Come hanno avuto origine gli elementi?

Nucleosynthesis_Cmglee_1080Sorgente: APOD: 25 gennaio 2016 – Where Your Elements Came From

Molto tempo fa ho narrato delle abbondanze chimiche nella nostra galassia e come le analisi delle varie proporzioni degli elementi del Sistema Solare ci aiutano a capire quali fossero i loro progenitori. Oggi Astronomy Picture of the Day (APOD) pubblica una divertente Tavola Periodica con suindicate le origini di ogni singolo elemento; un modo per ricordarci che l’origine dei diversi elementi che ci compongono non è sempre la stessa e che siamo in definitiva il risultato di un lungo intreccio di eventi passati molto diversi e distanti fra loro, sia nel tempo che nello spazio.

La percentuale d'acqua presente nel corpo umano varia con l'età ma dalla metà fino ai 2/3 della massa corporea è comunque acqua.

La percentuale d’acqua presente nel corpo umano varia con l’età ma si può tranquillamente sostenere che dalla metà fino ai 2/3 della massa corporea è comunque acqua.

Due atomi di idrogeno (simbolo \(H\), in alto a sinistra nella tabella) insieme a un atomo di ossigeno (simbolo \(O\), nella seconda riga in alto a destra) compongono l’acqua, da quella degli oceani alle nubi cariche di pioggia e anche quella che è presente nel corpo umano. Gli atomi di  idrogeno si formarono ben 13,8 miliardi di anni fa subito dopo il Big Bang, non ci sono state da allora altre fonti di questo elemento, che oltre ad essere il mattone elementare con cui sono stati poi costruiti nelle fucine stellari tutti gli altri elementi sparsi nell’universo, è anche quello più antico.
Il carbonio del nostro corpo, il calcio delle nostre ossa e il fluoro nello smalto dei nostri denti sono il risultato della fusione dell’idrogeno nelle stelle. Il ferro contenuto nell’emoglobina del sangue e anche quello che quotidianamente conosciamo con altre forme e con altri nomi, come ad esempio l’acciaio delle posate da cucina e quello delle automobili, nasce un attimo prima che una stella grande almeno una decina di volte il nostro Sole esploda in supernova.  Il metallo che più di tutti consideriamo da sempre il più prezioso e usato anche come controvalore negli scambi commerciali, l’oro, è il risultato di una fusione tra due stelle di neutroni [cite]http://wwwmpa.mpa-garching.mpg.de/mpa/institute/news_archives/news1109_janka/news1109_janka-en.html[/cite], uno degli eventi cosmici più potenti in assoluto e quasi sicuramente l’unico responsabile dei Gamma Ray Burst (GRB). Anche il piombo, metallo assai povero, piuttosto tossico se inalato o ingerito e conosciuto fin dall’antichità per le sue notevoli proprietà metallurgiche, è prodotto dal decadimento dell’uranio 238 (simbolo \(U\), ultima riga della tavola), che anche lui trae origine nelle collisioni di stelle di neutroni. Quando sentirete di un avvistamento di un nuovo avvistamento di un lampo di raggi gamma pensate che lì si è formato dell’oro e dell’uranio.
Solo gli ultimi, dall’americio (simbolo \(Am\) al laurenzio (simbolo \(Lr\), senza contare anche altri elementi chimici di sintesi che qui non sono riportati, sono opera dell’uomo.
Come vedete, noi e tutto quello che ci circonda nell’Universo è in definitiva Figlio delle Stelle.


 

Pianeta X, Pianeta 9, o …

 La supposta esistenza di un nono grande pianeta nel Sistema Solare checché se ne dica non coglie del tutto di sorpresa gli astronomi. Spesso la matematica è riuscita ad anticipare importanti scoperte astronomiche. L’universo là fuori è una infinita fonte di meraviglie e di fantastiche scoperte, e di questo gli scienziati ne sono ben consapevoli. Ma questa pistola fumante, come dicono gli americani, non ha niente a che fare con la sonora bischerata di Nibiru e le stupide teorie catastrofiste che l’accompagnano. Chi ha visto in questa ipotesi una conferma delle teorie di Sitchin ha sbagliato anche stavolta 😛

Rappresentazione artistica del Pianeta Nove. Si suppone che il pianeta sia piuttosto simile ad Urano e Nettuno. Una ipotetica tempesta di fulmini illumina il lato notturno. Credit: Caltech / R. Hurt (IPAC)

Rappresentazione artistica del Pianeta Nove. Si suppone che il pianeta sia piuttosto simile ad Urano e Nettuno. Una ipotetica tempesta di fulmini illumina il lato notturno.
Credit: Caltech / R. Hurt (IPAC)

Il metodo è ormai antico e collaudato. Già nel  1846 l’astronomo tedesco Johann Gottfried Galle e al suo allievo Heinrich Louis d’Arrest scoprirono l’ottavo pianeta del Sistema Solare Nettuno 1. Questo fu il primo pianeta ad essere stato trovato tramite calcoli matematici piuttosto che attraverso regolari osservazioni: fu il trionfo della Meccanica Celeste che da Niccolò Copernico fino a Isaac Newton aveva matematicamente rivoluzionato l’universo fino ad allora conosciuto. La posizione del pianeta era stata infatti prevista dai calcoli dell’astronomo francese Urbain Le Verrier dell’Osservatorio di Parigi che era partito dall’osservazione dello strano comportamento dell’orbita di Urano che non rispecchiava esattamente il percorso in cielo previsto. A meno di grossolani errori nelle osservazioni e nei calcoli, l’unica spiegazione era che là fuori vi fosse qualcos’altro all’esterno che ne perturbava l’orbita. E infatti Nettuno fu scoperto entro appena un grado dal punto previsto.
Ma se pensate che la storia finisca qui siete in errore: infatti Nettuno non ha sufficiente massa (anche se è il terzo pianeta più massiccio del Sistema Solare) per giustificare le perturbazioni orbitali di Urano e quasi fin da subito dopo la sua scoperta divenne evidente che c’era ancora qualcosa che disturbava le orbite di entrambi i pianeti Urano e Nettuno. Partendo da quelle anomalie orbitali, agli inizi dello scorso secolo William Henry Pickering e Percival Lowell provarono a calcolare la posizione di questo misterioso Pianeta X che ancora non era stato scoperto. E anche quella volta, nel 1930, un pianeta fu scoperto quasi nello stesso posto previsto dai calcoli: Plutone, ad opera dell’astronomo dilettante (quello che oggi considereremmo un astrofilo) Clyde Tombaugh che si laureò in astronomia solo nel 1936.
Eppure, anche stavolta la massa di Plutone, che poi fu declassato a pianeta nano dall’Unione Astronomica Internazionale a pianeta nano, non era ancora sufficiente a giustificare il caos nelle orbite dei pianeti ai confini del Sistema Solare.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=V_Pmy331Sic&w=320]

La soluzione arrivò nel 1989, quando furono finalmente disponibili misure più accurate della massa di Nettuno e quelle della massa di Urano del sorvolo di tre anni prima della Voyager 2. Poche frazioni percentuali, ma con le nuove misurazioni dirette tutte le anomalie orbitali si risolsero [cite]http://dx.doi.org/10.1086/116575[/cite] e anche la questione di un altro pianeta molto massiccio al di là di Nettuno scomparve.

E ora veniamo al più che recente dibattito, scatenato dalla notizia apparsa sul sito del Caltech (California Institute of Tecnology) sulle prove dell’esistenza di un altro pianeta orbitante al di là di Nettuno [cite]http://www.caltech.edu/news/caltech-researchers-find-evidence-real-ninth-planet-49523[/cite].  Due ricercatori, Konstantin Batygin e Mike Brown (uno degli scopritori di Sedna) 2, hanno cercato di trovare una spiegazione sulle strane orbite possedute da alcuni corpi minori trans-nettuniani (cioè quei corpi la cui orbita si trova interamente o per la maggior parte oltre a quella di Nettuno, detti anche KBO da Kuiper Belt Object, oggetti della Fascia di Kuiper) che mostrano caratteristiche piuttosto simili [cite]http://iopscience.iop.org/article/10.3847/0004-6256/151/2/22[/cite]. L’idea in sé non è poi tanto originale, Chad Trujillo (che aveva fatto il post dottorato con Mike Brown e anche lui tra gli scopritori di Sedna)  e Scott Sheppard  astronomo presso la Carnegie Institution for Science di Washington) nel 2012 scoprirono un corpo minore, 2012 VP113, ne estrapolarono l’orbita e videro che il suo perielio era piuttosto simile a quello di un altro corpo simile, Sedna, scoperto nove anni prima. L’articolo della scoperta apparve nel 2014 su Nature [cite]http://www.nature.com/news/dwarf-planet-stretches-solar-system-s-edge-1.14921[/cite], ma non riscosse molto credito.

Le orbite di sei oggetti transnettuniani (KBO), e la possibile orbita del presunto pianeta. Tutti hanno il perielio allineato verso un punto. Credit: California Institute of Technology

Batygin e Brown invece hanno esteso quella ricerca includendo le orbite di altri corpi minori trans-nettuniani (in tutto sono 13) e si sono accorti che i sospetti originali di Trujillo e Sheppard erano più che fondati: come se ci fosse qualcosa che spingesse i corpi minori presi in esame ad avere i loro perieli tutti orientati verso un’unica direzione.
Dal punto di vista meramente statistico è assai improbabile che queste orbite si presentino così simili in modo puramente casuale. È assai più probabile che siano il prodotto di qualche evento comune (la butto là, un unico corpo di origine) oppure –  ed è la spiegazione più probabile – la presenza di un unico corpo molto più massiccio, un pianeta, che attraverso ripetuti incontri ravvicinati con i corpi minori abbia spinto questi ad avere caratteristiche orbitali al perielio molto simili. Partendo da questa conclusione, Batygin e Brown hanno provato a simulare (ripeto: simulare) le caratteristiche del pianeta che potrebbe aver allineato le orbite di quei KBO: un corpo con una massa di circa 10 volte quelle della Terra (in confronto Nettuno è circa 17 volte il nostro pianeta) e un perielio di ben 200 U.A. (circa 30 miliardi di chilometri) e un afelio compreso tra 500 e i 1200 U.A (75 e 180 miliardi di chilometri).

I sei oggetti più distanti del sistema solare conosciuti che hanno orbite esclusivamente oltre Nettuno (magenta), tra cui Sedna (magenta scuro), tutti misteriosamente si allineano in una sola direzione. Inoltre, se visto tridimensionalmente,le loro orbite inclinano verso un quasi identico punto del sistema solare. Un'altra frazione di oggetti della fascia di Kuiper (ciano) sono costretti in orbite che sono perpendicolari al piano del sistema solare e con un altro curioso orientamento. Batygin e Brown pensano che un pianeta con 10 volte la massa della Terra in una lontana orbita eccentrica (arancione) e anti-allineato con le orbite magenta e perpendicolari alle orbite ciano possa spiegare questa configurazione. Caltech / R. Hurt (IPAC)

I sei oggetti più distanti del sistema solare conosciuti che hanno orbite esclusivamente oltre Nettuno (magenta), tra cui Sedna (magenta scuro); tutti misteriosamente si allineano in una sola direzione. Inoltre, se visto tridimensionalmente, le loro orbite inclinano verso un quasi identico punto del sistema solare. Un’altra frazione di oggetti della fascia di Kuiper (in ciano) sono costretti in orbite che sono perpendicolari al piano del sistema solare e con un altro curioso orientamento. Batygin e Brown pensano che un pianeta con 10 volte la massa della Terra in una lontana orbita eccentrica (arancione) e anti-allineato con le orbite magenta e perpendicolari alle orbite ciano possa spiegare questa configurazione.
Credit: Caltech / R. Hurt (IPAC)

In più ogni teoria che si rispetti deve essere in grado non solo di spiegare come sono avvenute certe cose, ma fornire anche alcune previsioni; e in questo caso alcune di esse possono essere addirittura già verificabili, come quella di un secondo gruppo di oggetti KBO che posseggono orbite  perpendicolari rispetto all’eclittica e che finora non era stato possibile spiegare.
Il supposto Pianeta 9 molto probabilmente non è un pianeta errante poi catturato dal Sole, ma piuttosto un quinto corpo celeste formatosi insieme agli altri giganti gassosi  del Sistema Solare e poi espulso nella sua posizione attuale da Giove e Saturno ben prima che le attuali orbite si stabilizzassero.

Ora non resta che scoprirlo, anche se la scorsa campagna WISE del 2011, dopo un campionatura del 99% della volta celeste nell’infrarosso, aveva escluso la possibile esistenza di pianeti di massa come Nettuno in un raggio di ben 700 U.A. e di Giove fino a ben 26000 U.A. Il problema è che l’eventuale Pianeta 9 sarebbe ben più piccolo di Nettuno (meno di 2/3) e quindi al limite, se non al di sotto, della capacità osservativa del telescopio spaziale anche se fosse transitato in quel momento al perielio [cite]www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2014-075[/cite].
Na non tutto è comunque perduto: saranno necessari i grandi telescopi come il telescopio gemello da 10 metri dell’Osservatorio Keck o il telescopio Subaru sul Mauna Kea per vederlo. Ma solo una massiccia campagna osservativa potrà confermare l’esistenza del Pianeta 9.


Note:

Astroinseguitore: prove tecniche di programmazione di Arduino

Il mio amore per la scienza – e l’astronomia in particolare – mi è stato di stimolo per apprendere – e anche sperimentare – un’infinità di cose tra loro molto diverse. In gioventù toccò alla elettronica applicata alle onde radio 1 che mi avvicinò anche al mondo radioamatoriale. Poi fu la volta dei computer e della loro capacità di elaborazione (fondamentale in astronomia) ad attirare la mia attenzione. E se è vero che la vecchiaia è una seconda gioventù, alla soglia dei cinquanta non devo farmi cogliere impreparato.

Lo schema da me usato per il circuito di test. Credit: Il Poliedrico.

Lo schema da me usato per il circuito di test.
Credit: Il Poliedrico.

Progettare un astroinseguitore (o tavoletta equatoriale) pone dei limiti progettuali piuttosto importanti, di cui il principale è senz’altro l’errore tangenziale nella velocità di guida che rischia di vanificare la bontà di qualsiasi buon lavoro di costruzione.
Per questo ho scelto di pilotare il motore con un sistema che fosse programmabile. Così posso decidere se, quando e quanto variare la velocità del braccio pilota. Ma essendo io quasi a digiuno di elettronica, di controllori programmabili e di robotica, da buon sperimentatore ho deciso di addentrarmi anche in questo campo, armato del buon spirito da autodidatta che da sempre mi si confà 2
Poter programmare una scheda come in questo caso un Arduino UNO R3 (clone) non è difficile; i programmi sono piuttosto semplici da leggere per chi sa programmare in C, anche a livello elementare.
Qui in fondo troverete lo sketch (si chiamano proprio così i programmi scritti per Arduino) infarcito ben bene di commenti 3 per rendere meglio l’idea su come esso funzioni. In pratica il programma istruisce Arduino a leggere lo stato di alcune porte per vedere se viene premuto un qualsiasi tasto e in tal caso accendere o spegnere il LED corrispondente, pilotato questo dalla commutazione di un’altra porta digitale della scheda.
Può apparire, ed in effetti lo è, un’operazione piuttosto banale ma comprendere come cambiare stato logico ad una porta digitale, poterne pilotare gli effetti (in questo caso accendere un LED) e come funziona tutta la circuiteria elettronica di contorno, non è poi così ovvio. Al posto dei LED potremmo scegliere di fare un’altra cosa, come azionare un motorino elettrico, controllarne la direzione e la velocità di rotazione. Oppure accendere una luce di casa, controllare una tapparella o ruotare una cupola di un osservatorio astronomico. Le possibilità sono infinite.

I materiali usati per il circuito descritto in questo articolo:

  • una bread board (basetta sperimentale senza saldature) da 400 reofori.
  • 4 resistenze da 1 kΩ 1/2 W.
  • 4 pulsanti n.a. (normalmente aperti) del tipo SMD/SMT a 4 pin.
  • 4 diodi LED di recupero.

Questi sono materiali poveri, incluso il costo di una scheda clone di Arduino UNO R3, che per le prove va più che bene, in totale sono appena 10 euro, tutto sommato una cifra davvero ridicola.
Spero così di stuzzicare la vostra curiosità così come è stata solleticata la mia, cieli sereni.

[code language=”arduino”]
#define LED1 9 // Led 1 collegato alla porta digitale 9
#define LED2 10 // Led 2 collegato alla porta digitale 10
#define LED3 11 // Led 3 collegato alla porta digitale 11
#define LED4 12 // Led 4 collegato alla porta digitale 12
#define PULSANTE1 1 // Pulsante 1 collegato alla porta digitale 1
#define PULSANTE2 2 // Pulsante 2 collegato alla porta digitale 2
#define PULSANTE3 3 // Pulsante 3 collegato alla porta digitale 3
#define PULSANTE4 4 // Pulsante 4 collegato alla porta digitale 4

int porta1 = 0; // Azzera la variabile per la porta digitale 1
int porta2 = 0; // Azzera la variabile per la porta digitale 2
int porta3 = 0; // Azzera la variabile per la porta digitale 3
int porta4 = 0; // Azzera la variabile per la porta digitale 4

void setup() { // Inizializza il programma
pinMode(LED1, OUTPUT); // Attribuisce lo stato di scrittura alla porta digitale 9
pinMode(LED2, OUTPUT); // Attribuisce lo stato di scrittura alla porta digitale 10
pinMode(LED3, OUTPUT); // Attribuisce lo stato di scrittura alla porta digitale 11
pinMode(LED4, OUTPUT); // Attribuisce lo stato di scrittura alla porta digitale 12
pinMode(PULSANTE1, INPUT); // Attribuisce lo stato di lettura alla porta digitale 1
pinMode(PULSANTE2, INPUT); // Attribuisce lo stato di lettura alla porta digitale 2
pinMode(PULSANTE3, INPUT); // Attribuisce lo stato di lettura alla porta digitale 3
pinMode(PULSANTE4, INPUT); // Attribuisce lo stato di lettura alla porta digitale 4
}

void loop() { // Avvia il ciclo principale
porta1 = digitalRead(PULSANTE1); // Legge lo stato del pulsante 1 e lo assegna alla variabile porta1
porta2 = digitalRead(PULSANTE2); // Legge lo stato del pulsante 2 e lo assegna alla variabile porta2
porta3 = digitalRead(PULSANTE3); // Legge lo stato del pulsante 3 e lo assegna alla variabile porta3
porta4 = digitalRead(PULSANTE4); // Legge lo stato del pulsante 4 e lo assegna alla variabile porta4

if (porta1 == HIGH) { // Se lo stato letto prima è ALTO allora
digitalWrite(LED1, HIGH); // accendi il led 1
} else { // altrimenti
digitalWrite(LED1, LOW); // spegni il led
}
if (porta2 == HIGH) { // Se lo stato letto prima è ALTO allora
digitalWrite(LED2, HIGH); // accendi il led 2
} else { // altrimenti
digitalWrite(LED2, LOW); // spegni il led
}
if (porta3 == HIGH) { // Se lo stato letto prima è ALTO allora
digitalWrite(LED3, HIGH); // accendi il led 3
} else { // altrimenti
digitalWrite(LED3, LOW); // spegni il led
}

if (porta4 == HIGH) { // Se lo stato letto prima è ALTO allora
digitalWrite(LED4, HIGH); // accendi il led 4
} else { // altrimenti
digitalWrite(LED4, LOW); // spegni il led
}
}
[/code]


Note:

Costruire un astroinseguitore: le scelte

Era da molto che mi ero riproposto di prendere in mano un vecchio argomento, la costruzione di un astroinseguitore, o tavoletta equatoriale, se preferite.
Lo dico, ho una manualità da far schifo ma tanti buoni propositi e tante idee. Forse ne uscirà qualcosa di buono.

RISO.II = distanza tra il fulcro del braccio pilota (rosso) e la vite motrice (giallo) lungo la base portante (grigio). B = distanza tra punto di contatto del braccio pilota con il braccio della fotocamera (blu) e il suo fulcro. C = distanza tra i fulcri dei due bracci lungo la base portante.

RISO.II = distanza tra il fulcro del braccio pilota (rosso) e la vite motrice (giallo) lungo la base portante (grigio).
B = distanza tra punto di contatto del braccio pilota con il braccio della fotocamera (blu) e il suo fulcro.
C = distanza tra i fulcri dei due bracci lungo la base portante.

Ho deciso di passare ai fatti. Per il progetto di un astroinseguitore ho scelto quella che senz’altro dal punto di vista tecnico presenta più difficoltà, la soluzione a doppio braccio per annullare gli errori di tangente presenti – o in agguato – nelle soluzioni a braccio singolo. In pratica si tratta di un braccio di alzata motorizzato su cui semplicemente appoggia un secondo braccio che si muove sotto la spinta del primo.
Ma prima di passare alla costruzione della complessa struttura mi sono messo a studiare cosa occorre per muovere tutto e rendere il più automatico possibile i diversi processi, dal movimento equatoriale motorizzato alla gestione da remoto delle immagini. Qui serve un sistema che consenta di scattare più fotogrammi da diversi secondi fino ad alcuni minuti consecutivamente mentre il braccio dinamico guida la fotocamera nel percorso apparente del cielo senza sbavature. Potrebbe in questo caso bastare un banalissimo telecomando remoto magari in radiofrequenza, ce ne sono di molto validi e abbastanza economici in commercio – come l’ottimo Pixel TW-282TX, io stesso ne ho uno – ma perché non gestire tutto con un unico sistema?
Per automatizzare il movimento 1 ho pensato – come già avevo anticipato nei precedenti articoli – ho pensato ad un motore passo-passo, ideale per tutte quelle applicazioni che richiedono precisione nello spostamento angolare e nella velocità di rotazione; infatti vantano un ampio arco di impieghi, dalla robotica fino alle montature dei telescopi.
Per pilotare un motore passo passo occorrono diversi impulsi consecutivi in corrente continua, non è quindi possibile farli girare applicandovi una semplice tensione. Però con un circuito digitale che invia impulsi con una specifica frequenza è possibile guidarne il funzionamento e anche la velocità senza ricorrere a complicati meccanismi di demoltiplica. Una struttura hardware del genere che non richiede eccessive conoscenze ingegneristiche esiste già e si chiama Arduino.

Una scheda Arduino sormontata da un display LCD 1602 (16 caratteri per 2 righe) Credit: Il Poliedrico

Una scheda Arduino sormontata da un display LCD 1602 (16 caratteri per 2 righe)
Credit: Il Poliedrico

Arduino è una piattaforma hardware nata nel 2005 a Ivrea, Italia, come progetto open-source  a basso costo per gli studenti della facoltà di Interaction Design Institute Ivrea [cite]https://goo.gl/ZSyuLR[/cite]. Nonostante che l’istituto in sé non esista più, negli anni il progetto si è sviluppato e, grazie all’idea iniziale Open Source, è stato possibile progettare e creare una miriade di dispositivi hardware aggiuntivi e schede logiche a costi irrisori. Di conseguenza anche la comunità intorno a quest’idea è cresciuta allo stesso modo. Oggi si possono trovare progetti che con una singola scheda Arduino e pochi altri componenti di contorno fanno di tutto: dall’automazione degli irrigatori da giardino a stazioni meteorologiche complesse gestibili da remoto, dall’automazione casalinga alla robotica industriale e alla prototipizzazione di sistemi complessi. Di suo la scheda non fa poi molto, se non quello di mettere a disposizione alcune porte digitali e analogiche in ingresso e uscita. Ma la sua incredibile potenza deriva dalla straordinaria capacità di essere interamente programmabile con un linguaggio che deriva direttamente dal celebre C, addirittura. È questo che la rende un eccellente strumento, può addirittura eseguire dei calcoli matematici.
Di fronte a cotanta flessibilità la mia scelta di affidarmi ad Arduino per questo progetto mi è apparsa naturale. Ora non mi resta che sperimentare (ahi! il metodo galileiano anche qui) le varie soluzioni e vedere cosa ne esce. Spero che siano rose!
Cieli sereni.

(continua)


Note: