Le incerte origini dell’acqua sulla Terra

L’acqua è tutto per questo pianeta. L’acqua è vita; forza motrice, riserva di energia e moderatore degli scambi gassosi atmosferici. Ricopre il 71% della superficie del globo e costituisce il 65% del nostro corpo. Tutte le più grandi civiltà sono sorte  lungo i corsi d’acqua e molte sono perite quando questa è venuta a mancare.
Quindi è giusto chiedersi da dove essa è venuta?

Il rapporto D/H rilevato in alcuni corpi del Sistema Solare con le relative barre di errore. La linea blu indica il valore D/H degli oceani della Terra. La linea arancio rappresenta i valori presunti della Nebulosa Primordiale che non si discosta poi molto dal rapporto D/H del mezzo interstellare (linea rossa) Lo sfondo indica la curva di temperatura del Sistema Solare e grossomodo la demarcazione fra una zona più calda (>200 K) e una inferiore. Credit: Il Poliedrico

L’acqua è composta da due elementi fra i più diffusi dell’Universo [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/05/le-abbondanze-cosmiche.html[/cite]. Qualche volta però l’isotopo pesante dell’idrogeno il cui nucleo è composto da un  protone e un neutrone, il deuterio (D), sostituisce uno (HDO, acqua semipesante) o entrambi (D2O, acqua pesante) gli atomi di idrogeno nella molecola alterandone alcune proprietà fisico-chimiche 1.
Il rapporto tra l’acqua pesante e l’acqua normale indica pertanto la percentuale tra il deuterio e l’idrogeno costituenti l’acqua (D/H). Tutto il deuterio presente nell’Universo si formò durante la nucleosintesi primordiale, nei 3 minuti successivi al Big Bang (D/H = 2,4 x 10-4). Però è anche vero che il deuterio viene distrutto dalla nucleosintesi stellare, tutto quello che ancora rimane proviene da nubi di gas ancora non ancora riciclate in stelle, come quella che fornì il deuterio alla nebulosa primordiale [cite]http://wp.me/p2GRz5-RT[/cite]. 

Da quello che possiamo intuire da diagramma qui accanto è che il rapporto  D/H rimane più o meno costante negli oggetti provenienti dalla Nube di Oort, attestandosi a valori almeno doppi a quelli della Terra e almeno venti volte superiori a quello del mezzo interstellare (D/H = 0,165 – 14 x 10-4). Il motivo di tale arricchimento rispetto al valore di fondo è da imputarsi unicamente alle seppur lievi differenze fisico-chimiche tra l’idrogeno e i suoi isotopi (esiste anche il trizio, costituito da un protone e due neutroni ma è radioattivo e ha un’emivita di soli 12,33 anni). Queste sono responsabili di fenomeni di frazionamento isotopico che avvengono in condizioni di bassa temperatura (< 100° K.) che le arricchiscono di deuterio a scapito del mezzo interstellare [cite]http://iopscience.iop.org/1538-4357/591/1/L41/fulltext/17236.text.html[/cite].

Per quanto riguarda i pianeti esterni indicati nel diagramma è stato utilizzato il rapporto tra deuterio e idrogeno gassoso (H2) osservato in spettroscopia; anche in questo caso i valori indicati sono piuttosto dissimili tra i diversi giganti gassosi. Il motivo di queste differenze è ancora sconosciuto, anche se tra i principali indiziati di questa particolare distribuzione isotopica possono essere sia loro diversa massa (il processo di differenziazione planetaria può aver fatto precipitare il deuterio negli strati più interni dei pianeti più pesanti), ma forse anche alla loro zona di accrezione; mentre Giove e Saturno hanno raccolto il loro materiale nella parte ancora più calda (> 70 – 100° K.) della nebulosa, probabilmente Urano e Nettuno si sono formati in una zona più fresca (< 70° K.) e si sono evoluti da planetesimi piuttosto ricchi di deuterio.

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Un altro rompicapo è l’elevato rapporto D/H di Encelado, una luna di Saturno che, a fronte di un rapporto D/H molto basso del pianeta – non molto dissimile a quello del mezzo interstellare – ha un rapporto non molto diverso da quello degli oggetti della nube di Oort.

Se – per ora – il rapporto D/H degli oceani terrestri appare sfuggire alla comprensione (solo 103P Hartley 2, una cometa gioviana, si avvicina ai valori terrestri), Quello di Venere appare ancora più misterioso: ben 120 volte quello della Terra.
Nel 1993 due ricercatori della Divisione di Geologia e Scienze Planetarie del California Institute of Technology  di Pasadena, Mark A. Gurwell e Yuk L. Yung proposero un interessante meccanismo che poteva spegare efficaemente il rebus venusiano [cite]http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/0032063393900373[/cite] [cite]http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2009JA014055/abstract;jsessionid=36BB06CE6E970E21D7545F06C2508A62.f02t04[/cite]. In pratica la fotodissociazione del vapore acqueo (tutta l’acqua di Venere è in questa forma) tra i 200 e 400 chilometri scinde il vapore acqueo in ossigeno monoatomico e idrogeno molecolare (H2) o deuterato (HD o D2) con diverse velocità; la velocità di espulsione dell’idrogeno giunge così ad essere fino a 8 – 9 volte più veloce del suo isotopo più pesante ed essere così più facilmente disperso nello spazio. Questo meccanismo spiega perché adesso il rapporto D/H sia così alto ma non del tutto: occorre che anche la massa d’ acqua del pianeta (ipotizzando che Venere abbia avuto un rapporto D/H inizialmente simile alla Terra) sia stata interamente degassata solo 500 milioni di anni fa [cite]http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0019103599961869[/cite].
Anche l’indice marziano è almeno 50 volte superiore al nostro; anche lì lo stesso meccanismo di deplezione dell’idrogeno gassoso dall’atmosfera visto per il caso di Venere ha prodotto un incremento notevole del deuterio rimasto. Anche in questo caso, conoscere esattamente il tasso di deperimento dell’idrogeno rispetto al suo isotopo pesante potrebbe consentire di estrapolare quando Marte perse la capacità di sostenere acqua liquida e la sua già tenue atmosfera.

Alla luce di queste informazioni per cercare di rispondere ancora alla domanda iniziale occorre partire dalle origini del Sistema Solare, più di 5 miliardi di anni fa. Allora tutto quello che vediamo oggi era solo polvere e gas interstellari, una tipica nebulosa in lenta contrazione da cui sarebbero poi nati il Sole e i pianeti. 
Fin da quando l’Ipotesi Protonebulare prese credito nella comunità scientifica, i dubbi sulla provenienza dell’acqua sul nostro pianeta furono fonte di discussione. L’acqua era di origine endogena o esogena alla Terra? I calcoli mostravano che il pianeta si era formato 4,5 miliardi di anni fa in una zona (fascia) protonebulare dove la viscosità delle polveri raggiungeva i 900 Kelvin. l’idea che l’acqua esistesse a quelle temperature sembrava impossibile. Eppure probabilmente è quello che avvenne. 
Una certa quantità d’acqua poteva essere intrappolata negli alluminosilicati (zeoliti) e nelle olivine (ringwoottiti) come idrossidi. Anche quando l’evento Theia (la nascita della Luna) rifuse il pianeta, una certa quantità d’acqua rimase ancora intrappolata nel mantello 2 e quando per degassamento raggiunse poi la superficie  può aver contribuito al raffreddamento della crosta terrestre e formato i primi oceani. 
Comunque per quanto una parte dell’acqua terrestre possa essere di origine endogena ancora il conto non torna. Nel 2009 il geochimico francese Francis Albarede, dell’Ecole Normale Supérieure di Lione, propose che la Terra fosse stata essenzialmente arida al momento della sua formazione. Gli altri elementi volatili sarebbero arrivati sulla terra atttraverso l’Intenso Bombardamento Tardivo dagli asteroidi più interni nei 100 milioni di anni successivi alla formazione della Luna  [cite]http://www.nature.com/nature/journal/v461/n7268/full/nature08477.html[/cite]. A conferma di questa teoria c’è l’indice D/H delle varie meteoriti condritiche (CC) che esprimono un valore virtualmente identico a quello terrestre.Per contro, c’è ragionevolmente da aspettarsi che non furono solo gli asteroidi più interni a cadere sulla Terra ma anche oggetti più esterni come le comete della fascia di Kuiper e della Nube di Oort, tutti oggetti con un rapporto D/H molto diverso da quello dei nostri oceani, tanto che questo oggi apparirebbe diverso anche da quello delle condriti 3.
Oppure, è questa l’ipotesi più probabile, il materiale che costituì poi la Terra era solo parzialmente povero di composti volatili. Fu sufficiente una concentrazione da 500 a 3000 ppm di acqua nei planetesimi durante la fase di accrezione per avvicinarsi almeno alla metà di acqua presente sulla Terra e ridimensionare in parte l’importanza dell’apporto tardivo delle comete.  Quindi una miscela di acqua endogena (±50% con DH 1.5 x 10 -4) e acqua esogena (± 25% con D/H 3.0 x 10-4 e ± 25% con D/H 1.7 x 10-4 ) poteva produrre un D/H intorno 1,9 x 10-4, vicino ma forse non abbastanza ai valori attuali.

Certo che acqua con un rapporto D/H uguale agli oceani terrestri che ne giustifichi anche la quantità non si trova da nessun’altra parte del Sistema Solare:gli asteroidi interni hanno grossomodo il giusto rapporto ma non possono giustificarne la quantità e le comete il contrario. Senza dimenticare che su un pianeta dinamico come il nostro nel giro di 4 miliardi di anni i numerosi processi di frazionamento isotopico possibili possono aver alterato il rapporto fra deuterio e idrogeno tanto da renderlo unico in tutto il sistema.
Per concludere, appare evidente che aspettarsi una risposta alla domanda iniziale “Da dove viene tutta l’acqua della Terra?” studiando il solo rapporto D/H è – a mio avviso – del tutto vano. Troppi sono i meccanismi che alterano il rapporto tra deuterio e idrogeno, e qui ne ho descritti solo alcuni.

 

il primo volo della Orion

 
Il primo lancio della nuova capsula Orion.
Credi: NASA
Schema della Orion e il suo inserimento nell'ogiva del vettore. Credit: NASA. Fonte: Wikipedia

Schema della Orion e il suo inserimento nell’ogiva del vettore.
Credit: NASA. Fonte: Wikipedia

Con un solo giorno di ritardo sul programma, Il nuovo veicolo spaziale Orion della NASA è stato lanciato con successo ieri mattina 5 dicembre 2014 alle ore 12:05 GMT (13:05 ora italiana) dallo Space Launch Complex 37 di Cape Canaveral, Florida.
Il lancio è stato effettuato da un razzo Delta 4 Heavy della United Launch Alliance, un razzo alto ben 73 metri per un peso di 740 tonnellate.
Rispetto alle antiche capsule Gemini e Apollo, la Orion vanta dimensioni di tutto rispetto: ben 3,4 metri di altezza per 5 metri di diametro di base. Così la Orion sarà in grado di trasportare fino a sei astronauti per escursioni di tre settimane  e quattro per le missioni più lunghe.

Il volo di prova della navicella è durato appena 4 ore e mezza, il tempo di percorrere un paio di orbite raggiungendo il punto più alto a 5800 chilometri di quota, ben 14 volte di più della Stazione Spaziale Internazionale (413 km) durante la seconda.
Così è stato possibile testare la tenuta del più grande scudo termico mai costruito per una navetta, che in fase di rientro ha raggiunto i 3200 chilometri orari (0,9 m/s) e una temperatura allo scudo di 2200° Celsius. Lo scudo della Orion non è in mattonelle riciclabili come quello dello Space Shuttle che era sottoposto a temperature ben inferiori, ma di materiale ablativo, cioè che si disperde durante il rientro in atmosfera.

L’ultimo viaggio di un veicolo adatto ad accogliere astronauti oltre l’orbita bassa fu nel 1972 con l’ultima delle missioni Apollo, la 17. 

 

Il rientro della Orion

 

Where no one has gone before!

Il lander Philae osservato dalla navicella Rosetta subito dopo il suo lancio.

Il lander Philiae osservato dalla navicella Rosetta subito dopo il suo lancio.

È ormai su tutti i blog del genere ma non potevo esimermi dal partecipare a questo evento storico. Alle 17:05 circa ora italiana il lander Philae che era partito dalla sonda madre Rosetta  stamani alle 10:00 si è adagiato sulla superficie della cometa  67P/Churyumov-Gerasimenko

La storia della missione è stata piuttosto travagliata e in origine era stato immaginato che dovesse addirittura riportare alcuni campioni cometari sulla Terra. Poi i soliti pesanti tagli di bilancio alla NASA fecero abortire l’idea di una doppia missione congiunta che prevedeva di usare hardware comune 1 per la sua Comet Rendezvous Asteroid Flyby e Rosetta dell’ESA, nate sull’onda dei successi astronautici raggiunti nel 1986 con la cometa di Halley. Il progetto americano morì e Rosetta fu completamente riprogettata dall’ESA, che però fu costretta a rinunciare all’invio dei campioni raccolti alla Terra per i soliti motivi di bilancio.
Poi nel 2002 un incidente al vettore Ariane 5 posticipò la missione al 2004, costringendo così a rivedere il bersaglio finale della missione che divenne l’attuale cometa.

Ma Rosetta in questi 10 anni non è mai stata con le mani in mano: il 5 settembre 2008 ha sorvolato da 800 chilometri l’asteroide 2867 Šteins e il planetoide metallico 21 Lutetia il 10 luglio 2010. Poi una ibernazione che prima del risveglio aveva procurato qualche apprensione. Ma niente paura, Rosetta ce l’ha fatta, alla faccia dei barbagianni che raccontano che la missione Rosetta sia stata soltanto uno spreco di soldi.

Omochiralità quantistica, biologica e universalità della Vita

Anche se in merito sono state fatte le diverse e più disparate ipotesi, dalla radiazione polarizzata di una supernova vicina nel periodo della nascita della vita sulla Terra fino alla radiazione di una pulsar ormai spersa e forse estinta che investiva il pianeta sempre in quei momenti, nessuna di queste è a mio avviso abbastanza libera da eventi dovuti al caso. Probabilmente l’origine dell’omochiralità levogira degli aminoacidi necessari alla vita è dovuta a fattori più fondamentali e universali. 

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stereochemTutti gli aminoacidi e molte altre molecole – isomeri – hanno un aspetto diverso se invertite spazialmente. Tutta la vita che conosciamo è capace di utilizzare solo una delle due immagini; in genere la versione levogira per quanto riguarda gli aminoacidi e la versione destrogira per i glucidi. Queste molecole complesse esistono in due forme speculari e non sovrapponibili dette enantiomeri  che, in base alla disposizione spaziale in tre dimensioni degli atomi, vengono definite destro o levogire per la loro capacità di ruotare il piano della luce polarizzata 1. A parte questa apparente sottigliezza, entrambi gli enantiomeri hanno sostanzialmente le stesse proprietà fisiche 2. Però, in certe reazioni o strutture, è utilizzabile solo l’una o l’altra forma. La principale funzione di particolari proteine (macromolecole biologiche formate da sequenze di aminoacidi legate tra loro) dette enzimi, è quella di catalizzare le reazioni biomolecolari, tra cui la sintesi delle altre proteine. La capacità catalitica degli enzimi dipende criticamente dalla loro struttura tridimensionale, la quale a sua volta dipende dalla direzione della sequenza degli aminoacidi. Catene sintetiche di amminoacidi formate sia da enantiomeri levogiri sia da enantiomeri destrorsi in una miscela 1:1, detta racemo, non si avvolgono nel giusto modo per produrre un’efficace attività catalitica; esse sono incapaci di formare una regolare struttura elicoidale.  Il DNA, ad esempio, è composto da basi azotate, glucidi e fosfati racchiusi in strutture chiamate nucleotidi le quali compongono la celebre doppia elica: che qui è sempre destrorsa. 
Ogni produzione spontanea 3 di aminoacidi ottenuta in laboratorio da luogo sempre a una soluzione racemica mentre le catene proteiche degli esseri viventi che conosciamo utilizzano esclusivamente forme levogire. 
Il problema dell’omichiralità degli  isomeri necessari alla vita non è mai stata risolta del tutto. Alcuni ritengono che questa sia frutto della selezione entropica naturale [cite]http://dx.doi.org/10.2174/187231308784220536[/cite] che pare favorisca la selezione delle migliori soluzioni di trasduzione dell’energia disponibili. In questo una soluzione enantiopura è decisamente migliore di una racemica, come dimostrano altri studi [cite]http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/jp046478x[/cite], ma tutti questi studi pur dimostrando la necessità della vita di scegliere per l’omochiralità non spiegano perché per gli aminoacidi sia stato scelto il modello levogiro e destrogiro per gli zuccheri.
Una plausibile spiegazione viene dalle riflessioni di Frederic Vester e Tilo L. V. Ulbricht del 1957, i quali sospettarono la appena scoperta Violazione della Parità prodotta dall’Interazione Debole negli atomi [cite]10.1016/S0040-4020(01)92714-0[/cite] di essere responsabile dell’omochiralità a ogni scala. o quasi..

La simmetria P

L'interazione debole di un antineutrino elettronico con un neutrone all'interno di un nucleo atomico può spingerlo a decadere in un protone e un elettrone. Credit Il Poliedrico.

L’interazione debole di un antineutrino elettronico con un neutrone all’interno di un nucleo atomico può spingerlo a decadere in un protone e un elettrone. Credit Il Poliedrico.

In fisica si chiama Simmetria P, simmetria di trasformazione di parità 4. Quasi tutte le leggi fisiche fondamentali rispettano questa regola. L’elettromagnetismo, la forza di gravità e l’interazione nucleare forte rispettano tale simmetria, ossia sono invarianti rispetto all’inversione delle coordinate spaziali (potremmo immaginare lo stesso fenomeno come visto riflesso allo specchio procedere verso il medesimo risultato che nel mondo reale, solo che è appunto invertito spazialmente). La più debole delle quattro interazioni, l’interazione debole, invece no. Anzi è proprio lei la causa della violazione della Simmetria P.
Come dice il suo nome, l’interazione debole è veramente debole: circa 1000 volte meno intensa della forza elettromagnetica e 100 000 volte meno intensa della forza nucleare forte. L’interazione debole è responsabile sia per la fusione nucleare delle particelle subatomiche che per l’emissione di raggi beta durante il decadimento radioattivo. I raggi beta sono in realtà elettroni o positroni ad alta energia espulsi da un nucleo atomico durante il decadimento beta ($\beta$). Queste particelle hanno uno spin intrinseco e quindi, quando si muovono lungo il loro asse di spin, si possono classificare come sinistrorsi o destrorsi. La violazione della parità indica che le particelle beta emesse dai nuclei radioattivi mostrano segni evidenti di una asimmetria chirale: le particelle sinistrorse emesse durante il decadimento superano di gran lunga quelli destrorse.
Durante il decadimento beta vengono emesse anche altre particelle elettricamente neutre – il neutrino e l’antineutrino – che si propagano quasi alla velocità della luce. Come l’elettrone, l’antineutrino emesso dalla materia radioattiva ha uno spin ma, diversamente dall’elettrone, esiste solo nella forma destrorsa. Pare che nell’universo non esistano neutrini destrorsi e antineutrini sinistrorsi.

Chiralità Quantistica

wzIl Modello Standard delle particelle elementari, unisce le leggi dell’eletttromagnetismo di Maxwell e l’interazione debole in un’unica forza, l’Interazione Elettrodebole e introduce il concetto di correnti deboli cariche e le correnti deboli neutre mediate dai bosoni $W^\pm$ e $Z^0$. L’opera di queste correnti , o forze,  tra due particelle elementari dipende dalla distanza tra le particelle, dalla loro carica elettrica e dalla direzione del loro spin. L’elettrone ha una carica elettrica negativa e la forza elettrica tra due elettroni qualsiasi è sempre repulsiva. Invece, la carica debole $W$ è non nulla per un elettrone sinistrorso e nulla per uno destrorso. Quindi, un elettrone destrorso si limita semplicemente a non percepire la forza $W$. La corrente debole neutra $Z$ invece agisce sullo spin, elettroni sinistrorsi e destrorsi hanno cariche $Z$ di segno opposto e di intensità circa uguale. La differenza di segno provoca l’attrazione degli elettroni destrorsi verso il nucleo da parte della corrente $Z$ e la repulsione di quelli sinistrorsi 5 6. È per questo che il decadimento nucleare beta, dominato dalle correnti deboli, produce un eccesso di elettroni sinistrorsi. Se non fosse violata la parità, in un mondo visto allo specchio il decadimento beta produrrebbe elettroni destrorsi e la corrente debole neutra $Z$ attirerebbe verso il nucleo anche gli elettroni sinistrorsi. Questi processi non si osservano però nel mondo reale, il che è un altro modo per affermare che la forza debole è chiralmente asimmetrica e che la parità non viene conservata.

Chiralità molecolare

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Pozze di fango, comete e sacche di polvere interstellare. Ecco dove possono nascere i mattoni della Vita. Credit: Il Poliedrico

Come conseguenza dell’interazione debole, gli atomi, finora pensati achirali, mostrano invece di possedere una distinzione tra destra e sinistra. Questa distinzione se è presente su scala atomica, potrebbe riflettersi su scale di ordine superiore? C’è da aspettarsi che anche le strutture molecolari più complesse, come ad esempio gli aminoacidi, mostrino proprietà fisiche differenti in base alla loro chiralità. L’asimmetria chirale a livello subatomico ha origine a livello fondamentale con la violazione della parità. Su scala superiore la corrente debole neutra $Z$ fa sì che che una molecola chirale abbia stati energetici diversi tra i due isomeri.
Per comprendere meglio questo meccanismo, immaginiamo una molecola chirale come un’elica o una vite e supponiamo che la corrente $Z$ non esista. Un elettrone con spin $\uparrow$ che si muove nello stesso senso dell’elica $\uparrow$ è destrorso,  mentre è sinistrorso se si muove nel senso contrario. Dal punto di vista probabilistico però dovremmo comunque aspettarci che la chiralità media degli elettroni sia nulla; però le correnti elettromagnetiche presenti nell’atomo tendono a far allineare l’asse orbitale dell’elettrone nel senso opposto al suo spin. Questo fenomeno, noto come accoppiamento spin-orbita, tende a far allineare l’elettrone nel moto opposto al suo spin in una molecola chirale destrorsa, per cui in questo caso gli elettroni tendono ad essere sinistrorsi. Invece negli enantiomeri levogiri sono gli elettroni destrorsi a prevalere. Ora tornando a prendere in considerazione anche la corrente debole neutra $Z$, che interagisce con gli elettroni  in modi dipendenti dalla loro chiralità, viene fuori che essa provoca una diversità energetica tra due enantiomeri opposti [cite]http://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/1983/c3/c39830000117#!divAbstract[/cite].
Come è facile intuire, l’enantiomero levogiro degli aminoacidi- che è quello biologicamente più dominante – è anche quello che possiede l’energia molecolare più bassa (gli elettroni dominanti sono destrorsi), mentre al contrario è l’enantiomero destrorso il più energetico.
Tutto questo è sostanzialmente in accordo con i principi della statistica e della termodinamica che in caso di sostanziale equilibrio è la forma con l’energia più bassa a prevalere; è stato calcolato che la discrepanza nella produzione spontanea dei due isomeri è così minuscola da passare inosservata: una parte su 10^17.
Un’altra fonte dell’omochiralità è il decadimento $\beta$. Nell’ipotesi Vester-Ulbricht si sostiene che durante il decadimento spontaneo viene emessa una debole traccia elettromagnetica, un Effetto Bremsstrahlung 7 interno all’atomo [cite]10.1016/S0031-8914(36)80008-1[/cite]. Questa emissione ha la stessa polarizzazione della particella che la emette. Per gli effetti dell’interazione elettrodebole che abbiamo visto più sopra, la maggior parte, circa l’80%, degli elettroni emessi durante il decadimento sono sinistorsi, e così è anche per la radiazione. Gli effetti della radiazione polarizzata è che essa tende a distruggere le molecole chirali dello stesso ordine, così una polarizzazione sinistrorsa tende a distruggere le molecole sinistrorse, ma il contributo della radiazione Bremsstrahlung interna è veramente molto piccolo; si calcola invece che l’interazione diretta della radiazione $\beta$ (elettroni e positroni) sui due isomeri sia comunque solo di una parte su 10^11. Un importante sostegno a questa teoria viene dai risultati di un recente studio che mostra un legame significativo  tra l’energia degli elettroni diversamente polarizzati e l’evoluzione chirale della bromocanfora [cite]http://dx.doi.org/10.1103/PhysRevLett.113.118103[/cite].
Ecco quindi sostanzialmente spiegato come mai ogni produzione spontanea di aminoacidi in laboratorio (ex. gli esperimenti di Stanley e Urey) porta sempre a una sostanziale soluzione racemica.
Ma una scappatoia al racemo c’è. Come insegna la termodinamica, un sistema chiuso tende sempre ad evolversi verso uno stato di equilibrio di minima energia, dove le concentrazioni molecolari sono definite dalla loro energia ed entropia. Trascurando la diversità energetica tra i due enantiomeri dovuta dalle correnti nucleari deboli, differenza reale ma comunque piccolissima, un sistema chiuso quindi può solo evolversi verso un sistema chiralmente simmetrico dove gli isomeri levogiri e destrorsi sono presenti in uguale proporzione. In un sistema aperto all’ingresso di nuova materia ed energia invece non è raggiungibile un equilibrio termodinamico; al suo posto accade un fenomeno chiamato rottura di simmetria, che porta alla predominanza spontanea di uno dei due enantiomeri sull’altro. Anche in questo caso gli gli stessi principi statistici e termodinamici suggeriscono che siano gli enantiomeri levogiri degli aminoacidi a prevalere.
E come la mano sinistra si intreccia meglio con la destra, anche i glucidi di conseguenza hanno subito la loro selezione: per adattarsi meglio agli aminoacidi levogiri i glucidi hanno subito un’evoluzione complementare fino a produrre strutture elicoidali destrorse, precursori del DNA.

Conclusioni

L’idea che l’omochiralità delle forme più complesse possa trarre origine dalle leggi più fondamentali della natura è veramente attraente. 
Non occorrerebbe più attendere – o dimostrare – che un sorgente di radiazioni polarizzata illumini un mondo promettente per ottenere la scintilla omochirale. Elettroni sinistrorsi prodotti dal decadimento $\beta$ di isotopi prodotti dalle supernovae sono senza dubbio un fonte universale  di radiazione polarizzata capace di condizionare gli isomeri ovunque: dagli asteroidi alle comete ghiacciate nelle nubi di Oort di di ogni sistema stellare; dai fondali di oceani alieni a pozze di fango su mondi appena formati fino ad arrivare anche alle nubi interstellari e ai globuli di Bok.
Se l’ipotesi che le radici dell’omochiralità sono nell’Interazione Elettrodebole fosse corretta, dimostrerebbe che le fondamenta della Vita sono più legate alla struttura fondamentale dell’Universo di quanto finora si pensi. Una gran bella idea!


Note:

Saturno? Beccato!

Saturno? Beccato!

Fine occultazione SaturnoIl 25 ottobre 2014 la Luna ha occultato Saturno. Il momento del primo contatto tra i due astri è avvenuto circa alle 18:36 ora legale italiana (16:36 UTC), quando il Sole era appena sotto l’orizzonte ed era quindi virtualmente impossibile vederlo ad occhio nudo.
Per un soffio però sono riuscito a beccare la fine dell’occultazione in ben due fotogrammi, quando la Luna era ancora appena sopra l’orizzonte alle 19:17.
Quando si dice che la speranza è sempre l’ultima a morire 😉

In ricordo di Tullio Regge …

In memoria dello scomparso Tullio Regge, ospito sul Blog un  articolo scritto da Stefania Genovese, già ospite di TuttiDentro e GruppoLocale, con la tacita speranza che questo sia l’inizio di una felice collaborazione futura.

Umberto Genovese


… uno scienziato aperto e versatile, un grande fisico, ma soprattutto una persona speciale dotata di una grande mente, creativa ed aperta non solo alla comprensione delle teorie scientifiche ma anche agli aspetti sociologici dei nostri tempi…

Tullio Regge

Tullio Regge

Il filosofo, specificatamente l’ epistemologo a me concettualmente più vicino, come consonanza di idee, è sicuramente P.K.Feyerabend! Così, mi piace sempre ricordare che lui sosteneva quanto le nuove idee avessero bisogno di tempo, per evidenziare i loro vantaggi e la loro forza e per sopravvivere agli attacchi iniziali. Grande pensatore, affascinato dal pensiero di John Stuart Mill, e «dialetticamente combattivo» nei confronti del suo «maestro» Karl Popper e del suo metodo, nemico di coloro che propugnavano i propri asserti con una inoppugnabile sicumera e con tronfia ed immobilista sicurezza, egli era più che convinto che i difensori delle nuove idee dovessero lasciar perdere i conflitti «prima facie» con la logica, l’evidenza ed i principi consolidati e lucidamente notava che «spesso i padri della scienza, illuminati dal carattere universale, inesorabile ed immutabile delle leggi fondamentali di Natura, ma anche circondati da comete, nuove stelle, strane forme geologiche, malattie sconosciute, meteore, stranezze celesti e metereologiche, non comprendevano che anche
l’ascesa della scienza era dipesa da una cecità, da una ostinazione, esattamente dello stesso genere, e che queste varietà di esperienze fossero altrettanto degne di considerazione. I primi pensatori cinesi, invece prendevano più sul serio la varietà dell’esperienza, ed avevano favorito la diversificazione ed erano andati a caccia di anomalie invece di eliminarle, cercando di dare loro una spiegazione. E che dire di scienziati come Tycho Brahe che prendevano sul serio alcune idiosincrasie cosmiche, e di Keplero che nelle anomalie cercava di scoprirvi causazioni diversificate, mentre il grande Newton, sia per ragioni empiriche sia teologiche, vedeva in loro il dito di Dio?».
Ho sentito la necessità di questa premessa prima di descrivere l’incontro con un illustre scienziato, che, a mio giudizio, nella sua storia personale e nella sua carriera professionale, è stato tra coloro che ha saputo dimostrare quanto le concezioni di Feyerabend si basassero su considerazioni molte veritiere e fattive; il prof. Tullio Regge… Fu per me un grande privilegio poterlo incontrare e relazionarmi con lui, discutendo di molte tematiche che, ancora oggi, mi inducono a riflettere su quanto il suo pensiero sia ancora straordinariamente attuale, non solo per le sue importanti teorizzazioni nel campo matematico ed astrofisico, ma anche per la sua lucida analisi della nostra società e del suo rapporto, purtroppo “distorto” e “superficiale” con la scienza.

Stefania Luisa Genovese, autrice di questo articolo.

Stefania Luisa Genovese, autrice di questo articolo.

Incontrai il Professore nella sua casa di Torino; a quei tempi era purtroppo già stato colpito da distrofia muscolare, ed ancora ora lo ricordo sofferente, ma dotato di una lucidità mentale e di una capacità di introspezione notevole. I suoi occhi denotavano una intelligenza vivida che lo avevano portato ad insegnare relatività e teorie quantistiche della materia al Politecnico di Torino e persino a lavorare all’Institute for Advanced Studies di Princeton, nonché a ricevere riconoscimenti internazionali e a formulare una teoria nella meccanica quantistica che appunto porta il suo nome, «i Poli di Regge». Poiché ho sempre avuto una grande stima per lui (nonché per la professoressa Hack, miti della mia infanzia dedita alla passione per lo spazio), mi sentivo molto impacciata ed intimorita, ma Regge, per mettermi a mio agio, mi invitò a servirmi di qualche dolcetto posto in un grazioso cabaret sul tavolo, e mi regalò un disegno realizzato da lui al computer, in cui aveva virtualmente e quasi oserei dire oniricamente reinterpretato la mia visita (credo che un qualunque bravo psicologo di fede junghiana lo avrebbe trovato a dir poco predittivo e vi avrebbe riscontrato certamente delle buone basi della teoria della sincronicità: alcuni particolari mi colpirono molto. Il fatto che io fossi ritratta con i capelli biondi, con un vestito rosa, mio colore preferito, e che tra i vari elementi molto affini alla mia personalità vi fossero persino i girasoli, che ho sempre amato). Sorge a questo punto il dubbio che il prof. Regge, e lo dico con la massima reverenza e serietà, non solo fosse un eminente scienziato ma anche un artista «sui generis» dotato di intuito e di predittività non comuni. In realtà credo che Regge fosse dotato di grande sensibilità e di grande coraggio, soprattutto quando nel 1993 presentò alla Commissione Ricerca e Tecnologia (CERT) una mozione per la costituzione di un Centro Europeo per lo studio dei fenomeni UFO, portando all’attenzione dell’establishment scientifico internazionale il problema degli avvistamenti di anomali oggetti volanti nei cieli d’Europa. Avvenimento che lo segnò alquanto e da cui ricavò un’esperienza che lo amareggiò non poco. D’altronde, già in un interessantissimo libro scritto con Giulio Giorello ed Elio Sindoni, (Europa Universitas), aveva già raccontato molte vicende legate alla sua permanenza al Parlamento Europeo e di quanto molto spesso la politica fosse assurda, sproloquiante ed immoderata, e non certamente amica del corretto uso della scienza e dell’antianalfabetismo scientifico, ancora oggi, purtroppo molto dilagante!
Mi raccontò lui stesso cosa accadde durante la presidenza De Sama, quando su consiglio del collega Elio Di Rupo, preoccupato per i continui avvistamenti occorsi in Belgio nei primi anni Novanta, si cercò di costituire una commissione federale di ricerca sugli UFO. In quel periodo a Liegi, Eupen e Verviers furono riportate numerose testimonianze di apparizioni di aeromobili a forma di triangolo e la stessa aviazione belga ebbe dei contatti radar con oggetti che si muovevano ad altissima velocità e che avevano accelerazioni improvvise. Regge chiese perciò informazioni alle Forze aeree delle nazioni europee affinché gli spedissero documentazioni e registrazioni inerenti gli avvistamenti di UFO. Ricevette diverse risposte, molto contrastanti; gli spagnoli, ad esempio si rifiutarono di fornirgli il materiale, dicendo che era segreto, salvo poi, l’anno seguente, togliere il divieto di consultazione degli incartamenti. Gli italiani gli inviarono numerose scartoffie poco significative, i tedeschi lo indirizzarono verso l’ufficio sbagliato, mentre i francesi, sul cui territorio operava il SEPRA (un centro di ricerca, presieduto dallo scienziato Jean Jacques Velasco, che raccoglieva informazioni sugli avvistamenti in collaborazione con la Gendarmeria e l’Agenzia spaziale francese), si mostrarono i più disponibili. All’interrogazione parlamentare presentata per conoscere cosa stesse accadendo nei cieli belgi, Regge, cercando di tenere conto della necessità di stabilire una fonte di informazione imparziale e credibile sull’argomento, propose il SEPRA come organismo serio ed adatto al compito di studiare il fenomeno UFO. A costo zero, chiedeva di estendere a livello comunitario le competenze della struttura francese. Ma l’occasione era troppo ghiotta per non essere sfruttata mediaticamente, a fini politici. E così, a causa delle pressioni demagogiche dei laburisti inglesi Ford e Bowes («dei veri lupi in cerca di notorietà e fama», dirà Regge) e della stampa inglese che li appoggiò ignominiosamente ridicolizzando la vicenda, il 21 gennaio 1994 la discussione del rapporto sugli UFO venne annullata; ma rimase comunque agli atti, con l’inconfessata speranza che il CERT potesse in seguito riproporre al Parlamento Europeo la possibilità di affrontare lo studio del fenomeno UFO; ovviamente, perseguendo parametri scientifici, pragmatici e scrupolosi, affidandosi ad enti seri come il SEPRA il vaglio della documentazione; poco alla volta il clamore della vicenda si estinse e lo stesso Regge invitò gli ufologi, che avevano iniziato a cavalcato la vicenda, al silenzio.
Chi meglio di lui, dunque, poteva fornirmi un giudizio quanto mai esaustivo sul fenomeno UFO e sui suoi «appassionati» sostenitori? Mi disse Regge: «Gli UFO risultano essere un fattore complesso generato da molteplici elementi come meteore, fulmini globulari, burle ben congegnate, falsi misticismi indotti dalla New Age; ma soprattutto questi fenomeni sono generati sia da una generalizzata diffidenza verso la scienza, sia da un forma di analfabetismo scientifico, purtroppo abbastanza diffuso in questo Italia». «Per questo motivo», proseguì Regge, «è molto difficile definire l’ufologia, che può essere considerata secondo tre diverse tipologie: quella di coloro che inseguono una sorta di misticismo religioso e proiettano sugli UFO le proprie aspettative; queste persone si comportano come una tribù che esclude i fatti esterni perché essi potrebbero danneggiare la propria visione collettiva e destabilizzare il sistema di credenze del gruppo (mi astengo di riferire i commenti,
peraltro condivisi anche da me, riportatimi dal prof. Regge su alcuni «fastidiosi» e «assurdi» rappresentanti dell’ufologia nostrana; N.d.A). Poi vi sono coloro i quali spacciano l’ufologia come «medium» tipicamente commerciale che mira al sensazionalismo e ad irretire la gente per mera speculazione e, per concludere, esiste anche una ricerca ufologica seria e scientifica che rientra nello studio dei fenomeni anomali, come quella condotta sui fulmini globulari ad esempio dal dottor David Funkelstein ad Atlanta (noi abbiamo avuto la seria ricerca del dottor Albino Carbognani; N.d.A.), nonché quella che si applica ai plasmi luminosi come quelli studiati ad Hessdalen dall’astrofisico Massimo Teodorani e da un gruppo di scienziati del CNR».
Il prof. Regge non si è mai dimostrato contrario dunque allo studio degli UFO, poiché riteneva che essi rientrassero tra quei numerosi fenomeni anomali che la scienza ha il compito di affrontare! «E non sarebbe un comportamento degno scientificamente» asserì Regge, «quello di provare la non esistenza di un fenomeno perché non si hanno spiegazioni sufficientemente consone o alternative ad esso: è necessario infatti adottare una metodologia che consenta di distinguere i casi che hanno rilevanza per le scienze del comportamento da quelli invece che ne hanno per le scienze fisiche, ed infine occorre selezionare dei sottogruppi che distinguono i fenomeni conosciuti da quelli effettivamente inusuali. Inoltre occorre vagliare e considerare le testimonianze di coloro che raccontano di aver osservato fenomeni anomali ed inconsueti, rispettando queste persone e mai schernendole». Affrontare questa tematica significa essere esenti da suggestioni e da plagi, nonché sottoporre il tutto a ripetuti controlli fattuali privi di giudizi e considerazioni aprioristiche, sottoporli costantemente al principio di demarcazione di Karl Popper, unico sistema che ne garantirebbe un criterio valido di scientificità. Parlando di anomalie e curiosità che avrebbero potuto porre sotto scacco la scienza, Regge mi raccontò questa vicenda: «Tra il 1974 ed il 1976 un caposala della compagnia aerea Sabena mi aveva raccontato di avere avvistato una luce in cielo che procedeva molto velocemente e che compiva virate improvvise; la medesima luce era stata notata da un pilota in volo che, avvertito dal radar di Mortara di avere accanto un oggetto sconosciuto, voltatosi a 70 gradi rischiò di scontrarsi con esso. Il pilota riferì di aver visto questo globo di luce allontanarsi con una velocità impressionante e non usuale… Quando si tratta di piloti che hanno molte ore di volo sulle spalle, le testimonianze diventano interessanti e degne di essere prese in considerazione, anche se spesso, come in questo caso, era stato difficile trovare una spiegazione scientifica a ciò che è stato osservato». Attorno allo stesso periodo, nel 1973, accade un altro fatto curioso di cui gli parlò un suo collega, il prof. Paolo Gregorio, docente di Termodinamica al Politecnico di Torino (il prof.Gregorio, tra l’altro, mi anticipò che il prof. Regge mi avrebbe sicuramente donato un suo disegno, come suo costume per gli ospiti). Il docente si era recato alle pendici di Rocciamelone, in Val di Susa, dove erano comparse delle strane orme impresse sulla neve a guisa di grandi zampe di palmipedi. «Nonostante fosse munito di strumentazioni varie e di contatore geiger, non rilevò alcunché e, benché i segni parevano essere sorti dal nulla, si scoprì che il tutto era stata una beffa ben congegnata», disse Regge.
A suo giudizio, peraltro, gli avvenimenti più strani ed incredibili, che spesso generano l’impressione di trovarsi di fronte a degli UFO, li possono inaspettatamente creare i fulmini globulari! «Infatti», mi disse Regge, «un fisico dell’Università di Bordeaux mi raccontò un giorno di aver osservato un fulmine rotondeggiante cadere su una chiesa e da lì rotolare come una palla fino ai piedi di un albero e poi scomparire all’improvviso. E questo caso non è isolato. Ci sono numerose persone che si sono trovate persino nella propria abitazione uno di questi concentrati di scariche elettriche, che, passato attraverso il lampadario, si è mosso lungo un corridoio prima di esaurire la sua energia». Anche a me sono stati recentemente raccontati due casi analoghi; uno riguardava un mio amico d’infanzia; si trovava in Trentino assieme alla sua truppa, durante una ispezione, quando si era trovato ad osservare una palla luminosa e veloce; l’oggetto era sfrecciato dinnanzi al gruppo ed era diventato in pochi istanti evanescente; in un altro episodio una famiglia di miei concittadini si era più volte trovata in casa, inaspettatamente, fulmini globulari che l’aveva più volte atterrita; è significativo rilevare che la casa sorgeva al di sotto dei tralicci dell’energia elettrica…
Potrebbe sembrare semplicistico ricondurre alcuni avvistamenti UFO ai fulmini globulari, eppure per Regge non è così. A suo giudizio ancora oggi, pur sapendo che essi si registrino con l’alta pressione atmosferica, non siamo ancora riusciti completamente a scoprire come e perché si manifestino in quel modo. Ma, come diceva Shakespeare in una sua opera, «ci sono più cose in cielo…».
Il prof. Regge si è cimentato anche nella fantascienza, scrivendo un racconto, Non abbiate paura; gli ho domandato cosa ne pensasse di questo genere letterario. Mi rispose che, per lui, scrivere racconti fantascientifici significava a volte motteggiare alcuni aspetti troppo seri e severi della scienza, nonché le esagerazioni e le assurdità che molti presunti maghi o operanti del paranormale cercano di propinare (a volte i suoi personaggi sono reali, ma hanno nomi e personalità mutate portate all’iperbole). Quindi, da buon feyerabandiano (mi si consenta la qualifica «attributiva»), era più che convinto che occorresse alimentare sempre un sano spirito umoristico, sinonimo di un’intelligenza vivida e libera da schemi precostituiti. Senza alcun dubbio la fantascienza per Regge poteva anticipare ed anche concedersi la possibilità di rischiare ipotesi più azzardate e futuribili, come è stato per i romanzi dell’astronomo Fred Hoyle, ad esempio. Nell’episodio da lui scritto in quel libro, troviamo un uovo cosmico fatto di materia esotica, che viaggia per gli spazi siderali alla ricerca di un pianeta dove trovare il suo nutrimento: uranio puro. L’uovo è in realtà una sonda di Von Neumann, biologica e naturale; la razza che lo ha deposto, antecedente alla razza umana, gli ha dato la possibilità di sciamare nel cosmo per colonizzare la galassia in cerca di pianeti ricchi di nutrimento adatto al proprio metabolismo basato sulle reazioni nucleari di fissione. È sempre opportuno immaginare una possibile vita aliena sempre cercando di attenersi alle ipotesi cosmologiche ed esobiologiche attuali. Tornando alla ricerca reale come spunto da cui attingere per la fantasy, Regge scrisse una novella anche su Hessdalen, intitolata La Tempesta e la Stringa. Gli interpreti principali sono gli scienziati del Project Hessdalen, soprattutto un certo Theodoran che, innamoratosi di un’aliena, cercando di raggiungerla attraverso una stringa cosmica (una sorta di passaggio interdimensionale) rischia di far saltare in aria la vallata; ma almeno dimostrerà veridiche le sue teorie (il prof. Regge nutriva molta simpatia per l’eclettico astrofisico Massimo Teodorani e ne condivideva la passione per i gatti; entrambi avevano un grazioso micio di nome Dundy).
La nostra conversazione proseguì su come il simpatico professore immaginasse un contatto con civiltà extraterrestri; su questo punto non era molto ottimista, perché, per ragioni epistemiche, la vita come la possiamo intendere noi sarebbe molto difficile. A suo giudizio, dovrebbero esistere delle condizioni particolari per il contatto, ed il tempo non è d’aiuto: potremmo ricevere ora un messaggio da una civiltà che si è estinta già da millenni e la nostra risposta impiegherebbe troppo tempo per raggiungere la stella da cui proviene il segnale. Tullio Regge pensava pessimisticamente che il SETI fosse piuttosto da definirsi paleontologia archeologica galattica. Tuttavia, pur non avendo assolutamente prove, anche lui crede all’esistenza di vita extraterrestre, in qualche parte del cosmo, e crede sia giusto provare a contattarla. «Certamente», asserì il Professore, «seguendo un ragionamento scientifico, se noi venissimo a contatto con civiltà aliene, temo che esse potrebbero essere molto diverse da noi, e certamente molto più evolute. La vita potrebbe anche essere sorta in altri brodi di natura chimica, completamente diversa, incompatibile con la nostra esistenza. Spesso sono portato a considerare gli ipotetici alieni in due gruppi diversi: extraterrestri descritti dallo scienziato Frank Dyson, grandi animali a sangue freddo, molto lenti perché lontani dal centro della galassia e dal Big Bang; oppure alieni simili a quelli ipotizzati dal chimico Ilya Prygogine, secondo cui, non esistendo limite alla evoluzione di forme di organizzazione (anche dal caos può nascere un ordine), potremmo trovare anche piccole creature (più vicine al Big Bang) dotate di una vita molto breve, accelerata, e con una temperatura elevata, magari dotate di coscienza, che non si accorgono però della loro breve esistenza». Un vero zoo alla Clifford Pickover!).
Come la Prof.Margherita Hack, egli sosteneva che il mondo scientifico si stava allontanando sempre più da una visione sana della scienza, asservendosi pìù che ai bisogni essenziali e primari della gente comune, alle lucrose necessità di creare tecnologie pseudo-informative che giovavano solo all’establishment economico-commerciale. La scienza del Terzo Millennio stava perdendo molti contenuti etici (così sostiene Regge nella sua autobiografia, asserendo che essa non ha più quella connotazione primaria di «gioco creativo» atto a conoscere il mondo); la sua critica alla “analfabetizzazione scientifica”, preminente soprattutto qui in Italia, dal momento che non si investe più nella cultura, continuando a recidere i fondi alle Università e alla ricerca, rende immobile lo «status» della innovazione e dello sviluppo, asservendoli al profitto e al clientelismo, è purtroppo ancora quanto mai attuale. Inoltre il prof. Regge nutriva un grande rammarico per la diffusione, in Italia, di molte riviste che vantano una apparente patina di serietà, ma che in verità nella speranza di attirare il vasto pubblico con argomenti scientifici, rendono banale e ridicola ogni loro trattazione, proponendo argomenti degni più di chiacchiericcio, e da gossip parascientifico, piuttosto che una veridica esposizione di formazione rigorosamente razionale… Riguardo a ciò, ho apprezzato molto il suo libro “Europa Universitas.Tre saggi sull’impresa scientifica europea”, scritto in collaborazione con il Professori Salvatore Veca e Giulio Giorello: ancora oggi mi avvedo quanta verità ci fosse nella sua disanima sferzante agli sprechi, ed alle scelte superficiali compiute in seno alla UE, nei confronti della ricerca scientifica. Le sue analisi, oggi, possono essere considerate molto più che circostanziali, anzi oserei dire profetiche, dato il vigente “status quo”.
Quando ci congedammo, per l’emozione di averlo potuto incontrare mi scordai di scattarci una foto insieme ( la mia caporedattrice mi sgridò per questa imperdonabile dimenticanza); tuttavia oltre al ricordo di aver potuto colloquiare amabilmente con lui, conservo il suo disegno ed una copia del suo libro autografato, L’Universo senza fine. Breve storia del Tutto; passato e futuro del cosmo, una summa originale e creativa di divulgazione fisica ed astrofisica, in grado di appassionare tutti per gli aspetti storico-filosofici e l’enfasi appassionata ed estetica con cui celebre l’immensa bellezza insita nel cosmo.
Purtroppo il Prof.Regge è recentemente scomparso; so che venne insignito nel 1979 della Medaglia Einstein, una prestigiosa onorificenza, oltre la quale c’è solo il Nobel, che, a mio giudizio, avrebbe degnamente meritato per la elaborazione di una sua teoria in grado di quantizzare la gravità, ora definita come “Regge Calculus” … La sua poliedricità resterà imperituro esempio di come uno scienziato, possa, coniugando fantasia e matematica, umanesimo e scientificità,astrazione e fisica pura, adoprarsi a comprendere, gli aspetti molteplici dello scibile, analizzandone con piglio critico ma anche sensibile, i suoi più disparati linguaggi. Il suo ultimo libro, in collaborazione con Stefano Sandrelli, è “L’Infinito cercare. Autobiografia di un curioso” edito da Einaudi. E già dal titolo si può evincere quanto questo Professore, fosse veramente innamorato del sapere, uno spirito libero, sempre coinvolto nella ricerca ed ugualmente appassionato revisore della realtà in cui viveva…

Stefania Genovese

La Notte Europea dei Ricercatori: ormai ci siamo!

RhOME for denCity! L’Italia è campione del mondo in Architettura Sostenibile

In un mondo sempre più globalizzato e con gran parte del lavoro manifatturiero affidato sempre più alle macchine e sempre meno all’uomo, la redistribuzione della ricchezza globale – che porta benessere – generata finora per la maggior parte dalla produzione industriale rischia di bloccarsi definitivamente. Emerge quindi la necessità di spostare  la richiesta di lavoro dalla produzione di beni verso nuovi servizi e comparti dove la presenza umana è importante. Questa sfida può essere vinta solo puntando sulla scolarizzazione universitaria di massa, sulle specializzazioni e la ricerca scientifica.
A chi obbietta che “la cultura non si mangia”  e a chi esprime perplessità sulla ricerca di base definendola dispendiosa e senza ricadute immediate, basta ricordargli le zampette di rana di Alessandro Volta o gli esperimenti di Michael Faraday che dettero l’abbrivio per le Equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo. Senza il contributo di scienziati e ricercatori come loro non ci sarebbero state tutte le comodità, i beni e i servizi che abbiamo oggi.
Per questo l’Unione Europea conta molto sulla scienza, la cultura e la ricerca per il suo futuro.

Poco tempo fa illustrai per sommi capi la prossima Notte Europea dei Ricercatori, progetto finanziato dalla Commissione Europea nata per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della ricerca scientifica in Europa.
La manifestazione che ne fa da cornice è la Settimana della Scienza che inizia il 22 settembre e termina il 26, il cui tema, ricordo, è la Sostenibilità intesa nelle sue diverse espressioni: dall’ambiente all’architettura, dall’agricoltura all’energia, passando per tutte le voci interessate, ma non solo. Ad esempio a Roma si parlerà anche di dinosauri e di vulcani extraterrestri, ma anche di scuola nell’era  della globalizzazione per un futuro sostenibile, mentre a Frascati sarà ospite l’astronauta italiano Paolo Nespoli.
Insomma i temi trattati sono ampi e vari, vale la pena di consultare il link al programma della Notte Europea dei Ricercatori disponibile qui, o cercare tra le varie città più vicine cosa offrono per l’occasione.
E come ormai è uopo ricorrere ai servizi di social networking per coinvolgere sempre più persone, anche per la Notte Europea Dei Ricercatori dalle 20:00 del 26 settembre sarà disponibile l’hashtag Twitter #ern. Così sarà possibile seguire in tempo reale la manifestazione ovunque voi siate.

 

Cosa c’era prima e il centro dell’Universo

 

Per la scienza sono più importanti le domande che le risposte. Potremmo considerarle, a ragione, proprio il motore dell’evoluzione umana. Le risposte sono invece, quasi per definizione, parziali e imprecise. Se non lo fossero, a risentirne sarebbe proprio lo sviluppo del pensiero umano, Se ci fossimo accontentati della cosmologia aristotelica, forse ora sarei qui a parlare di emicicli. Se avessimo seguito la convinzione imperante alla fine del XIX secolo che tutto era stato ormai scoperto, sicuramente oggi non saremmo qui perché la rivoluzione elettrica ed elettronica non sarebbe stata possibile senza il coraggio di chi ha saputo rimettere in discussione quanto era stato prima affermato.
Anche le mie risposte possono rivelarsi sbagliate, d’altronde non ho la scienza infusa in me e né pretendo di averla; questo lo lascio giudicare a voi. Comunque ricordate che sono sempre le domande che fanno il progresso.

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Qualche volta mi è capitato di partecipare a convegni e conferenze di cosmologia e tra gli interventi del pubblico in sala al momento del dibattito ricorrono spesso delle domande apparentemente banali, quasi fanciullesche nell’esposizione ma che in realtà invece sono terribilmente complesse. 
Rispondere a queste domande non è facile quanto porle, il problema vero sta nella nostra naturale e limitata capacità di intuire l’Universo e nel linguaggio per esprimerlo.
Come ebbe a dire Galileo Galilei, la matematica è l’alfabeto con cui Dio ha scritto l’Universo e il linguaggio per descriverlo il più fedelmente possibile è appunto la matematica. Invece il linguaggio naturale che abbiamo sempre parlato è un linguaggio limitato per esseri limitati, descriviamo tutto coi nostri sensi, con le nostre esperienze e limiti. Diamo per scontato che tutto abbia un inizio e quindi poi una fine; che ci siano solo tre dimensioni spaziali perché sperimentiamo continuamente un sopra e un sotto, un qui e là, un avanti e un indietro. 
Un magistrale racconto  scritto nel 1884 da Edwin Abbott, Flatlandia 1, esprime più di ogni altra parola il concetto della ristrettezza del nostro linguaggio naturale. Questa limitata capacità di linguaggio si riflette poi nella comprensione della complessità del Cosmo; per questo viene spontaneo farsi queste domande.

  • Se è vero che l’Universo si espande, attraverso cosa si espande?

Expansion of spacetime Copyrigh: Iole Vaccaro Emozioni Grafiche in Movimento

Expansion of spacetime
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Tutti noi abbiamo un orologio o un segnatempo, sia  esso anche una clessidra per cuocere le uova.
Quando lo osserviamo non ci stupiamo dei secondi, dei minuti e delle ore che crescono sempre. Lo diamo per scontato, assumiamo per vero e inconfutabile che oggi è un giorno più di ieri come dopodomani saranno due giorni a partire da oggi. Come diamo anche per scontato che nel tempo di una clessidra, un uovo immerso nell’acqua bollente si cuocia.
Le notizie che il tempo scorre sempre e solo nella direzione in cui aumenta e che una volta cotto un uovo non possa mai tornare crudo, non ci scandalizzano affatto.
Da quando Albert Einstein dimostrò che il tempo è in effetti una quarta dimensione di un insieme più ampio chiamato spaziotempo, è perfettamente naturale aspettarsi che lo stesso dinamismo valga anche per le tre restanti dimensioni spaziali.
E in effetti anche le distanze tra gli oggetti nel nostro universo aumentano inesorabilmente: è quella che chiamiamo Espansione Universale, scoperta da Hubble negli anni 20 del XX secolo riguardo all’allontanamento reciproco delle galassie [cite]http://ilpoliedrico.com/2012/10/la-costante-di-hubble-e-i-modelli-cosmologici.html[/cite]. Il valore oggi più accreditato per la Costante di Hubble $H_0$  è di 74,3 km/s per megaparsec, ossia ogni secondo un megaparsec è più grande del secondo precedente di 74,3 chilometri. Se vi sembra un numero gigantesco, considerate che ogni secondo un metro di spazio si allunga di  2,407 attometri 2. Pensate che perché un metro si allunghi tanto da includere un atomo di idrogeno (50 picometri 3) occorrono più di 20 milioni di anni.
Esso cresce continuamente, ma non per questo significa che si espanda dentro qualcosa, aumenta le sue dimensioni stirando e appiattendo lo spazio precedente, continuando ancora oggi l’esperienza della sua formazione 4.
Come vedete, lo spazio si comporta esattamente come il tempo. Anche la direzione è la stessa. Il tempo, lo spazio e la direzione dell’entropia puntano esattamente nella stessa direzione, forse l’unica direzione che permette la vita nell’Universo e la stessa che vi garantisce un uovo alla coque nel tempo di una clessidra. 

  • Dov’è il centro dell’Universo?

Credit: il Poliedrico

Credit: il Poliedrico

Semplice, nell’osservatore; il che equivale che lui e solo lui è nella condizione privilegiata di esserlo o che lo è ogni punto dell’Universo.
Un osservatore vedrà la stessa cosa ovunque egli sia e in qualsiasi epoca: il raggio d’azione dei suoi sensi è legato all’età stessa dell’Universo, il tempo di Hubble 5.
Pertanto che si trovi qui ora, o sulla galassia più lontana nel passato, nel presente o nel futuro, avrà il privilegio di percepirsi sempre al centro dell’Universo. Per quanto ai nostri sensi appaia incredibile un vero centro geometrico l’Universo non ce l’ha!

  • Cosa c’era prima del Big Bang?

Mappa della radiazione cosmica di fondo dell?Universo. È il più antico segnale che potremmo mai ricevere.

Mappa della radiazione cosmica di fondo dell?Universo. È il più antico segnale che potremmo mai ricevere.

Questa è la domanda delle domande. Forse è la più diffusa e difficile a cui rispondere, e forse perché non c’è veramente una risposta.
Potrei dire che la scienza ufficiale non può dare una risposta perché essa è limitata dalla fisicità dell’universo. Le leggi fisiche finora conosciute ci consentono di  esplorare fino a pochi istanti prima di quel fenomeno, chiamato Big Bang, che supponiamo abbia originato il nostro universo. Per andare ancora oltre quei primissimi istanti occorre una legge della gravità quantistica, che sappia cioè unire la forma della gravità relativistica classica con i principi della meccanica quantistica.
Purtroppo, pur intuendone molti aspetti esteriori, una legge simile ancora non è stata trovata [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/04/ricerca-santo-graal-fisica-gravita-quantistica.html[/cite].
Innanzitutto occorre precisare che nessuno mai potrà vedere direttamente il Big Bang. L’evento più vicino al Big Bang che è possibile vedere direttamente è la Radiazione Cosmica di Fondo a microonde che altro non è che il fronte di quando l’Universo divenne abbastanza grande e freddo da permettere alla materia e l’energia di disaccoppiarsi quando l’Universo aveva appena 380 000 anni.
Si suppone che i fotoni generati dal Big Bang possano aver lasciato la loro orma su questo muro sotto forma di radiazione altamente polarizzata, ed è quello che si sta cercando di capire attraverso una mappatura estremamente accurata con vari strumenti sia in orbita che sulla Terra [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/04/echi-lontano-passato-novita.html[/cite] [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/06/echi-lontano-passato-incertezze.html[/cite].

Before the Big Bang Copyrigh: Iole Vaccaro Emozioni Grafiche in Movimento

Before the Big Bang
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Ma di tutto quello che accadde tra il Big Bang e il disaccoppiamento materia-energia è frutto di simulazioni matematiche basate sulle leggi fisiche conosciute e applicate a quelle condizioni particolari. Questo metodo consente di risalire a condizioni fisiche esistenti fino a poche frazioni di secondo a partire dal Big Bang. Ovviamente queste condizioni particolari della materia-energia nell’Universo primordiale sono state verificate con esperimenti della Fisica delle Alte Energie, quindi anche se poi alla luce di nuove scoperte scientifiche dovessero rivelarsi errate, è importante ricordare che comunque non sono semplici ipotesi campate in aria. Risolvere l’altra frazione di secondo è tutta un’altra storia; come ho detto occorre una nuova fisica che contempli sia la gravità classica che la meccanica quantistica in un’unica, nuova, struttura.
Di conseguenza non sappiamo nulla dell’istante in cui è nato l’Universo, sappiamo solo quello che è successo in seguito. La scienza si ferma qui, questo è il limite ultimo in cui uno scienziato può rispondere con sicurezza. Il resto sono solo speculazioni e congetture che esulano dalla scienza ed entrano nel campo della metafisica.

 Dopo questa importante premessa sui limiti dell’attuale scienza potremmo anche avviarci lungo un cammino per esplorare le varie risposte date da cosmologi, fisici e teologi che vanno da un ribollio caotico di nuovi universi in perenne nascita con leggi fisiche e dimensioni diverse fino al disegno intelligente di qualcosa che si pone fuori dalla creazione che di cui ne è anzi opera.
A questo punto il cammino per scoprire cosa c’era prima del Big Bang si fa incerto, senza l’appoggio di un bastone affidabile come la scienza, quale percorso scegliere? 


Note:

Come ti calcolo le proprietà di un esopianeta, le altre proprietà

 Finisce qui il lungo capitolo “Come ti calcolo le proprietà di un esopianeta“. Mi sono divertito un sacco a scriverlo come spero voi vi siate divertiti a leggerlo. È stato un argomento abbastanza impegnativo da trattare, dimostrare come un tenue affievolimento delle luce di una stella può sussurrare molte cose all’orecchio, o meglio all’occhio, di chi sa ascoltare e leggere il grande libro del cosmo. I metodi, le formule e i calcoli  da me illustrati non sono e non pretendono di essere esaustivi e precisi, ma vogliono essere semplicemente di stimolo alla curiosità del lettore. In fondo questo è lo scopo di questo Blog.

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exoplanetaUna volta scoperte le principali proprietà fisiche di un esopianeta, ossia raggio del pianeta, orbita, massa e temperatura di equilibrio, è possibile, in linea teorica risalire alle altre, come densità (questa è facile) struttura interna e in linea di massima pure la struttura dell’atmosfera, ovvero quali gas possono comporla dal punto di vista teorico.
Ovviamente non sarà mai possibile ottenere un quadro attendibile per questi ultimi due punti partendo dalla semplice osservazione dei transiti orbitali e basta, ma perlomeno così si ha un’indicazione su come proseguire nella ricerca.

Nel primo articolo [cite]http://ilpoliedrico.com/2014/07/come-ti-calcolo-le-proprieta-di-un-esopianeta-prima-parte.html[/cite] fu dimostrato come attorno ad una stella K7 orbitasse un pianeta grande quasi il doppio di Nettuno (42 000 km) a soli 44,6 milioni di chilometri dalla stella. e una temperatura di equilibrio di 263 °K.
La massa, finora indeterminata per via del metodo di rilevamento, viene infine stimata intorno alle 9,5 x 1026 kg,circa 159 volte la Terra.

La densità

Il calcolo della densità non è poi così difficile. Basta dividere la massa per il volume, ovvero:
δp=mp4πrp33


9,5×1026kg3,1×1023m3=3,06×103kg/m3

La velocità di fuga e la gravità superficiale

Anche se è nota al grande pubblico soprattutto per la sua importanza nella balistica e nella missilistica, in realtà essa domina la struttura e la composizione delle atmosfere planetarie assieme al parametro della temperatura di equilibrio [cite]http://ilpoliedrico.com/2013/05/lo-spessore-delle-atmosfere-planetarie.html[/cite]. La velocità di fuga si ha quando l’energia cinetica del corpo e il modulo della sua energia potenziale gravitazionale si equivalgono, e questo vale per un missile, un sasso, un atomo e un fotone, nel caso di un buco nero. Per un qualsiasi corpo, pianeta o stella che sia non è difficile da stabilire, basta conoscere la sua massa e il raggio.

vf=2GMR


29,5×1026kg(6,671011m3kgs2)4,2×107m=54,930km/s

Lo stesso discorso vale anche per la gravità superficiale:
gs=GMR2


(6,671011m3kgs2)9,5×1026kg(4,2×107m)2=35,921m/s2

Così si scopre che questo ipotetico esopianeta ha una densità simile alla Luna ma con una velocità di fuga che  è di poco inferiore a quella di Giove mentre la gravità alla superficie è una volta e mezza quella del ben noto gigante gassoso. Probabilmente è un grande mondo di silicati e un nucleo ferroso avvolto da una densa atmosfera. Quasi altrettanto certamente non è un buon posto per cercarvi forme di vita di tipo terrestre.