Echi da un lontano passato: le incertezze

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Le onde gravitazionali infllative producono un debole schema di torsione nella polarizzazione della CMB noto come B-mode. In questa immagine le fluttuazioni di densità – che sono comunque preponderanti nella polarizzazione della CMB – sono state annullate. Quello che resta è l’impronta B-mode rilevata da BICEP2. I due diversi colori mostrano la chiralità registrata nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo.

Le onde gravitazionali infllative producono un debole schema di torsione nella polarizzazione della CMB noto come B-mode.
In questa immagine le fluttuazioni di densità – che sono comunque preponderanti nella polarizzazione della CMB – sono state annullate. Quello che resta è l’impronta B-mode rilevata da BICEP2.
I due diversi colori mostrano la chiralità registrata nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo.

Il 17 marzo scorso un gruppo di scienziati che lavorava con lo strumento BICEP2 annunciò al mondo la scoperta di orme nella radiazione cosmica di fondo a microonde (CMBR o CMB) [cite]http://arxiv.org/abs/1307.5830[/cite].
Quelle impronte (B-mode) per i cosmologi del BICEP2 indicano la polarizzazione nella CMBR che ci si sarebbe dovuti aspettare dalle onde gravitazionali provocate durante il processo inflativo che secondo la teoria del Big Bang si sarebbe verificato pochissimi istanti dopo la nascita dell’Universo.
Come ampiamente descritto nei precedenti articoli [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/03/echi-da-un-lontano-passato-la-storia.html[/cite], se la scoperta del team BICEP2 fosse confermata, questa escluderebbe una mole di teorie alternative che cercano di spiegare la nascita dell’Universo senza ricorrere necessariamente alla singolarità iniziale e all’inflazione 1. Ma non solo, l’ampiezza delle fluttuazioni rilevate potrebbero rivoluzionare anche il Modello Standard della fisica quantistica fornendo prove e stime abbastanza precise su particelle esotiche come gli assioni e i gravitoni.
Gli assioni [cite]http://arxiv.org/abs/1301.1123[/cite] sono altre ipotetiche particelle elementari postulate per spiegare la violazione della simmetria CP (teoria di Peccei-Quinn) nella Cromodinamica Quantistica (QCD). Se gli assioni avessero una massa dell’ordine dei $10^{-5}$ $eV$ non avrebbero potuto avere altri processi di decadimento, quindi potrebbero essere una componente importante della materia oscura fredda, rendendo di fatto l’Universo un immenso condensato di Bose-Einstein superfreddo. Prima di BICEP2 non era escluso che gli assioni fossero generati prima o dopo l’inflazione; da questo particolare dipende la massa e il ruolo che queste particelle ipotetiche potrebbero aver nell’evoluzione del Cosmo [cite]http://arxiv.org/abs/0909.0949[/cite]. Bicep2 avrebbe escluso la rottura di simmetria PQ prima del momento inflativo, fornendo così una stima più precisa della massa (e quindi del loro ruolo) che gli assioni dovrebbero possedere [cite]http://arxiv.org/abs/1403.4594[/cite] [cite] http://arxiv.org/abs/1405.1860[/cite].
Un altro aspetto che più ha meravigliato della scoperta è stata la significatività della rivelazione del segnale B-mode [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/04/echi-lontano-passato-novita.html[/cite], a livello di sigma 7, il che indica che solo una probabilità su diversi milioni può aver generato casualmente quelle impronte, un po’ come se una scimmia componesse una frase di senso compiuto con una macchina da scrivere.

big_bangMa altre analisi indipendenti mettono in dubbio la scoperta di BICEP2, il che a sua volta rimetterebbe in discussione tutto quanto si è detto e scritto in questi mesi sulle basi di quei risultati [cite]http://arxiv.org/abs/1405.7351[/cite] [cite]http://arxiv.org/abs/arXiv:1405.5857[/cite].
In questi nuovi studi viene messo in evidenza che anche altri fenomeni naturali, come la radiazione di sincrotrone galattica e la polvere stellare in primo piano, possono generare schemi analoghi.  Un altro grosso limite fisico è proprio dello strumento BICEP2, capace di rilevare una sola frequenza. Questo gli impedisce di scandagliare il cielo ad altre lunghezze d’onda e quindi non può sapere quanto del rumore in primo piano contribuisce al segnale cercato; un po’ come guardare il mondo attraverso un filtro fotografico a banda stretta e credere di indovinare i colori. Per risolvere questo handicap, il team di BICEP2 ha usato altre misurazioni, come i dati  raccolti dai satelliti Wilkinson Microwave Anisotropy Probe e Planck, ognuno operanti su lunghezze d’onda diverse. E forse, ingenuamente, i cosmologi di BICEP2 hanno più peccato, usando i risultati ancora non definitivi del satellite Plank per impostare la loro maschera di ricerca.

Comunque non tutto è perduto. Bicep2 e tutti gli altri lavori correlati indicano in quale direzione guardare per scovare – se ci sono – queste impronte lasciate dalle onde gravitazionali espresse durante il periodo inflativo. .Almeno altri otto esperimenti, tra cui BICEP3, Array Keck e lo stesso Planck le stanno cercando.


Note:

Pulizie di primavera

183384_533430200007485_289387534_nUna lunga serie di ristrutturazioni nella piattaforma di hosting condiviso che ospita questo Blog e il suo gemello Progetto Drake ha comportato il disagio temporaneo dei giorni scorsi che aveva visto i due siti andare spesso in tilt.
Ne ho approfittato per mettere in ordine un po’ nel sistema e togliere alcune funzionalità lente e non più utilizzabili sostituendole con altre più performanti.
È il caso di Transposh, il sistema di autotraduzione che aveva cessato di funzionare da quando Google aveva bloccato le vecchie API gratuite per metterle a pagamento, mentre adesso il sistema di traduzione è affidato a Bing. È un po’ spartano ma non appesantisce il sito. Pare che il plugin della Microsoft lavori abbastanza bene e ora l’autotraduzione è disponibile anche su Progetto Drake.
Lo stesso dicasi per i bottoni di sharing: il sistema Shareaholic era molto pesante e faceva largo uso di files sparsi  su diverse piattaforme distribuite, un problema ad una di queste e il sistema ne avrebbe risentito pesantemente. Un nuovo plugin molto più leggero (tanto mica deve fare il caffè) svolge lo stesso compito con una grafica altrettanto deliziosa.
Infine, è tornata la capacità di lettura degli articoli sul Il Poliedrico, un ritorno alle origini che sicuramente apprezzerete e che ancora molti di Voi ricorderanno. Per ora questa funzionalità è limitata da 4 ore di lettura al mese, ma almeno gli ipovedenti saranno di nuovo felici. Pertanto invito coloro che non hanno particolari handicap di lasciare questa comoda funzionalità ha che ne ha davvero bisogno.
Anche passare a Progetto Drake e viceversa è facile: basta cliccare sul nome che appare nel menù di entrambi i siti, mentre ancora il Calendario Astronomico, ancora più veloce, è disponibile solo qui, su Il Poliedrico.
Infine la Images Gallery è stata spostata. Non più come galleria interna, pesante e piuttosto scomoda, ma adesso è su Flickr.com, dove è tutto molto più comodo.

Con tutte queste modifiche e migliorie la velocità di caricamento delle pagine di entrambi i Blog è velocissima, rallentata purtroppo dalla latenza dell’host condiviso che non è mio. Ma forse, magari col vostro aiuto, anche questo non sarà più un broblema.

Le veterane dello spazio: le sonde Voyager

Voyager2

Riproduzione artistica della Voyager 2. Credit: il Poliedrico

Voyager 1 e 2, così come Pioneer 10 e 11, si stanno avvicinando ai margini del sistema solare. Credit: NASA / Jet Propulsion Laboratory

Voyager 1 e 2, così come Pioneer 10 e 11, si stanno avvicinando ai margini del sistema solare. Credit: NASA / Jet Propulsion Laboratory

Sono passati 37 ani e le due sonde Voyager sono a oltre 17 ore luce da noi. Il loro segnale quando giunge sulla Terra è appena un miliardesimo di miliardesimo di watt. Eppure entrambe ancora oggi paiono in buona salute, tanto da far sperare che lavorino ancora per i prossimi 10 anni. Costruirle ha rappresentato una sfida ingegneristica incredibile e quasi irripetibile, con la tecnologia degli anni ’70 che oggi tutti riteniamo obsoleta.

Alla ricerca dei giusti marcatori nei pianeti extrasolari

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Credit: Il Poliedrico

Credit: Il Poliedrico

L’esistenza di pianeti extrasolari è ormai accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Strumenti come il satellite Kepler e la spettrometria doppler hanno mostrato che quasi ogni stella dalla classe G in giù [cite]http://ilpoliedrico.com/utility/classificazione-stellare[/cite] accoglie in sé un sistema planetario.
Anche se questa appare già come una grande scoperta dal punto di vista sia scientifico che filosofico, la domanda successiva è: quali di questi pianeti hanno le caratteristiche fisiche adatte per sostenere la vita?
Innanzitutto è necessario che la condizione primaria sia accertata, ovvero che il pianeta extrasolare  orbiti all’interno dell’ecosfera della sua stella (zona Goldilocks) e che quindi riceva la giusta quantità di energia per sostenere l’acqua liquida entro un arco abbastanza ampio di temperature. Questo significa che il pianeta non deve essere troppo piccolo, così da permettere la presenza di una atmosfera abbastanza stabile e densa da consentire la presenza costante di acqua liquida 1. A questo punto non c’è che da sperare di rilevare un pianeta che, avendo tutti i requisiti necessari, sia riuscito a sviluppare la Vita. Al di là del tentativo – per ora infruttuoso – di scovare segnali radio di altre civiltà extraterrestri, non resta che cercare altri segnali che indichino comunque la presenza di Vita. Prendendo l’unico esempio disponibile, cioè la Terra, le firme vitali più evidenti dallo spazio sono quelle d’acqua, dell’ossigeno gassoso nell’atmosfera e della clorofilla.

Confronto fra gli spettri della Terra e  di un gemello Terra convoluta per un dato spec- Risoluzione trale con una funzione di line-spread gaussiana. L'assorbimento di spicco O2  caratteristica a 0,76 micron diventa completamente mescolato con la vicina giochi d'acqua  per R    20, mentre la funzione O3 è ampio e poco profondo, e molto difficile da vedere.

Confronto fra lo spettro terrestre e quello previsto per un ipotetico pianeta gemello della Terra.  La riga di assorbimento dell’ossigeno biatomico (O2) a 0,76 micron viene quasi nascosta dal segnale dell’acqua finché la risoluzione spettrale è piuttosto bassa (R=20); mentre l’ozono (O3) rimane poco visibile a tutte le risoluzioni calcolate.

Timothy Brandt e David Spiegel dell’Institute for Advanced Study della Princeton University nel New Jersey. si sono posti questa domanda e hanno tentato di elaborare l’aspetto della firma biologica che la Vita potrebbe imprimere sullo spettro di un pianeta [cite]http://arxiv.org/abs/1404.5337[/cite].
Questo studio è necessario anche per poter ideare gli strumenti che poi saranno costruiti proprio per questo scopo. E infatti il loro studio ha dato risultati molto importanti.

La molecola di gran lunga più semplice da individuare è quella dell’acqua, anche se per i due ricercatori occorre ancora un potere di contrasto che solo un telescopio fuori dall’atmosfera può ottenere: $1$ su $10^{10}$.
Se il potere risolutivo 2 $R=20$ alle lunghezze d’onda inferiori a 760 nm (0,76 $\mu m$) è  già disponibile con la tecnologia attuale, una risoluzione maggiore (diciamo 700/5 $nm$) necessaria per distinguere correttamente il segnale dell’ossigeno molecolare è ancora al di là del limite strumentale attuale, anche se sicuramente verrà presto raggiunto dalle prossime generazioni di spettrografi. Frequenze assorbimento piante
Molto più difficile invece sarà rintracciare una qualche forma di clorofilla.
I ricercatori indicano una regione intorno a 700 $nm$ chiamata vegetation red edge (SRE), come indicatore importante della presenza di vegetazione. Osservando l’immagine qui a sinistra è evidente che (sulla Terra) tutta l’attività fotosintetica si interrompe bruscamente alla fine dello spettro visibile perché il livello di energia dei fotoni alle lunghezze d’onda più lunghe di circa 700 $nm$ non è più sufficiente per sintetizzare le molecole organiche 3. Qui la vegetazione diventa quasi trasparente nel vicino infrarosso. Questo repentino cambiamento della riflettività può essere stimato tra il 5% e il 50%  tra i 680 e i 730 $nm$.
Anche questo fenomeno, peraltro non riproducibile da nessun altro fenomeno fisico naturale, potrebbe essere un altro interessante indicatore per capire se una qualche forma di vita che faccia ricorso alla fotosintesi sia presente su un esopianeta [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/0503302[/cite].

Se prendiamo le tre forme principali della clorofilla (clorofilla A e B, β carotene 4) vediamo che la capacità di assorbire la luce dove anche c’è il picco massimo di assorbimento, intorno ai 400 – 500 $nm$ 5, mentre solo una minuscola parte dello spettro rosso viene coinvolta nel ciclo della fotosintesi.  Nelle piante superiori i pigmenti sono per la maggior parte clorofilla del tipo A e del tipo B.
Le clorofille assorbono la luce rossa e blu e trasmettono e riflettono quella verde, da questo dipende la colorazione della maggior parte delle piante.
Le altre due che ho menzionato nell’immagine, la ficoeritrina 6 e la ficocianina 7 sono solo, come ho spiegato  nelle note, dei pigmenti accessori della Clorofilla A.
Questo fa sì che il meccanismo della fotosintesi, almeno sulla Terra, sia estremamente efficiente nell’intercettare e sfruttare ogni singolo joule di energia luminosa emesso dal Sole nello spettro visibile. Però non sappiamo se un meccanismo simile sia presente e come possa essere strutturato su un altro pianeta, ma è possibile – in linea di massima – immaginarlo.

spettro.coloreLa radiazione emessa da una stella (nel nostro caso il Sole) emette una radiazione approssimata di corpo nero il cui picco è centrato sulla banda visibile dello spettro elettromagnetico. Quindi c’è da aspettarsi che, piuttosto ragionevolmente, questo sia vero anche per le altre stelle.
E siccome il picco di corpo nero varia in funzione della temperatura superficiale della stella, è naturale pensare che su pianeti di altre stelle se mai si fosse sviluppata come la fotosintesi 8 [cite]http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2011/nj/c0nj00652a/[/cite], tale processo si sarà ottimizzato proprio per recepire il picco massimo della radiazione incidente alla superficie del pianeta 9  [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/0701391[/cite].

A questo punto appare evidente che la ricerca di altre forme di vita su altri pianeti  non è così poi al di fuori della portata , anche strumentale, di quanto si possa credere. Anche le speculazioni, perfino sulle forme di certi processi biologici, su cosa cercare certo non mancano. Magari mi lascia perplesso l’impronta dell’ossigeno, ma questo sarà un tema che verrà affrontato prossimamente.


Note:

Alla ricerca del Santo Graal della fisica: la Gravità Quantistica

Oggi la scienza deve risolvere un grosso problema: esiste una teoria che descrive efficacemente il moto dei pianeti e delle stelle  chiamata Relatività Generale, ed una teoria che descrive altrettanto efficacemente il mondo microscopico chiamata Meccanica Quantistica. Entrambe nel loro raggio d’azione consentono di fare previsioni molto precise ma non possono essere usate contemporaneamente.

È tutta una questione di scala

L'Universo Viene descritto da due grandi teoremi apparentemente in contrasto tra loro. Eppure la sua isotropia e invarianza di scala dovrebbe darci la giusta chiave di lettura.

L’Universo Viene descritto da due grandi teoremi apparentemente in contrasto tra loro.
Eppure la sua isotropia e invarianza di scala dovrebbe darci la giusta chiave di lettura.

La relatività generale ci mostra uno spazio-tempo piatto e liscio, curvato  solo dalla massa e dall’energia degli oggetti che ospita. La meccanica quantistica ci mostra invece un Universo spumeggiante dominato dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg. Quale è quindi la vera natura dell’Universo fra queste?
Possiamo immaginarci lo spazio-tempo come il mare visto da un aereo: liscio e piatto, disturbato solo dalle occasionali navi di passaggio. Ma se scendessimo sulla sua superficie, lo vedremmo mosso e spumeggiante, con un certo grado di indeterminazione che potremmo identificare col nostro stato di galleggiamento. Data la sua stazza, una nave non risente di questa incertezza, così come un oggetto macroscopico non risente della spinta indeterministica della meccanica quantistica nello spazio-tempo descritto dalla relatività. Quindi abbiamo due domini ugualmente veri che però non possiamo usare contemporaneamente per descrivere lo stesso fenomeno. Perché?
Occorre una fisica diversa, che sappia descrivere bene sia il macrocosmo relativistico dominato dalla gravità e dalla massa, che il microcosmo quantistico, dominato dal Principio di Indeterminazione. Siccome non avrebbe senso aggiungere incertezza a ciò che si è sempre finora dimostrato esatto, è necessario aggiungere la gravità alla meccanica quantistica.
Ormai è evidente a tutti che il semplice Modello Standard 1 – che non dimentichiamolo, ha saputo fin qui esprimere risultati eccellenti nella fisica delle particelle –  sta  mostrando tutti i suoi limiti alla luce delle nuove scoperte. Adesso è giunto il momento di andare oltre, di proporre una nuova teoria quantistica che aggiunga – e tenga conto – della gravità insieme alle altre tre forze di cui si era occupata finora la meccanica quantistica.

Per i fisici che studiano la materia condensata 2 è tutta una questione di dimensioni.  La descrizione che diamo di un sistema fisico dipende dalla scala in cui osserviamo. Come ho detto prima, da una quota molto alta descriveremmo il mare sotto di noi come una distesa piatta e liscia, mentre nei pressi della superficie magari staremmo assistendo ad un’onda di tsunami.
Il problema della rappresentazione di scala di solito viene risolto facendo uso di un notevole strumento matematico: il gruppo di rinormalizzazione. con questo strumento è possibile descrivere la realtà a diverse scale di interpretazione, un po’ come lo zoom di una fotocamera che permette di cogliere istantanee a scale diverse di ciò che si sta studiando.
Adesso molti ricercatori stanno tentando questa strada per vedere se attraverso i gruppi di rinormalizzazione riescono a includere una gravità coerente con la relatività generale nella meccanica quantistica.

Quella che adesso la relatività generale descrive come una distorsione spazio-temporale dovuta alla massa e che si propaga nello spazio come un’onda alla velocità della luce, forse presto sarà possibile descriverla anche con una teoria di campo che viene mediata da un bosone, proprio come le altre tre forze. Allora sarà un gran giorno per la scienza.


Note:

Materia esotica per le stelle a neutroni

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I componenti della materia sono fatti di leptoni (come l’elettrone e i neutrini) e quark (che costituiscono protoni, neutroni ed altre particelle). I quark sono molto diversi dalle altre particelle. Oltre alla carica elettrica particolare ($\frac{1}{3}$ o $\frac{2}{3}$ quella dell’elettrone e del protone), essi possiedono infatti anche un diverso tipo di carica ​​chiamato colore. Il peculiare meccanismo in cui opera questa carica può aiutarci a far luce su alcuni oggetti astrofisici più esotici: le stelle di neutroni.

Le combinazionii di carica  colore devono produrre un colore neutro (ovvero si devono annullare) per produrre una particella libera dalla Interazione Forte.

Le combinazioni di carica colore devono produrre un colore neutro (ovvero si devono annullare) per produrre una particella libera dalla Interazione Forte.

I quark sono particelle elementari (fermioni,  cioè che obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac e  al principio di esclusione di Pauli) che risentono dell’Interazione Forte, una delle 4 forze fondamentali. I mediatori principali di questa forza sono i gluoni, bosoni senza massa come gli analoghi del campo elettromagnetico, i fotoni. Ma a differenza di questi che non hanno carica, i gluoni sono portatori di una particolare forma di carica chiamata colore 1, per analogia al comportamento dei colori primari dello spettro visibile, non perché essi siano colorati. Per il modo in cui la forza forte agisce, è impossibile osservare un quark libero.

La carica di colore  è esapolare, composta cioè da 3 cariche (verde, rosso e blu) e 3 anticariche (anti-verde, anti-rossso e anti-blu) ) che si comportano in maniera analoga ai colori primari: quando la somma delle cariche di colore restituisce un colore neutro, come il bianco, , allora la particella composta è rilevabile. Così si possono avere particelle di colore neutro composte da tre quark con i colori verde rosso e blu chiamate barioni (i protoni e i neutroni sono i barioni più comuni), oppure particelle composte da due soli quark possessori di un colore e il suo corrispettivo anti-colore chiamate mesoni, che svolgono un ruolo importante nella coesione del nucleo atomico. Per l’interazione forte, questi sono solo i più comuni modi per ottenere un adrone. Infatti è previsto che ci siano anche altre combinazioni di carica colore per formarne una di colore neutro. Uno di questi, il tetraquark, combina fra loro quattro quark, dove due di essi hanno un colore particolare e gli altri due posseggono i corrispettivi anti-colori.

LHCb-Z (4430)

La particella$Z (4430)^-$ appare composta da un quark charm, , un anti-charm , un down e un anti-up. I  punti neri rappresentano i dati, la curva rossa il risultato della simulazione dello stato previsto per la $Z (4430)^-$. La  curva tratteggiata marrone indica quello che ci aspetterebbe  in assenza di questa. Questo dato afferma l’esistenza dell’esotica particella con 13,9 σ (cioè che il segnale è 13,9 volte più forte di tutte le possibili fluttuazioni statistiche combinate).

Segnali sull’esistenza di questo adrone esotico si ebbero nel 2007 dall’Esperimento Belle [cite]http://arxiv.org/abs/0708.1790[/cite],  che ricevette il nome di $Z (4430)^-$ 2. Ora questa particella con una massa di $4430 MeV/c^2$  (circa quattro volte quella del protone) è stata confermata dall’Esperimento LHCb di Ginevra con una significatività molto alta (13,9 $\sigma$) [cite]http://arxiv.org/abs/1404.1903v1[/cite]. Questo significa che i quark si possono combinare fra loro in modi molto più complessi di quanto finora osservato 3. Questo è un enorme passo avanti nella comprensione di come si può comportare la materia in condizioni estreme. Barioni e mesoni esotici detti glueball 4 o una miscela di questi può esistere in un solo posto in natura: nel nucleo di una stella a neutroni.

Le stelle compatte inferiori alle 1,44 masse solari sono nane bianche, stelle in cui la pressione di degenerazione degli elettroni riesce a controbilanciare la gravità. Oltre questo limite, chiamato limite di Chandrasekhar, il peso della stella supera il limite di degenerazione degli elettroni che si fondono coi protoni dando origine a una stella a neutroni 5.

quark_star (1)

Credit: NASA/Chandra

Il risultato è una stella fatta da soli neutroni dominata dalla gravità che in questo caso vince sulla repulsione elettrica. Di questo stato esotico della materia degenere non si sa molto di più delle speculazioni teoriche, ma questo potrebbe essere solo l’inizio: si calcola che la densità media delle stelle di neutroni vada da $3,7$ a $5,9 \times 10^{14} g/cm^3$ (un nucleo atomico ha una densità stimata di circa $3 \times 10^{14} g/cm^3$), con la densità passi da circa $1 \times 10^6 g/cm^3$ della superficie fino ai $6$ o $7 \times 10^{14} g/cm^3$ del loro nucleo. Come il limite di Chandrasekhar delinea il limite inferiore di una stella di neutroni, esiste un limite superiore la quale nessun’altra forza riesce ad impere il collassso gravitazionale che porta a formare un buco nero. Questo limite superiore è il limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff. È in questo intervallo di massa che esistono le stelle di neutroni [cite]http://www.scribd.com/doc/219247197/The-maximum-mass-of-a-neutron-star[/cite]. È probabile che solo le stelle di neutroni più leggere siano composte di neutroni degeneri, mentre man mano sale la massa verso il limite superiore la materia di neutroni degeneri ulteriormente in prossimità del nucleo e poi sempre più verso il guscio esterno in un brodo indistinto di quark tenuti insieme dalla gravità che riesce a soppiantare perfino l’interazione forte [cite]http://www.scribd.com/doc/219246949/Nuclear-equation-of-state-from-neutron-stars-and-core-collapse-supernovae[/cite]. Il tetraquark individuato dall’LHC è sicuramente solo il primo di una lunga serie di adroni esotici che può aiutare a comprendere meglio questi stati degeneri della materia che immaginiamo essere al centro di questi minuscoli e compatti resti stellari.


Note:

Echi da un lontano passato, le novità

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I risultati di BICEP2

Modelli di impronte di polarizzazione nella Radiazione Cosmica di Fondo.

Modelli di impronte di polarizzazione nella Radiazione Cosmica di Fondo.
L’E-mode (per analogia col campo elettrostatico) indica una perturbazione di tipo scalare unicamente dovuta a fluttuazioni di densità di energia del campo inflatone (φ) del mezzo.
Il B-mode invece è di tipo tensoriale ed è dovuto  alla propagazione di onde gravitazionali.
Ulteriori informazioni sono disponibili qui

Per comprendere meglio il seguito dell’articolo, occorre anche qui partire da principio. La polarità è una proprietà ondulatoria comune a molti fenomeni fisici dei campi come ad esempio quello elettromagnetico  che possono oscillare con orientamenti diversi 1. È l’interazione del flusso radiativo col mezzo di propagazione a determinare molto spesso la polarizzazione della radiazione, come quando osserviamo la luce di una stella lontana che viene polarizzata dalle polveri interstellari. Come la radiazione termica stellare che in origine non è polarizzata, è lecito sostenere che anche la CMB quando sorse dal disaccoppiamento materia-energia 380000 anni dopo il Big Bang non  lo fosse. Ma dovremmo aspettarci anche che un processo violento come quello inflattivo seguito al Big Bang che ha dato origine all’Universo può aver lasciato la sua impronta sulla radiazione che descrive il tessuto del cosmo. E in effetti eccessi di polarizzazione nelle anisotropie della CMB furono notate fin dal 2002 da John Kovac  [cite]http://arxiv.org/abs/astro-ph/0209478[/cite].

Le onde gravitazionali infllative producono un debole schema di torsione nella polarizzazione della CMB noto come B-mode.
In questa immagine le fluttuazioni di densità – che sono comunque preponderanti nella polarizzazione della CMB – sono state annullate. Quello che resta è l’impronta B-mode rilevata da BICEP2.
I due diversi colori mostrano la chiralità registrata nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo.

Nella mappa della polarizzazione nella CMB ricavata dal celebre team del BICEP2 [cite]http://arxiv.org/abs/1307.5830[/cite] appaiono dei piccoli tratti che indicano la direzione dell’oscillazione del campo elettrico nella radiazione elettromagnetica. Da una mappatura così ampia si possono osservare i due diversi tracciati (E-mode e B-mode) spiegati meglio nella figura qui sopra.

Sia che le perturbazioni gravitazionali che di densità derivano dalle fluttuazioni quantistiche durante lo stadio inflativo; le loro dimensioni indicano quindi le scale di energia in gioco in quel momento. Le perturbazioni di densità (E-mode) che sono state rilevate sono attribuite all’oscillazione quantistica dell’ipotetico campo inflatone (indicato dalla lettera $\varphi$), legato alla densità di energia potenziale, da cui discende l’energia effettiva dell’Universo. Le perturbazioni gravitazionali (B-mode) invece sono assai diverse. Esse non dipendono da un ancora ipotetico campo, ma sono frutto di una forza invece ben conosciuta. Generalmente nei modelli inflativi semplici, si assume che l’ampiezza delle onde gravitazionali sia direttamente proporzionale all’energia inflativa. Se tale ipotesi fosse corretta, i dati di BICEP2 indicherebbero per le onde gravitazionali  un valore appena al di sotto della scala di Plank.
BICEP2 indica che le grandezze in gioco in quel momento erano enormi: circa $10^{16} GeV$, cioè circa 12 ordini di grandezza più grande di quella dell’HLC di Ginevra. Questo è un dato molto importante perché pone limiti alle teorie GUT (Grand Unified Theory) che dovrebbero accadere a $10^{15} GeV$ e allo sfuggente decadimento del protone che dovrebbe avvenire a temperature appena un po’ più basse 2. Questo conferma che l’inflazione si è verificata intorno alla scala GUT, poco al di sotto della scala di Planck.

Riassumendo i tratti che distinguono l’Universo, questo risulta essere omogeneo, sostanzialmente isotropo su grandi scale, e piatto. Di conseguenza,  le perturbazioni scalari di densità dovevano essere correlate alla scala dell’orizzonte cosmologico, avere una distribuzione Gaussiana ed essere invarianti di scala.  Questo significa che globalmente tutte le perturbazioni  dovrebbero aver interessato tutta l’energia potenziale disponibile, e questo corrisponde esattamente a quanto il satellite Plank dimostrò nel 2003 [cite]http://arxiv.org/abs/1303.5082[/cite].
Un altro importante risultato è lo sfoltimento di tante alternative proposte via via negli anni per spiegare il ritratto che le osservazioni avevano fatto dell’Universo. Quindi addio alle interpretazioni ekpyrotiche 3 [cite]http://arxiv.org/abs/hep-th/0103239[/cite] e a tante altre teorie che limitavano o cercavano di escludere il modello inflazionario. Comunque per dovere di cronaca ci sono anche altre proposte che mettono in dubbio l’interpretazione inflazionistica dei risultati di BICEP2 [cite]http://arxiv.org/abs/1403.5166[/cite] che potrebbero rimettere in auge le teorie soppresse.

Una simulazione computerizzata del modello di Inflazione Caotica di A.  Linde. Le cime rappresentano nuovi Big Bang, la cui altezza è determinata dalla loro energia. i diversi colori indicano leggi fisiche diverse che sui picchi non sono ancora stabili, Solo le valli (una è la nostra) dispongono di leggi fisiche stabili.

Una simulazione computerizzata del modello di Inflazione Caotica di A. Linde.
Le cime rappresentano nuovi Big Bang, la cui altezza è determinata dalla loro energia. i diversi colori indicano leggi fisiche diverse che sui picchi non sono ancora stabili, Solo le valli (una è la nostra) dispongono di leggi fisiche stabili.

Quindi pare che le anisotropie nella temperatura della radiazione cosmica di fondo e la distribuzione delle struttura a larga scala osservate nell’Universo proverrebbero dalle fluttuazioni quantistiche nel campo inflatone, mentre le perturbazioni tensoriali responsabili della polarizzazione B-mode riscontrate da BICEP2 sarebbero il risultato delle fluttuazioni quantistiche del gravitone. Il momento inflazionistico attraversato dall’Universo deriva quindi tutto da queste due.
Conseguenza non poi tanto indiretta – se le osservazioni venissero confermate – è che la mitica Gravità Quantistica, tanto a lungo cercata dai fisici e cosmologi, è forse scritta nel cielo. Forse, perché anche se  le fluttuazioni quantistiche del campo gravitazionale offrono la spiegazione più semplice e immediata di ciò che viene osservato, ci possono essere anche altri meccanismi – come le stringhe – che possono riprodurre gli stessi schemi della polarizzazione B-mode [cite]http://arxiv.org/abs/1109.0542[/cite].

Un modello che si adatta alle osservazioni esiste già ed è abbastanza in accordo con i dati osservati. È il modello dell’inflazione caotica di Andrei Linde, descritto verso la metà degli anni ’80 e rivisto di recente (2010) [cite]http://arxiv.org/abs/1008.3375[/cite], ispirato per implementare in esso anche la gravità quantistica.
Il modello di Linde suggerisce che non ci sia stato un unico Big Bang, piuttosto che il substrato che ha originato il nostro ribolla di infiniti Big Bang e di infiniti stati inflativi innescati dalle fluttuazioni quantistiche dell’inflatone. Le diverse energie disponibili dal decadimento sarebbero responsabili di diversi punti di rottura della simmetria delle costanti fisiche e delle conseguenti leggi che le governano. In pratica questo modello rende possibile l’esistenza di altri universi governati da diverse leggi e costanti fisiche in cui le stelle non potrebbero essersi mai accese, altri dominati dai buchi neri e così via.
Questa idea rende gli universi molto più simili ai semi di un frattale in dinamica evoluzione: così simili eppure così diversi tra loro, mentre il quadro generale dei multiversi a grande scala appare comunque omogeneo.
Un’idea così rivoluzionaria che non solo risolve i ben noti problemi dell’isotropia e della geometria dell’Universo (per non parlare dei monopoli magnetici che ho voluto tralasciare nella trattazione di questi due articoli piuttosto travagliati) ma che offre una elegante interpretazione al noto dilemma introdotto dal Principio Antropico: noi semplicemente viviamo in uno degli infiniti universi in cui le leggi fisiche hanno reso possibile la nostra esistenza.

A questo punto non resta che la conferma dei dati espressi da BICEP2 per sapere quale sia la natura dell’Universo.


Note:

Il primo sistema di anelli attorno ad un asteroide

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eso1410c

L’asteroide Chariklo in una rappresentazione artistica con due anelli. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger. Fonte ESO: http://www.eso.org/public/italy/images/eso1410c/

La grande scoperta è arrivata dall’ESO: il remoto asteroide Chariklo è circondato da due densi e stretti anelli. Telescopi in ben sette luoghi differenti nel Sud Ameria, tra cui il telescopio danese di 1,54 metri e il telescopio TRAPPIST all’Osservatorio di La Silla dell’ESO in Cile sono stati utilizzati per fare questa sorprendente scoperta ai confini del nostro Sistema Solare interno, ossia oltre l’orbita di Nettuno.

Questo risultato suscita grande interesse e dibattito dato che Chariklo rappresenta il più piccolo oggetto, oltre che estremamente lontano, all’interno del nostro Sistema Solare ad avere un sistema di anelli. E’ il primo asteroide ad avere questa caratteristica a parte i quattro pianeti giganti gassosi: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

La scoperta è avvenuta durante un transito sul disco della stella … (continua su)

Echi da un lontano passato, la storia

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Nel Modello Cosmologico Standard  l’universo ha avuto inizio  partendo da una singolarità di densità infinita e raggio tendente a zero. Però questa è soltanto una descrizione che deriva della versione classica della Relatività Generale. Ma non ha senso applicare la Relatività Generale a tempi inferiori al tempo di Planck 1 e a energie così alte 2 quindi ha senso chiedersi quali fossero le proprietà dell’universo solo subito dopo il tempo di Planck; quelle sono le condizioni iniziali che chiamiamo Big Bang.

big_bangL’annuncio, preceduto da diversi rumors nella giornata precedente,  è arrivato lunedì scorso, 17 marzo 2014, alle 16:00 GMT (alle 17:00 locali).
Finalmente, è stata rilevata l’impronta lasciata dalle onde gravitazionali sulla radiazione cosmica di fondo (CMB), la luce più antica del nostro Universo, impressa in tutto lo spazio quando l’Universo aveva appena 380 mila anni.
>A lungo era stata cercata questa testimonianza, finora senza risultato. Ma per poter comprendere meglio quello che è stato scoperto è meglio partire dal principio, o meglio da Edwin Hubble e Milton Humason quando nel 1929 dimostrarono che tutte le galassie si stanno allontanando l’una dall’altra indistintamente, come se lo spazio si stesse espandendo.

Come conseguenza all’espansione appena scoperta, una volta l’Universo deve essere stato più piccolo, fino ad un momento in cui tutto lo spazio e la materia erano racchiusi in un punto.
Questa era la teoria dell’atomo primigenio del gesuita Georges Edouard Lemaître,  basata sulle equazioni della relatività generale di Albert Einstein e sul lavoro di Alexander Friedmann formulata un paio di anni prima della scoperta di Hubble e Humason.
Paradossalmente a dare il nome a questa teoria poi divenuta famosa, fu uno dei più acerrimi oppositori: l’astronomo britannico Fred Hoyle, strenuo sostenitore del modello dell’‘universo stazionario, che nel ’49 chiamò l’idea di Lemaître Big Bang.

Wilson e Pensias con la loro antenna scoprirono la Radiazione Cosmica di Fondo. Per questo vinsero il Premio Nobel nel 1978.

Wilson e Penzias con la loro antenna scoprirono la Radiazione Cosmica di Fondo.
Per questo vinsero il Premio Nobel nel 1978.

Fu solo dopo il 1964 che il dibattito tra queste due teorie si risolse in favore del Big Bang. In quell’anno infatti due ingegneri che lavoravano presso i  Bell Telephone Laboratory stavano mettendo a punto un’antenna per le comunicazioni satellitari ma avevano un problema: ovunque puntassero il loro corno – era la forma dell’antenna – ricevevano un segnale di disturbo. Anche dopo che una coppia di piccioni che aveva nidificato nell’antenna fu sloggiata (qualche malizioso suggerì che ci fu un succulento arrosto a base di piccioni in quei giorni a  Holmdel Township, nel New Jersey), il disturbo rimase. Eliminati ogni difetto intrinseco nell’impianto e scartato ogni altra ipotesi di origine terrena, non rimaneva che seguire l’esempio di Karl Jansky, affidarsi all’origine extraterrestre. Solo che questo disturbo era isotropo nel cielo, non seguiva il moto siderale del pianeta. Era stata scoperta la prima luce dopo il Big Bang che permeava il cosmo, la Radiazione Cosmica di Fondo (CMB).
La più grande prova della teoria del Big Bang, la CMB, fu anche la sua maledizione: perché questa radiazione è così isotropa? C’è da aspettarsi comunque una certa disomogeneità nel cosmo in seguito a questo evento così drammatico, eppure invece no.
In ogni istante e per qualsiasi osservatore nell’Universo esiste un raggio di universo osservabile chiamato orizzonte cosmologico, che corrisponde alla distanza che la luce ha percorso dall’istante del Big Bang, in questo momento per il nostro Universo è 13,82 miliardi di anni luce (ad esempio, 10 secondi dopo alla nascita dell’Universo l’orizzonte cosmologico era di soli 3 milioni di chilometri). In pratica, l’orizzonte cosmologico cresce insieme all’età dell’Universo. Questo significa quindi che per un qualsiasi osservatore è impossibile vedere, influenzare, o essere influenzato,  oltre questo limite.

Mentre l'osservatorepuò osservare una buona parte degli orizzonti cosmologici A e B, da questi solo un piccola parte dell'altro e concesso di vedere. Credit: Il Poliedrico

Mentre l’osservatore centrale può osservare una buona parte di spazio degli orizzonti cosmologici A e B, da questi solo un piccola parte dell’altro è concesso di vedere.
Credit: Il Poliedrico

Spingendo all’estremo di questo concetto, si nota che due regioni lontane fra loro nell’universo, oltre il proprio orizzonte cosmologico, semplicemente non possono conoscere nulla delle condizioni fisiche dell’altra. Eppure l’Universo appare nel suo complesso omogeneo e isotropo, come mostra la CMB. Stesse leggi e condizioni fisiche governano regioni che non possono mai avere contatto tra loro.
Poi un altro problema affliggeva il Big Bang originale: Perché l’Universo appare piatto?
Si sapeva che l’Universo era in espansione. Questo significa ovviamente che la sua densità media cambia nel tempo. Se la densità media fosse stata anche di poco superiore di una certa densità detta critica 3, l’Universo sarebbe collassato rapidamente su sé stesso sotto il suo peso; se fosse stata appena al di sotto l’Universo si sarebbe rapidamente espanso raffreddandosi  troppo velocemente impedendo così alla materia di coagularsi in stelle.
Dopo quasi 14 miliardi di anni  invece l’Universo ci mostra strutture complesse che vanno dai superammassi di galassie agli atomi sintetizzati dalle stelle, eppure nel suo complesso è sostanzialmente omogeneo e con un rapporto $\Omega$ molto prossimo a 1.
Queste erano le domande irrisolte della teoria dell’Atomo Primordiale fino alla metà degli anni ’70, quando in Unione Sovietica David Kirzhnits e il suo allievo Andrei Linde studiando le condizioni fisiche che erano prossime al Big Bang si accorsero che le leggi fondamentali di campo – di gauge – della fisica quantistica rispondevano e potevano essere scritte allo stesso modo 4 l’interazione forte, l’interazione debole e l’elettromagnetismo -e probabilmente anche la gravità -sembravano essere un’unica forza ancestrale nata col Big Bang 5. Da allora teorie simili ne sono uscite diverse, per spiegare l’asimmetria tra materia e antimateria, la gravità quantistica, etc.
Però gli studi sovietici erano in gran parte sconosciuti in Occidente, fino a che nel 1980 Alan Guth le riscoprì e le inserì in un contesto più ampio. Ipotizzando un processo d’espansione molto rapido dell’Universo appena nato, così si risolvevano in modo elegante tutti i difetti del Big Bang fino ad allora esposti.

big bang Secondo la teoria inflazionistica di Alan Guth, appena prima dell’evento Big Bang, ma comunque in un istante successivo al Tempo di Plank ($t_p$), una regione adimensionale di falso vuoto 6 dominata da un campo scalare chiamato inflatone, decade verso uno stato di minima energia per effetto di fluttuazioni quantistiche.  Una delle peculiarità del falso vuoto è la sua densità di energia, grande e negativa. Per la Relatività Generale una densità di energia positiva crea un campo gravitazionale attrattivo. La densità di energia negativa del falso vuoto crea quindi un campo gravitazionale repulsivo, il motore del fenomeno inflattivo.
Appena $10^{-35}$ secondi dopo la transizione di fase del falso vuoto la forza gravitazionale repulsiva porta questa regione ad espandersi e a raddoppiare il suo volume ogni $10^{-34}$ secondi. Questo fenomeno iperrafredda e stira le disomogeneità indotte dalle fluttuazioni quantistiche nella fase precedente, mentre rompe la simmetria che tiene unite le forze di gauge  in condizioni estreme di densità e temperatura.  .$10^{-32}$ secondi la densità di energia diviene positiva e  la gravità assume il ruolo di forza solo attrattiva e cessa quindi l’era inflattiva del Big Bang. Quando termina l’inflazione il campo inflatone raggiunge il suo minimo potenziale e decade in radiazione che riscalda nuovamente l’Universo.
L’Universo neonato adesso ha un rapporto di densità $\Omega$ prossimo a 1 qualunque sia stato il suo valore precedente, la sua geometria ora è prettamente euclidea e può espandersi all’infinito.

Continua …


Note:

Segnali di Materia Oscura nei pressi del nucleo galattico

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Una coppia di neutralini si annichila e decade in una pioggia di normali particelle elementari. Credit: Il Poliedrico

Una coppia di neutralini si annichila e decade in una pioggia di normali particelle elementari.
Credit: Il Poliedrico

All’interno del Modello Cosmologico Standard,  la Teoria della Nucleosintesi Primordiale descrive esattamente la composizione [cite]http://www.einstein-online.info/spotlights/BBN[/cite] della materia presente nell’Universo e indica che  l’84,54% di questa è di natura non barionica, cioè non è composta da leptoni e quark ma da una forma di materia totalmente sconosciuta che non possiede alcuna carica elettromagnetica o di colore chiamata WIMP (Weakly  Interacting  Massive  Particle). Questa è una classe di nuove e ipotetiche particelle con una massa compresa tra poche decine e un migliaio di $GeV/c^2$ (un $GeV/c^2$ è circa la massa di un atomo di idrogeno). L’esistenza di queste particelle è stata proposta per risolvere il problema della materia oscura teorizzata dal Modello Cosmologico Standard. L’esistenza delle WIMP non è stata ancora provata con certezza, però alcune delle caratteristiche fondamentali che queste particelle dovrebbero possedere indicano in quale direzione cercare.
L’esistenza stessa delle strutture a piccola scala come le galassie e gli ammassi di galassie esclude che da una fase inizialmente isotropa come quella descritta dalla radiazione cosmica di fondo queste si siano potute evolvere; la presenza di massicce quantità di materia oscura calda ($v >95\%  c$) avrebbe finito invece per dissolverle. Per questo, non escludendone a priori l’esistenza 1, l’esistenza di una sola forma di materia oscura calda è dubbia. A questo punto non resta che ipotizzare una forma di materia oscura che si muove a velocità non relativistiche, fino all’1 per cento di quella della luce.
Il problema nasce con il Modello Standard che non prevede altre forme di materia se non quelle finora conosciute. Per ovviare a questo inconveniente e ad altri problemi irrisolti dal Modello Standard 2 sono state elaborate dozzine di teorie alternative dette Beyond the Standard Model (BSM, ovvero oltre il Modello Standard) che propongono soluzioni – almeno in parte – i problemi menzionati nella nota e a quello oggetto di questo articolo.

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Un po’ tutte le BSM introducono nuove particelle, una di queste è la Supersimmetria. La Supersimmetria introduce una nuova classe di particelle chiamate superpartner all’interno del classico Modello Standard. Nonostante che il tentativo di identificare questi nuovi partner supersimmetrici – sparticelle – sia per ora fallito, le BSM riescono agevolmente a risolvere i problemi che il Modello Standard non è mai riuscito a superare.
Secondo queste teorie, i fermioni, che costituiscono la materia, hanno come superpartner altrettanti bosoni che trasmettono le forze, mentre i bosoni conosciuti hanno i loro fermioni superpartner. Poiché le particelle e le loro superpartner sono di tipo opposto, il loro contributo energetico al campo di Higgs si annulla.

Dalla tabella qui accanto si nota come per ogni bosone di gauge si ha un superpartner detto gaugino, mentre per il gravitone esiste il gravitino. Il problema essenziale è nella massa di questi superpartner che, almeno in teoria, dovrebbe essere la stessa delle altre particelle normali corrispondenti. In realtà non pare così. Finora nessuno di questi partner supersimmmetrici è stato ancora mai rilevato, tant’è che è stato supposto che anche per le superparticelle sia accaduto un fenomeno di rottura di simmetria, portando di fatto ad avere dei partner supersimmetrici molto più massicci dei loro corrispondenti di quanto ci si aspettasse, oltre il migliaio di $GeV$.
I più promettenti candidati della materia oscura fredda  sono quindi i più leggeri superpartners indicati dalle BSM. Escludendo i superpartners degli elettroni e dei quark che anch’essi dispongono di carica elettrica e di colore, rimangono disponibili lo zino (il superpartner fermionico del bosone Z), il fotino e l’higgsino, tutti altrettanti fermioni 3. Queste sparticelle in sé non sono rilevabili, interagiscono solo con l’interazione debole e la gravità ma possono legarsi tra loro formando una particella esotica molto particolare: il neutralino. In quanto miscela quantistica di diverse altre sparticelle, ne possono esistere fino a 4 tipi diversi di neutralini, tutti fermioni di Majorana e senza alcun tipo di carica, il più leggero dei quali è in genere ritenuto stabile. Il fatto che i neutralini  siano fermioni di Majorana è molto importante, perché dà in qualche modo la chiave per rilevarli, se esistono. Essendo sia particelle che antiparticelle di loro stessi, esiste la possibilità che due diversi neutralini dello stesso tipo si scontrino e si annichilino di conseguenza. Il risultato è una pioggia di radiazione gamma e di altre particelle elementari come sottoprodotti, esattamente come avviene per le particelle conosciute quando si scontrano  con le loro rispettive antiparticelle [cite]http://arxiv.org/abs/0806.2214[/cite].

 Le mappe a raggi gamma prima (a sinistra) e le mappe a cui è stato sottratto il piano galattico (a destra), in unità di photons/cm2 / s / sr.I telai destra contengono chiaramente significativo eccesso centrale e spazialmente esteso, con un picco a ~ 1-3 GeV. I risultati sono mostrati in coordinate galattiche, e tutte le mappe sono state levigate da una gaussiana 0,25

Le mappe a raggi gamma prima (a sinistra) e le mappe a cui è stato sottratto il piano galattico (a destra), in unità di fotoni/cm2/s/sr.
Le immagini sulla destra mostrano un significativo eccesso centrale e spazialmente esteso, con un picco a ~ 1-3 GeV. I risultati sono mostrati in coordinate galattiche, e tutte le mappe sono state levigate da una gaussiana di 0,25°.

E dove cercare la materia oscura, questi neutralini che ne sono soltanto un aspetto di un panorama ben più ampio? Se la materia oscura è davvero sensibile alla gravità, perché non cercarla dove la gravità è più accentuata, ovvero nei pressi dei nuclei galattici e nelle stelle? Nei pressi dei buchi neri centrali i neutralini sarebbero costretti a muoversi piuttosto rapidamente sotto l’influenza gravitazionale, e quindi anche a collidere e annichilirsi con una certa facilità. Il risultato delle annichilazioni e del loro decadimento successivo dovrebbe essere così rilevabile.
Appunto questo è stato fatto, studiando i dati che in  5 anni di attività il Fermi Gamma-ray Space Telescope   ha prodotto. Un gruppo di scienziati coordinato da Dan Hooper ed altri, ha esaminando i dati forniti dal satellite riguardanti il centro della nostra galassia e creato una mappa ad alta risoluzione che si estende per 5000 anni luce dal centro della galassia nel regno dei raggi gamma [cite]http://arxiv.org/abs/1402.6703[/cite]  [cite]http://arxiv.org/abs/0910.2998[/cite].
Una volta eliminato il segnale spurio prodotto da altri fenomeni naturali conosciuti, come ad esempio le pulsar millisecondo nei pressi del centro galattico, il risultato (visibile nei riquadri di destra dell’immagine qui accanto) è interessante. Qui risalta un segnale attorno ai  31-40 $GeV$ che gli autori dello studio attribuiscono all’annichilazione di materia oscura e dei suoi sottoprocessi di decadimento per una densità di materia oscura nei pressi del centro galattico stimata attorno ai 0,3 $GeV/cm^3$.
Le dimensioni di questa bolla di materia oscura non sono note, i dati di questo studio dimostrano che fino a 5000 anni luce la distribuzione angolare della materia oscura è sferica e centrata sul centro dinamico della Via Lattea (entro ~ 0,05° da Sgr A*), senza mostrare alcun andamento preferenziale rispetto al piano galattico o la sua perpendicolare.
Questo dato non è poi lontano da quello estrapolato da Lisa Randall e Matthew Reece dell’Università di Harvard, che sostengono di aver calcolato le dimensioni e la densità di un disco di materia oscura che permea la Via Lattea [cite]http://arxiv.org/abs/1403.0576[/cite] attraverso lo studio delle periodiche estinzioni di massa avvenute sulla Terra e le tracce di impatto di meteoriti di grandi dimensioni sul nostro pianeta 4. Questo disco avrebbe un raggio di circa 10000 anni luce e una densità di una massa solare per anno luce cubico.
A questo punto potrà essere il satellite Gaia, che mappando il campo gravitazionale della Galassia, potrà accertare o meno l’esistenza di questo o di un altro disco che permea la Via Lattea.

Il lavoro del gruppo di Hooper, che per ora è solo un pre-print, è piuttosto incoraggiante nella sua tesi. Se venisse confermato, o nei dati o da altre osservazioni su altre galassie, potrebbe essere la conferma dell’esistenza della materia oscura non barionica fredda che da anni è stata ipotizzata e finora mai confermata. Intanto, altri lavori [cite]http://arxiv.org/abs/1402.2301[/cite] indicano una debole emissione nei raggi X in altre galassie proprio dove ci si aspetta di trovare le traccie dovute al decadimento del neutrino sterile, un’altra ipotetica particella non prevista dal Modello Standard.
La fine di questo modello? Non credo, semmai sarebbe più corretto parlare di un suo superamento da parte delle BSM. Così come la Meccanica Newtoniana si dimostra comunque valida fino a velocità non relativistiche, e nessuno penserebbe di sostituirla con la Relatività Generale per calcolare ad esempio l’orbita di una cometa, Il Modello Standard rimarrà valido fino a quando non sarà stata scritta una Teoria del Tutto elegante e altrettanto funzionante.


Note: