L’eterno Paradosso di Fermi (III parte)

Mentre nella prima puntata mi sono concentrato sul percorso che parte dalla vita e arriva fino allo sviluppo – almeno sulla Terra – di  una civiltà tecnologicamente avanzata, nella seconda credo di aver ampiamente dimostrato che un realistico piano di colonizzazione galattica non è poi di così difficile attuazione per una società abbastanza avanzata e motivata. Ma allora come rispondere alla domanda di Fermi “Dove sono gli altri?”?
La risposta quasi sicuramente è racchiusa nell’ultima incognita dell’Equazione di Drake: il fattore \(L\) che si occupa di stabilire quanto possa durare una civiltà tecnologicamente evoluta (qualcuno suggerì almeno 10 mila anni). Finora si è sostenuto che essa sottintendesse la capacità di una società tecnologicamente avanzata ad evitare l’autodistruzione per disastri ambientali estremi, guerre nucleari, etc.,  ma dobbiamo prendere in considerazione che possono esserci anche molti altri ostacoli, di certo meno violenti, che comunque portano al collasso di una civiltà in tempi molto più brevi.

Schemi ripetitivi nelle società umane

Le rovine di Tadmor (Palmira), che in aramaico significa Palma. Era conosciuta anche come La sposa del deserto, dove Oriente e Occidente si incontravano sulla Via della Seta.

Le rovine di Tadmor (Palmira), che in aramaico significa palma. Era conosciuta anche come La sposa del deserto, dove Oriente e Occidente si incontravano sulla Via della Seta. Qui sono fiorite e poi estinte molte civiltà  del passato.

Continuando a ipotizzare che il percorso evolutivo della Terra sia tipico anche per il resto dell’Universo, si può ritenere che dall’analisi delle diverse esperienze sociali umane sia possibile estrapolare modelli plausibili che possono poi essere utili a dare una risposta al dilemma di Fermi.
Il caso del drammatico crollo dell’Impero Romano (seguito da molti secoli di declino della popolazione, deterioramento economico  e regressione intellettuale) è ben noto, ma non era che uno dei tanti cicli di  ascesa e crollo delle civiltà europee. Prima della civiltà greco-romana, erano fiorite altre civiltà (come quella minoica e quella micenea) che erano risorte da crolli precedenti e avevano raggiunto livelli molto avanzati di civiltà prima del crollo definitivo. La storia della Mesopotamia è in realtà la somma di varie civiltà sorte e crollate in quei luoghi come Sumer,  l’Impero Akkad, Assiria, Babilonia, etc. [cite]http://goo.gl/i43lrZ[/cite]. Lo stesso può dirsi dell’Antico Egitto, delle diverse civiltà anatoliche (come gli Ittiti), in India (imperi Maurya e Gupta) e nel sud-est asiatico (Impero Khmer). Ci sono inoltre evidenti analogie tra le diverse dinastie dell’Antico Egitto e le varie dinastie imperiali cinesi, dove periodi di splendore si alternavano a periodi di crollo politico e socio-economico.
Anche il Nuovo Mondo non era immune a questi cicli storici. Le civiltà Maya, Inca e Atzeca traevano origine da altre culture precedenti, ma il loro collasso definitivo avvenne col contatto con la civiltà europea che si stava espandendo nel nuovo continente. Le culture nord americane della valle del Mississippi (Cahokia), del sud-ovest americano (Anasazi, Hohokam e Pueblo) e la complessa civiltà polinesiana [1.

Il Triangolo Polinesiano

TongatopTra il 3000 e il 1000 a.C. popolazioni di lingua austronesiana si diffusero in tutte le isole del Sud-Est asiatico. Probabilmente il loro ceppo comune è da cercarsi negli  aborigeni dell’isola di Taiwan (la popolazione attuale dell’isola è di origine cinese perché questa fu al centro di una migrazione su larga scala nel corso del 1600). Le più antiche testimonianze archeologiche mostrano l’esistenza di questa cultura – chiamata Lapita – già 3500 anni fa e che sia apparsa nell’Arcipelago Bismarck , a nord-ovest della Melanesia. Si sostiene che questa cultura sia stata sviluppata là o più probabilmente, di essersi diffusa dall’isola di Taiwan. Il sito più orientale per i resti archeologici Lapita recuperati finora si trovano nelle isole di Mulifanua e Upolu. Il sito Mulifanua ha un’ età di circa 3.000 anni stabilita con la datazione C14.
Nel giro di soli tre o quattro secoli circa tra il 1300 e il 900 a.C., la cultura Lapita – che includeva anche la ceramica, si diffuse 6.000 km più a est dell’arcipelago di Bismarck, fino a raggiungere le Figi, Tonga e Samoa. Intorno al 300 a.C. questo nuovo popolo polinesiano si diffuse da est delle Figi, Samoa, Tonga fino alle Isole Cook, Tahiti, le Tuamotu e le Isole Marchesi.
Tra il 300 e il 1200 d.C. (la data è incerta), i polinesiani scoprirono e si installarono nell’Isola di Pasqua. Questo è supportato da evidenze archeologiche, nonché dall’introduzione di flora e fauna coerente con la cultura polinesiana e le caratteristiche climatiche di quest’isola. Intorno al 500 d.C., anche le Hawaii vennero colonizzate dai polinesiani mentre solo intorno all’anno 1000, quest’ultimi colonizzarono infine la Nuova Zelanda.] si estinsero da sé dopo secoli di dominio culturale.
Tutto questo dimostra che l’evoluzione dei gruppi sociali segue da sempre dei cicli di crescita e declino, come dimostrano anche altri studi sulle società neolitiche [cite]http://goo.gl/Qg0dcC[/cite]. Di solito questi cicli di espansione e declino (della durata media di 300-500 anni) non sono frutto di eventi eccezionali come epidemie o cataclismi naturali, ma sono il frutto di una rapida crescita della popolazione unito allo sfruttamento naturale oltre i livelli sostenibili.

I modelli sociali

Uno serio studio sugli schemi evolutivi dei gruppi sociali è stato fatto nel 2012 da Safa Motesharrei e Eugenia Kalnay dell’Università del Maryland e Jorge Rivas dell’Università del Minnesota [cite]http://goo.gl/Em99bt[/cite]. Gli autori hanno ridotto gli schemi sociali a poche macrovariabili capaci comunque di descrivere abbastanza fedelmente le dinamiche che governano una società:

  • Popolazione (elite e popolo)
  • Risorse (esauribili e rinnovabili)
  • Ricchezza (risorse redistribuite)
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Il modello adottato per questo studio è anche quello che più si ritrova in natura: il Modello Predatore vs Preda; per questo è anche quello che probabilmente può descrivere di più una possibile società extraterrestre. Infatti il modello predatore-preda – in questo caso gli esseri umani e la natura – è piuttosto comune presso anche molte altre specie animali.

In sintesi, i risultati ottenuti indicano che i crolli sociali storici (come l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e/o una forte disparità economica tra le diverse classi sociali) possono essere causa di un crollo completo delle civiltà, come è avvenuto per l’Impero Romano, i Maya e la società Lapita.

L’unicità che contraddistingue la specie umana dagli altri animali è la sua capacità di accumulare grandi eccedenze (cioè ricchezza) per tamponare in parte o del tutto i periodi di scarsità di risorse quando esse non possono più soddisfare le esigenze abituali di consumo. Questa è la stessa capacità che ha permesso alla specie umana di creare strutture sociali più complesse del semplice branco e l’evolversi dell’intelligenza.
Queste strutture di solito prevedono che sia una elìte a controllare la quantità di eccedenze  prodotte e a redistribuire il minimo utile al resto del gruppo. Questa stratificazione sociale è importante per la dinamica del ciclo di evoluzione del gruppo sociale. Senza entrare nel dettaglio delle simulazioni, che comunque consiglio a chiunque fosse interessato di leggere, gli scenari presi in considerazione sono diversi e ognuno di loro presenta delle criticità evidenti che comunque convergono tutte verso uno scenario di crollo quando le sfruttamento delle risorse pro capite (ricchezza distribuita) supera il tasso di risorse  (pro capite) disponibile;  in fondo questo è quel che succede a tutti gli organismi viventi in natura quando le risorse diventano troppo scarse. Proverò a riassumere i quattro quadri che a mio giudizio sono i più indicativi:

  1. Modello sociale diseguale
    Una qualsiasi redistribuzione ineguale di ricchezza porta alla stratificazione sociale, dove l’elìte può permettersi di sopravvivere ai periodi di carestia a scapito del resto del gruppo che è invece destinato al declino dopo aver esaurito la sua parte di ricchezza. Il risultato è un crollo sociale, spesso accompagnato da episodi violenti e rifiuto di ciò che è stato, un po’ come avvenne con la Rivoluzione Francese. Un modo per invertire la tendenza verso il collasso richiede scelte politiche importanti come il controllo della crescita della popolazione e la riduzione delle diseguaglianze sociali.
  2. Modello sociale egalitario
    Anche una redistribuzione equa comunque non è affatto esente dal crollo sociale se la produzione di ricchezza supera la quantità di risorse disponibili; magari non è altrettanto brusca e violenta quanto la prima ipotesi ma lo scenario finale è comunque lo stesso: calo demografico e regressione culturale. Anche qui l’unica soluzione è che in qualche modo sia raggiunto un equilibrio tra risorse naturali consumate e quelle redistribuite.
  3. Modello sociale equilibrato
    Una qualsiasi società che impari a bilanciare la ricchezza prodotta con le risorse disponibili (non importa se il modello redistributivo sia equo o ineguale) non è esente da fenomeni di declino sociale, ma magari subisce oscillazioni più o meno ampie attorno ai valori che non le consentono affatto di evolversi (stagnazione sociale). In questo caso la destinazione di parte della ricchezza per progetti diversi alla semplice sopravvivenza del gruppo sociale potrebbe portare al suo crollo definitivo.
  4. Modello sociale espansionismo egalitario
    L’unico scenario che resta possibile è quello dell’espansione continua. Lungi da me giustificare scientificamente l’imperialismo europeo, resta comunque il dato che se l’Europa post-rinascimentale non avesse cercato altre vie per attingere risorse, non sarebbe sopravvissuta alle guerre al suo interno, mentre L’impero Romano segnò il suo destino quando decise di interrompere le sue conquiste, le risorse furono distratte per fronteggiare il malcontento interno e le elìte erano impegnate più a badare alle proprie ricchezze che alla cura dell’Impero.
    Quindi una società equa che si ponesse l’obbiettivo di espandere la sua area di sfruttamento delle risorse naturali disponibili è lo scenario a lungo termine preferibile, perché allontanerebbe da sé ogni rischio di conflitto sociale causato dalla stratificazione economica e dall’esaurimento delle ricchezze che potrebbero portare ad un crollo della civiltà, e sarebbe immune alla quasi altrettanto triste ipotesi della stagnazione del modello sociale equilibrato.

Ma quello che è più evidente è che se una qualsiasi civiltà inizia a erodere le risorse ambientali del proprio mondo troppo in fretta rispetto al naturale tasso di ricostituzione (come accade adesso per il caso terrestre) tende quasi inevitabilmente al collasso prima che possa acquisire la capacità di poter sfruttare l’inesauribile riserva di risorse posta al di fuori del suo pianeta.

Conclusioni

Dopo aver quindi ripercorso la vicenda terrestre, possiamo tentare di imporre qualche limite alle ipotesi di risposta alla domanda di Fermi.

  • Le attuali conoscenze scientifiche umane affermano che niente è più veloce della luce nel vuoto e che esplorare la galassia sarebbe certamente possibile ma unicamente a senso unico; anche le comunicazioni interstellari sarebbero comunque troppo lente per poter intavolare qualsiasi forma di dialogo con altre civiltà. Alla luce dell’importanza delle risorse naturali necessarie allo sviluppo di una civiltà planetaria è anche lecito supporre che una civiltà extraterrestre potrebbe considerare solo una grande perdita di tempo e spreco di risorse tentare intenzionalmente una qualsiasi forma di comunicazione con mezzi tradizionali (onde radio, laser etc).
  • Le condizioni per poter ospitare un pianeta di tipo terrestre nella nostra galassia esistono da almeno 8 miliardi di anni, anche se questo non significa necessariamente che ci siano pianeti  che ospitino o meno alcuna forma di vita.
  • Per la Terra sono occorsi 4 miliardi di anni prima che le più semplici forme di vita si evolvessero in organismi ben più complessi. Estrapolando questi dati verso altri mondi si può ragionevolmente ipotizzare che, se non avvengono fenomeni parossistici capaci di sterilizzare un pianeta come una supernova o un GRB vicino, oppure una improvvisa instabilità stellare o del sistema planetario, occorrono dai 4 ai 6 miliardi di anni per avere forme di vita complesse capaci di adattarsi – e adattare – l’ambiente circostante e sviluppare una qualche primitiva forma di consapevolezza.
  • Continuando ad usare lo stesso metro terrestre come paragone si ottiene che una qualche forma di intelligenza e tecnologia potrebbe essersi sviluppata su altri mondi tra gli 800 milioni e 5 miliardi di anni fa. Una civiltà così evoluta o potrebbe nel frattempo essersi estinta come illustrato in questo studio o aver trovato il modo  di prevenire il suo collasso imparando a gestire le sue risorse disponibili..

Anche se non è detto che il percorso vita – consapevolezza – intelligenza – tecnologia avvenga sempre e comunque su tutti i pianeti potenzialmente adatti, ognuna di queste condizioni deve superare delle criticità che possono compromettere uno qualsiasi degli stadi successivi. A fronte di qualche decina di milioni di pianeti potenzialmente disponibili forse in questo momento la Galassia può contare di ospitare una decina o forse meno di Civiltà tecnologicamente evolute tanto da dedicarsi all’esplorazione dello spazio e dotate di capacità di ascolto, ma questo porta a supporre che esse possono anche essere troppo lontane fra loro perché possa avvenire un qualsiasi contatto.


Note:

Global Warming: non è il Sole

Figura 1 - "Lo sport su un fiume ghiacciato" di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi.  (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Figura 1 – “Lo sport su un fiume ghiacciato” di Aert van der Neer Durante il Minimo di Maunder, diventò alquanto popolare pattinare sui fiumi gelati, come in questo dipinto. Il fiume è il Tamigi. (Credit:l Metropolitan Museum of Art)

Esiste una certa correlazione tra il numero di macchie solari e la temperatura media del pianeta.
Il Sole è la fonte di energia che fa muovere l’intera atmosfera e  che quindi è in grado di determinare sia il tempo a breve termine (vedi le stagioni) che il clima nel lungo periodo. Pertanto è ovvio che qualsiasi cambiamento  nel tasso di energia emessa dal Sole e ricevuta dalla Terra è in grado di modificare il clima. Esiste un equilibrio dell’energia emessa dal Sole alla distanza della Terra, è la temperatura di equilibrio è di soli 255 kelvin, pari a -18° centigradi; questa sarebbe la temperatura se il pianeta non avesse una atmosfera in grado di trattenere il calore, cosa che invece per nostra fortuna ha. Infatti la temperatura media della Terra è ben più alta perché una parte della radiazione solare è trattenuta dai gas che compongono l’atmosfera, mentre complessivamente il pianeta riemette nello spazio una radiazione che corrisponde alla sua temperatura media.
Ma sappiamo anche che la temperatura media del globo non è affatto costante: variazioni nell’albedo (percentuale tra energia ricevuta e riflessa nello spazio), nell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto all’eclittica, variazioni nella composizione atmosferica, vulcanismo etc. per la Terra, mutazioni sulla quantità di energia irradiata dal Sole, come flares, macchie solari, vento solare etc. possono alterare il bilancio energetico terrestre e con questo la sua temperatura media.
Tra il 1614 e il 1715 il Sole manifestò un singolare periodo di quasi totale assenza di macchie solari (quiescenza). Questo coincise con un altrettanto singolare periodo di freddo in Europa e nel Nord America, gli unici luoghi dove i dati di temperatura erano presi con una certa continuità. Nel resto del mondo invece i dati di quel periodo erano ancora troppo discontinui per avere una certa validità scientifica. Quel periodo oggi è indicato come Minimo di Maunder.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L'intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

Figura 2- ricostruita la media decennale del numero di macchie solari per il periodo 1150 BC-1950 AD (linea nera). L’intervallo di confidenza al 95% è indicato dallo sfondo grigio e il numero di macchie solari misurate direttamente sono mostrate in rosso. Le linee tratteggiate orizzontali delimitano i confini delle tre modalità suggerite (Grandi Minimi, regolari, e Grandi massimi) come definito da Usoskin et al.

A partire dalla fine del Minimo di Maunder, la presenza di macchie solari durante il ciclo undecennale del Sole è tornato a crescere, fino a registrare un picco, chiamato il Grande Massimo Moderno, tra il 1950 e il 2009.
Per registrare la presenza delle macchie solari gli astronomi si avvalgono di due metodi di indagine diversi: il Wolf Sunspot Number (WSN), messo a punto da Rudolf Wolf nel 1856 che combina il numero delle macchie solari col numero dei gruppi di macchie presenti sulla superficie del Sole, e il Group Sunspot Number (GSN), un metodo di calcolo che si basa unicamente sul numero di gruppi di macchie solari visibili, pensato per essere meno influenzato dalle singole interpretazioni dell’osservatore (meno rumore) rispetto alla precedente numerazione di Wolf e che permette di utilizzare anche le osservazioni più antiche fatte attraverso uno strumento ottico (prima metà del XVII secolo).
Questi due diversi metodi di calcolo producono risultati assai diversi. Ad esempio il GNS suggerisce che negli ultimi 300 anni il numero dei gruppi di macchie solari è in continua crescita fino al presunto Grande Massimo Moderno, in netto contrasto con i dati elaborati col metodo di calcolo di Wolf.
Questo andamento di continua crescita dell’attività solare evidenziato dal metodo GNS viene spesso indicato come l’unico responsabile del riscaldamento climatico da parte dei negazionisti del Global Warming perché andrebbe a modificare proprio il bilancio energetico ricevuto dalla Terra dal Sole.
Un gruppo di scienziati guidato da Frédéric Clette, dell’Osservatorio Reale del Belgio, Edward Cliver del National Solar Observatory e Leif Svalgaard dell’Università di Stanford hanno cercato di capire perché i due metodi apparivano così incongruenti dopo una certa data e hanno scoperto che le discrepanze tra la WSN e GSN erano provocate da un grave errore di calibrazione nel sistema GSN.
La soluzione di questo problema, il Sunspot Number Version 2.0 1, è stata presentata alla XXIX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale a Honolulu (3-14 agosto 2015) e corregge tutte le discrepanze tra i due metodi, mostrando che non c’è stato nessun reale aumento progressivo nel numero dei gruppi di macchie solari dal XVIII secolo in poi [cite]http://www.sidc.be/silso/datafiles[/cite]. Questo significa che dalla fine della quiescenza che corrispose al Minimo di Maunder, il flusso energetico solare è rimasto costante. Questo fa decadere l’ipotesi che il Global Warming sia dipeso dall’attività solare in aumento, ma allora cos’è che lo provoca?

Le analisi delle bolle d'aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \1(CO_2\) presente nell'atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm. Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014. Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Le analisi delle bolle d’aria intrappolate in antichi ghiacciai svelano la quantità di \(CO_2\) presente nell’atmosfera nel passato. Durante le glaciazioni era tra i 180-200 ppm mentre durante le interglaciazioni non superava i 280 ppm.
Questo valore è stato superato intorno al 1950 e ancora non si è arrestato raggiungendo i 400 ppm intorno al 2014.
Credit: National Oceanic and Atmospheric Administration.

Come ho detto prima, il bilancio energetico della Terra può che essere alterato da due parti: dal lato Sole con l’energia irradiata, e dal lato Terra con l’energia trattenuta. I vulcani espellono quantità incredibili di aerosol e polveri nell’alta atmosfera col risultato di raffreddare temporaneamente il pianeta. L’albedo modifica la quantità di energia riflessa dal pianeta ma ad un aumento medio di temperatura corrisponderebbe in aumento del tasso di evaporazione degli oceani e quindi della copertura nuvolosa (effetto di feedback). Resta un solo altro indiziato primario: la composizione chimica dell’atmosfera; in particolare un gas: l’anidride carbonica, passata da meno di 280 ppm dell’era pre-industriale ai 400 ppm di oggi. L’anidride carbonica è in grado di trattenere la luce solare e di riemetterla a lunghezze d’onda maggiori, dove l’atmosfera è opaca.
Ecco spiegato qual’è la causa del Riscaldamento Globale, ma anche cosa la provoca: le emissioni antropiche di \(CO_2\) nell’aria che sono aumentate da quando l’umanità ha imparato ad usare le fonti di energia fossile. Più o meno le stesse quantità di anidride carbonica che gli alberi avevano sottratto dall’aria nell’arco di milioni di anni sono state liberate in appena due secoli di utilizzo dei combustibili fossili.

Il nuovo Sunspot Number Version 2.0 ha già saputo mostrarci che riguardo alle mutazioni climatiche in atto stavamo prendendo una sonora cantonata, mentre adesso si renderà necessaria una rilettura dei cicli climatici registrati nelle carote di ghiaccio e negli anelli degli alberi. Questo permetterà agli scienziati di estrapolare la storia dei cambiamenti climatici su scale temporali ben più lunghe e precise di quelle attuali, tutti strumenti necessari per lo sviluppo di nuovi e più congrui modelli climatici necessari per curare la febbre del Pianeta.


Note:

Il Triangolo Estivo

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Un giovane pastore chiamato Niulang (牛郎, il pastore, la stella Altair) incontra sulla sua strada sette fate sorelle che facevano il bagno in un lago. Incoraggiato dai suggerimenti del bue malizioso, Niulang ruba i vestiti delle fate per scherzo. Le sorelle mandano la più giovane e più bella di loro Zhīnǚ (織女, la tessitrice, la stella Vega) a recuperare i loro vestiti. Lei va, ma come Niulang la vede nuda, le chiede di sposarlo. Zhīnǚ accetta e si scopre essere una moglie meravigliosa e Niulang un buon marito; la coppia vive momenti felici. Ma la dea del cielo s’infuria quando scopre che un comune mortale ha sposato una giovane fata. allora devia il Grande Fiume Celeste (la Via Lattea) e lo fa scorrere tra i due amanti, separandoli per sempre.
Così Zhīnǚ è costretta per sempre dalla sua parte del fiume, a lavorare col suo telaio (la Lira), mentre Niulang si prende cura dei loro due figli (Beta e Gamma Aquilae).
Ma una volta l’anno, il settimo giorno del settimo mese lunare [1.七夕鹊桥会(qi xi que Qiao hui), è l’equivalente cinese della festa di San Valentino.], tutte le gazze del mondo hanno pietà di loro e volano in cielo per formare un ponte sopra la stella Deneb per unire per un giorno i due sposi.

Per le meteore non occorre poi molto: Una DSRL, un obìettivo abbastanza luminoso, un cavalletto robusto e un telecomando. Credit: Il Poliedrico

Per le meteore non occorre poi molto: Una DSRL, un obìettivo abbastanza luminoso, un cavalletto robusto e un telecomando.
Credit: Il Poliedrico

Veramente ero uscito sperando di beccare qualche luminosa Perseide ma la notte tra il 13 e il 14 agosto, Il momento del picco previsto per questo sciame, è stata un mezzo fiasco.
Non disponendo di un grandangolo a un fish-eye con cui riprendere buona parte della volta celeste, ho ripiegato sul ben più modesto 18 mm puntando la fotocamera a circa 90 gradi dal radiante dello sciame sperando che qualche traccia venisse immortalata. Purtroppo cirri in quota e un seeing veramente pessimo mi hanno concesso di vedere solo qualche traccia più luminosa e totalmente fuori dal campo inquadrato dalla fotocamera.
Ma non tutto è andato perduto. infatti sono riuscito ad immortalare un paio di centinaia di scatti da 10 secondi l’uno da cui ne ho estratti i 40 che ho usato per questa immagine del Triangolo Estivo in cui sono evidenti le bande di polvere della Fenditura del Cigno (Great Rift per gli anglofoni).
Questa è una vastissima nube molecolare distante 2600 anni luce dalla Terra e grande almeno 900 anni luce che ci nasconde in parte la vista del Braccio del Sagittario; essa contiene la massa per almeno un milione di stelle come il Sole!
Non male per una notte infruttuosa!

Cieli sereni!


Note:

Giganti nell’universo locale: chi sono e come si sono formati?

 

Ancora una volta il Prof. Danilo Marchesini della Tuft University di Boston ha onorato il Dipartimento di Fisica dell’Università di Siena con un’altra sua conferenza dedicata questa volta alle galassie ellittiche giganti. Volendo potremmo considerarla come una seconda puntata della conferenza scorsa [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/08/caccia-mostri-nascita-delle-galassie-massicce-delluniverso.html[/cite].
Ringrazio l’Università di Siena e la persona di Alessandro Marchini per aver reso pubblico  il video dell’incontro.
Buona visione.