È indubbio che oggi la specie umana sia l’unica che attualmente abbia sviluppato una tecnologia avanzata. La famiglia Hominidae ha avuto origine nell’area del Rift Africano tra i 5 e i 6 milioni di anni fa. Essa appartiene all’ordine dei Primati, lo stesso delle scimmie che illustro qui sotto, un gruppo che si è evoluto circa una sessantina di milioni di anni fa ed è composto da circa 500 specie che vanno dall’Homo Sapiens fino ai lemuri che oggi rappresenta all’incirca il 5 per cento di tutti i mammiferi. Finora i termini cultura, tecnologia e civiltà sono limitati all’esperienza umana ma alla luce di alcune sorprendenti scoperte forse è il caso di rivedere il nostro antropocentrismo.
Uno studio apparso a luglio su Current Biology [1] mostra che una specie delle scimmie cappuccino, i Sapajus libidinosus (conosciuti anche come Cebus libidinosus (cebo striato)) fanno uso di strumenti litici, da loro prodotti, da almeno ben 700 anni.
Questa specie, che vive nel nordest brasiliano, è nota per organizzare zone di lavoro dedicate all’apertura dei frutti di anacardio, di cui è ghiotto, nei pressi degli stessi alberi 1. Queste scimmie cappuccino, o cebi (scimmie dalla coda lunga), hanno inventato una tecnica particolarmente efficace per estrarre l’endocarpio degli anacardi: esse usano due pietre ben distinte a questo scopo. Una, più dura, più grande e piatta come incudine e l’altra, più piccola, come martello. Partendo da questa sorprendente intuizione delle scimmie, i ricercatori si sono chiesti se questo procedimento era usato anche nel passato e scavando il terreno dei siti di lavorazione hanno scoperto molti altri strumenti simili a dimostrazione che la stessa tecnica di oggi era usata anche nel passato. Studi stratigrafici dimostrano che questa tecnica è usata da almeno 700 anni.
Dopo aver escluso ogni possibile traccia di contaminazione umana i ricercatori hanno concluso di aver trovato il sito archeologico non umano più antico esistente fuori dall’Africa.
Altre osservazioni suggeriscono che questi cebi sappiano estrarre le pietre a loro utili [2]. Ora se tutto questo è voluto o è solo accidentale rimane un mistero ma è un fatto. Altri studi potranno chiarire se questa comunità di scimmie di Sierra Capivara stanno muovendo i loro primi passi verso una tecnologia litica o meno.
Infatti ricerche precedenti hanno dimostrato che una primitiva forma di tecnologia litica era usata anche dagli scimpanzé in Costa d’Avorio circa 4300 anni fa [3], nonché che l’uso di strumenti e di capacità verbali primitive che consentono una trasmissione orale intergenerazionale è presente in tante altre comunità di primati superiori finora studiate.


Altri studi documentano la capacità degli scimpanzé di saper creare ed usare alcuni strumenti per catturare piccoli insetti [4].
Verso la fine del XX secolo la scoperta dell’Australopithecus Garhi [5] [6] (“garhi” significa “sorpresa” nella lingua Afar) restituì forse l’anello mancante che univa il grande genere degli australopitechi all’uomo. Rinvenuto nel nord del Rift Africano, esso era un ominide probabilmente antenato dell’Homo Habilis 2 o di uno dei tanti rami evolutivi ormai scomparsi del genere Australopithecus comunque di quel periodo. Comunque, qualunque sia stato il suo ruolo nell’evoluzione della famiglia Hominidae, resta il fatto che negli stessi strati del rinvenimento dell’Au. Garhi furono scoperti anche utensili in pietra e strumenti da taglio appartenenti alla tradizione Oldowan, la più antica forma di tecnologia litica conosciuta, e ossa animali che ne testimoniano l’uso. Questo indica che la macellazione e la dieta a base di carne erano presenti nella cultura degli Au. Garhi.
Questo è un passaggio importante per lo sviluppo delle prime comunità ominidi: non dover dipendere da una dieta vegetale strettamente legata ad un particolare habitat destinato comunque a cambiare o a scomparire, la necessità di fare branco per la caccia (organizzazione sociale) 3 e inseguire le prede (spostamenti e migrazione geografica) hanno senz’altro favorito l’evoluzione da scimmie stanziali a culture proto-umane.
(Tylor, 1871)
Definire cosa sia una cultura può non essere così facile come sembra. Una buona definizione, riportata nel riquadro qui accanto, la dette nel 1871 l’antropologo inglese Edward Burnett Tylor.
La definizione di Taylor è squisitamente pensata a misura umana ma semplificando potremmo definire la cultura come quell’insieme di regole sociali e conoscenze che possono essere tramandate attraverso le generazioni all’interno di una comunità. In questo modo diventa possibile provare a cercare quell’insieme di regole, tradizioni ed esperienze, che non possono essere – per il principio di mediocrità – prerogativa esclusiva della specie umana, anche in seno ad altre specie animali.
La perpetuazione delle conoscenze e delle regole sociali non richiede necessariamente una proprietà linguistica evoluta o una qualche forma di scrittura, ma soltanto la capacità di osservazione e di replica. Queste facoltà si possono individuare anche in molte specie animali non primati. Però è anche altrettanto chiaro che una cultura per rendersi manifesta deve poter lasciare qualche traccia visibile come ad esempio la capacità di manipolare l’habitat in maniera utilitaristica.


Una scimmia cappuccino intenta a spaccare pietre. Sorprendente è il gesto chiaramente intenzionale. L’atto di leccare le pietre frantumate suggerisce che sia parte di una dieta che richiede integratori minerali (ex. sale) o muschi interstiziali [7].
Le uniche specie attualmente dotate di un cervello abbastanza sviluppato e che hanno saputo mostrarsi capaci di manipolare scientemente l’ambiente appartengono quasi tutte all’ordine dei primati 4. Un indubbio vantaggio dei primati in questa attività è quasi sicuramente riconducibile alla presenza del pollice opponibile 5 che dà un grande vantaggio nell’afferrare e manipolare gli oggetti. Per esempio qui sulla Terra esistono altre specie animali dotate di un cervello importante e che sono capaci di comunicare verbalmente tra loro, i delfini e le megattere sono alcune di queste; esse potrebbero aver sviluppato o essere potenzialmente capaci di sviluppare una cultura verbale, una civiltà di filosofi pensatori o di poeti ma che comunque sarebbe limitata dalla loro incapacità di manipolare l’ambiente e studiare l’ambiente. Però noi non potremmo mai scoprirla almeno finché non saremmo in grado di interpretare e capire il loro linguaggio perché questo tipo di civiltà non può fisicamente lasciare tracce tangibili e analizzabili.
Tutto questi esempi cozzano col nostro comune concetto di cultura. Comunità pre e proto umane che già almeno tre milioni di anni fa [8] avevano appreso le stesse tecniche che scopriamo oggi nei cebi e negli scimpanzé ci indicano che la cultura non è una prerogativa unica dell’Homo Sapiens e che dovremmo aspettarci di scoprire culture completamente dissimili dalla nostra esperienza ma altrettanto preziose.
Le diverse culture umane si sono evolute in un lunghissimo arco di tempo e attraverso infinite generazioni. Tentativi, sbagli e regressioni hanno spinto la presenza umana in ogni angolo del Globo. Le necessità di adattarsi alle diverse nicchie ecologiche hanno reso la specie umana unica. Solo 50 mila anni fa la nostra specie condivideva il pianeta con altri ominidi strettamente imparentati come l’uomo di Neanderthal, l’uomo di Denisova e altre specie arcaiche. Eppure, dopo appena 30 mila anni più tardi dei nostri cugini non ce n’era più traccia nonostante che ad esempio i Neanderthal sapessero usare e controllare il fuoco e le fibre vegetali altrettanto bene. Incroci interspecie resi possibili dalle tante affinità genetiche [9] hanno prodotto un’unica specie finale, l’Homo Sapiens moderno.
E insieme agli incroci sessuali con ogni probabilità vi furono anche fusioni culturali e di tecnologia. Questo significa che se anche ora l’accezione del termine cultura fa riferimento alle capacità di trasmettere conoscenze e regole sociali tra le diverse generazioni umane, sia giunto il momento che questa debba mutare per venire incontro ad esigenze descrittive e sensibilità più ampie.
L’antropocentrismo scientifico cadde con la Rivoluzione Copernicana e le successive scoperte mostrarono la reale dimensione umana svelandoci un universo immensamente più vasto e complesso di quanto avessimo mai immaginato. Ora però è giunto il momento che cada anche l’antropocentrismo culturale che, ahimè, ancora ci nasconde altrettante meraviglie.
Note:
- A proposito di questi frutti, tra l’altro adatti anche al consumo umano, mi sembra opportuno sottolineare che il singolare di anacardi non è anacardo come molti credono, bensì anacardio. ↩
- le caratteristiche fisiche dell’Au. Garhi erano più simili all’H. Abilis che agli australopithechi. ↩
- Quasi sicuramente non era una caccia nel senso moderno del termine. Le prime comunità proto-umane erano necrofaghe, si nutrivano cioè di resti animali uccisi da altri animali predatori e usavano raschietti di pietra per asportare brandelli di carne. ↩
- In una certa misura anche i calamari hanno dimostrato in certe occasioni di saper usare gusci di noci di cocco come corazze ma quasi sicuramente si tratta di esperienze acquisite e non tramandate. ↩
- Il pollice opponibile non è una prerogativa esclusiva dei primati: anche gli opossum e i koala (infraclasse dei marsupiali) li hanno. ↩
Riferimenti:
- M. Haslam, L.V. Luncz, R.A. Staff, F. Bradshaw, E.B. Ottoni, and T. Falótico, "Pre-Columbian monkey tools", Current Biology, vol. 26, pp. R521-R522, 2016. http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2016.05.046
- "One sharp edge does not a tool make", Nature News, 2016. http://www.nature.com/news/one-sharp-edge-does-not-a-tool-make-1.20824
- T. Proffitt, L.V. Luncz, T. Falótico, E.B. Ottoni, I. de la Torre, and M. Haslam, "Wild monkeys flake stone tools", Nature, vol. 539, pp. 85-88, 2016. http://dx.doi.org/10.1038/nature20112
- S. Harmand, J.E. Lewis, C.S. Feibel, C.J. Lepre, S. Prat, A. Lenoble, X. Boës, R.L. Quinn, M. Brenet, A. Arroyo, N. Taylor, S. Clément, G. Daver, J. Brugal, L. Leakey, R.A. Mortlock, J.D. Wright, S. Lokorodi, C. Kirwa, D.V. Kent, and H. Roche, "3.3-million-year-old stone tools from Lomekwi 3, West Turkana, Kenya", Nature, 2015. http://www.nature.com/uidfinder/10.1038/nature14464
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