L’eterno dibattito insoluto: l’origine della Vita sulla Terra

Solo poche ore fa in un convegno scientifico di geofisica svoltosi a Firenze è stata presentata l’ipotesi che la vita sulla Terra abbia avuto piuttosto origine su Marte. Molti altri blog hanno ripreso la notizia come oro colato, ma non credo che sia così.

Cristalli di diossido di molibdeno (MoO2, in violetto).

Cristalli di diossido di molibdeno (MoO2, in violetto).

L’interscambio di materiale tra i pianeti del Sistema Solare in sé è, almeno in un senso, ampiamente provato, come i resti di antichi frammenti marziani rinvenuti sulla Terra mostrano 1 .
La teoria ora proposta a Firenze da Steven Benner 2 alla conferenza di geochimica Goldschmidt vuole che le condizioni passate su Marte siano state molto più favorevoli alla vita che sulla Terra, e che da lì, una volta sviluppata, la Vita – o più probabilmente i suoi precursori – sia finita sulla Terra attraverso il medesimo meccanismo meteorico.
La teoria di Benner parte dall’ipotesi che la Vita quale la conosciamo abbia avuto origine da molecole di RNA 3 e che alcuni metalli, il molibdeno 4 5  e il boro, abbiano avuto un ruolo determinante nella stabilizzazione delle prime molecole organiche nella sua forma altamente ossidata.
Diversi esperimenti mostrano infatti che il molibdeno e il boro, in forma di composti altamente ossidati, sono dei catalizzatori cruciali per la formazione delle molecole di RNA [cite source=’pubmed’]11906160[/cite] [cite source=’pubmed’]21221809[/cite]. Ad esempio, i catalizzatori a base di boro aiutano a stabilizzare le molecole di zucchero composte da cinque atomi di carbonio mentre i catalizzatori a base di molibdeno riorganizzano questi zuccheri in ribosio. Inoltre, l’abbondanza di acqua nella Terra primordiale avrebbe impedito la formazione delle molecole di RNA 6  e  la sostanziale assenza di ossigeno atmosferico avrebbe impedito la stabilizzazione del boro in borati  7  e dei catalizzatori di molibdeno.

Il meteorite MIL09000 ritrovato in Antartide nel 2010. Si ritiene che abbia circa 700 milioni di anni.  Credit: Johnson Space Center /NASA

Il meteorite MIL09000 ritrovato in Antartide nel 2010. Si ritiene che abbia circa 700 milioni di anni.
Credit: Johnson Space Center /NASA

A sostegno delle idee di Benner sono la scoperta di argille ricche di boro in un meteorite marziano, MIL 090030 [cite]10.1371/journal.pone.0064624[/cite] [cite]10.1111/j.1945-5100.2012.01420.x[/cite] e la straordinaria scoperta della ricca presenza di ossigeno nel mantello marziano almeno 3,7 miliardi di anni fa [cite]10.1038/nature12225[/cite].

Un ambiente ricco di ossigeno (il mantello marziano), il boro (nelle argille marziane)  e il molibdeno sono essenziali – secondo Benner – per la nascita e lo sviluppo di molecole di RNA, precursori di ogni altra forma di vita, e il primitivo Marte molto probabilmente lo era.

Per contro – e pare assurdo – le condizioni ambientali terrestri di quando si presume si siano formate le prime forme di vita 2-3,5 miliardi di anni fa, sono molto scarse a causa della dinamicità geologica del pianeta e resti più antichi di 3,8-4 miliardi di anni sono molto difficili da trovare e studiare 8. Per questo non sappiamo esattamente quali siano state le condizioni chimico-fisiche presenti sulla Terra alla fine dell’Adeano [cite]10.1038/nature10655[/cite] [cite]10.1038/nature11679[/cite] e se la Terra era umida quanto oggi o se, più probabilmente, molta acqua e ossigeno erano ancora intrappolati nel mantello superiore. 4 miliardi di anni fa il Sole era un po’ più debole di oggi e solo un massiccio effetto serra prodotto da una atmosfera satura di anidride carbonica e vapore acqueo scaldava il pianeta. Magari le condizioni auspicate per l’ipotesi marziana (molibdeno, boro e ossigeno) erano comunque presenti nel sottosuolo terrestre che offriva condizioni fisiche (temperatura, pressione etc.) piuttosto stabili e al riparo dalla radiazione ultravioletta del Sole che, in assenza di una barriera di ozono, sterilizzava la superficie del pianeta.

Finora le prove di Benner confermano che sul Pianeta Rosso sono esistite in un lontanissimo passato  le condizioni favorevoli allo sviluppo della Vita secondo la teoria del Mondo a RNA. Ma ci sono altre teorie, che mi riservo di spiegare più a fondo in seguito, che in assenza di prove contrarie meritano di essere altrettanto prese in considerazione. In attesa, o in assenza, di prove più concrete sull’origine marziana della Vita terrestre o dei suoi precursori, credo che sia opportuno continuare ad indagare e a supporre – per il momento – che la Vita sulla Terra sia autoctona 9.
Quindi perché scomodare il vulcanismo marziano o un impatto meteorico su Marte che ha scagliato RNA marziano qui dopo un viaggio di un paio di milioni di anni? Per me significa solo spostare lo storico dilemma.


Note:

Alla ricerca di altre forme di vita: i Ritmi Biologici

Un’ora vive la gialla farfalla ma il tempo ha che le basta.
Rabíndranáth Thákhur

Questa citazione viene attribuita al poeta indiano del XX secolo Rabindranath Tagore, ma probabilmente è più antica. Indica come la percezione del tempo intesa come scala temporale di vita di qualsiasi organismo è funzione unicamente del suo ciclo vitale. Di conseguenza ogni forma di vita ha i propri cicli vitali, molto diversi dagli altri e non sempre li percepiamo.

biological clockViene comune misurare ancora il tempo in generazioni umane, ossia l’intervallo temporale che c’è tra la nascita dei genitori e i loro figli, ma l’aspettativa di vita in questi 200 mila anni di homo sapiens è mutata tantissimo, da appena 15-20 di allora agli 80 di oggi, allungando di conseguenza l’intervallo generazionale da 10 anni della preistoria ai 25-30 di oggi.
Anche l’uso dell’intervallo di tempo che occorre alla Terra per compiere un’orbita, che chiamiamo anno, è abbastanza arbitrario: ad esempio se vivessi su Marte avrei solo 25 anni, mentre se  usassi l’anno venusiano avrei oltre 76 anni!
L’unica misura temporale veramente adatta per descrivere le funzioni degli esseri viventi è paradossalmente … (continua su Progetto Drake)

C/2012 S1 dalla Nube di Oort con furore, o quasi ….

Più o meno diecimila anni fa una qualche perturbazione destabilizzò l’orbita di una cometa – in pratica una grossa palla di neve sporca – di circa 5 chilometri di diametro che fono ad allora se n’era stata placida e tranquilla all’interno della Nube di Oort, il vasto guscio più o meno sferico che circonda il nostro Sistema Solare tra 0,3 e 1, 5 anni luce, residuo della sua formazione.
A quell’epoca sulla Terra gli esseri umani ancora non avevano inventato la scrittura, qualcuno forse abitava sulle palafitte e viveva di agricoltura, ma nessuno di loro aveva mai immaginato cosa fosse una cometa anche se forse ne avevano vista qualcuna.

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact da una distanza paragonabile alla Terra in quel momento: 5,3 UA

La cometa C/2012 S1 (iSON) ripresa dalla sonda interplanetaria Deep Impact il 17/18 gennaio 2013 da una distanza di 5,3 UA.
Credit NASA

Undici mesi fa, il 21 settembre scorso, due astronomi russi, Vital Nevski e Artyom Novichonok, utilizzando il telescopio da 40 centimetri dell’International Scientific Optical Network 1 in un sito vicino a Kislovodsk, in Russia, scoprirono la cometa che nel frattempo era arrivata ad appena 941 milioni di chilometri dal Sole, nella costellazione dei Gemelli. Il Nome completo scelto per la cometa è C (cometa non periodica) 2012 (l’anno della scoperta) S1 (la prima cometa scoperta nella seconda metà di settembre) e infine ISON, dalle iniziali del programma di ricerca russo: C/2012 S1 (ISON).

A gennaio di quest’anno, nei giorni 17 e 18, la sonda spaziale Deep Impact, ben nota per le sue esplorazioni sui corpi minori del Sistema Solare, riuscì a fotografare la ISON sovrapponendo 146 esposizioni da 80 secondi ciascuna per un totale di circa 3 ore e un quarto. Le strisce che si vedono nella foto sono dovute al moto di fondo delle stelle rispetto alla cometa, che nonostante sia stata al momento della ripresa distante circa 760 milioni di chilometri dal Sole, aveva già la sua codina.

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013. Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

La C/2012 S1 (ISON) osservata dal telescopio spaziale Hubble nel maggio 2013.
Credit: NASA Comet ISON Observing Campaign

Ma arriviamo ai nostri giorni. A fine luglio la c/2012 (ISON) ha superato il limite  di 2,7 UA che rappresenta la frost line 2 per il Sistema Solare. Al di sotto di questo limite c’è da attendersi un ben maggiore sviluppo della coda dovuto alla sublimazione delle parti più volatili.

Però …

Nonostante la ISON fosse stata pubblicizzata come la cometa del secolo 3, le sue aspettative non sono delle migliori fino a questo momento. Anche se era ancora molto distante dalla frost line (circa 5 UA dal Sole), a gennaio di quest’anno la cometa emetteva più di 50 mila chilogrammi di polveri al minuto e solo 60 litri d’acqua al minuto; con quel ritmo occorrerebbero 12 ore per riempire una piscina olimpionica!
Sicuramente a quella distanza la sublimazione del ghiaccio d’acqua non era ancora importante, ma chi si aspettava un tasso via via maggiore con l’avvicinarsi del perielio è rimasto deluso.
Dal 13 gennaio 2013 la luminosità della ISON è rimasta pressoché costante per ben 132 giorni, cioè fino a quasi maggio. Questo curioso comportamento può essere spiegato dalla presenza di una crosta di silicati, da una carenza di acqua nella composizione chimica della cometa 4 o entrambe.
Le previsioni attuali riviste alla nuova curva di luce indicano che se la ISON sopravvivrà al passaggio col Sole arriverà a brillare a non più della magnitudine -6. Distante dalla -17 ma comunque ragguardevole.
Purtroppo in questo momento la cometa è a soli 16 gradi dal Sole, quindi è inosservabile da Terra, ma intanto il 2 ottobre transiterà nei pressi di Marte dove il rover Curiosity e il satellite Mars Global Express potranno riuscire a riprenderla. Sarà la prima cometa osservata dalla superficie di un pianeta extraterrestre!


Bibliografia:

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Note:

Il 10 agosto da San Lorenzo al Pascoli, con le Perseidi sullo sfondo

X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Giovanni Pascoli

Pietro_da_cortona,_martirio_di_san_lorenzo

San Lorenzo trascinato sulla graticola, nell’interpretazione di Pietro da Cortona.
Fonte: Wikipedia

Come tutti gli anni ci stiamo avvicinando al momento clou che tutti più o meno conosciamo: le Lacrime di San Lorenzo, nome popolare dello sciame delle Perseidi, il cui picco massimo di attività cade tra il 12 e il 13 agosto.

Il santo, originario della provincia di Aragona, in Spagna, era uno dei sette diaconi 1 delle Chiesa Romana all’epoca delle persecuzioni dell’imperatore romano Valeriano. I primi di agosto dell’anno 258 Valeriano emise un editto con il quale condannava a morte tutti coloro che avevano un ruolo di una certa importanza all’interno della nuova religione, ovvero tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi. Dalle cronache di San Cipriano, uno dei Padri della Chiesa Cattolica, infatti si apprende: «Episcopi et presbyteri et diacones incontinenti animadvertantur» . San Lorenzo fu martirizzato sulla graticola appunto il 10 agosto del 258 d.C., ad appena 33 anni, nel luogo in cui ora sorge la basilica di San Lorenzo in Panisperna a Roma 2 3. E appunto nel ricordo del martirio di San Lorenzo che nel mondo cristiano occidentale lo sciame delle Perseidi viene intitolato 4 il 10 agosto.

Milleseicento anni più tardi, il poeta italiano Giovanni Pascoli dedicò alcune poesie 5 all’assassinio del padre, Ruggero Pascoli, ucciso proprio il 10 agosto per motivi rimasti ancora oscuri. Una di queste, dal titolo appunto X Agosto, inizia proprio ricordando le lacrime di San Lorenzo, le Perseidi:

San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla   […]

Ecco quindi un paio di fatti storici lontanissimi fra loro come il martirio di un santo e una poesia scritta in memoria di un tragico evento che però hanno in comune uno degli eventi astronomici più conosciuti ed ammirati di sempre. Quali  altri intrecci fra la storia  e l’astronomia conoscete?

ps. Buon onomastico a tutti i Lorenzo per il prossimo 10 agosto e buon compleanno a chi compirà gli anni in quella data!


Note: