Le correnti dello spazio

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Credit: Max Camenzind @ CamSoft, University of Heidelberg.

Credit: Max Camenzind @ CamSoft, University of Heidelberg.

Credit:

Credit: H. Courtois, D. Pomarède; SDvision

Credo che ormai siano rimasti in pochi a non avere mai visto una immagine come questa qui sopra: essa descrive in maniera abbastanza accurata la struttura a grande scala dell’Universo, da quando questo ha assunto il suo aspetto attuale dopo il disaccoppiamento tra materia ed energia, la formazione delle prime galassie ad oggi. La pressione di espansione dell’Universo ha diradato la materia in lunghi filamenti che l’attraversano per intero, intervallati da ampi spazi di vuoto che neppure la migliore tecnologia attuale può riprodurre: un atomo di idrogeno – un protone e il suo elettrone – per metro cubo. Però sono tutte immagini più o meno statiche, molti filmati non fanno altro che evidenziare la geometria frattale dell’Universo con zoom più o meno elaborati. Quello che hanno fatto invece i ricercatori Helene Courtois, Daniel Pomarede, Brent Tully, Yehuda Hoffman e Denis Courtois è stato di creare un filmato dell’universo locale tenendo conto  e rappresentando  i moti peculiari di oltre 30000 galassie comprese in circa 350 milioni di anni luce 1.

Il dipolo perfetto mostrato dal Cosmic Background Explorer nella Radiazione Cosmica di Fondo indica che l'Ammasso della Vergine, a cui appartiene la Via Lattea e il Gruppo Locale, è dotato di un moto centrato sul superammasso chiamato Grande Attrattore.

Il dipolo perfetto mostrato dal Cosmic Background Explorer nella Radiazione Cosmica di Fondo indica che  la Via Lattea – e il Gruppo Locale – si muove verso l’Ammasso della vergine che a sua volta si muove apparentemente verso il Grande Attrattore.

Le galassie prese in esame non sono poi molte, tenendo conto di un limite ragionevole alla magnitudine bolometrica pari a $M_B$ -16. Praticamente tutte le galassie comprese entro un raggio di 43 milioni di anni luce sono state incluse nello studio, mentre a 350 milioni di anni luce solo una galassia su 13 è stata presa in esame, per un totale che rappresenta comunque il 40% delle galassie racchiuse nello spazio considerato. I rimanenti oggetti più deboli dovrebbero ragionevolmente seguire le medesime influenze delle galassie più luminose e pertanto la loro assenza non è poi così significativa.

Tra i diversi temi affrontati, questa ricerca prova a dare una spiegazione anche alla polarità osservata nella Radiazione Cosmica di Fondo (Cosmic background radiationCMB in inglese) che mostra come la Via Lattea abbia un moto peculiare di circa 630 km/s rispetto ad essa. Questo studio evidenzia infatti almeno due grandi correnti distinte che si muovono verso strutture molto più grandi – superammassi – di cui solo uno, il Grande Attrattore 2, è compreso nello spazio preso in esame. Queste correnti fanno da cornice a vaste zone di vuoto, il Vuoto Locale 3  e finora sono state staticamente interpretate come fogli, gusci o filamenti di galassie, mentre preferisco vederle in modo più dinamico, correnti di materia che attraversano l’Universo.

Ma adesso lasciamo parlare  le immagini. Buona visione.

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Altri riferimenti:

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  3. [tpsingle id=”62″]
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Note:


La Via Lattea vista dal Qomolangma

Credit: http://www.flickr.com/photos/ykumsri/

Qomolangma è il nome tibetano del monte Everest (si pronuncia Chomolangma) che significa “Dea della montagna”. Noi la chiamiamo Everest dal nome del geometra Sir George Everest che ne disegnò una mappa nel 1852. Ma i primi in realtà furono i cinesi della dinastia Qing (1644-1912) che ne fecero una mappa nel 1717.

Castore & Polluce

Non capita poi spesso ma qualche volta mi stupisco anch’io. Come per questa foto ripresa nel bel mezzo del nulla, con il mio smartphone appoggiato sul tettuccio dell’auto e sorretto dal  portamonete.

Questa sera stavo percorrendo la mia solita strada ad un’ora piuttosto insolita – per me – per sbrigare una faccenda.
Bassa all’orizzonte, vividissima, appariva Venere rapendomi il mio sguardo. Non conto più le volte che ho osservato quella luce vividissima, al mattino, prima dell’alba, la sera subito dopo il tramonto fino a tardissimo quando è più lontana dal Sole. Ho persino visto la sua ombra, quando è più brillante che mai.
Così decido al ritorno di fermarmi a fotografare il fulgido pianeta, giusto per provare un nuovo programma di scatto sul mio smartphone che promette di regolare il tempo di esposizione.
Quello che vedete è il risultato: la risoluzione non eccelle, 1280 x 720 a lunga esposizione, ma 3200 ISO, apertura f/2,4 per una lunghezza focale di 4,48 millimetri e soprattutto ben 5 secondi di esposizione hanno fatto la differenza.

Così nella foto ho trovato Venere, Castore, Polluce e Capella. Una buona ripresa, non c’è che dire!

Le continue sorprese di Oppy

La roccia pallido in alto al centro di questa immagine, delle dimensioni di un avambraccio umano, include un obiettivo chiamato "Esperance", che è stato ispezionato da Mars Exploration Rover Opportunity della NASA. I dati di particella alfa a raggi X spettrometro del rover (APXS) indicano che la composizione di Esperance è più alta in alluminio e silicio, e più basso di calcio e ferro, di altre rocce Opportunity ha esaminato a più di nove anni su Marte. Punti di interpretazione preliminari al contenuto di argilla minerale a causa di alterazione intenso da acqua. Credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell/Arizona State Univ.

La roccia più chiara al centro di questa immagine, chiamata “Esperance”, è stata analizzata dal Mars Exploration Rover Opportunity della NASA. I dati dello spettrometro del rover (APXS) indicano che la composizione di Esperance è più ricca di alluminio e silicio, e più povera di calcio e ferro delle altre rocce fin qui esaminate in più di nove anni su Marte. 
Credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell/Arizona State Univ.

C’è stato sicuramente un tempo in cui l’ambiente marziano era molto più complesso e per certi versi più bizzarro di quanto appaia oggi.
Nel suo cammino Curiosity ha scoperto il letto di un antico fiume e la presenza di bacini argillosi, testimoni silenziosi di un passato ricco di acqua. Al contrario,  il  Mars Reconnaissance Orbiter ha mostrato che i sedimenti del Monte Sharp verso cui Curiosity sta viaggiando sono di origine eolica quando gli scienziati si aspettavano sedimenti idrologici. Prima di cedere tre anni fa, il robottino ad energia solare Spirit scoprì sedimenti di carbonati 1 presso un gruppo di rocce battezzate Comanche, all’interno del Cratere Gusev, chiaro indicatore che lì era scorsa acqua con un pH abbastanza neutro 2, mentre dall’altra parte di Marte, Meridiani Planum, Opportunity trovò della jarosite, un minerale del gruppo delle aluniti, che si forma in presenza di acqua e terreni molto acidi 3.
Il 12 maggio scorso Opportunity (Oppy per gli amici) ha scoperto nelle stessa regione, nei pressi del Cratere Endeavour, una roccia che in passato è stata a contatto di acqua molto meno acida di quanto finora avesse analizzato.

L'affioramento Esperance al microscopio.

L’affioramento Esperance al microscopio.
Credit: NASA/JPL-Caltech/Cornell Univ./Arizona State Univ.
Elaborazione: Alive Universe Images

Questa roccia, chiamata Esperance è un affioramento argilloso ricco di alluminio e silicio e piuttosto povero di calcio e ferro rispetto alle rocce incontrate finora su Meridiani Planum. La presenza di smectite 4 nei pressi del cratere Endavour era stata segnalata da circa due anni dal Mars Reconnaissance Orbiter.

In assenza di strumenti atti a erodere la superficie marziana, i tecnici di Opportunity hanno dovuto raschiare il suolo con ripetuti passaggi del rover sul solito punto, rischiando anche di mancare l’appuntamento col luogo prefissato per il letargo invernale del piccolo robot 5.

Niente paura, Opportunity solca la superficie marziana da più di 9 anni e in tutto questo tempo ha percorso più di 36 chilometri sulla superficie di un altro pianeta. Il record per ora è del rover sovietico Lunokhod 2  che nel 1973 percorse circa 37 chilometri sulla Luna, Oppy saprà fare sicuramente di meglio negli anni a venire regalandoci altre meravigliose avventure!


L’equilibrio idrostatico nelle atmosfere planetarie

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Cercare altre forme di vita complesse al di fuori del nostro pianeta non può prescindere dal cercare innanzitutto habitat anche solo potenzialmente adatti; per questo ho in passato affrontato temi importanti come la stima della CHZ (Circumstellar Habitable Zone), dello spessore delle atmosfere e della necessità di un campo magnetico planetario adeguato a protezione di queste. Solo il tempo e nuovi strumenti di indagine potranno aiutare ad individuare questi habitat alieni, io mi limito solo a indicare, anche col vostro prezioso contributo di commentatori, quali condizioni a contorno sono necessarie – allo stato attuale delle conoscenze – affinché un habitat sia potenzialmente adatto alla Vita.

equilibrio idrostatico

Gli strati di una atmosfera e il loro equilibrio idrostatico.
Credit: Il Poliedrico

Dopo avere visto quali meccanismi sono alla base della genesi di una atmosfera planetaria e quali altri elementari meccanismi regolano il suo spessore, adesso è giunto il momento di affrontare il tema forse più ostico di tutti: quali sono le condizioni fisiche di una atmosfera.
Queste condizioni non sono solo dettate dalla cruda composizione chimica ma anche dai valori di temperatura, densità e pressione presenti.
Ad esempio dalla stima della pressione è possibile ipotizzare la presenza di acqua in fase liquida sulla superficie di un pianeta per un dato intervallo di temperature sopra il suo punto di congelamento 1, una delle diverse condizioni a contorno – probabilmente – necessarie alla nascita e allo sviluppo della Vita.
La temperatura è l’energia cinetica delle particelle, più essa è alta e più velocemente gli atomi – oppure le molecole – si muovono, mentre per la densità dei gas di solito ci si riferisce al numero delle particelle per unità di volume.
La pressione di un gas è la quantità di forza esercitata su una superficie per unità di area dalle sue particelle costituenti 2 che si muovono in modo del tutto casuale e la cui velocità è proporzionale alla temperatura del gas.
Riassumendo questo concetto in termini puramente matematici scriveremmo:
\[
P_{ressione}=\frac{F_{orza}} {A_{rea}}
\]
In pratica potremmo considerarlo il peso dell’aria su una superficie al livello del mare: un chilogrammo per centimetro quadrato sulla Terra, su Venere sarebbero 92 Kg/cm2 (92 bar) e così via 3.

Questi tre parametri apparentemente così diversi sono in realtà legati 4 da una equazione di stato, la Legge dei Gas Perfetti. Adesso in natura non esiste un’atmosfera che sia un Gas Ideale, ma molti gas reali, quali azoto, ossigeno, idrogeno etc. possono essere considerati con buona approssimazione come Gas Perfetti.
Per questa legge, un raddoppio di temperatura o un raddoppio della densità di un gas porta al raddoppio della sua pressione 5.

spinta idrostatica piccolaMa come abbiamo visto nel precedente articolo, la gravità svolge un ruolo determinante per determinare lo spessore, e quindi il volume, di una atmosfera. La gravità attrae verso il suo centro tutte le sue particelle – potremmo dire verso il basso – mentre l’agitazione termica delle particelle le si oppone.
Con un volume ben definito, possiamo immaginare una atmosfera come un qualsiasi sistema (recipiente) chiuso. Qualsiasi variazione nella densità o nella temperatura di una atmosfera quindi si riperquoterà sulla sua pressione. Ma esiste un equilibrio ben preciso che lega la pressione di un gas alla forza di gravità: si chiama equilibrio idrostatico 6.
Come mostra la figura qui accanto, alla gravità si oppone una forza chiamata gradiente di pressione verticale. Una particella a una certa quota è sovrastata da un numero minore di altre particelle rispetto a una che è al suolo, per cui la pressione esercitata su di essa dalle altre decresce con l’aumentare dell’altezza. Questo spinge i gas a salire, cioè a passare da dove la pressione è maggiore verso quote dove la pressione è minore, opponendosi alla forza di gravità. Quando le due forze opposte si bilanciano si parla appunto di equilibrio idrostatico. Questo processo suddivide l’atmosfera in strati di diversa pressione e temperatura – e per certi versi anche di composizione chimica –  diversi tra loro.
Matematicamente avremmo:
\[
F_P=\Delta P \cdot A
\]
Dove $\Delta P$ è la differenza tra la pressione inferiore e quella superiore di uno strato mentre $A$ è la sua area analizzata. Invece la forza di gravità è data da:
\[
F_G = -m \cdot g
\]
dove $g$ è l’accelerazione di gravità del pianeta considerato 7 e $m$ la massa dello strato di atmosfera considerato. Se l’equilibrio idrostatico si ha quando $F_P=F_G$ e se $\Delta z$ è lo spessore dello strato indicato di densità $p$ allora:
\[
\Delta P \cdot A = -p \cdot A \cdot \Delta z \cdot g
\]
ossia
\[
\frac{\Delta P} {\Delta z} = -p \cdot g
\]
Ovviamente questa trattazione matematica è sui generis, non tiene conto di migliaia di altri fattori come l’insolazione, i moti verticali nel fluido atmosferico, la Forza di Coriolis, i venti etc. Semplicemente dice quanto la pressione – legata al prodotto tra la densità dello strato $p$ e $g$ – vari di una certa quantità $\Delta P$ al  variare di una certa quota $\Delta z$.

Con questo articolo non si conclude certo l’argomento trattato, ossia le atmosfere planetarie, ma aggiunge un altro tassello al complesso mosaico della planetologia nella speranza che un giorno potremo veramente studiare una vera atmosfera di un esopianeta roccioso. Spero che questa mia fatica ricompensi voi lettori a leggerla quanto me a scriverla.


La genesi delle atmosfere planetarie

Nello scorso articolo ho mostrato come lo spessore di una atmosfera planetaria sia sostanzialmente il risultato di un compromesso tra due forze opposte: la velocità di fuga e la velocità molecolare dei gas che la compongono. Ma per comprendere questa componente essenziale di un pianeta occorre capire come si forma.

In questa immagine del 2007 ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale si può vedere un riflesso del Sole sull'Oceano Pacifico. Questo è quello che gli astronomi tentano di rilevare. Credit: NASA

Questa immagine è stata ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale nel 2007 e mostra parte dell’Oceano Pacifico. Le nubi e l’acqua liquida rendono questo pianeta perfetto per ospitare la vita. Credit: NASA

Una atmosfera planetaria è governata principalmente da due forze contrapposte. Il risultato finale è una stratificazione dei gas che la compongono: gli elementi più pesanti e lenti occupano gli strati inferiori, contribuendo così in maniera determinante alla composizione chimica dell’atmosfera al suolo mentre quelli più leggeri – e veloci – determinano la chimica degli strati superiori.

Però purtroppo questi indizi di per sé importanti non dicono poi molto sulla composizione chimica finale che dovremmo aspettarci in un pianeta. Per quello, per ora, l’unico modo che abbiamo per cercare di capire la composizione di un’atmosfera è quella di rifarsi alla storia del nostro Sistema Solare e alle teorie più accreditate sulla formazione dei sistemi planetari 1.

La cattura nebulare

I pianeti rocciosi del nostro Sistema Solare si formarono in una zona densa e calda (circa 700-1000 Kelvin) del disco protoplanetario 2, ricca di elementi chimici pesanti – ne è la prova la densità media dei pianeti stessi – e piuttosto povera di quelli più leggeri 3. Questo significa che di elementi e composti gassosi sopravvissuti alla fase di formazione planetaria ce n’erano davvero ben pochi e le primitive atmosfere composte prevalentemente da idrogeno scomparvero appena il Sole iniziò a brillare quasi 5 miliardi di anni fa. Queste tenui atmosfere vennero spazzate via dal vento stellare che ripulì – e raffreddò – l’appena nato sistema planetario, mentre i precursori degli attuali pianeti continuarono a raccogliere i grumi di materia ormai solida che incontravano durante la loro orbita. Quei grumi, conosciuti come materiale asteroidale, ogni tanto giungono ancora oggi sulla Terra e li chiamiamo meteoriti.

Il degasaggio durante l’accrezione

Questo meccanismo è una via di mezzo tra la cattura nebulare e il degassamento tettonico. La cattura dei corpi minori che si erano solidificati dopo l’accensione della stella da parte dei protopianeti maggiori, continuò per svariati milioni di anni, seppur in maniera decrescente con l’andar del tempo 4.
Molti di questi corpi avevano incorporato e protetto dalla radiazione stellare parte del gas nebulare, altri avevano incorporato alcuni composti particolarmente volatili come ioni ossidrili (OH), acqua, carbonio, zolfo e cloro nella loro struttura chimica, altri ancora potevano aver intrappolato i composti volatili con entrambi questi metodi.
Questi corpi una volta catturati dai protopianeti avrebbero potuto liberare parte o tutto il materiale più volatile in loro possesso dando luogo a una primitiva atmosfera.

Il degassamento tettonico

I pianeti appena formati erano molto caldi, oltre il punto di fusione delle rocce. Questo era dovuto principalmente sia al continuo impatto dei corpi minori sulla loro superficie, che ai fenomeni di decadimento radioattivo degli isotopi pesanti che i pianeti avevano catturato durante il loro processo di formazione. Iniziò quindi un processo di differenziazione planetaria che portò alla separazione degli elementi chimici più pesanti da quelli più leggeri 5 e all’avvio di imponenti fenomeni tettonici che liberarono enormi quantità di gas come vapore acqueo, anidride carbonica, idrogeno, acido cloridrico, ossido di carbonio, zolfo e azoto, molto simili ai gas che ancora oggi i vulcani terrestri ancora emettono.

Nel Sistema Solare

Diagramma di fase dell'acqua. La possibilità dell'acqua di rimanere allo stato liquido a pressioni molto elevate le consente di svolgere il ruolo di lubrificante delle placche continentali. Fonte dell'immagine: Wikipedia.

Diagramma di fase dell’acqua.
La possibilità dell’acqua di rimanere allo stato liquido a pressioni molto elevate le consente di svolgere il ruolo di lubrificante delle placche continentali.
Fonte dell’immagine: Wikipedia.

Restando all’interno del Sistema Solare, Mercurio, che oltre ad essere il più piccolo pianeta roccioso del sistema, è anche il più vicino al Sole e ha la densità più alta di tutti: 5,43 g/c3. Non possiede una  atmosfera imponente come Venere e Terra, ma neppure come Marte che, nonostante sia il doppio come dimensioni, ha una gravità superficiale – e quindi una velocità di fuga – molto simile. Infatti la pressione superficiale al suolo di Mercurio è appena 10-15 bar, mentre quella di Marte è ben più importante: 0,006 bar!
Venere e Terra sono molto simili come dimensioni, massa e densità. Eppure Venere ha una gigantesca atmosfera ipersatura di anidride carbonica mentre la Terra, fortunatamente per noi ora, no. Venere è più vicina al Sole e il suo periodo di rotazione è ora di oltre 116 giorni terrestri. Sicuramente questo non è stato sempre così, la possente atmosfera e l’azione mareale del Sole su di essa hanno agito da freno sul pianeta. Su Venere l’acqua che veniva rilasciata dai fenomeni tettonici e quella catturata dalle comete non è riuscita a liquefarsi e a catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera facendola precipitare come carbonato sul fondo degli oceani. Niente acqua liquida alla superficie vuol dire che anche l’attività di subduzione si è progressivamente fermata. Questo significa che anche il ciclo di trasporto del carbonio nel mantello del pianeta si è fermato e il calore interno adesso viene trasportato solo da fenomeni parossistici di vulcanismo che rilascia ancora ingenti quantità di altri gas serra come anidride carbonica e vapore acqueo rimasti intrappolati nel mantello dal tempo della sua formazione. Ecco perché Venere ha una atmosfera composta perlopiù da anidride carbonica (il 95%) all’incredibile pressione di 92 bar e a circa 730 Kelvin di temperatura al suolo!
Per la Terra non ho molto da dire, ho già descritto la storia della sua atmosfera in passato 6, senonché la maggiore distanza dal Sole ha permesso qui all’acqua di liquefarsi e di sottrarre l’anidride carbonica dall’aria. L’acqua liquida è arrivata fino alla parte superiore del mantello dove ha così potuto mantenere attiva la dinamica della tettonica a zolle che ha dissipato buona parte dell’energia dovuta al calore interno del pianeta che così non è finita ad alimentare un grande vulcanismo come quello venusiano. In più non dimentichiamo l’importante ruolo che ha svolto la Luna sull’evoluzione della nostra atmosfera. Infatti la Terra è l’unico pianeta roccioso del Sistema Solare ad avere un imponente satellite – Phobos e Deimos di Marte sono solo due asteroidi catturati dal Pianeta Rosso per caso. La Luna ha stabilizzato il piano di rotazione della Terra come se l’intero sistema Terra-Luna fosse un enorme giroscopio, impedendo così all’azione mareale del Sole di dominare la rotazione del nostro pianeta  – come è invece successo a Venere – e al contempo ha sottratto tanta atmosfera proprio con le sua forza di marea. Il risultato è stata una atmosfera un po’ più sottile, una rotazione più stabile e anche il meccanismo della tettonica a zolle si è giovato della forza mareale lunare. Che dalla Sorella Luna forse sia dipesa l’abitabilità – per noi terrestri -di questo mondo probabilmente è un dato di fatto.

Su Marte e la sua atmosfera ho parlato qualche giorno fa, quindi ho poco altro da aggiungere. Marte è troppo piccolo per trattenere una atmosfera apprezzabile, appena 6 millesimi di bar al suolo. Forse però in passato grazie alla sua primordiale attività geologica che ci ha lasciato imponenti edifici vulcani ha potuto pompare abbastanza gas serra per mantenere per un breve periodo – forse qualche centinaio di milioni di anni – l’acqua allo stato liquido. Forse questo breve periodo ha visto nascere la Vita sul Pianeta Rosso, o forse no. Sulla Terra sono passati almeno 600 milioni o forse più prima che le prime forme di vita procariotiche si sviluppassero; e la Terra aveva sicuramente qualche carta in più da giocare rispetto a Marte.

Adesso sappiamo anche come si forma l’atmosfera di un pianeta roccioso, manca ancora cosa aspettarci a grandi linee sulla sua composizione, ma di questo ne parlerò prossimamente. Restate all’erta!


Lo spessore delle atmosfere planetarie

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In questi giorni sto ricevendo un sacco di complimenti e messaggi di incoraggiamento per questo Blog. Purtroppo adesso ho pochissimo tempo da dedicare alla ricerca e allo studio, e rispondere alla decine dei vostri messaggi richiede proprio quello che non ho. 
Come alcuni mi hanno chiesto, coloro che vogliono contribuire a questo sito offrendomi un caffè -in Italia si usa così -possono farlo attraverso il pulsante Donazione in fondo alla pagina sulla destra o cliccando sulla barra dei menù alla stessa voce. Sappiate comunque che vi ringrazio tutti per quanto scrivete.

La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto. Credit: Il Poliedrico

La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto.
Credit: Il Poliedrico

Quando si parla di esopianeti, di possibili altre forme di Vita e così via, diamo spesso per scontato troppe cose, come una atmosfera, che invece copre un ruolo molto importante nella dinamica di un pianeta.
Questa infatti offre scudo alle radiazioni ionizzanti provenienti dalla stella, protegge il suolo dai meteoriti più piccoli e infine modella la superficie del pianeta. Ma è anche un eccellente termoregolatore e la sua pressione al suolo favorisce o meno la presenza di acqua allo stato liquido 1.

Lo spessore di una atmosfera è deciso fondamentalmente dall’equilibrio tra la velocità di fuga di un pianeta e la sua temperatura. Un piccolo pianeta – come ad esempio è Marte – non possiede una gravità così alta da mantenere una atmosfera così spessa come la Terra.
La temperatura media dell’atmosfera stabilisce la velocità delle sue molecole: più sale la temperatura e più queste sono veloci. Se la velocità di una molecola supera la velocità di fuga, questa si disperderà nello spazio, mentre una più bassa temperatura dell’atmosfera tratterrà più molecole.
La regola – empirica – generale è che  se la velocità media di un gas è inferiore a 2 decimi della velocità di fuga almeno la metà sarà ancora trattenuto dal pianeta dopo un miliardo di anni, mentre se la velocità media supera questo valore almeno la metà abbandonerà il pianeta entro lo stesso arco di tempo 2.

Velocità  di fuga

La velocità di fuga 3 di un pianeta è abbastanza semplice da calcolarsi: $v_{fuga} = \sqrt {\frac{2Gm_{pianeta}}{distanza}}$, dove G è la Costante di Gravitazione Universale di Newton e la distanza è intesa come la distanza di un corpo dal centro di massa del pianeta. Per questo una molecola a 10 chilometri di quota potrà disporre di una velocità di fuga lievemente più bassa di una al livello del suolo.  Può sembrare poco ma a volte anche questo è significativo.

Temperatura

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura. Credit: Il Poliedrico

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura come conseguenza delle Leggi di Moto di Newton.
Credit: Il Poliedrico

La temperatura di un qualsiasi corpo non è altro che la misura del movimento – energia cinetica – delle sue molecole. Le molecole di un gas caldo si muovono più velocemente dello stesso gas freddo. Se questo gas viene raffreddato ulteriormente, acquista prima forma liquida e poi solida – transizione di fase. Allo stesso modo, un corpo solido se riscaldato a sufficienza diviene liquido e poi gas.
La relazione che lega la velocità molecolare con la temperatura è: $t=\frac{\left(m_{molecola} \cdot \bar{v}_{molecola}\right)^2}{3k_B}$, dove $k_B$ è la costante di Boltzmann 4, che vale $1,38 \cdot{10^{-23}} JK^{-1}$.
La velocità media di una molecola – o di un atomo – a una certa temperatura $t$ quindi è: $\bar{v}=\sqrt {\frac {3k_B \cdot t}{m_{molecola}}}$.
Ecco spiegato perché le molecole più pesanti a parità di temperatura si muovono più lentamente. Tra l’altro questa informazione aiuta a interpretare la composizione chimica di una atmosfera in base alla massa del pianeta e la sua distanza dalla stella: ad esempio un piccolo pianeta vicino alla sua stella -come Mercurio – potrà trattenere solo le molecole e gli atomi più pesanti 5, mentre pianeti più massicci e distanti possono trattenere un’atmosfera più spessa e composta da elementi più leggeri.


Il mistero dei barioni mancanti

L’ammasso di galassie nella Chioma di Berenice (Abell 1656) – Credit: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA). Acknowledgment: D. Carter (Liverpool John Moores University) and the Coma HST ACS Treasury Team.

Nel 1933 l’astrofisico svizzero Fritz Zwicky, del California Institute of Technology, applicò un metodo di indagine chiamato teorema del viriale all’ammasso di galassie della  Chioma e ottenne le prime prove dell’esistenza di una importante discrepanza tra la materia visibile e la massa misurata dell’ammasso.
Zwicky stimò che la massa totale dell’ammasso basata sui moti delle galassie vicino al suo bordo rispetto ad una stima in base al numero delle galassie totale dell’insieme era circa 400 volte più alta.
La gravità stimata delle galassie visibili nel ammasso sarebbe stata troppo piccola per giustificare la velocità di queste e quando ulteriori osservazioni confermarono in seguito i risultati di Zwicky, per i cosmologi si pose seriamente il “problema della massa mancante”.
Infatti a questo punto se si voleva mantenere intatto Il concetto dell’inverso del quadrato della distanza ( 1/R2 dove R è la distanza) che è la base della teoria della gravitazione, nasceva un bel problema scientifico: come giustificare questa differenza? Cos’è questa materia che ha una importante influenza gravitazionale ma che è di fatto invisibile alle analisi ottiche/elettromagnetiche?

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia cxircondata da un alone di materia oscura. Rielaborazione immagine:  Il Poliedrico

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia circondata da un alone di materia invisibile.
Rielaborazione immagine:
Il Poliedrico

Il Modello Cosmologico Standard suggerisce che tutto l’Universo è composto per il 4,9% da materia barionica – neutroni, protoni, elettroni (anche se questi non sono proprio barioni) – ordinaria, il 26,8% da una forma di materia totalmente sconosciuta che però produce effetti gravitazionali e per il 68,3% da energia oscura l2 l3.
Ma se spiegare quel 26,8% di materia oscura è già un grosso problema, figuriamoci spiegare che almeno la metà della massa barionica richiesta dal Modello Cosmologico Standard non si trova!
Certo questo è un bel rompicapo nel rompicapo, è come dover comporre un puzzle con tessere che sono a loro volta altri puzzle da comporre.

Oggetti di natura barionica fredda che non emettono luce possono essere  pianeti, nane brune o anche dei semplici granelli di polvere, ma mentre una nube interstellare copre vaste regioni di spazio, un corpo massiccio di dimensioni megametriche 1 intercetterà di certo meno luce di una nube grande svariati anni luce. Obbiettivamente però è difficile che una massa significativamente importante 2 sia dispersa in miliardi di corpi massicci troppo piccoli per emettere o assorbire luce in maniera apprezzabile.
Questi oggetti massicci sono chiamati MACHO (MAssive Compact Halo Object) ma secondo le stime migliori possono rappresentare appena il 20% della massa totale di una galassia 3, certo rappresentano una parte importante della massa di una galassia, ma comunque sono sempre un po’ troppo pochi per giustificare la parte non rilevata di massa barionica.

Questa è una simulazione computerizzata dell'aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM. Credit: Matthew Hall, NCSA.

Questa è una simulazione computerizzata dell’aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM.
Credit: Matthew Hall, NCSA.

Alcuni studi recenti inoltre mostrano che le singole galassie sono al centro di gigantesche bolle di gas ionizzato 4 di massa paragonabile alla galassia ospite. Data la rarefazione estrema, questo gas è ionizzato a temperature comprese tra i centomila e un milione di kelvin, quindi è quasi impossibile da vedere, visto che a quelle temperature le righe spettrali degli atomi dominano nei Raggi X.
Probabilmente la sua origine è legata ai venti stellari  della galassia  e modellato almeno in parte dal campo magnetico globale di questa.
Questo è lo WHIM (Warm-Hot Intergalactic Medium), ovvero mezzo intergalattico caldo, di cui le bolle galattiche sono solo una parte, che si estende tra le galassie dando all’Universo l’aspetto di  ragnatela tridimensionale.

Forse è presto per dirlo, ma con i MACHO e lo WHIM almeno la tessera del puzzle che rappresenta la massa barionica mancante pare sia ricomposta e che in fondo questa sia stata ritrovata.
Adesso resta che capire cosa sia l’altro 84,5% della massa dell’Universo che chiamiamo Materia Oscura e che ancora sfugge alla nostra comprensione.
Sotto a chi tocca.


Breve storia dell’Universo

La storia dell'Universo. Credit:grandunificationtheory.com

La storia dell’Universo.
Credit:grandunificationtheory.com

Sono nato quasi 14 miliardi di anni fa, minuto più, minuto meno, nel nulla più assoluto: non c’era alcuno spazio intorno a me e nessun tempo da misurare, quelli li ho creati io.

Fu un gran bel botto ma non c’erano orecchie per sentirlo, non le avevo ancora create.
Nacqui pieno di energia, una energia ancora misteriosa che neppure il più potente acceleratore di particelle o il più massiccio quasar potrà mai ricreare.

Eppure nell’arco di appena una frazione infinitesimale di un secondo la mia energia scemò fratturandosi in quattro forze che sono l’una lo specchio dell’altra, tutte alquanto simili ma molto diverse tra loro, mentre momentaneamente mi espandevo più veloce della luce.
Subito dopo una parte della mia energia si  tramutò in materia e antimateria, che però non si sopportavano e scontrandosi si annichilivano. Ma tra le pieghe delle leggi con cui ero nato era nascosto il segreto che avrebbe permesso alla materia di uscire vittoriosa dallo scontro con l’antimateria.

Ne il primo, turbolento secondo la mia materia primordiale si raffreddò e si diluì nello spazio che via via stavo creando fino a che, dopo appena tre minuti, le mie particelle fondamentali si riunirono in particelle più complesse e in trecentomila anni in atomi.

Ora la materia increspava lo spazio curvandolo con il suo stesso  peso creando i presupposti per il mio aspetto attuale: enormi filamenti, ponti che attraversavano tutto lo spazio vuoto come il tessuto di una spugna. 

Dopo appena un miliardo di anni questi filamenti collassarono in gigantesche nubi, le protogalassie, che a loro volta si frammentarono in nubi più piccole che formarono le prime stelle.
Dai tempi in cui energia e materia erano unite tutto lo spazio risplendeva di luce blu, ma purtroppo ancora non c’erano occhi che mi potessero vedere.
Ben presto quelle magnifiche stelle blu esplosero disseminando tutto intorno a loro i semi che avrebbero costruito nuove generazioni di stelle e pianeti.

Finalmente in qualche angolo  remoto di me stesso, con quegli elementi che adesso erano parte di me, mi evolsi ancora una volta: in Vita.
Per la prima volta in 13 miliardi di anni stavo per prendere coscienza di me stesso. Avevo creato occhi per vedermi e orecchie per sentire il mio respiro. Un cervello per pensare e intelligenza per comprendermi. 

Intanto, continuo ancora ad espandermi ….

 

 

Gli straordinari risultati di AMS-02

Martedì scorso a Los Angeles il celebre cosmologo Stephen Hawking ha suggerito che l’unico modo che ha l’umanità di sopravvivere per i prossimi mille anni è quello di dedicarsi alla colonizzazione dello spazio. Questo è ragionevole: con otto miliardi di bocche da sfamare, gli equilibri economici e le risorse sempre più scarse, il rischio di guerre, pestilenze o catastrofi naturali, vivere su un solo pianeta come dice Hawking è veramente rischioso.
Ma anche andarsene da questo posto, la Terra, non è affatto facile.
Colonizzare altri mondi allo stato tecnologico attuale non è possibile. Potremmo costruire habitat orbitali come suggerì O’Neill nel 1976, colonizzare Marte con città protette da cupole gigantesche che trattengono l’atmosfera 1, spingerci fino ai confini del Sistema Solare e in futuro forse fino alle stelle più vicine con immense navi generazionali. Il Cosmo è sicuramente il posto più inospitale in assoluto che ci sia, ma è anche quello che più ci fa sognare. Un vero salto nel buio.

Rappresentazione schematica dell’Alpha Magnetic Spectrometer. – Credit: INFN

Rappresentazione schematica dell’Alpha Magnetic Spectrometer. – Credit: INFN

Uno dei misteri più grandi del cosmo riguarda la sua composizione: secondo il Modello Cosmologico Standard l’Universo è composto per il 4,9% da materia ordinaria (barionica), il 26,8% da materia di cui non se ne conosce la natura (oscura) e per il 68,3% da energia oscura 2 3. Quindi l’84,5% di tutta la materia di tutto l’Universo sfugge alla nostra comprensione. L’unica cosa certa è che questa esotica forma della materia è sensibile all’interazione gravitazionale ma non emette o assorbe la luce.

Lo scorso 3 aprile il team di ricercatori guidati dal premio Nobel Samuel Ting del MIT/CERN ha annunciato che l’Alpha Magnetic Spectrometer (AMS-02 4) dalla sua installazione sulla Stazione Spaziale Internazionale (2011) a fine 2012 oggi ha contato più di 400.000 positroni, l’equivalente antimateria degli elettroni.
Di per sé non è poi così difficile produrre positroni in laboratorio, basta bombardare la materia con fotoni ad alta energia 5 o sfruttare il naturale processo di decadimento radioattivo di alcuni isotopi (decadimento β+) ma, essendo il nostro universo dominato dalla materia, la sopravvivenza – emivita – di questa antiparticella è limitata all’incontro con un elettrone con cui si annichila emettendo due fotoni gamma da 511 kev emessi in direzioni opposte 6.

Il decadimento b+

Il decadimento β+

Per questo rilevare 400 mila positroni fra i 25 miliardi di eventi 7 registrati in 18 mesi (maggio 2011 – dicembre 2012) è straordinario.
Che i raggi cosmici contenessero un po’ di antimateria era risaputo almeno dal 2009 8, ma non in quantità così insolite: almeno il 10% del totale degli eventi dovuti a elettroni e positroni è dovuto da questi ultimi.

Una pulsar può accelerare le coppie di particelle-antiparticelle che AMS-02 ha rilevato.

Cosa produca tutti questi positroni in un universo di materia è un mistero. Questo potrebbe essere un indizio importante per scovare finalmente la materia oscura.

Per spiegare la natura della materia oscura sono state avanzate le più disparate teorie, dai neutrini massivi a particelle esotiche supersimmetriche 9  chiamate neutralini, che collidendo tra loro dovrebbero produrre un gran numero di positroni ad alta energia.

Un’altra sorgente di positroni molto meno esotica ma che vale comunque la pena di prendere in considerazione è nascosta nelle pulsar.
Le pulsar sono stelle di neutroni che si formano in seguito alle esplosioni di supernova. Questi resti ruotano sul loro asse migliaia di volte al secondo e hanno un campo magnetico milioni di volte più potente di quello che possiamo creare in laboratorio 10.
Le pulsar in pratica sono dei fantastici acceleratori naturali di particelle tra cui  coppie di elettroni e positroni, che possono spiegare le quantità rilevate da AMS-02.
Come riconosce Samuel Ting l’unico modo per distinguere l’origine dei positroni è quello di raccogliere altri dati e coprire un più ampio spettro di energia che per ora l’Alpha Magnetic Specrometer ha solo iniziato a mostrare 11.
L’ASM-02 rimarrà in funzione almeno fino al 2020 e potrà aiutare a risolvere finalmente il mistero della materia oscura.