La genesi delle atmosfere planetarie

Nello scorso articolo ho mostrato come lo spessore di una atmosfera planetaria sia sostanzialmente il risultato di un compromesso tra due forze opposte: la velocità di fuga e la velocità molecolare dei gas che la compongono. Ma per comprendere questa componente essenziale di un pianeta occorre capire come si forma.

In questa immagine del 2007 ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale si può vedere un riflesso del Sole sull'Oceano Pacifico. Questo è quello che gli astronomi tentano di rilevare. Credit: NASA

Questa immagine è stata ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale nel 2007 e mostra parte dell’Oceano Pacifico. Le nubi e l’acqua liquida rendono questo pianeta perfetto per ospitare la vita. Credit: NASA

Una atmosfera planetaria è governata principalmente da due forze contrapposte. Il risultato finale è una stratificazione dei gas che la compongono: gli elementi più pesanti e lenti occupano gli strati inferiori, contribuendo così in maniera determinante alla composizione chimica dell’atmosfera al suolo mentre quelli più leggeri – e veloci – determinano la chimica degli strati superiori.

Però purtroppo questi indizi di per sé importanti non dicono poi molto sulla composizione chimica finale che dovremmo aspettarci in un pianeta. Per quello, per ora, l’unico modo che abbiamo per cercare di capire la composizione di un’atmosfera è quella di rifarsi alla storia del nostro Sistema Solare e alle teorie più accreditate sulla formazione dei sistemi planetari 1.

La cattura nebulare

I pianeti rocciosi del nostro Sistema Solare si formarono in una zona densa e calda (circa 700-1000 Kelvin) del disco protoplanetario 2, ricca di elementi chimici pesanti – ne è la prova la densità media dei pianeti stessi – e piuttosto povera di quelli più leggeri 3. Questo significa che di elementi e composti gassosi sopravvissuti alla fase di formazione planetaria ce n’erano davvero ben pochi e le primitive atmosfere composte prevalentemente da idrogeno scomparvero appena il Sole iniziò a brillare quasi 5 miliardi di anni fa. Queste tenui atmosfere vennero spazzate via dal vento stellare che ripulì – e raffreddò – l’appena nato sistema planetario, mentre i precursori degli attuali pianeti continuarono a raccogliere i grumi di materia ormai solida che incontravano durante la loro orbita. Quei grumi, conosciuti come materiale asteroidale, ogni tanto giungono ancora oggi sulla Terra e li chiamiamo meteoriti.

Il degasaggio durante l’accrezione

Questo meccanismo è una via di mezzo tra la cattura nebulare e il degassamento tettonico. La cattura dei corpi minori che si erano solidificati dopo l’accensione della stella da parte dei protopianeti maggiori, continuò per svariati milioni di anni, seppur in maniera decrescente con l’andar del tempo 4.
Molti di questi corpi avevano incorporato e protetto dalla radiazione stellare parte del gas nebulare, altri avevano incorporato alcuni composti particolarmente volatili come ioni ossidrili (OH), acqua, carbonio, zolfo e cloro nella loro struttura chimica, altri ancora potevano aver intrappolato i composti volatili con entrambi questi metodi.
Questi corpi una volta catturati dai protopianeti avrebbero potuto liberare parte o tutto il materiale più volatile in loro possesso dando luogo a una primitiva atmosfera.

Il degassamento tettonico

I pianeti appena formati erano molto caldi, oltre il punto di fusione delle rocce. Questo era dovuto principalmente sia al continuo impatto dei corpi minori sulla loro superficie, che ai fenomeni di decadimento radioattivo degli isotopi pesanti che i pianeti avevano catturato durante il loro processo di formazione. Iniziò quindi un processo di differenziazione planetaria che portò alla separazione degli elementi chimici più pesanti da quelli più leggeri 5 e all’avvio di imponenti fenomeni tettonici che liberarono enormi quantità di gas come vapore acqueo, anidride carbonica, idrogeno, acido cloridrico, ossido di carbonio, zolfo e azoto, molto simili ai gas che ancora oggi i vulcani terrestri ancora emettono.

Nel Sistema Solare

Diagramma di fase dell'acqua. La possibilità dell'acqua di rimanere allo stato liquido a pressioni molto elevate le consente di svolgere il ruolo di lubrificante delle placche continentali. Fonte dell'immagine: Wikipedia.

Diagramma di fase dell’acqua.
La possibilità dell’acqua di rimanere allo stato liquido a pressioni molto elevate le consente di svolgere il ruolo di lubrificante delle placche continentali.
Fonte dell’immagine: Wikipedia.

Restando all’interno del Sistema Solare, Mercurio, che oltre ad essere il più piccolo pianeta roccioso del sistema, è anche il più vicino al Sole e ha la densità più alta di tutti: 5,43 g/c3. Non possiede una  atmosfera imponente come Venere e Terra, ma neppure come Marte che, nonostante sia il doppio come dimensioni, ha una gravità superficiale – e quindi una velocità di fuga – molto simile. Infatti la pressione superficiale al suolo di Mercurio è appena 10-15 bar, mentre quella di Marte è ben più importante: 0,006 bar!
Venere e Terra sono molto simili come dimensioni, massa e densità. Eppure Venere ha una gigantesca atmosfera ipersatura di anidride carbonica mentre la Terra, fortunatamente per noi ora, no. Venere è più vicina al Sole e il suo periodo di rotazione è ora di oltre 116 giorni terrestri. Sicuramente questo non è stato sempre così, la possente atmosfera e l’azione mareale del Sole su di essa hanno agito da freno sul pianeta. Su Venere l’acqua che veniva rilasciata dai fenomeni tettonici e quella catturata dalle comete non è riuscita a liquefarsi e a catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera facendola precipitare come carbonato sul fondo degli oceani. Niente acqua liquida alla superficie vuol dire che anche l’attività di subduzione si è progressivamente fermata. Questo significa che anche il ciclo di trasporto del carbonio nel mantello del pianeta si è fermato e il calore interno adesso viene trasportato solo da fenomeni parossistici di vulcanismo che rilascia ancora ingenti quantità di altri gas serra come anidride carbonica e vapore acqueo rimasti intrappolati nel mantello dal tempo della sua formazione. Ecco perché Venere ha una atmosfera composta perlopiù da anidride carbonica (il 95%) all’incredibile pressione di 92 bar e a circa 730 Kelvin di temperatura al suolo!
Per la Terra non ho molto da dire, ho già descritto la storia della sua atmosfera in passato 6, senonché la maggiore distanza dal Sole ha permesso qui all’acqua di liquefarsi e di sottrarre l’anidride carbonica dall’aria. L’acqua liquida è arrivata fino alla parte superiore del mantello dove ha così potuto mantenere attiva la dinamica della tettonica a zolle che ha dissipato buona parte dell’energia dovuta al calore interno del pianeta che così non è finita ad alimentare un grande vulcanismo come quello venusiano. In più non dimentichiamo l’importante ruolo che ha svolto la Luna sull’evoluzione della nostra atmosfera. Infatti la Terra è l’unico pianeta roccioso del Sistema Solare ad avere un imponente satellite – Phobos e Deimos di Marte sono solo due asteroidi catturati dal Pianeta Rosso per caso. La Luna ha stabilizzato il piano di rotazione della Terra come se l’intero sistema Terra-Luna fosse un enorme giroscopio, impedendo così all’azione mareale del Sole di dominare la rotazione del nostro pianeta  – come è invece successo a Venere – e al contempo ha sottratto tanta atmosfera proprio con le sua forza di marea. Il risultato è stata una atmosfera un po’ più sottile, una rotazione più stabile e anche il meccanismo della tettonica a zolle si è giovato della forza mareale lunare. Che dalla Sorella Luna forse sia dipesa l’abitabilità – per noi terrestri -di questo mondo probabilmente è un dato di fatto.

Su Marte e la sua atmosfera ho parlato qualche giorno fa, quindi ho poco altro da aggiungere. Marte è troppo piccolo per trattenere una atmosfera apprezzabile, appena 6 millesimi di bar al suolo. Forse però in passato grazie alla sua primordiale attività geologica che ci ha lasciato imponenti edifici vulcani ha potuto pompare abbastanza gas serra per mantenere per un breve periodo – forse qualche centinaio di milioni di anni – l’acqua allo stato liquido. Forse questo breve periodo ha visto nascere la Vita sul Pianeta Rosso, o forse no. Sulla Terra sono passati almeno 600 milioni o forse più prima che le prime forme di vita procariotiche si sviluppassero; e la Terra aveva sicuramente qualche carta in più da giocare rispetto a Marte.

Adesso sappiamo anche come si forma l’atmosfera di un pianeta roccioso, manca ancora cosa aspettarci a grandi linee sulla sua composizione, ma di questo ne parlerò prossimamente. Restate all’erta!


Lo spessore delle atmosfere planetarie

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La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto. Credit: Il Poliedrico

La gravità è importante per trattenere una atmosfera. Per contro la temperatura svolge un ruolo altrettanto importante nel senso opposto.
Credit: Il Poliedrico

Quando si parla di esopianeti, di possibili altre forme di Vita e così via, diamo spesso per scontato troppe cose, come una atmosfera, che invece copre un ruolo molto importante nella dinamica di un pianeta.
Questa infatti offre scudo alle radiazioni ionizzanti provenienti dalla stella, protegge il suolo dai meteoriti più piccoli e infine modella la superficie del pianeta. Ma è anche un eccellente termoregolatore e la sua pressione al suolo favorisce o meno la presenza di acqua allo stato liquido 1.

Lo spessore di una atmosfera è deciso fondamentalmente dall’equilibrio tra la velocità di fuga di un pianeta e la sua temperatura. Un piccolo pianeta – come ad esempio è Marte – non possiede una gravità così alta da mantenere una atmosfera così spessa come la Terra.
La temperatura media dell’atmosfera stabilisce la velocità delle sue molecole: più sale la temperatura e più queste sono veloci. Se la velocità di una molecola supera la velocità di fuga, questa si disperderà nello spazio, mentre una più bassa temperatura dell’atmosfera tratterrà più molecole.
La regola – empirica – generale è che  se la velocità media di un gas è inferiore a 2 decimi della velocità di fuga almeno la metà sarà ancora trattenuto dal pianeta dopo un miliardo di anni, mentre se la velocità media supera questo valore almeno la metà abbandonerà il pianeta entro lo stesso arco di tempo 2.

Velocità  di fuga

La velocità di fuga 3 di un pianeta è abbastanza semplice da calcolarsi: $v_{fuga} = \sqrt {\frac{2Gm_{pianeta}}{distanza}}$, dove G è la Costante di Gravitazione Universale di Newton e la distanza è intesa come la distanza di un corpo dal centro di massa del pianeta. Per questo una molecola a 10 chilometri di quota potrà disporre di una velocità di fuga lievemente più bassa di una al livello del suolo.  Può sembrare poco ma a volte anche questo è significativo.

Temperatura

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura. Credit: Il Poliedrico

La velocità molecolare è funzione della loro temperatura come conseguenza delle Leggi di Moto di Newton.
Credit: Il Poliedrico

La temperatura di un qualsiasi corpo non è altro che la misura del movimento – energia cinetica – delle sue molecole. Le molecole di un gas caldo si muovono più velocemente dello stesso gas freddo. Se questo gas viene raffreddato ulteriormente, acquista prima forma liquida e poi solida – transizione di fase. Allo stesso modo, un corpo solido se riscaldato a sufficienza diviene liquido e poi gas.
La relazione che lega la velocità molecolare con la temperatura è: $t=\frac{\left(m_{molecola} \cdot \bar{v}_{molecola}\right)^2}{3k_B}$, dove $k_B$ è la costante di Boltzmann 4, che vale $1,38 \cdot{10^{-23}} JK^{-1}$.
La velocità media di una molecola – o di un atomo – a una certa temperatura $t$ quindi è: $\bar{v}=\sqrt {\frac {3k_B \cdot t}{m_{molecola}}}$.
Ecco spiegato perché le molecole più pesanti a parità di temperatura si muovono più lentamente. Tra l’altro questa informazione aiuta a interpretare la composizione chimica di una atmosfera in base alla massa del pianeta e la sua distanza dalla stella: ad esempio un piccolo pianeta vicino alla sua stella -come Mercurio – potrà trattenere solo le molecole e gli atomi più pesanti 5, mentre pianeti più massicci e distanti possono trattenere un’atmosfera più spessa e composta da elementi più leggeri.


Il mistero dei barioni mancanti

L’ammasso di galassie nella Chioma di Berenice (Abell 1656) – Credit: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA). Acknowledgment: D. Carter (Liverpool John Moores University) and the Coma HST ACS Treasury Team.

Nel 1933 l’astrofisico svizzero Fritz Zwicky, del California Institute of Technology, applicò un metodo di indagine chiamato teorema del viriale all’ammasso di galassie della  Chioma e ottenne le prime prove dell’esistenza di una importante discrepanza tra la materia visibile e la massa misurata dell’ammasso.
Zwicky stimò che la massa totale dell’ammasso basata sui moti delle galassie vicino al suo bordo rispetto ad una stima in base al numero delle galassie totale dell’insieme era circa 400 volte più alta.
La gravità stimata delle galassie visibili nel ammasso sarebbe stata troppo piccola per giustificare la velocità di queste e quando ulteriori osservazioni confermarono in seguito i risultati di Zwicky, per i cosmologi si pose seriamente il “problema della massa mancante”.
Infatti a questo punto se si voleva mantenere intatto Il concetto dell’inverso del quadrato della distanza ( 1/R2 dove R è la distanza) che è la base della teoria della gravitazione, nasceva un bel problema scientifico: come giustificare questa differenza? Cos’è questa materia che ha una importante influenza gravitazionale ma che è di fatto invisibile alle analisi ottiche/elettromagnetiche?

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia cxircondata da un alone di materia oscura. Rielaborazione immagine:  Il Poliedrico

La galassia UGC 7321, un ottimo esempio di galassia circondata da un alone di materia invisibile.
Rielaborazione immagine:
Il Poliedrico

Il Modello Cosmologico Standard suggerisce che tutto l’Universo è composto per il 4,9% da materia barionica – neutroni, protoni, elettroni (anche se questi non sono proprio barioni) – ordinaria, il 26,8% da una forma di materia totalmente sconosciuta che però produce effetti gravitazionali e per il 68,3% da energia oscura l2 l3.
Ma se spiegare quel 26,8% di materia oscura è già un grosso problema, figuriamoci spiegare che almeno la metà della massa barionica richiesta dal Modello Cosmologico Standard non si trova!
Certo questo è un bel rompicapo nel rompicapo, è come dover comporre un puzzle con tessere che sono a loro volta altri puzzle da comporre.

Oggetti di natura barionica fredda che non emettono luce possono essere  pianeti, nane brune o anche dei semplici granelli di polvere, ma mentre una nube interstellare copre vaste regioni di spazio, un corpo massiccio di dimensioni megametriche 1 intercetterà di certo meno luce di una nube grande svariati anni luce. Obbiettivamente però è difficile che una massa significativamente importante 2 sia dispersa in miliardi di corpi massicci troppo piccoli per emettere o assorbire luce in maniera apprezzabile.
Questi oggetti massicci sono chiamati MACHO (MAssive Compact Halo Object) ma secondo le stime migliori possono rappresentare appena il 20% della massa totale di una galassia 3, certo rappresentano una parte importante della massa di una galassia, ma comunque sono sempre un po’ troppo pochi per giustificare la parte non rilevata di massa barionica.

Questa è una simulazione computerizzata dell'aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM. Credit: Matthew Hall, NCSA.

Questa è una simulazione computerizzata dell’aspetto di circa 2 miliardi di anni di spazio che mette in evidenza lo WHIM.
Credit: Matthew Hall, NCSA.

Alcuni studi recenti inoltre mostrano che le singole galassie sono al centro di gigantesche bolle di gas ionizzato 4 di massa paragonabile alla galassia ospite. Data la rarefazione estrema, questo gas è ionizzato a temperature comprese tra i centomila e un milione di kelvin, quindi è quasi impossibile da vedere, visto che a quelle temperature le righe spettrali degli atomi dominano nei Raggi X.
Probabilmente la sua origine è legata ai venti stellari  della galassia  e modellato almeno in parte dal campo magnetico globale di questa.
Questo è lo WHIM (Warm-Hot Intergalactic Medium), ovvero mezzo intergalattico caldo, di cui le bolle galattiche sono solo una parte, che si estende tra le galassie dando all’Universo l’aspetto di  ragnatela tridimensionale.

Forse è presto per dirlo, ma con i MACHO e lo WHIM almeno la tessera del puzzle che rappresenta la massa barionica mancante pare sia ricomposta e che in fondo questa sia stata ritrovata.
Adesso resta che capire cosa sia l’altro 84,5% della massa dell’Universo che chiamiamo Materia Oscura e che ancora sfugge alla nostra comprensione.
Sotto a chi tocca.