Cavalcando la luce

 

Riding Light from Alphonse Swinehart on Vimeo

Le scale cosmiche sfuggono all’umana comprensione dove tutto è incredibilmente più grande. La sola età dell’Universo ci rende le dimensioni dell’universo osservabile:  260 mila miliardi di miliardi di chilometri di diametro. Anche la cosa più veloce in natura come la luce impiega 13,8 miliardi di anni per arrivare a noi dal confine ultimo che ci è concesso scorgere.
Il nostro piccolo, accogliente Gruppo Locale di galassie – una settantina in tutto – ha ben 10 milioni di anni luce di diametro, mentre la distanza che ci separa dalla galassia più prossima è di soli 2 milioni e mezzo anni luce, circa 23 miliardi di miliardi di chilometri.
Il diametro della nostra Via Lattea è di appena 100 mila anni luce, la stella a noi più vicina appena – si fa per dire – 4,3 anni luce e l’oggetto più lontano mai lanciato dagli esseri umani è la sonda spaziale Voyager 1 con oltre 19 miliardi e mezzo di chilometri (circa 36 ore e un quarto luce di distanza) sul groppone e viaggia nello spazio dal lontano settembre 1977.

Questi numeri tuttavia non rendono comunque bene l’idea delle dimensioni cosmiche quanto questa animazione di  che ha immaginato una corsa attraverso il Sistema Solare (si è fermato a Giove per restare entro l’ora) a cavallo di un fotone partendo dal Sole. Ogni secondo del film corrispondono al percorso di quasi 300 mila chilometri, più o meno quanti ne percorrerebbe mediamente un’auto in una decina di anni. 

Buona visione!

Fotografare il cielo: l’astroinseguitore

La fotografia di panorami stellari è indubbiamente molto affascinante. Ma l’ostacolo principale è il moto stellare che rende questo tipo di riprese un po’ più complicato del solito. Ma basta un pelino di fantasia e la rotazione terrestre non è più un problema.

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Credit: yorkastr.oorg.uk

Un semplice astroinseguitore.
Credit: yorkastro.org.uk

A quanto ho visto in rete, l’autocostruzione di astroinseguitori non pare essere molto in voga tra gli astrofili italiani, che magari si affidano a strumenti commerciali non esattamente poco costosi per soddisfare questa esigenza. Invece pare essere stata piuttosto di moda oltreoceano dove, soprattutto ai tempi delle pellicole e camere oscure,  gli astrofili svilupparono interessanti soluzioni tecniche.
Un astroinseguitore autocostruito, in inglese barn door tracker, noto anche come  Haig o Scotch mount, è un dispositivo utilizzato per l’osservazione o la fotografia del cielo che consente di fare lunghe esposizioni del cielo notturno facendo ruotare lo strumento di ripresa alla stessa velocità della Terra, ma nella direzione opposta, in modo che il campo di vista rimanga sempre esattamente lo stesso durante tutta l’osservazione.
Si tratta di una semplice alternativa a cui collegare una macchina fotografica rispetto a una ben più costosa e ingombrante montatura equatoriale motorizzata. L’idea originale di questo strumento si deve probabilmente all’astronomo Donald Menzel di Harvard che fin dal 1930 organizzò spedizioni internazionali per osservare le eclissi solari. Un’eclissi solare totale non dura mai più di 7 minuti e per quel breve lasso di tempo la precisione di inseguimento di questo strumento è davvero eccellente. 
Adatto a qualsiasi latitudine, un astroinseguitore può portare la gamma più stravagante di strumenti di studio per un breve periodo (massimo un’ora per gli schemi più complessi a doppio braccio) senza il bisogno di contrappesi e ingombranti meccanismi. 
Nel mese di aprile 1975 la rivista americana Sky & Telescope pubblicò i disegni originali di un semplice astroinseguitore ideato da George Haig. Questo articolo scatenò l’interesse degli astrofili, i quali ben presto scoprirono e superarono i limiti di quel semplice progetto. Ulteriori versioni modificate di quello schema furono pubblicate nella stessa rivista nel mese di febbraio 1988 e nel giugno 2007.

 

(continua ….)

 

Sedimenti naturali e strutture fossili

Se vogliamo cercare testimonianze di vita passata sulla Terra non c’è che l’imbarazzo di dover scegliere dove guardare. Fossili di animali preistorici, piante e di più semplici forme di vita sono state trovate ovunque si sia guardato; dopotutto questo è un pianeta che la vita ha modellato a suo piacimento per almeno tre miliardi e mezzo di anni. È questo, un vastissimo spazio che sta al confine tra la geologia e la biologia, difficile da interpretare ma anche ricco di sorprese.

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Figura 1:
La Scala dei Turchi in comune di Realmonte (AG) in Sicilia. La bizzarra struttura naturale è composta da marna, una roccia sedimentaria di natura calcarea e argillosa, avente un caratteristico colore bianco puro. Credit: Il Poliedrico

Sezione trasversale di una roccia che mostra i sedimenti organici fossili al suo interno. Crfedit: : Nora Noffke, Daniel Christian, David Wacey, and Robert M. Hazen/Astrobiology

Figura 2:
Sezione trasversale di una roccia mostra i sedimenti organici fossili al suo interno.
Credit: : Nora Noffke, Daniel Christian, David Wacey, and Robert M. Hazen/Astrobiology

La vita nell’Archeano

Se voi avreste visitato la Terra durante l’Archeano, avreste trovato la Terra dominata da innumerevoli vulcani attivi. Il cielo vi sarebbe apparso di colore arancione a causa dell’alta concentrazione di metano nell’atmosfera mentre le acque degli oceani poco profondi che coprivano gran parte della superficie del pianeta avrebbero avuto una leggera sfumatura verde per i microrganismi che avevano appena imparato a vivere sui litorali, e che poi sarebbero diventati le stromatoliti e le tromboliti che vediamo oggi.
La Luna vi sarebbe apparsa molto più grande e le sue maree gigantesche, perché il satellite era allora molto più vicino. Il Sole era invece un po’ più piccolo e fresco, ma a riscaldare l’ambiente c’avrebbero pensato i vulcani e l’effetto serra…

All’inizio della storia sulla Terra era presente solo roccia magmatica, quella che costituisce ancora oggi almeno il 65% della crosta del pianeta. Adesso invece, almeno il 75% della superficie del pianeta è rivestito da uno strato sottilissimo di roccia di tipo sedimentario, cioè originato da sedimenti. Questi sedimenti sono prodotti dalla rimodellazione continua della crosta terrestre da parte dell’atmosfera e dell’idrosfera (processi abiotici), e dalla biosfera.
Esempi tipici di roccia sedimentaria sono le arenarie, le brecce e i conglomerati. La loro genesi è dovuta a processi di erosione, deposito e successivo  compattamento di frammenti più o meno grandi di altre rocce preesistenti.
Altri esempi di processi di sedimentazione sono quei sedimenti prodotti da soluzioni (tipicamente acqua) sature di minerali di carbonato (CO 3 2- ) come la calcite, l’aragonite e la dolomite.
Va da sé che i processi biologici dominanti sul nostro pianeta hanno lasciato ben poche strutture sedimentarie ancora non contaminate dalla loro presenza.

Le strutture sedimentarie legate alla biosfera sono prodotte da colonie di microrganismi che interagiscono con i sedimenti di origine naturale (abiotici) come quelli descritti prima. Queste colonie, molto spesso bentoniche 1, che possono essere composte da batteri, alghe, protozoi, archaea etc.,  si dispongono lungo il piano orizzontale 2 dando luogo a film microbici e altre sostanze polimeriche extracellulari (EPS) 3. Queste strutture poi danno origine alle microbialiti. L’ammassarsi di queste stuoie microbiche in presenza di carbonato produce quelle strutture sedimentarie note come stromatoliti [cite]http://www.geosociety.org/gsatoday/archive/23/9/abstract/i1052-5173-23-9-4.htm[/cite]  4  5.

Invece, con l’assenza della precipitazione dei carbonati o di altri minerali e la stratificazione delle stuoie microbiche si hanno quelle che gli anglofoni chiamano MISS (Microbially induced sedimentary structures), in italiano Strutture Sedimentarie Indotte Microbiologicamente (figura 2) [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24205812[/cite] 6.

Sebbene entrambe le strutture principali dei sedimenti fossili (stromatoliti e MISS) abbiano come origine i tappeti microbici, le MISS sono generalmente associate a fenomeni di superficie e la sostanziale assenza di strati sovrapposti.
Le stromatoliti – e le tromboliti – invece hanno una terza dimensione pronunciata, dovuta alla precipitazione minerale e alla cementazione di stuoie microbiche impilate una sull’altra. Queste si sviluppano principalmente in ambienti ricchi di calcio e di bicarbonato, di solito in ambienti marini soprattutto alle basse latitudini.
le MISS si verificano  piuttosto in ambienti – sia marini che terrestri –  evaporitici 7 e poveri di carbonati che sono più frequenti alle latitudini più elevate,.
Sia le MISS che le  stromatoliti sono quindi tra le più antiche testimonianze della vita sulla Terra. La loro distribuzione temporale va dal primo Archeano fino ai giorni nostri  ed interessa un po’ tutti i processi sedimentari presenti nelle piane di marea, lagune, spiagge fluviali, laghi, etc.. Le stromatoliti rinvenute mostrano anche che vi fu un grande incremento nelle diversità morfologiche durante il Proterozoico, soprattutto verso la fine del Mesoproterozoico (1,3 miliardi di anni fa). Queste diversità probabilmente riflettono interazioni tra le stuoie microbiche e organismi non microbici più evoluti.

La regione Pilbara, nell’Australia Occidentale, a destra una MISS di 3,5 Gyr fa rinvenuta nello stesso sito da Nora Noffke. 
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I resti più antichi risalgono fino a 3,2 miliardi di anni fa, mentre il più antico deposito sedimentario biologico è stato rinvenuto nella regione di Pilbara, in Australia, e fatto risalire al primo Archeano (circa 3,48 miliardi di anni fa).  Questo dimostra che già in quel periodo la vita procariotica era capace di organizzarsi in strutture evolute 8 [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9535661[/cite].

Purtroppo, i fenomeni di mineralizzazione inorganica intorno ai modelli microbici tendono a degradare e pian piano sostituire le strutture biologiche preesistenti. Anche le strutture EPS vengono degradate e sostituite da minerali argillosi. Dopo che i materiali microbici sono scomparsi, il carbonio e il calcio rimasti creano microcristalli di aragonite all’interno delle strutture che un tempo erano corpi viventi , fino a sostituire del tutto  le caratteristiche impronte biogene.
A questo punto resta da spiegare come è possibile  riconoscere un deposito sedimentario naturale da uno di origine biologica quando ormai dopo miliardi di anni ogni molecola biologica stata estratta e degradata dall’ambiente. Semplicemente dalla complessità della struttura minerale rimasta.
Una formazione naturale per quanto complessa essa sia, è pur sempre dominata da una totale casualità nelle forme, dimensioni e struttura. Al contrario, una struttura di origine biotica, anche se completamente mineralizzata e alterata da condizioni ambientali avverse, manterrà comunque molti degli schemi e delle complessità proprie della struttura biologica originaria.

 


Note:

Possibili tracce di strutture biologiche fossili fotografate dai Mars Exploration Rover

Già nel lontano 2004 la missione più longeva su Marte, Opportunity, fotografò delle microsferule di ematite, soprannominate mirtilli, una delle prime prove concrete che su Marte in un tempo molto lontano deve essere esistita acqua allo stato liquido.
Poi nel corso degli anni, il quadro che disegnava Maven dall’orbita, prima Opportunity e Curiosity poi direttamente dal suolo marziano è passato da poco più che una probabilità a una  una certezza: c’era stato un momento nel passato lontano che Marte aveva posseduto dell’acqua liquida sulla sua superficie. Nel corso degli anni si sono accumulate centinaia di prove: corsi essiccati di fiumi, minerali e depositi argillosi che solo la presenza non occasionale di acqua liquida può aver generato sul Pianeta Rosso. 

Terra vs. Marte: Ecco una delle immagini presenti sul Lavoro pubblicato su IJASS, 2014. La somiglianza delle strutture evidenziate sulla Terra (microbialiti:colonie di microrganismi unicellulari) e su Marte (fotografate da Opportunity sul pianeta rosso) è davvero notevole (vedi i contorni automatici ottenuti dal sistema computerizzato, sulla destra) . La successiva analisi automatica di immagine ha confermato con alta significatività statistica l'identità delle immagini.

Terra vs. Marte:
Ecco una delle immagini presenti sul Lavoro pubblicato su IJASS, 2014. La somiglianza delle strutture evidenziate sulla Terra (microbialiti:colonie di microrganismi unicellulari) e su Marte (fotografate da Opportunity sul pianeta rosso) è davvero notevole (vedi i contorni automatici ottenuti dal sistema computerizzato, sulla destra) . La successiva analisi automatica di immagine ha confermato con alta significatività statistica l’identità delle immagini.

Nel 2004 il Mars Exploration Rover Opportunity stava esplorando il Meridiani Planum quando in un costone di roccia chiamato Guadalupe, si imbatté in una delle prime e più evidenti prove che nel lontano passato Marte aveva posseduto acqua liquida [cite]http://mars.nasa.gov/mer/newsroom/pressreleases/20040302a.html[/cite].
Non che la cosa fosse del tutto inaspettata. Già la missione orbitale Mars Odyssey aveva segnalato la presenza di grandi quantità di idrogeno che facevano supporre la presenza di ghiaccio sotto la superficie di Marte, ma non si erano ancora trovate tracce così evidenti della passata presenza di acqua liquida sulla superficie; ma non solo…

Il Dott. Giorgio Bianciardi dell’Università di Siena, biologo e medico, ricercatore dell’Università di Siena, dove insegna Microbiologia e Astrobiologia, [cite]http://ijass.org/publishedpaper/year_abstract.asp?idx=132[/cite][cite]http://ilpoliedrico.com/2012/05/intervista-a-giorgio-bianciardi-sul-labeled-release-experiment.html[/cite], il Dott. Vincenzo Rizzo ex ricercatore del CNR presso l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (CNR-IRPI) di Cosenza, geologo, e il Dott. Nicola Cantasano ricercatore CNR all’istituto di Foreste e Agricoltura del Mediterraneo di Cosenza, hanno comparato 30 immagini riprese dalle missioni  Mars Exploration Rover (Spirit e Opportunity) e confrontate con altrettante (45) immagini di stromatoliti terrestri 1 per un totale di 40 000 microstrutture esaminate, tenendo conto della forma, dimensioni, complessità e similitudini tra le immagini marziane e i campioni terrestri [cite]http://ijass.org/PublishedPaper/topic_abstract.asp?idx=474[/cite].

Questa immagine mostra una parte dello sperone di roccia a Meridiani Planum, Mars, soprannominato “Guadalupe.” Fu scattata dal Microscopic Imager (MI) di Opportunity,. Credit: NASA/JPL

Il team italiano evidenzia una similitudine statistica molto elevata tra le microstrutture rilevate dalle immagini riprese su Marte e le strutture microbiologiche (microbialiti 2 e stromatoliti) terrestri.
Tutte le immagini dei campioni sono state ricomposte sulle stesse proporzioni delle immagini trasmesse dai rover (sui metodi di trattamento e i software usati rimando all’articolo originale su ijass.org) e poi si è proceduto con una analisi di tipo frattale 3 [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/04/caccia-ai-microrganismi-marziani-le-nuove-ricerche-sugli-esperimenti-labeled-release.html[/cite] (la stessa che Giorgio Bianciardi usa da anni nelle sue ricerche biomediche) sulle immagini prendendo in considerazione otto diversi indici frattali che indicano altrettanti dati riguardo la complessità e le dimensioni delle strutture esaminate.
I risultati a cui sono giunti mostrano una totale similitudine tra le immagini marziane e i campioni terrestri sostenendo che la probabilità di una casualità simile e pari a 1 su 2^8 (p < 0,004). In altre parole i ricercatori italiani sostengono che durante il periodo in cui sussistevano le condizioni per la presenza di acqua liquida su Marte, esistevano ampie colonie di microorganismi unicellulari molto simili a quelli che hanno dato origine alle stesse simili strutture qui sulla Terra.

soprannominata "Salsberry Peak." Sono evidenti i segni della presenza dell'acqua nel passato di Marte.  Credit: NASA/JPL/Caltech/MSSS. Composizione di Jason Major.

Questo mosaico di 28 immagini è stato ripreso il Sol 844 (21/12/2014) e mostra una parte del Gale Crater soprannominata “Salsberry Peak.” Sono evidenti i segni della presenza dell’acqua nel passato di Marte.
Credit: NASA/JPL/Caltech/MSSS. Composizione di Jason Major.


Note:

 

Una botta di C … C/2014 Q2 (Lovejoy)

Credit: Il Poliedrico

costellazioni1Riuscire a fotografare un oggetto così tanto debole, di appena magnitudine 5.0 o giù di lì a non più di 40 gradi da una luna piena che più brillante di così non si può, è soprattutto una botta de … fortuna.
Eppure le immagini che riporto, scattate meno di 24 ore fa, quindi ieri, dimostrano che sì, ogni tanto una bottarella ci può stare. La cometa in questione è la C/2014 Q2 (Lovejoy) che in queste sere sta solcando i nostri cieli e che passerà alla minima distanza dalla Terra il 7 gennaio prossimo, ad appena 70 milioni di chilometri. Questi sono i principali dati EXIF della foto:

  • Modello fotocamera Canon EOS 70D
  • Data/ora scatto 04/01/2015 19:43:09
  • Modalità di scatto Esposizione manuale
  • Tv(Velocità otturatore) 15
  • Av(Valore diaframma) 3.5
  • Modalità di misurazione della luce Misurazione spot
  • Velocità ISO 100
  • Velocità ISO automatica OFF
  • Obiettivo EF-S18-55mm f/3.5-5.6
  • Distanza focale 18.0mm
  • Flash Off
  • Bilanciamento del bianco Auto
  • Modalità AF Messa a fuoco manuale
  • Stile Foto Neutro
  • Nitidezza 0
  • Contrasto 0
  • Saturazione 0
  • Tonalità col. 0
  • Gamma Colore sRGB