La scienza del vino dei miracoli

Questa volta non parlerò di stelle o pianeti, neppure di particelle o di energie.
Visto che ospito questa edizione del Carnevale della Fisica e visto il particolare tema che ho scelto, voglio narravi di come si ottiene un particolare liquore tipico della provincia senese, e che stante una certa leggenda legata proprio alla città di Siena, qui ha avuto le sue origini: il vinsanto.

vinsantoLa leggenda vuole che durante la Peste Nera 1  del 1348 che decimò la popolazione europea, A Siena alcuni frati francescani usassero curare le vittime del terribile flagello con un particolare vino aromatico prodotto dall’Ordine per celebrare le loro funzioni. Da qui nacque la convinzione che questo vino avesse proprietà miracolose e per questo fu chiamato santo.

Che questo celebre liquore avesse proprietà miracolose oggi non è dato sapere 2, ma sicuramente l’intero processo della sua produzione rasenta del miracoloso, visto che a dispetto della semplicità con cui viene prodotto, tralasciando gli intrugli enologici moderni prodotti con lieviti e batteri selezionati in laboratorio, non è affatto certo che al termine del necessario processo di invecchiamento si ottenga un liquore gradevole, uno appena bevibile o peggio.
Ovviamente non tutti i tipi di uva e non tutta l’uva di un determinato tipo può essere usata in questa produzione un po’ particolare; l’uva deve essere scelta tra i migliori grappoli che non devono essere né troppo grandi o piccoli, presentare i chicchi ben separati tra loro e soprattutto devono essere ben asciutti. Per cui, per ottenere un buon vinsanto, la vendemmia deve necessariamente avvenire di sera o comunque quando l’umidità dell’aria non è condensata sui grappoli 3. In questo caso si parla appunto di vendemmia per scelti.

“E non sonavano Campane, e non si piangeva persona, fusse di che danno si volesse, che quasi ogni persona aspettava la morte; e per sì fatto modo andava la cosa, che la gente non credeva, che nissuno ne rimanesse, e molti huomini credevano, e dicevano: questo è
fine Mondo”.
Agnolo di Tura
(cronista senese)

Il passo successivo e sicuramente più importante – che richiede anche meno lavoro manuale a parte l’invecchiamento: la passitura.
L’uva raccolta viene stesa su stuoie naturali, normalmente graticci di canne, ad appassire in un luogo riparato dalle intemperie eppure aperto alla naturale ventilazione.
Il vero segreto di un buon vinsanto sta appunto tutto nei lieviti naturali, o selvaggi, che l’uva raccoglie durante questo lungo periodo 4.
Infatti quello che per un normale vino oggi non è affatto desiderabile, cioè una fermentazione incontrollata dovuta ai lieviti selvaggi capaci di alterarne irrimediabilmente il sapore, Il naturale processo di passitura dell’uva favorisce invece lo sviluppo di questi lieviti, muffe e batteri spontanei che aiutano la fermentazione successiva del mosto.
Questi misteriosi lieviti selvaggi sono tipici di un determinato habitat naturale, ognuno ne ha uno proprio autoctono e particolare: la presenza di un fiume, di un bosco o di un frutteto favoriscono una determinata famiglia di lieviti e di batteri piuttosto che un’altra. Anche la normale circolazione dell’aria è importante nella diffusione di questi agenti: per questo il solo spostare il luogo di passitura dà origine a importanti variazioni sul risultato. Ne è la riprova che cambiare luogo anche di diversi metri come una stanza può cambiare drasticamente il gusto del liquore finale.

Credit: Il Poliedrico

Il Facciatone del Duomo di Siena
Credit: Il Poliedrico

Al termine del lungo periodo di passitura è normale scoprire che molti frutti si sono ricoperti di un sottile strato di muffa. Questa è chiamata muffa nobile ed è una dei responsabili proprio del sapore caratteristico di molti vini passiti 5, che ha il compito di rimuovere altra acqua, altre a quella persa nella disidratazione naturale della passitura,  dalle uve lasciando dietro di sé una percentuale più elevata di solidi, come gli zuccheri, acidi della frutta e minerali.
Il mosto ottenuto dalla spremitura è infatti incredibilmente dolce, merito sicuramente della qualità dell’uva, ma più importante è questo processo di passitura che sottrae acqua e arricchisce l’uva dei preziosi, in questo caso, lieviti selvaggi.
Il mosto finale ottenuto per spremitura viene infine fatto riposare in recipienti di legno chiamati caratelli 6 da cui è stato tolto (svinato) il vinsanto precedente, accuratamente sigillati con ceralacca e riposti in luoghi dove l’escursione termica notte/giorno, estate/inverno è massima. In genere un solaio senza finestre o un sottotetto non coibentato è eccellente.
Queste escursioni termiche aiutano la fermentazione e l’invecchiamento del liquore in modi veramente inaspettati.
Normalmente in un vino la fase di fermentazione rigorosamente dura pochi giorni – da 24 ore per i bianchi più leggeri fino a 15-25 giorni per i vini più corposi –  mentre in questo caso viene fatta durare anni, perché?
La lunghissima fermentazione continuamente attivata e interrotta dalle notevoli escursioni termiche ambientali produce quelle sostanze secondarie responsabili dei gusti e degli aromi tipici di questo liquore, mentre l’ambiente sigillato del caratello impedisce l’ossidazione indesiderata del liquore e impone una fermentazione anaerobica del mosto 7 fin da subito.
Alla fine accade che la concentrazione alcolica sale fino a inibire ogni forma fermentazione  8 – questo dipende dalla resistenza della flora del lieviti selvaggi iniziale – mentre gli zuccheri e i sali minerali ancora non processati in parte contribuiscono all’aroma finale.
La defecazione 9 avviene spontaneamente, durante tutto il tempo in cui il liquore sta nel caratello.
Così si forma la madre, la feccia 10 residua del mosto, che a dispetto dell’aspetto melmoso e marrone è straordinariamente dolce 11.
Questo sottoprodotto residuo anticamente era considerato quasi altrettanto prezioso quanto il liquore. Si credeva che fosse il responsabile principale della riuscita del vinsanto, tant’è che veniva conservato altrettanto gelosamente del liquore, oppure venduto a chi non aveva la fortuna di approfittare di lieviti selvaggi buoni. In pratica invece è ricchissimo di zuccheri non degradati dal processo di fermentazione e sali minerali. Ormai nella madre della ricca flora del mosto non c’è rimasto niente, o quasi.
Il suo riuso nelle nuove fermentazioni ha il solo l’effetto di tramandare particolari aromi sviluppati nei cicli precedenti alle nuove fermentazioni e nient’altro.

Questo è il vero segreto di un vino considerato miracoloso, tramandato da generazioni di contadini che di muffe, lieviti e batteri non sapevano assolutamente niente ma che dalla loro avevano l’acume di scienziati e che lo sperimentare non faceva paura.