La Congiunzione Luna – Saturno del 9 settembre

La congiunzione Luna-Saturno del 9 settembre 2013.
Credit: Il Poliedrico

Giustamente anch’io mi sono preso una pausa dallo scrivere, e me ne sono andato in vacanza.
In quest’ultimo anno ho scritto forse un po’ meno degli anni precedenti ma spesso ho trattato argomenti piuttosto impegnativi come le atmosfere planetarie, l’oscillazione dei neutrini e la presunta discesa da … Marte della vita su questo pianeta che hanno prosciugato la mia linfa.
Ora riprendo, con calma, donandovi questa porzione di cielo del 9 settembre scorso di cui – finalmente – sono stato testimone.

Cieli sereni

L’eterno dibattito insoluto: l’origine della Vita sulla Terra

Solo poche ore fa in un convegno scientifico di geofisica svoltosi a Firenze è stata presentata l’ipotesi che la vita sulla Terra abbia avuto piuttosto origine su Marte. Molti altri blog hanno ripreso la notizia come oro colato, ma non credo che sia così.

Cristalli di diossido di molibdeno (MoO2, in violetto).

Cristalli di diossido di molibdeno (MoO2, in violetto).

L’interscambio di materiale tra i pianeti del Sistema Solare in sé è, almeno in un senso, ampiamente provato, come i resti di antichi frammenti marziani rinvenuti sulla Terra mostrano 1 .
La teoria ora proposta a Firenze da Steven Benner 2 alla conferenza di geochimica Goldschmidt vuole che le condizioni passate su Marte siano state molto più favorevoli alla vita che sulla Terra, e che da lì, una volta sviluppata, la Vita – o più probabilmente i suoi precursori – sia finita sulla Terra attraverso il medesimo meccanismo meteorico.
La teoria di Benner parte dall’ipotesi che la Vita quale la conosciamo abbia avuto origine da molecole di RNA 3 e che alcuni metalli, il molibdeno 4 5  e il boro, abbiano avuto un ruolo determinante nella stabilizzazione delle prime molecole organiche nella sua forma altamente ossidata.
Diversi esperimenti mostrano infatti che il molibdeno e il boro, in forma di composti altamente ossidati, sono dei catalizzatori cruciali per la formazione delle molecole di RNA [cite source=’pubmed’]11906160[/cite] [cite source=’pubmed’]21221809[/cite]. Ad esempio, i catalizzatori a base di boro aiutano a stabilizzare le molecole di zucchero composte da cinque atomi di carbonio mentre i catalizzatori a base di molibdeno riorganizzano questi zuccheri in ribosio. Inoltre, l’abbondanza di acqua nella Terra primordiale avrebbe impedito la formazione delle molecole di RNA 6  e  la sostanziale assenza di ossigeno atmosferico avrebbe impedito la stabilizzazione del boro in borati  7  e dei catalizzatori di molibdeno.

Il meteorite MIL09000 ritrovato in Antartide nel 2010. Si ritiene che abbia circa 700 milioni di anni.  Credit: Johnson Space Center /NASA

Il meteorite MIL09000 ritrovato in Antartide nel 2010. Si ritiene che abbia circa 700 milioni di anni.
Credit: Johnson Space Center /NASA

A sostegno delle idee di Benner sono la scoperta di argille ricche di boro in un meteorite marziano, MIL 090030 [cite]10.1371/journal.pone.0064624[/cite] [cite]10.1111/j.1945-5100.2012.01420.x[/cite] e la straordinaria scoperta della ricca presenza di ossigeno nel mantello marziano almeno 3,7 miliardi di anni fa [cite]10.1038/nature12225[/cite].

Un ambiente ricco di ossigeno (il mantello marziano), il boro (nelle argille marziane)  e il molibdeno sono essenziali – secondo Benner – per la nascita e lo sviluppo di molecole di RNA, precursori di ogni altra forma di vita, e il primitivo Marte molto probabilmente lo era.

Per contro – e pare assurdo – le condizioni ambientali terrestri di quando si presume si siano formate le prime forme di vita 2-3,5 miliardi di anni fa, sono molto scarse a causa della dinamicità geologica del pianeta e resti più antichi di 3,8-4 miliardi di anni sono molto difficili da trovare e studiare 8. Per questo non sappiamo esattamente quali siano state le condizioni chimico-fisiche presenti sulla Terra alla fine dell’Adeano [cite]10.1038/nature10655[/cite] [cite]10.1038/nature11679[/cite] e se la Terra era umida quanto oggi o se, più probabilmente, molta acqua e ossigeno erano ancora intrappolati nel mantello superiore. 4 miliardi di anni fa il Sole era un po’ più debole di oggi e solo un massiccio effetto serra prodotto da una atmosfera satura di anidride carbonica e vapore acqueo scaldava il pianeta. Magari le condizioni auspicate per l’ipotesi marziana (molibdeno, boro e ossigeno) erano comunque presenti nel sottosuolo terrestre che offriva condizioni fisiche (temperatura, pressione etc.) piuttosto stabili e al riparo dalla radiazione ultravioletta del Sole che, in assenza di una barriera di ozono, sterilizzava la superficie del pianeta.

Finora le prove di Benner confermano che sul Pianeta Rosso sono esistite in un lontanissimo passato  le condizioni favorevoli allo sviluppo della Vita secondo la teoria del Mondo a RNA. Ma ci sono altre teorie, che mi riservo di spiegare più a fondo in seguito, che in assenza di prove contrarie meritano di essere altrettanto prese in considerazione. In attesa, o in assenza, di prove più concrete sull’origine marziana della Vita terrestre o dei suoi precursori, credo che sia opportuno continuare ad indagare e a supporre – per il momento – che la Vita sulla Terra sia autoctona 9.
Quindi perché scomodare il vulcanismo marziano o un impatto meteorico su Marte che ha scagliato RNA marziano qui dopo un viaggio di un paio di milioni di anni? Per me significa solo spostare lo storico dilemma.


Note:

Alla ricerca di altre forme di vita: i Ritmi Biologici

Un’ora vive la gialla farfalla ma il tempo ha che le basta.
Rabíndranáth Thákhur

Questa citazione viene attribuita al poeta indiano del XX secolo Rabindranath Tagore, ma probabilmente è più antica. Indica come la percezione del tempo intesa come scala temporale di vita di qualsiasi organismo è funzione unicamente del suo ciclo vitale. Di conseguenza ogni forma di vita ha i propri cicli vitali, molto diversi dagli altri e non sempre li percepiamo.

biological clockViene comune misurare ancora il tempo in generazioni umane, ossia l’intervallo temporale che c’è tra la nascita dei genitori e i loro figli, ma l’aspettativa di vita in questi 200 mila anni di homo sapiens è mutata tantissimo, da appena 15-20 di allora agli 80 di oggi, allungando di conseguenza l’intervallo generazionale da 10 anni della preistoria ai 25-30 di oggi.
Anche l’uso dell’intervallo di tempo che occorre alla Terra per compiere un’orbita, che chiamiamo anno, è abbastanza arbitrario: ad esempio se vivessi su Marte avrei solo 25 anni, mentre se  usassi l’anno venusiano avrei oltre 76 anni!
L’unica misura temporale veramente adatta per descrivere le funzioni degli esseri viventi è paradossalmente … (continua su Progetto Drake)

C/2012 S1 dalla Nube di Oort con furore, o quasi ….

Più o meno diecimila anni fa una qualche perturbazione destabilizzò l’orbita di una cometa – in pratica una grossa palla di neve sporca – di circa 5 chilometri di diametro che fono ad allora se n’era stata placida e tranquilla all’interno della Nube di Oort, il vasto guscio più o meno sferico che circonda il nostro Sistema Solare tra 0,3 e 1, 5 anni luce, residuo della sua formazione.
A quell’epoca sulla Terra gli esseri umani ancora non avevano inventato la scrittura, qualcuno forse abitava sulle palafitte e viveva di agricoltura, ma nessuno di loro aveva mai immaginato cosa fosse una cometa anche se forse ne avevano vista qualcuna.

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact da una distanza paragonabile alla Terra in quel momento: 5,3 UA

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact il 17/18 gennaio 2013 da una distanza di 5,3 UA.
Credit NASA

Undici mesi fa, il 21 settembre scorso, due astronomi russi, Vital Nevski e Artyom Novichonok, utilizzando il telescopio da 40 centimetri dell’International Scientific Optical Network 1 in un sito vicino a Kislovodsk, in Russia, scoprirono la cometa che nel frattempo era arrivata ad appena 941 milioni di chilometri dal Sole, nella costellazione dei Gemelli. Il Nome completo scelto per la cometa è C (cometa non periodica) 2012 (l’anno della scoperta) S1 (la prima cometa scoperta nella seconda metà di settembre) e infine ISON, dalle iniziali del programma di ricerca russo: C/2012 S1 (ISON).

A gennaio di quest’anno, nei giorni 17 e 18, la sonda spaziale Deep Impact, ben nota per le sue esplorazioni sui corpi minori del Sistema Solare, riuscì a fotografare la ISON sovrapponendo 146 esposizioni da 80 secondi ciascuna per un totale di circa 3 ore e un quarto. Le strisce che si vedono nella foto sono dovute al moto di fondo delle stelle rispetto alla cometa, che nonostante sia stata al momento della ripresa distante circa 760 milioni di chilometri dal Sole, aveva già la sua codina.

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013. Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013.
Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

Ma arriviamo ai nostri giorni. A fine luglio la c/2012 (ISON) ha superato il limite  di 2,7 UA che rappresenta la frost line 2 per il Sistema Solare. Al di sotto di questo limite c’è da attendersi un ben maggiore sviluppo della coda dovuto alla sublimazione delle parti più volatili.

Però …

Nonostante la ISON fosse stata pubblicizzata come la cometa del secolo 3, le sue aspettative non sono delle migliori fino a questo momento. Anche se era ancora molto distante dalla frost line (circa 5 UA dal Sole), a gennaio di quest’anno la cometa emetteva più di 50 mila chilogrammi di polveri al minuto e solo 60 litri d’acqua al minuto; con quel ritmo occorrerebbero 12 ore per riempire una piscina olimpionica!
Sicuramente a quella distanza la sublimazione del ghiaccio d’acqua non era ancora importante, ma chi si aspettava un tasso via via maggiore con l’avvicinarsi del perielio è rimasto deluso.
Dal 13 gennaio 2013 la luminosità della ISON è rimasta pressoché costante per ben 132 giorni, cioè fino a quasi maggio. Questo curioso comportamento può essere spiegato dalla presenza di una crosta di silicati, da una carenza di acqua nella composizione chimica della cometa 4 o entrambe.
Le previsioni attuali riviste alla nuova curva di luce indicano che se la ISON sopravvivrà al passaggio col Sole arriverà a brillare a non più della magnitudine -6. Distante dalla -17 ma comunque ragguardevole.
Purtroppo in questo momento la cometa è a soli 16 gradi dal Sole, quindi è inosservabile da Terra, ma intanto il 2 ottobre transiterà nei pressi di Marte dove il rover Curiosity e il satellite Mars Global Express potranno riuscire a riprenderla. Sarà la prima cometa osservata dalla superficie di un pianeta extraterrestre!


Bibliografia:

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Note:

Il 10 agosto da San Lorenzo al Pascoli, con le Perseidi sullo sfondo

X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Giovanni Pascoli

Pietro_da_cortona,_martirio_di_san_lorenzo

San Lorenzo trascinato sulla graticola, nell’interpretazione di Pietro da Cortona.
Fonte: Wikipedia

Come tutti gli anni ci stiamo avvicinando al momento clou che tutti più o meno conosciamo: le Lacrime di San Lorenzo, nome popolare dello sciame delle Perseidi, il cui picco massimo di attività cade tra il 12 e il 13 agosto.

Il santo, originario della provincia di Aragona, in Spagna, era uno dei sette diaconi 1 delle Chiesa Romana all’epoca delle persecuzioni dell’imperatore romano Valeriano. I primi di agosto dell’anno 258 Valeriano emise un editto con il quale condannava a morte tutti coloro che avevano un ruolo di una certa importanza all’interno della nuova religione, ovvero tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi. Dalle cronache di San Cipriano, uno dei Padri della Chiesa Cattolica, infatti si apprende: «Episcopi et presbyteri et diacones incontinenti animadvertantur» . San Lorenzo fu martirizzato sulla graticola appunto il 10 agosto del 258 d.C., ad appena 33 anni, nel luogo in cui ora sorge la basilica di San Lorenzo in Panisperna a Roma 2 3. E appunto nel ricordo del martirio di San Lorenzo che nel mondo cristiano occidentale lo sciame delle Perseidi viene intitolato 4 il 10 agosto.

Milleseicento anni più tardi, il poeta italiano Giovanni Pascoli dedicò alcune poesie 5 all’assassinio del padre, Ruggero Pascoli, ucciso proprio il 10 agosto per motivi rimasti ancora oscuri. Una di queste, dal titolo appunto X Agosto, inizia proprio ricordando le lacrime di San Lorenzo, le Perseidi:

San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla   […]

Ecco quindi un paio di fatti storici lontanissimi fra loro come il martirio di un santo e una poesia scritta in memoria di un tragico evento che però hanno in comune uno degli eventi astronomici più conosciuti ed ammirati di sempre. Quali  altri intrecci fra la storia  e l’astronomia conoscete?

ps. Buon onomastico a tutti i Lorenzo per il prossimo 10 agosto e buon compleanno a chi compirà gli anni in quella data!


Note:

 

la neurobiologia del mondo vegetale

 

Prendetemi pure per pazzo ma io parlo alle piante. Dialogo con loro, manifesto loro tutto  il mio affetto parlandoci, accarezzandone le foglie e abbracciando il loro tronco. Quindi perdonatemi se mi lascerò trasportare dall’argomento.

Anche nel rinascimento si credeva che nella gerarchia delle cose le piante fossero appena poco più sopra al mondo inanimato.

Anche nel rinascimento si credeva che nella gerarchia delle cose le piante fossero appena poco più sopra al mondo inanimato.

Eterotrofi simbionti con autotrofi fotosintetici“. Questa bella definizione di noi umani, che possiamo tranquillamente a tutto il regno animale, è di Carl Sagan, scritta nel suo meraviglioso libro Cosmos.
Ingiustamente, nell’arco della storia umana il mondo vegetale è stato quasi sempre considerato appena al di sopra del regno inanimato. Anche l’espressione medica stato vegetativo indica uno stato quasi irrecuperabile della condizione di vita di un paziente, equiparandolo appunto a un vegetale; appena un gradino sopra all’inanimato.
Questo perché i processi vitali nel mondo vegetale sono estremamente lenti, pressoché impercettibili alla nostra scala temporale. Vediamo un albero spogliarsi e cambiare periodicamente le foglie col mutare delle stagioni, lo sbocciare dei fiori e l’aprirsi e chiudersi di questi durante l’arco della giornata, ma poco altro. la scala temporale del mondo vegetale ci è talmente aliena che a stento le piante sono state  considerate vive nell’arco dei secoli.

Le radici aeree della Palma che cammina, la Socratea exorrhiza, Costa Rica, National Parc La Amistad

Le radici aeree della Palma che cammina, la Socratea exorrhiza, Costa Rica, National Parc La Amistad. Credit: Wikipedia

Certo non mancano neppure le leggende su alberi che camminano, come la celebre Socratea exorrhiza, una palma sudamericana che ha radici aeree che sembrano trampoli. Anche se diverse ipotesi sono state formulate nel corso degli anni sul perché questa palma sia dotata di simili radici, non ci sono prove scientifiche valide che questa cammini 1.

Per molto tempo la botanica si è limitata alla semplice opera di catalogazione delle diverse specie vegetali e poco più. Solo adesso iniziamo a capire che il mondo vegetale è complesso quanto il regno animale. Le prerogative che credevamo esclusive degli animali finalmente le stiamo scoprendo anche nel mondo vegetale, con meccanismi fino a poco tempo fa ignoti o ampiamente sottovalutati.
Ferormoni per la comunicazione, strategie sessuali uniche e curiose, impulsi microelettrici che si propagano lungo tutta la pianta analoghi agli impulsi nervosi animali. Perfino un complesso sistema che svolge funzioni analoghe al sistema nervoso centrale animale è stato individuato dal Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze guidato dal prof. Stefano Mancuso 2. Anche qui il sistema neurale vegetale mostra strategie evolutive interessanti per certi versi simili gli animali: un reale sistema di reti complesse 3 in grado di discernere i diversi stimoli esterni. Ma mentre negli organismi bilaterali e nei vertebrati il complesso nervoso si è evoluto verso un unico complesso organo, nelle piante è distribuito in poche cellule presenti nell’apice radicale, subito dietro il meristema. Ciò nonostante l’elevato numero di apici radicali presenti in una pianta sana fa presupporre che l’apparato neurale vegetale sia estremamente altrettanto complesso quanto quello animale.

Lascio parlare il prof. Mancuso che saprà essere molto più esauriente di me.

Lo studio di questi sistemi vitali, così vicini eppure così alieni, apre nuove e interessanti prospettive anche nell’esobiologia e nella ricerca di altre forme di vita extraterrestri. Sapremo mai riconoscere le capacità senzienti in altre forme di vita quando e se le incontreremo?


Altri riferimenti:

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Note:

Una fragola in cielo?

Credit: Il Poliedrico

Credit: Il Poliedrico

Il 23 giugno scorso fu Luna Piena. Un evento abbastanza normale, accade una volta al mese! Vero, ma la Luna era anche al suo perigeo e anche questo accade una volta al mese. Poi vuoi mettere che era la prima Luna Piena dopo il Solstizio d’Estate? I nordamericani la chiamano Strawberry Moon, la Luna delle Fragole, perché verso la fine di giugno avviene appunto la raccolta delle fragole nel loro continente.
Quindi la Strawberry Moon non ha niente a che vedere con il colore della Luna al suo sorgere o tramontare; quello dipende unicamente da altri fattori che avvengono … ogni giorno.
La luce di ogni astro – pianeta o stella che sia – viene arrossata e rifratta dall’aria quando si avvicina all’orizzonte perché deve attraversare sempre più strati d’aria rispetto a quando gli stessi astri sono allo zenit.

Credit: Il Poliedrico

Credit: Il Poliedrico

Questo fenomeno si chiama Scattering di Rayleigh 1 ed è responsabile del colore azzurro del cielo. L’arrossamento della luce è più significativo quando l’astro è vicino all’orizzonte, perché il volume di aria attraverso cui deve passare la sua luce è significativamente più grande rispetto a quando è alto nel cielo. Presso l’orizzonte il tragitto più lungo della luce nell’atmosfera disperde quasi tutte le componenti della luce durante il percorso diretto verso l’osservatore; quello che resta è la componente di lunghezza d’onda maggiore. Per questo tutti gli astri osservati da terra hanno un aspetto rossiccio più o meno accentuato quando sono in prossimità dell’orizzonte.

Laser per la correzione delle turbolenze atmosferiche all'European Southern Observatory's Very Large Telescope.

Laser per la correzione delle turbolenze atmosferiche all’European Southern Observatory’s Very Large Telescope.

Soprattutto nelle sorgenti puntiformi come le stelle ma non solo,  si nota anche un altro fenomeno: la scintillazione 2 3.
La scintillazione è dovuta dalla luce che passa attraverso sacche di aria con diversa temperatura e densità, causando la rifrazione e dispersione della luce attraverso l’aria non omogenea. Quindi per effetto del maggiore tragitto che compie la luce all’orizzonte rispetto che allo zenit, l’effetto della scintillazione è maggiore quando la sorgente è bassa nel cielo.

Comunque la curiosità meno appariscente ma non meno reale e bizzarra è che gli astri in prossimità dell’orizzonte non sono proprio dove sembra che siano.
Questa si chiama Aberrazione Atmosferica 4 ed è unicamente dovuta dalla diversa densità del mezzo che la luce dell’astro deve percorrere per arrivare all’osservatore. Per questo la luce sembra provenire da un punto un po’ più verticale rispetto all’osservatore, il quale percepisce l’astro ad una altezza maggiore rispetto all’orizzonte. Anche questo effetto diviene via via più pronunciato man mano che si osservano oggetti meno distanti di 45° dall’orizzonte.

Per questo il 23 giugno non c’era nessuna fragola in cielo, e anche se apparentemente sembrava che ci fosse, sicuramente non era proprio neppure lì!


Note:

Venere e Terra, gemelli diversi

Nel nostro sistema solare il pianeta più simile alla Terra è Venere. Composizione chimica, densità e dimensioni sono molto simili tra i due pianeti. Anche la loro distanza al Sole è tutto sommato abbastanza simile. Eppure Venere, a dispetto del nome che evoca la dea romana della bellezza, è in realtà un inferno, torrido e secco. Tutta l’acqua presente sul pianeta risiede nella sommità delle sue nubi e quando lì decide di piovere, piove acido solforico.
Un nuovo studio giapponese spiega come sia avvenuto.

Venere e Terra sono molti simili dal punto di vista fisico ma hanno avuto storie molto diverse a causa della diversa distanza dal Sole.

Venere e Terra sono molti simili dal punto di vista fisico ma hanno avuto storie molto diverse a causa della diversa distanza dal Sole.

L’acqua liquida non è solo necessaria alla vita come la conosciamo. Questa è importante anche per il suo ruolo di lubrificante per le placche tettoniche e del mantello superiore. Essendo infatti abbastanza solubile nei silicati fusi, l’acqua penetra in profondità giù fino al mantello e permette alle placche tettoniche di muoversi più facilmente riducendone l’attrito reciproco. È quindi una componente importante della litosfera, lo strato più esterno del pianeta, che comprende la crosta e la parte più esterna del mantello responsabile della tettonica a zolle.
All’epoca della sua formazione, la relativamente poca acqua presente nella fascia più interna del Sistema Solare era chimicamente legata a silicati idrati e ai composti del carbonio più pesanti. Questa era però sufficiente a fornire una discreta quantità di acqua 1 ai neonati pianeti.
Le condizioni di pressione e temperatura che si stabilirono nei pianeti subito dopo il raggiungimento dell’autosostentamento gravitazionale favorirono la loro differenziazione chimica in base al peso atomico e molecolare degli elementi: nel nucleo si accumularono quelli più pesanti, mentre nella parte più esterna si raccolsero tutti gli elementi più leggeri 2.
Questa differenziazione, altrimenti nota come Catastrofe del Ferro, liberò l’acqua dai silicati fusi e fornì ai pianeti ancora non del tutto formati una prima, spessa atmosfera composta da diossido di carbonio e vapore acqueo.
Al di sotto di quella coltre di gas, i pianeti non avevano ancora una crosta solida ma una superficie di magma caldo e viscoso.

Lo studio giapponese

Due tipi distinti di pianeta terrestre. L'asse x superiore mostra la corrispondente radiazione stellare netto iniziale. La freccia indica la troposferico limite di radiazioni. Il critico distanza orbitale di acr, 0,76 AU separa l'orbitale regimi dei due tipi di pianeta. una, tempo di solidificazione. Le linee tratteggiate indicano il tempo richiesto per la completa perdita di acqua primordiale. Questo fornisce una buona approssimazione del tempo di solidificazione di pianeti di tipo II. il massimo viene visualizzato anche il tempo di solidificazione per I pianeti di tipo (vedi supplementare Informazioni). b, Totale rimanenze acqua al momento della completa solidificazione. A forte transizione è esposta a circa acr.

Le due distinte classi di pianeti rocciosi simili alla Terra
L’ascissa superiore mostra la radiazione stellare iniziale. La freccia indica il limite troposferico alle radiazioni. La distanza orbitale critica di circa 0,76 UA distingue i due tipi di pianeta. Nel riquadro a  è indicato il tempo di solidificazione. Le linee tratteggiate indicano il tempo necessario alla completa perdita dell’acqua primordiale. Questo dato fornisce una buona stima del tempo necessario alla solidificazione dei pianeti di tipo II. il massimo viene visualizzato anche il tempo di solidificazione per I pianeti di tipo I.
Nel riquadro b viene indicata la quantità di acqua rimasta al momento della completa solidificazione della crosta planetaria.
Credit: Keiko Hamano.

Qui entra in gioco uno studio del dipartimento Terra e Scienze planetarie dell’Università di Tokyo condotto da Keiko Hamano, Hidenori Genda e Yutaka Abe e pubblicato su Nature a fine maggio scorso.
Questo studio mostra come la distanza dalla loro stella possa influenzare l’evoluzione dei pianeti rocciosi.

Entro una certa distanza la radiazione stellare 3 impedirebbe la dispersione del calore in eccesso dei pianeti ancora fusi con conseguenze catastrofiche per la loro evoluzione.
L’evoluzione termica di un oceano di magma è strettamente legata alla formazione di vapore  acqueo nell’atmosfera. Una massiccia presenza di vapore acqueo nell’atmosfera comporta un tremendo effetto serra che diminuisce la radiazione in uscita dal pianeta e ritarda il processo di solidificazione.  A sua volta se questo flusso radiativo viene interrotto da uno stato di equilibro energetico con la radiazione stellare allora la superficie planetaria non può solidificarsi e il processo di rilascio dell’acqua sotto forma di vapore da parte del magma continua, ipersaturando l’atmosfera e svuotando il pianeta di tutta la sua acqua.
Questo processo di feedback positivo può prolungare l’opera di solidificazione del magma fino a 100 milioni di anni portando il pianeta al suo totale disseccamento.
Il resto dell’evoluzione è abbastanza chiara: l’assenza di acqua nella litosfera impedisce la formazione di zolle continentali e quindi di qualsiasi processo tettonico. La crosta planetaria diventa quindi più spessa e uniforme bloccando il flusso di calore che dal nucleo si propaga prima nel mantello e poi alla superficie.
In assenza di correnti convettive nel mantello anche la rotazione differenziale del nucleo si arresta e smette di generare un campo magnetico planetario 4. Intanto la radiazione stellare dissocia il vapore acqueo nei suoi componenti e soffia via l’idrogeno dall’atmosfera, mentre l’ossigeno si lega al monossido di carbonio trasformandosi in anidride carbonica. Così l’atmosfera del pianeta si satura di anidride carbonica 5 e l’effetto serra prima dovuto principalmente al vapore acqueo adesso è sostituito dalla quasi altrettanto efficace CO2.
Così la superficie planetaria rimane molto calda, il calore dell’interno non può quasi più defluire mentre l’atmosfera diviene sede di importanti moti convettivi dovuti all’incredibile gradiente termico tra la superficie del pianeta e lo spazio esterno.

Tutto questo è stato possibile da un iniziale stato di equilibrio energetico tra la radiazione stellare incidente e la temperatura dell’atmosfera del pianeta ancora fuso.
Nel caso in cui invece al calore sia consentito di defluire nello spazio il processo di raffreddamento procede molto più velocemente – pochi milioni di anni – consentendo al pianeta di mantenere gran parte della sua acqua nel mantello e favorendo così lo sviluppo di placche continentali. Una superficie molto più fresca consente al calore del nucleo di raggiungere la superficie attraverso moti convettivi che rimescolano il mantello e consentono al nucleo di girare indipendentemente dal resto del pianeta e generare un campo magnetico planetario. Col raffreddamento della superficie il vapore si converte in pioggia e assorbe parte dell’anidride carbonica dall’atmosfera sotto forma di acido carbonico. La riduzione dei gas serra rende l’atmosfera ancora più trasparente alla radiazione infrarossa che così disperde più energia nello spazio.
Il feedback negativo è evidente, così il pianeta si raffredda così velocemente che in pochi milioni di anni è completamente diverso dal suo gemello nato più vicino alla stella.

Conclusioni

Non c’è motivo per dubitare che gli altri sistemi planetari si siano formati in maniera dissimile al nostro, pertanto è ragionevole pensare che meccanismi simili si possano verificare anche per altri sistemi planetari.
Le supposizioni dello studio giapponese si adattano alla perfezione a quello che sembra che sia successo qui, con Venere caldo e secco e la Terra così fresca e umida.
Un meccanismo semplice, la distanza dal Sole, che si sposa perfettamente con i dati osservativi che abbiamo.
I ricercatori giapponesi suddividono così i pianeti rocciosi in due classi: il tipo I, la Terra che si è evoluta in un mondo fresco e umido, e il tipo II, caldo e secco come Venere. Il limite lo pongono a circa 0,8 U.A. dal Sole 6.
Fermo restando la suddivisione in due diverse classi di pianeti, io credo che sia meglio parlare di limite inferiore per lo sviluppo geologico di un pianeta potenzialmente abitabile. Così come esiste una Circumstellar Habitable Zone dimensionata dalla radiazione stellare, ora scopriamo che questa impone anche un limite che regola l’evoluzione geologica di un pianeta ed è un altro dettaglio importante da non trascurare nella ricerca dei pianeti potenzialmente abitabili.


Bibliografia:

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Note:

Hardware bricolage

A me non piacciono gli sprechi. Non mi piace buttare via una cosa a meno che non sia irrecuperabile e che non abbia almeno provato a riparare.

Personal computer

Un pc recuperato.  Credit: Il Poliedrico

Un pc recuperato.
Credit: Il Poliedrico

Un paio di settimane fa entrai in possesso di un po’ di vecchi personal computer da ufficio provenienti da diverse aste giudiziarie.
Erano macchine ormai obsolete, del 2004 o 2005, i primi Pentium 4 della serie Prescott con clock da 3 Ghz e socket 775. Essendo destinate ad uso di ufficio non disponevano di particolari dotazioni hardware come schede video o altro, tranne una, che era una stazione di videosorveglianza con tanto di controller dedicato e una scheda video PCI-express da 128M.
Adesso questo pc è stato recuperato con successo usando i componenti come RAM, hard disk, case etc. delle altre macchine sacrificate e irrecuperabili nell’hardware troppo obsoleto e ormai incompatibile con i sistemi operativi attuali.
Questo è la sua – discreta – dotazione hardware:

  1. Motherboard: Intel ® P5GD1 pro (chipset 915P) 
  2. Processore: Intel ®  Pentium 4 Prescott 3,4 Ghz
  3. RAM: 3 G DDR400
  4. hard disk: SATA 250 G
  5. Masterizzatore: CD/DVD
  6. Scheda video: ATI ® Radeon X550 PCI-e 128 M 
  7. Rete wireless: Atheros  ®
  8. Alimentatore: 450 W

Insomma, una macchina che sicuramente qualche anno fa era ancora al top di gamma e che sarebbe costata molte centinaia di euro e che adesso non finirà certo in discarica ma regalerà senz’altro grandi soddisfazioni al suo nuovo proprietario ancora per molti anni.

Tablet

Aprire l’Acer A500 è molto meno difficile di quanto si pensi.
Credit:  Ronel Adigue

L’altro giorno il mio fido tablet Acer ® Iconia A500 mi aveva abbandonato decidendo di non accendersi più. Si era guastato il pulsante di accensione.
Guardo i documenti relativi, le diverse garanzie (avevo acquistato insieme al tablet una estensione della garanzia) e scopro a malincuore che il mio caso non è coperto. Inoltre la garanzia originale del prodotto non copre due anni ma soltanto uno, pertanto risulta scaduta dal settembre scorso.
Decido comunque di contattare l’assistenza la quale però non sa darmi precise indicazioni sul costo dell’intervento. Si limita a consigliarmi di spedire l’oggetto al loro centro per avere una valutazione e, siccome la garanzia è scaduta, in caso di rifiuto del preventivo avrei comunque dovuto spendere 20 € + IVA per il consulto, più il ritiro del prodotto sempre a mie spese. Totale 15 € di spedizione  più 24,2 € per il preventivo: totale circa 40 € solo per sapere se vale la pena riparare un tablet del 2011!

La motherboard dell'Acer A500

La motherboard dell’Acer A500.
Credit: Bill Detwiler / TechRepublic

Scaduta per decaduta, la garanzia ormai è nel mio caso aria fritta, così decido di procedere da buon smanettone all’apertura del gingillo, che poi non è affatto difficile: basta una spatolina di plastica (io ho usato quella per fare i dolci!) per forzare il guscio e farlo saltare.
Il pulsante dell’accensione è davvero microscopico ed è accanto alla presa jack delle cuffie, in alto a destra in questa foto.
Addirittura è più piccolo degli assai meno utilizzati tasti per la regolazione del volume di cui è quasi la metà!
Questo e altri indizi scovati leggendo i vari forum  e lo stesso modulo di richiesta di assistenza Acer che prevede proprio questo tipo particolare di guasto, mi avevano fatto sospettare ad un caso di obsolescenza programmata, ovverosia un particolare progettato apposta per essere particolarmente fragile.

Credit: Il Poliedrico

Credit: Il Poliedrico

Una volta estratta la motherboard ho infatti notato che il pulsante di accensione si era scollato parzialmente dalla scheda assumendo una posizione alquanto innaturale ed era sostenuto soltanto dai suoi contatti saldati.
Quindi mi è bastato applicare una goccia di cianoacrilato con una siringa e il suo ago – per non danneggiare inavvertitamente gli altri componenti vicini, per esempio il motorino della vibrazione – sotto al pulsantino e applicare una pinza a molla per tenerlo in pressione e al suo posto durante l’asciugatura della colla.

Credit:Il Poliedrico

I tre pulsanti fisici dell’A500. Notare le diverse dimensioni tra i pulsanti del volume e quello di accensione.
Credit:Il Poliedrico

Risultato?
Il tablet è di nuovo acceso e funzionante con tutti i suoi programmi e i dati di nuovo disponibili, ma soprattutto ho risparmiato  non pochi euro per comprarne uno nuovo o far riparare questo fuori garanzia.

Come ho raccontato, bastano un po’ di ingegno e di pazienza per ottenere piccoli miracoli, come quello di recuperare un buon pc da hardware obsoleto e ripristinare un tablet ormai dato per defunto, risparmiando qualcosina e divertendosi pure!


Addio Margherita Hack, L’ Amica delle Stelle

Ho avuto modo di vedere Margherita Hack solo una volta, ad una conferenza organizzata dal locale circolo astrofilo (Unione Astrofili Senesi) sulla genesi stellare molti anni fa.
Sotto la semplicità della sua persona e l”inconfondibile accento toscano che le faceva da contorno, mi colpì il suo intelletto, capace di esporre argomenti difficilissimi con parole semplici, proprio come lei.
Non ho proprio parole per esprimere il vuoto che mi lascia dentro, così prendo in prestito le parole che Sabrina Masiero ha appena pubblicato sul suo Blog TuttiDentro.

Umberto Genovese

Margherita Hack

Margherita Hack, la grande astrofisica italiana, ci ha lasciati questa notte. Fonte Wise Society: http://wisesociety.it/wise-people/margherita-hack/

Doloroso per me scrivere questo addio ad una Grande Donna, Grande Scienziata, Grande protagonista della ricerca italiana degli ultimi settant’anni. Per me non è un vero Addio, è soltanto un GRAZIE PROFONDO PER QUANTO HA ISPIRATO LA MIA VITA E QUELLA DI MIGLIAIA E MIGLIAIA DI PERSONE.

Margherita, così voleva essere chiamata. Semplicemente Margherita. Anche se non sono mai riuscita a chiamarla così. Mi sfuggiva il Professoressa, per rispetto, per sincera ammirazione e grande orgoglio personale.

Il primo libro dove capii che il nostro Sole era una stella, la più vicina a noi, fu da un suo libro. Avevo una decina di anni. E così, dalle sue parole iniziai a sognare anch’io mondi lontani fino a trasformare quella passione in vero e proprio lavoro.

Sono stata fortunata ad incontrarla e a stare in sua compagnia per qualche ora al di là delle telecamere, al di là degli eventi pubblici. Diceva:

«Il compito della scienza è cercare di capire quali siano le leggi che regolano l’Universo senza ricorrere a Dio. Altrimenti sarebbe come se Dio ci desse da fare le parole crociate che tanto poi, se non si fanno, ce le spiega lui. »

Margherita Hack

Margherita Tino ed io

Margherita Hack firma autografi alla fine della Conferenza tenuta a Santa Maria di Sala il 13 marzo 2010 organizzata dal Gruppo Astrofili Salese Galileo Galilei di S. Maria di Sala, Venezia in occasione della XIII Mostra di Astronomia. Alla sinistra, il Presidente del Gruppo Astrofili, Tino Testolina, alla destra la sottoscritta. E’ stato un incontro indimenticabile per me. Crediti: S. Masiero.

Margherita Hack e il ciclismo

Margherita Hack e il suo grande amore per la bicicletta.
Crediti :http://bicisnob.wordpress.com/tag/margherita-hack/
Fonte immagine:http://bicisnob.files.wordpress.com/2012/02/hack-salvaiclisti.jpg?w=1014 .

Riguardo alle opportunità che ha avuto nella vita, se ha avuto le stesse oppurtunità di un uomo o meno, Margherita risponde:

Margherita Hack 2

Citazione di Margherita Hack e fotografia tratte da Venity Fair. Crediti: VanityFair.it –http://www.vanityfair.it/news/italia/12/10/30/margherita-hack-per-fortuna-sono-stata-choosy .

«Io problemi non ne ho mai avuti. Molto dipende anche dalle donne, che spesso sono complessate. Sono state educate fin da bambine a considerarsi diverse dagli uomini. Conosco parecchie coppie in ambito scientifico, marito e moglie che lavorano insieme. Spesso la donna è l’elemento trainante, ma quando si tratta di presentare un lavoro a un congresso mandano avanti lui. Sono poco combattive. A me ha aiutato lo sport. Impari a voler vincere». 

Margherita Hack.

Margherita_Hack

Fonte AfNews: http://www.afnews.info/wordpress/category/afnewskids/page/11/ . Fumetto-intervista di Valentina Camerini, pubblicata su Topolino 2854, disegnata da Paolo Mottura. Sito web: http://www.afnews.info/wordpress/2010/08/lalieno-casalingo-di-margherita-hack/

Nell’arte, vi suggerisco questo link dove potete trovare un olio su tela meraviglioso realizzato da Mauro Baroncini:  http://maurobaronciniarte.blogspot.it/2013/01/io-e-le-stelle-margherita-hack-olio-su.html .

Margherita ha ispirato tutti gli ambiti del sapere umano. Ci lascia un grande patrimonio culturale e una grande umiltà.

MargheritaHack_1

Margherita Kack a Padova, RadioOndaUno trasmette la diretta http://tuttidentro.wordpress.com/2012/08/02/margherita-hack-a-padova-radioondauno-trasmette-la-diretta/

Questo è stata l’ultima occasione in cui ho potuto parlare con Margherita. Intervenuta ad una conferenza tra Scienza e Fede, la sua dolcezza e il suo grande pensiero sono stati  strepitosi. 7 giugno 2012, Padova, Caffè Pedrocchi. Ringrazio Massimo Lombardi di RadioOndaUno per aver mandato in onda la diretta della presentazione e per avermi invitata.

Grazie, Margherita.

 


Altre informazioni disponibili su TuttiDentro dedicate a Margherita Hack:

Margherita, la stella più luminosa del nostro cielo:http://tuttidentro.wordpress.com/2010/03/14/margherita-la-stella-piu-luminosa-del-nostro-cielo/

Così parlano le stelle, così parla Margherita Hack:http://tuttidentro.wordpress.com/2010/03/12/cosi-parlano-le-stelle-cosi-parla-margherita-hack/

Margherita Hack al Caffè Pedrocchi a Padova:http://tuttidentro.wordpress.com/2012/06/07/margherita-hack-al-caffe-pedrocchi-di-padova/

Post inizialmente apparso su http://tuttidentro.wordpress.com/2013/06/29/addio-margherita-hack-l-amica-delle-stelle/