche dello stesso consorzio committente, la Lyon Turin Ferroviarie, presentato alla Commissione Europea) indicano che l’impatto ambientale sul sistema idreogeologico non sono poi così piccoli come spesso si vuole far credere da chi vuole quest’opera. È inutile girarci intorno, i motivi per dire NO a questa costosissima e inutile opera pubblica internazionale sono tanti, mentre a favore cantano solo coloro che vogliono realizzarla costi quel che costi, anche a scapito di tutti i pareri e degli studi scientifici e qualificati, che ne dimostrano la totale inutilità. Forse anche per questo il governo italiano (Monti) nel 2012 cessa di considerare prioritario il traffico merci per una versione a più basso costo della tratta internazionale, ma i costi comunque sarebbero ancora troppo alti rispetto ai dubbi vantaggi che può portare, soprattutto considerando l’investimento – a paragone molto più contenuto – dell’ammodernamento del Frejus che i tirchi francesi hanno cannato.
Ma se anche qui i motivi economici non bastano (chissà perché quando si tratta di far risparmiare denaro della collettività questi motivi non vengono mai ascoltati), ecco che spuntano inchieste della magistratura italiana che dimostrano che “… negli ultimi trent’anni l’Alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata…” [cite]http://www.repubblica.it/cronaca/2012/03/06/news/tav_saviano-31013967/[/cite] [cite]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/25/tav-aderenze-politiche-di-imprenditore-coinvolto-in-processo-per-mafia-per-lui-interventi-del-senatore-esposito/2067985/[/cite] [cite]http://video.corrieredelmezzogiorno.corriere.it/de-magistris-la-tav-imbroglio-serve-far-fare-quattrini-mafia/bf9acb26-87b3-11e5-b16f-562f60a54edb[/cite] dimostrando ancora una volta di più la mia seconda convinzione sul NO convinto al nucleare si applica esattamente anche a questo caso. Garda a volte le coincidenze!

NO-TRIV

Il caso sul prossimo referendum del 17 aprile p.v. è un vero guazzabuglio giuridico che spesso confonde gli elettori. Non entro nel merito di discutere le motivazioni storiche che hanno portato 10 regioni (in seguito 9 perché l’Abruzzo, fino ad allora in prima fila per la battaglia referendaria poi improvvisamente si è ritirato) a chiedere il referendum nazionale perché riguardano anche lo spirito politico personale di ognuno di voi e di me e io non voglio influenzare nessuno facendo una sterile campagna politica.
Nonostante vi siano molti siti internet che spiegano le ragioni del dire SI e del NO, una valutazione scientifica ed economica sono necessarie per decidere cosa scegliere di votare.
Questo è il testo del quesito referendario:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Ora andarsi a leggere tutto il decreto e le sue successive modifiche è una fatica immane che mi sento di risparmiarvi, dico solo che il bizantinismo delle leggi italiane è qualcosa di unico fatto apposta perché le persone normali non possano interpretarlo, un po’ come la supercazzola del Conte Mascetti nell’ottimo film “Amici miei“; uguale.

Questo è il quadro normativo che uscirebbe in caso di vittoria del SI 2, in neretto barrato le parti che verrebbero cancellate:

«17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l’aliquota di prodotto di cui all’articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l’olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell’incremento dell’aliquota ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione , rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino.»

Credit: il Sole 24 Ore

Credit: il Sole 24 Ore

Questo significa che ai pozzi estrattivi entro le 12 miglia marine, principalmente il giacimento di Guendalina (Eni) nel Medio Adriatico, il giacimento Rospo (Edison) davanti all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) al largo di Ragusa, debbano cessare le estrazioni al termine della durata di concessione. Sul Sole 24 Ore del 22 febbraio scorso si suggerisce che gli altri sono troppo vecchi e quasi completamente esauriti per essere interessanti o non rientrano nello spettro delle dodici miglia dalla costa: oppure no?
Ora possiamo leggere dal suddetto articolo di legge (quello toccato dal referendum) che ogni attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione 3 di idrocarburi non siano comunque consentite entro le 12 miglia marine, ma prevede anche però per le concessioni già esistenti la prosecuzione delle suddette attività per tutta la loro durata temporale. La vecchia disciplina italiana (normata dalla legge n. 9 del 1991 e n. 152 del 2006) prevedeva concessioni della durata trentennale, prorogabili per tre volte: la prima proroga sarebbe stata di dieci anni le altre due di cinque. Scaduti i 50 anni complessivi, le aziende avevano la possibilità di proseguire le trivellazioni, previa richiesta, fino all’esaurimento del giacimento senza però svolgere altre ricerche. Con la modifica imposta nella Legge di Stabilità del 2015 si è voluto estendere tutta la durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti ma, siccome il diavolo è spesso nei dettagli, questo garantisce anche la possibilità di fare nuove ricerche, prospezioni e estrarre da nuovi pozzi accanto a quelli già esauriti con la stessa concessione!
Di fatto la situazione legislativa attuale tornerebbe ad ad essere quella prevista dalle leggi del 1991 e 2006; basta. Torneranno a non essere possibili nuove ricerche, prospezioni ed estrazioni entro le dodici miglia marine per coloro che attualmente detengono una concessione entro questo limite da sfruttare, che invece in caso di vittoria del fronte del NO o di non raggiungimento del quorum sarebbero trasformate de facto in concessioni a tempo quasi indeterminato col diritto di ricerca e sfruttamento in perpetuo.

Un’argomento che ricorre spesso – a sproposito secondo me – al fronte del NO è che così in caso di vittoria del SI l’Italia rinuncerebbe a 126 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio accertate a fronte di 58 milioni di tonnellate equivalenti di consumo complessivo. Questo equivarrebbe al fabbisogno energetico di appena due anni (25 mesi appena!). Attualmente però solo il 7% del fabbisogno energetico italiano di origine fossile viene estratto nel territorio italiano. Solo appena qualche mese fa (12 dicembre 2015) e solo pochi giorni prima della pessima trovata nella Legge di Stabilità (28 dicembre) il governo italiano aveva firmato l’Accordo Internazionale sul Clima (Conferenza di Parigi) COP 21; in più, accordi interni all’Unione Europea (Accordo Europeo 2020) impegnano il nostro Paese a ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, a raggiungere entro tale scadenza il 20% (almeno) del fabbisogno energetico nazionale da fonti rinnovabili (e non coi trucchetti delle equiparate del CIP 6 che consentono di bruciare le peggio schifezze dei residuati petroliferi e la spazzatura!) e un aumento sempre del 20% almeno dell’efficienza energetica. Invece con la vittoria del NO o con il mancato raggiungimento del quorum si sta perseguendo una strada pericolosa e in netta controtendenza con le raccomandazioni e gli impegni presi dall’Italia in sede internazionale.
Molte altre sciocchezze poi sono state dette dal fronte del NO che non sto a ricordarle e ribatterle tutte; già ora ho scritto tantissimo e ho molte altre cose da dire (o sassolini da togliermi dalla scarpa).

Il bastian contrario

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l'efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illluminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c'è ancora molto da lavorare sul fronte dell'effficientamento.

La strategia europea 2020 prevede che entro il 2020 si aumenti almeno del 20% l’efficienza energetica rispetto al 1990. Da come è illuminata la Penisola Italiana vista di notte dallo spazio direi che in realtà c’è ancora molto da lavorare sul fronte dell’efficientamento.

Nei giorni scorsi il direttore di una nota rivista scientifica accomunava i NO a tutto, NO-NUKE, NO-TRIV (i SI al prossimo referendum), NO-EOLICO, NO-OGM e così  via agli antivaccinisti, agli anti pesticidi e così via cantando, salvo poi giustificare poche ore dopo il suo strambo ragionamento affermando che “non esiste un pasto gratis“. È vero non esistono pasti gratis, soprattutto quando dovremmo cercare di preservare senza stravolgere inquinare e distruggere quello che abbiamo e che dovremmo preservare per le generazioni future.
Io trovo che sia demenziale distruggere un bosco, un campo o un prato per piazzarci supra centinaia di metri quadrati di pannelli solari, quando gli stessi potrebbero essere integrati ben più produttivamente sui tetti delle case e dei fabbricati industriali e rivedere in concreto il paradigma della produzione centralizzata di energia.
Trovo demenziale devastare i fianchi delle montagne per le centrali geotermiche (vedi il caso Amiata) a grande entalpia quando sarebbe ben più produttivo, ecologico e sicuro (anche come impatto ambientale e paesaggistico) costruire le nuove strutture, e adattare quelle più vecchie, allo sfruttamento del geotermico a bassa entalpia che si può usare anche in zone non geotermicamente sensibili (a Follonica (GR) esiste dal 2011 un quartiere dove le abitazioni sono virtualmente a costo zero per l’energia consumata).
Trovo addirittura idiota rendere l’intera penisola uno spazioporto per gli  assai improbabili alieni con tutta quella luce improduttiva rivolta contro il cielo; da astrofilo e uomo di scienza la trovo un insulto all’intelligenza e da italiano come un furto alle mie tasche.
Invece di volere sventrare montagne come in Val di Susa, di voler costruire improbabili centrali elettronucleari che richiedono molta acqua per funzionare (le facciamo sul PO, l’Arno o il Tevere?) e la cui produzione di energia non è né semplice – tutte le riserve mondiali di uranio e torio coprono appena un arco temporale di 50-100 anni e sono tutte in mano straniera –  e né facile da modulare (quella notturna i cari cugini d’oltralpe sono costretti a svenderla quasi sottocosto, altro che pasto gratis!), distruggere la fauna ittica (e così anche la nostra industria ittica e tutto il suo indotto di centinaia di migliaia di famiglie 4 ) entro le nostre 12 miglia per qualche bicchiere di maleodorante bitume o una sniffata di metano (come gas serra il metano è ben più pericoloso – 23 volte – dell’anidride carbonica tanto che gli allevatori neozelandesi pagano 60 centesimi l’anno per ogni bovino e ben 8 euro per ogni pecora), non crede caro direttore che sia giunta l’ora di mettersi a investire sul serio (di buzzo bono come diciamo a Siena) su soluzioni concrete al problema energetico italiano con un piano di riconversione serio che escluda – per principio – l’uso di energia fossile se non come soluzione temporanea d’emergenza?
Altri paesi si stanno ingegnando per raggiungere la piena autosufficienza energetica puntando tutto sulle risorse rinnovabili; perché non dovremmo fare altrettanto noi? La porta di questo blog sarà sempre aperta ad una sua risposta.

ps. Io, mia moglie e i miei due figli siamo tutti vaccinati, mangiamo pasta di frumento Creso e sfruttiamo l’energia solare termodinamica per lavarci tutto l’anno.
pps. Io possiedo e uso un’ottima auto ibrida …


Note:

Perché usiamo consumare agnello e uova per Pasqua?

pulcinoTantissime festività ora cristiane in origine erano pagane.
Il 25 dicembre che noi festeggiamo come la Natività di Gesù, ben prima era una delle tante altre feste pagane che il primo cristianesimo ha fatto sue, come  prima i Romani avevano assimilato le altre divinità etrusche e in seguito quelle greche, egiziane e persiane, adottandone sia il pantheon che edificando nuovi templi sui precedenti luoghi di culto. La notte tra il 24 e 25 dicembre i Romani la dedicavano al Sole Invictus (Sole invincibile) romano, una festività che probabilmente in origine era nata come festa pagana legata alla rinascita della luce contro l’oscurità (intorno quella data si è appena compiuto il solstizio d’inverno) in Siria e in Egitto.

E il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sarà la Pasqua del Signore (…)ma offrirete, come sacrifizio mediante il fuoco, un olocausto al Signore: due giovenchi, un montone e sette agnelli dell’anno che siano senza difetti e come oblazione, del fior di farina intrisa con olio (…) per fare l’espiazione per voi.
(Numeri 28;16)
E dovete osservare la festa dei pani non lievitati (Matzot) (…) Per sette giorni (…) dovete mangiare pani non fermentati.
(Esodo 12:17-20)

La Pasqua per i Cattolici e molte altre confessioni cristiane è legata al computo della data stabilito dal Concilio di Nicea nel 325 d.C. voluto da Costantino I che fissò la ricorrenza della festività la prima domenica successiva alla prima luna piena di primavera (quest’anno il 20 marzo era l’equinozio di primavera, il 23 marzo ci sarà la luna piena, quindi il 27 marzo sara là Domenica di Pasqua). La Pasqua cristiana è solo in parte legata al computo ebraico dell’analoga festività chiamata Pesach (Il Passaggio) che  ricorda la fuga dall’Egitto di Mosè. Nella tradizione liturgica ebraica la Pesach dura ben otto giorni perché include anche la festa dei Pani Azzimi; infatti la Pesach è chiamata anche Chag Ha’Aviv (festa della primavera),  dove si celebrano i riti legati al raccolto delle prime spighe d’orzo (che avviene in primavera) e il loro utilizzo per preparare focacce senza il normale processo di lievitazione. Il legame cronologico tra la Pasqua cristiana e la Pesach ebraica ha origine nelle testimonianze di S. Giovanni Apostolo e di S. Paolo di Tarso che indicano che la celebrazione dell’Ultima Cena del Cristo (il Giovedì Santo nella tradizione cristiana) avvenne il quattordicesimo giorno del settimo mese (14 Nisan, il primo giorno della Pesach) ebraico.
È nella tradizione ebraica quindi (vedi riquadro qui sopra) che ha origine l’abitudine di consumare l’agnello sacrificale il giorno di Pasqua.

La divinità persiana della fertilità: Ishtar, la quale non ha niente a che fare con le tradizioni cristiane ed ebree Credit: British Museum

La divinità persiana della fertilità: Ishtar, la quale non ha niente a che fare con le tradizioni cristiane ed ebree. Credit: British Museum

In passato 1  fu suggerito che la Pesach fosse probabilmente legata a una ancora più antica celebrazione: quella dedicata alla dea della fertilità persiana Ishtar descritta nell’Epopea di Gilgamesh e venerata anche nell’Antico Egitto col nome di Iside. In questo caso si potrebbe supporre che durante il periodo ebraico in Egitto sia avvenuta una contaminazione culturale o che questa derivasse direttamente dalle ascendenze abramitiche stesse (Abramo proveniva dalla Mesopotamia) come ricordano alcuni frammenti dell’Antico Testamento. Però è opportuno anche ricordare che il culto di Ishtar era ben noto agli Ebrei che vi si opponevano fermamente – Isthar nelle scritture ebraiche è chiamata Ashtoreth, un diavolo – anche se esistono alcune similitudini mitologiche minori tra la figura biblica di Ester e la divinità mesopotamica.
Tutta questa confusione in realtà si è scatenata per le evidenti similitudini fonetiche tra Isthar e Easter (Pasqua nelle lingue anglofone). Ma la somiglianza finisce qui, probabilmente non esistono legami tra il culto alla dea Ishtar e la Pesach ebraica se non che cadono all’incirca nello stesso periodo dell’anno nel quale si ricorda il simbolo della fertilità associato alla primavera. È ben più probabile che in realtà la parola inglese Easter derivi dalla divinità germanica Eostre, forse la stessa che nella mitologia slava è conosciuta come Siwa. Eostre era la dea della fertilità e della nascita, alla sua figura era associato un animale sacro, la lepre, simbolo di fertilità e che i Britanni  scorgevano nei contorni dei mari lunari al momento della luna piena. Il nome di Eostre era legato al punto cardinale Est in quanto luogo da cui sorge il Sole al momento dell’equinozio. Da qui appunto il nome della divinità che ha la medesima radice del termine usato dai celti per indicare appunto l’equinozio di primavera, Eostur-Monath o Ostara o Eostar. È qui che la parola Eostre diventa Oster (Pasqua in tedesco) e Easter in anglosassone e che nascono le tradizioni del coniglio pasquale e delle uova colorate. Le uova, prima di serpente e poi di gallina venivano decorate e poi regalate come simbolo e augurio di fertilità. Quindi fu l’assorbimento culturale della  festività germanica durante la cristianizzazione del Nord Europa che vennero importate le sue tradizioni.
L’atto di colorare le uova è legata all’idea di rinascita: il legame tra la vita e le uova è stato da sempre indicato dai colori rosso oppure viola. Nella tradizione cristiana il rosso simboleggia il sangue di Gesù. Tra i macedoni è tradizione portare un uovo rosso in Chiesa e mangiarlo quando il sacerdote proclama la resurrezione di Cristo durante la veglia pasquale che pone fine al liturgico digiuno quaresimale.

Ecco come sono nate le tradizioni dell’Agnello, del Coniglio e delle Uova di Pasqua. Happy Easter!

Barn door tracker o derotatore equatoriale?

Sono ormai molti giorni che non aggiorno queste pagine. Ho anche trascurato in parte anche la stesura del mio libro, anche se ogni giorno mi riprometto di scrivere qualcosa. Il fatto è che ultimamente mi sono dedicato – forse troppo – alla realizzazione di quell’astroinseguitore di cui ho tanto parlato. Eccovi gli ultimi aggiornamenti.

NGC 869 e NGC 884 Ammasso doppio di Perseo

NGC 869 e NGC 884 Ammasso doppio di Perseo Somma di 5 fotogrammi ripresi con una focale di 200 mm e 3 secondi di esposizione. senza alcuna montatura di inseguimento (dicembre 2013). Credit: Il Poliedrico.

L’idea originale era quella di riuscire a fotografare le stelle prevedendo il loro moto apparente per evitare il famoso effetto scia. Le strade per fare questo sono diverse ma con troppe limitazioni, soprattutto a grandi focali. Un metodo piuttosto economico ma molto difficile da mettere in pratica con buoni risultati è quello dell’esposizione multipla: si fanno più (molte) esposizioni del singolo oggetto o scena, cercando di rimanere entro la benedetta regola del 500 (vedi riquadro sotto) per evitare il mosso e poi si sommano i singoli fotogrammi usando software di elaborazione come il buon Deep Sky Stacker (che per giunta è anche gratuito).
Una grave limitazione di questo sistema è la rotazione di campo ai bordi delle immagini a largo campo: mentre presso il polo celeste, quindi a basse declinazioni, è possibile spingere anche di molto sui tempi di esposizione, nei pressi dell’equatore celeste la rotazione si fa sentire, eccome!
Come potete osservare dallo stesso riquadro, nei pressi dell’equatore galattico si può tralasciare di calcolare il coseno della declinazione (\(cos(0) =1\)) e così rendere giustizia alla ben nota formula empirica semplificata \(k/f\) dove appunto \(k\) è 500 e \(f\)  è la focale usata, tanto usata dai fotografi del cielo stellato. Volendo osare, si possono usare tempi di esposizione molto più lunghi avvicinandosi ai poli celesti,  sempre a patto che  si stia entro l’esposizione prevista per le declinazioni più basse visibili nel campo inquadrato. Il grave aspetto negativo di questo metodo è che se usiamo sommare troppe immagini di uno stesso campo riprese in un periodo troppo lungo, la rotazione di campo risultante sarà comunque troppo ampia per essere corretta via software, col risultato che solo una piccola porzione dell’immagine finale sarà abbastanza  buona  essere conservata.
La soluzione a tutti questi problemi è quella di usare un sistema meccanico che  potesse compensare il moto apparente della volta celeste facendo ruotare la fotocamera in asse con l’asse terrestre ma in direzione opposta.
12651064_1163021377043095_6710097951710270984_nUna montatura equatoriale è l’ideale per questo scopo. Concettualmente è anche la soluzione più economica, peccato però che le montature equatoriali in commercio siano pensate per essere usate con i telescopi, dove le esigenze meccaniche (in termini di peso supportato) e di precisione di puntamento siano molto al di sopra delle più blande esigenze richieste nell’astrofotografia a largo campo (\(f.\) fino a 200 -300 mm). Una soluzione piuttosto semplice ed economica poteva essere la costruzione di una tavoletta equatoriale (vedi post precedenti sull’argomento), ma le tolleranze di costruzione e gli errori di tangente indotti da una vite che amplia una corda d’arco che segue l’opposto della rotazione terrestre ne limitano l’uso tra pochi minuti fino a qualche decina nel caso di un sistema a quattro bracci prima che vengano in bella evidenza i limiti costruttivi.  Ci sono casi di tavolette equatoriali mosse a mano seguendo a mano i secondi di un quadrante d’orologio, di quelle azionate col meccanismo dei girarrosto a molla, perfino. Ci sono anche tavolette costruite con leghe di alluminio aeronautico e controllate da un PC che si occupa di correggere gli errori tangenziali. La fantasia degli astrofotografi è infinita.
All’inizio l’idea di costruire anch’io una tavoletta equatoriale mi aveva allettato assai: un sistema a quattro bracci per minimizzare gli errori di tangente, costruita in alluminio e pilotata da un Arduino Mega 2650; avevo buttato giù anche una buona parte del codice per il microcontrollore [cite]https://github.com/UmbyWanKenobi/Astroinseguitore[/cite].

credit: Il Poliedrico

La regola del 500 completa per un uso esclusivamente astrofotografico.Credit: Il Poliedrico

Ma si sa, l’appetito vien mangiando. Secondo le mie intenzioni Arduino avrebbe dovuto anche occuparsi dello scatto remoto della fotocamera inserendo il tempo di esposizione previsto nelle impostazioni di avvio; avrebbe avuto un sistema di ausilio alla calibrazione e puntamento verso il Nord per un più facile stazionamento tramite una bussola elettronica, e una compensazione degli errori di tangente attraverso la modulazione della velocità del motore  passo-passo. Erano previsti perfino un led rosso ad alta luminosità per illuminare il terreno intorno alla stazione e un cicalino sonoro al termine della sessione di ripresa!
Però fatti due conti sulle difficoltà costruttive (ho il raro dono di avere le dita a prosciutto!) a fronte di una manciata di minuti buoni per l’inseguimento,  ho deciso di passare ad un approccio molto più semplice, compatto e forse perfino meno costoso, un semplice derotatore di campo equatoriale.
Oggi la tecnologia di lavorazione dei materiali permette di avere un motore passo-passo demoltiplicato fino a 0,018° (o 64.8” d’arco se preferite) per step, equivalenti a 20 000 step per un singolo giro ad un costo veramente basso. questo si traduce in uno step ogni 4,308 secondi: $$Tempo_{Siderale} /\left(\frac{Step}{Giro}\right) = 86164.0419 / 20000 = 4.308$$
Sfruttando poi le peculiarità di alcuni circuiti pilota per i motori passo-passo come i Pololu DRV8825 che permettono di suddividere i singoli passi in micropassi più piccoli (il DRV8825 consente fino a 32 micropassi per step!) si ottengono veramente dei risultati incredibili: fino alla risoluzione teorica di inseguimento di ben 2 secondi d’arco 1 !
Un sistema siffatto basta che abbia l’asse di rotazione correttamente allineato col Polo Celeste, esattamente come si impone a qualsiasi altro sistema di inseguimento equatoriale, mentre ogni sbilanciamento di peso può essere compensato con un peso equivalente opposto come si usa nelle analoghe montature. In pratica è lo stesso identico schema di una qualsiasi montatura equatoriale, dove si richiede di compensare il moto terrestre con una rotazione opposta, solo che qui non sono necessarie le stesse doti di precisione e stabilità previste per le montature equatoriali professionali che sono sottoposte a carichi maggiori .
Tutto questo si traduce in una minore complessità geometrica, un notevole risparmio nella potenza di calcolo e di conseguenza una maggiore disponibilità di questo per altre operazioni, come la registrazione dei dati meteo e dei dati di scatto per scopi scientifici e così via.
Anche impostare tempi diversi come il tempo sinodico lunare, il tempo solare e così via è molto più facile ed immediato rispetto alle tavolette equatoriali che sono espressamente progettate in funzione di un’unico tempo, in genere quello siderale. In queste modificare la velocità di inseguimento può introdurre errori agli errori già sottolineati in precedenza.
Questo mio nuovo approccio 2 aumenta la flessibilità di inseguimento, come ad esempio quella richiesta per le eclissi, i transiti 3 e così via.

Insomma: se continua così, ce sarà pure da divertisse (come usiamo dire noi romani)!
Cieli sereni.


Note:

Osservate per la prima volta le onde gravitazionali con LIGO

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… c’era una coppia di buchi neri, uno di circa 36 volte la massa del Sole mentre l’altro era un po’ più piccolo, di sole 29 masse solari. Questi due pesantissimi oggetti, attratti l’uno dall’altro in una mortale danza a spirale hanno finito per fondersi insieme, come una coppia di ballerini sul ghiaccio che si abbraccia in un vorticoso balletto. Il risultato però è un po’ diverso: qui ne è uscito un oggetto un po’ più piccolo della semplice somma algebrica delle masse: 62 masse solari soltanto.
Il resto è energia dispersa, non molta per la verità date le masse in gioco, pressappoco come quanta energia potrebbe emettere il Sole nell’arco di tutta la sua esistenza. Solo che questa è stata rilasciata in un singolo istante come “onde gravitazionali“.

Ma cos’è un’onda gravitazionale?

spacetime-02La visione dello spazio che da sempre conosciamo è composta da tre uniche dimensioni, larghezza, altezza e profondità; o \(x\), \(y\) e \(z\), se preferite. Il tempo, un fenomeno comunque misterioso, fino agli inizi del XX secolo era considerato a sé. Una visione – poi confermata dagli esperimenti di ogni tipo – fornitaci dalla Relatività Generale è che il tempo è in realtà una  dimensione anch’essa del tessuto dello spazio; una quarta dimensione. insieme alle altre tre 1. Fino alla Relatività Generale di Einstein si era convinti che una medesima forza, la gravità, fosse responsabile sia della caduta della celebre mela apocrifa di Newton, che quella di costringere la Luna nella sua orbita attorno alla Terra e i pianeti nelle loro orbite attorno al Sole. Nella nuova interpretazione relativistica questa forza è invece vista come una manifestazione della deformazione di  uno spazio a quattro dimensioni, lo spazio-tempo, causata dalla massa degli oggetti. Così quando la mela cade, nella Meccanica Classica (essa è comunque ancora valida, cambia solo l’interpretazione dei fenomeni) la gravità esercitata dalla Terra attrae la mela verso di essa mentre allo stesso modo – e praticamente impercettibile – la Terra si muove verso la mela, nella Meccanica Relativistica è la mela che cade verso il centro di massa del pianeta esattamente come una bilia che rotola lungo un pendio e la Terra cade verso il centro di massa della mela nella stessa misura prevista dai calcoli newtoniani.
La conseguenza più diretta di questa nuova visione dello spazio-tempo unificato, è che esso è, per usare una metafora comune alla nostra esperienza, elastico; ossia si può deformare, stirare e comprimere. E un qualsiasi oggetto dotato di massa, se accelerato, può increspare lo spazio-tempo. Una piccola difficoltà: queste increspature dello spazio-tempo, o onde gravitazionali, sono molto piccole e deboli – la gravità è di gran lunga la più debole tra le forze fondamentali della natura –  tant’è che finora la sensibilità strumentale era troppo bassa per rivelarle. Se volessimo cercare un’analogia con l’esperienza comune, potremmo immaginare lo spazio quadrimensionale come la superficie di un laghetto a due dimensioni, mentre la quarta dimensione, il tempo, è dato dall’altezza in cui si muovono le increspature dell’acqua. Qualora buttassimo un sassolino l’altezza della increspatura sarebbe piccola, ma man mano se scagliassimo pietre con maggior forza e sempre più grosse, le creste sarebbero sempre più alte. Però vedremmo anche che a distanze sempre più crescenti dall’impatto, queste onde scemerebbero di altezza e di energia, disperse dall’inerzia delle molecole d’acqua 2; alcune potrebbero perdersi nel giro di pochi centimetri dall’evento che le ha  provocate, altre qualche metro e così via. Alcune, poche,  potrebbero giungere alla riva ed essere viste come una variazione di ampiezza nell’altezza del livello dell’acqua del laghetto e sarebbero quelle generate dagli eventi più potenti che avevamo prodotto in precedenza. Queste nello spazio quadrimensionale sono le onde gravitazionali e esse, siccome non coinvolgono mezzi dotati di una massa propria per trasmettersi come ad esempio il suono che è solo un movimento meccanico di onde trasmesse attraverso un mezzo materiale,  possono muoversi alla velocità più alta consentita dalla fisica relativistica:\(c\), detta anche velocità della luce nel vuoto.

Il grande protagonista: LIGO

E’ stato LIGO-Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (in italiano, Osservatorio Interferometro laser per onde gravitazionali) il protagonista di questa straordinaria scoperta: uno strumento formato da due strumenti gemelli, uno a Livingston (Louisiana) e l’altro a Hanford (Washington), a 3000 chilometri di distanza dal primo. Sono due gli interferometri, perché i dati possono venir confrontati e confermati: se entrambi gli strumenti rilevano lo stesso disturbo, allora è improbabile che sia legato ad un terremoto oppure a dei rumori di attività umana. Il primo segnale che conferma l’esistenza delle onde gravitazionali è stato rilevato dallo strumento americano Ligo il 14 settembre 2015 alle 10, 50 minuti 45 secondi (ora italiana), all’interno di una finestra di appena 10 millisecondi.

 David Reitze del progetto LIGO ha annunciato al mondo la scoperta delle onde gravitazionali: “We have detected gravitational waves. We did it!”. Crediti: LIGO

David Reitze del progetto LIGO ha annunciato al mondo la scoperta delle onde gravitazionali: “We have detected gravitational waves. We did it!”.
Crediti: LIGO

Ed eccole qui, in questo diagramma: l’onda azzurra, captata da LIGO di Livingston e l’onda arancio, captata da LIGO di Hanford. Sono sovrapponibili, il che ci dice che sono la stessa onda captata dai due strumenti gemelli. E’ la firma della fusione dei due buchi neri supermassicci con la conseguente produzione di onde gravitazionali. In altre parole, questa è la firma del nuovo buco nero che si è formato dai due precedenti e, come è accennato anche più sopra, le tre masse solari che mancano dalla somma delle due masse che si sono fuse assieme dando vita al nuovo buco nero di 62 masse solari si sono convertite in onde gravitazionali.
Volete udire il suono di un’onda gravitazionale? Sì, certo che è possibile…. E’ straordinario pensare che queste onde rappresentano la fusione di due buchi neri in uno nuovo e proviene da distanze incredibilmente grandi, in un’epoca altrettanto remota: un miliardo e mezzo di anni  fa.

Le prove indirette

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

La prima prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali si ebbe però nel 1974. In quell’estate, usando il radio telescopio di Arecibo, Portorico, Russel Hulse e Joseph Taylor scoprirono una pulsar che generava un segnale periodico di 59 ms, denominata PSR 1913+16. In realtà, la periodicità non era stabile e il sistema manifestava cambiamenti 3 dell’ordine di 80 microsecondi al giorno, a volte dell’ordine di 8 microsecondi in 5 minuti.
Questi cambiamenti furono interpretati come dovuti al moto orbitale della pulsar  4 attorno ad una stella compagna, come previsto dalla Teoria della Relatività Generale. Di conseguenza, due pulsar, in rotazione reciproca una attorno all’altra, emettono onde gravitazionali, in perfetta linea con la Relatività Generale. Per questi calcoli e considerazioni, Hulse e Taylor ricevettero nel 1993 il Premio Nobel per la fisica.

La presenza di una qualsivoglia stella compagna introduce delle variazioni periodiche facilmente rivelabili nel segnale pulsato della stella che i radioastronomi sono in grado di misurare con precisione inferiore ai 100 microsecondi. Giusto per farsi un’idea, immaginiamo di prendere il Sole e di farlo diventare una pulsar. Dal suo segnale pulsato, gli astronomi sarebbero in grado di rilevare la presenza di tutti i pianeti che orbitano attorno a questo Sole-pulsar, grazie al fatto che ogni pianeta causa uno spostamento del centro di massa del Sole di un certo valore espresso in microsecondi. La Terra per esempio, che si muove lungo la sua orbita ellittica, produce uno spostamento del centro di massa del Sole di ben 1500 microsecondi! 5


Per saperne di più:

La prima pulsar doppia” articolo di Andrea Possenti dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, pubblicato sul numero di Le Stelle, marzo 2004.

La notizia, pubblicata sul Physical Review Letters, porta i nomi di B. P. Abbott e della collaborazione scientifica di LIGO e VIRGO[cite]http://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.116.061102[/cite].

 


Note:

A spasso nel cielo

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Ed eccoci qua con uno dei primi appuntamenti più visibili di quest’anno. Per tutto il mese di febbraio infatti saranno visibili nel cielo subito prima dell’alba tutti e cinque pianeti noti fin dall’antichità: Mercurio e Venere, i due pianeti più vicini al Sole di noi, e Saturno, Marte e Giove in ordine di distanza apparente dal Sole sul piano dell’eclittica; come è evidente dalla foto qui sopra. Qui in effetti Mercurio sta sorgendo dietro ai cipressi (qui siamo in Toscana, il cipresso è un po’ l’albero tipico di questa regione) poco sotto la Luna e non è ancora visibile, mentre Venere – che è appena sorto – fa capolino proprio nel momento dello scatto.
Questa immagine è in realtà un mosaico ben sette fotogrammi (su otto) uniti in un unico puzzle; non è stato facile unire così tante immagini in una ma con un po’ di pazienza e un potente software libero (HUGIN) sono riuscito ad unirli là dove software ben più blasonati avevano miseramente fallito.

E ora vi offro un’altra immagine da me ripresa sempre il 6 mattina inseme a tanto freddo (-2° C.):

Mercury, Venus and Moon in Tuscany

Qui invece è visibile la bella congiunzione Luna – Venere – Mercurio, dove il Pianeta Messaggero degli Dei è appena spuntato sopra i tipici cipressi toscani e disegna un magnifico triangolo con gli altri due corpi celesti.

Spesso la gente crede che la scienza, e l’astrofisica in questo caso, uccide la poesia del mistero del Creato; a me invece sapere dare un nome a quei puntini sospesi nel cielo, saper distinguere i diversi pianeti, alcune (non tutte) costellazioni, dare un nome a qualche stella e sapere cosa le fa brillare così tanto da anni luce di distanza tanto da permettermi di scorgerle ad occhio nudo o in qualche foto, mi emoziona allo stesso modo, e probabilmente,  ancor di più.

Cieli sereni.