La caratterizzazione delle Super-Terre: Il ciclo geologico del carbonio

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Se credi che una certa cosa possa essere improbabile, almeno cerca di togliere l’impossibile e forse quello che ne rimane è potenzialmente vero.
Se un giorno riuscissimo a scoprire un’altra Terra, è altamente improbabile che questa presenti uno stadio evolutivo simile al nostro. La Terra è infatti ben lontana dall’essere un sistema statico fin dal momento della sua formazione avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa. Al contrario, per tutto questo tempo ha subito numerosi cambiamenti nella composizione atmosferica, nella temperatura, nella distribuzione dei continenti, senza parlare delle numerose e diverse forme di vita che l’hanno occupata. Tutti questi cambiamenti si sono riflessi nell’aspetto che potrebbe essere visto a distanze astronomiche. Ogni scenario ha avuto la sua firma caratteristica, e adesso saper riconoscere queste impronte in altri pianeti può aiutarci a capire se questi possono essere stati o esserlo nel futuro, potenzialmente abitabili.

Rappresentazione artistica di un pianeta potenzialmente abitabile.

Rappresentazione artistica di un pianeta potenzialmente abitabile.

Nel corso degli ultimi quattro anni è stato possibile scoprire parecchi pianeti nell’intervallo di massa tra 2 e 10 masse terrestri, quelli che vengono definiti  Super-Terre; alcuni di questi pianeti si vengono a trovare dentro oppure si trovano vicini alla zona di abitabilità della loro stella ospite. Recentemente sono stati annunciati nuovi pianeti delle dimensioni della nostra Terra e della nostra Luna, e questo numero sicuramente aumenterà in futuro.
Le prime statistiche hanno messo in evidenza che circa il 62% delle stelle della nostra Galassia potrebbero ospitare un pianeta delle dimensioni della nostra Terra mentre studi compiuti dalla missione Kepler della NASA indicano che circa il 16,5% delle stelle hanno almeno un pianeta delle dimensioni del nostro con periodi orbitali fino a 85 giorni.
Per poter caratterizzare queste esoterre scoperte dobbiamo prima di tutto dare uno sguardo al nostro Sistema Solare e ai suoi pianeti. La Terra è per ora l’unico pianeta conosciuto in cui esiste la vita; di conseguenza le osservazioni del nostro pianeta saranno una chiave fondamentale per lo studio e la ricerca della vita altrove.

Intanto, poter definire come un pianeta sia potenzialmente vivibile non è affatto facile, ci sono talmente tante condizioni al contorno da soddisfare che non è facile considerarle tutte. Una di queste impone che per sostenere la vita come la conosciamo, un pianeta debba permettere all’acqua di esistere allo stato liquido sulla sua superficie. Indicativamente, e forse in modo piuttosto semplicistico, spesso questa condizione viene identificata come la fascia – o zona – Goldilocks, quella zona né troppo lontana e né troppo vicina alla stella dove la radiazione consente all’acqua di esistere allo stato liquido su un pianeta. Quindi si tratta solo di un mero dato orbitale che ben poco ha a che vedere con la realtà: ad esempio, sulla Luna la presenza di ‘acqua allo stato liquido non è possibile anche se ne esiste una certa quantità allo stato solido (ghiaccio); eppure condivide con la Terra la stessa zona di abitabilità.

Quello che veramente occorre ad un pianeta perché possa essere considerato potenzialmente vivibile è un ambiente abbastanza stabile nel tempo che non sia soggetto a parossismi orbitali che periodicamente farebbero congelare o arrostire la sua superficie e un ambiente abbastanza ricco di energia da poter essere sfruttata dalle forme di vita. Se per risolvere il primo caso basta che l’eccentricità dell’orbita del pianeta sia prossima a zero, per il secondo caso il discorso si fa un attimino più complicato: occorre che la pressione ambientale consenta all’acqua di mantenere lo stato liquido in un ampio spettro di temperature e un meccanismo che garantisca che anche la temperatura sia più o meno stabile all’interno di questo intervallo 1 .

Il ciclo geologico del carbonio

Per la sua capacità di trattenere la radiazione infrarossa, l’anidride carbonica è un importante termoregolatore per la superficie di un pianeta 2.
Il modo in cui questa molecola riesce a passare dall’atmosfera al mare, al fondale marino e poi di nuovo all’atmosfera è affascinate, anche se richiede molto tempo e un prerequisito essenziale: la presenza di una tettonica a placche [cite] http://ilpoliedrico.com/2013/07/venere-e-terra-gemelli-diversi.html [/cite].

In questo ciclo alcune molecole di anidride carbonica ($CO_2$) atmosferica si disciolgono nell’acqua ($H_2O$) 3 formando acido carbonico .

\[
CO_2 + H_2O \rightleftharpoons H_2CO_3
\]

Un meccanismo molto efficace e che deve essere stato senz’altro presente fin dalle prime fasi della costituzione di una crosta solida è la pioggia. La pioggia ha anche un altro compito importante nell’evoluzione planetaria: desaturando un’atmosfera primordiale ricchissima di vapore acqueo 4 rafforza il processo di raffreddamento della superficie e facilita lo scorrimento delle prime zolle tettoniche necessarie per l’ultima fase del ciclo del carbonio.
Adesso l’acido carbonico disciolto nell’acqua è libero di dissolversi nelle rocce con cui viene a contatto, siano esse quelle esposte alle precipitazioni o i fondali marini. Una reazione che potrebbe essere piuttosto comune è la seguente, dove i silicati di calcio ($CaSiO_3$) svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo:

\[
CaSiO_3 + 2H_2CO_3 \rightarrow Ca^{2+} + {2HCO_3}^{-} + H_2SiO_3
\]

tutti i membri di destra, gli ioni di calcio ($Ca^{2+}$), gli ioni  di idrogenocarbonato (${2HCO_3}^{-}$) 5 e l’acido silicico ($H_2 SiO_3$) sono ancora soluzioni acquose che potrebbero finire negli oceani.
Ben presto l’idrogenocarbonato viene a trovarsi in equilibrio con l’anidride carbonica disciolta nell’acqua secondo la seguente formula:

\[
{2HCO_3}^{-} \rightleftharpoons {CO_3}ì{2-} + H_2O + CO_2
\]

Quando la concentrazione di ioni carbonato (${CO_3}^{2-}$) aumenta, questi interagiscono con gli ioni di calcio visti prima e precipitano sotto forma di carbonato di calcio ($CaCO_3$) creando così minerari come la calcite e l’aragonite.
Questo è solo un esempio di come il carbonio atmosferico riesca a passare dalla forma gassosa nell’aria alla forma solida nella crosta planetaria. Il ruolo fondamentale di questo meccanismo è la presenza dell’acqua come solvente che ne consente il transito.

Rappresentazione artistica di un pianeta potenzialmente abitabile.

Rappresentazione artistica di un pianeta potenzialmente abitabile.

Il risultato di questo scambio sono minerali come la calcite che testimoniano la sottrazione del carbonio dall’atmosfera e che possono finire sepolti anche molto in profondità, al di sotto delle zolle tettoniche. Da qui poi, grazie all’attività vulcanica, il carbonio intrappolato nelle rocce potrebbe tornare di nuovo nell’atmosfera.
Se il meccanismo di sottrazione del carbonio dall’atmosfera dovesse venir meno per un calo eccessivo della temperatura globale, il naturale degassamento della crosta e del mantello tramite l’attività vulcanica dovrebbe far aumentare la concentrazione di $CO_2$ atmosferica e di conseguenza la temperatura. Altresì, un aumento eccessivo della temperatura dovrebbe permettere una maggior efficienza dei meccanismi di estrazione e quindi all’abbassamento di questa 6.
Il meccanismo del ciclo geologico del carbonio è complesso e comunque i suoi tempi di risposta sono piuttosto lunghi. Penso piuttosto a come l’equilibrio tra solvente (l’acqua del pianeta) e soluto (anidride carbonica) possa già di per sé portare ad una sottrazione dei due maggiori gas serra dall’atmosfera planetaria e alla stabilizzazione verso il basso della temperatura planetaria quando le condizioni ambientali consentono l’innescarsi di questo processo.

(continua …)


Note:

L’epopea di una manciata di fotoni

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Baldacchino di S. Pietro

Credit: Il Poliedrico

Circa 15 milioni di anni fa nel nucleo del Sole, un gruppo di protoni riuscirono a superare la barriera coloumbiana di altrettanti loro simili fondendosi con questi.

\[
\textsuperscript{1}H + \textsuperscript{1}H \rightarrow \textsuperscript{2}H + e\textsuperscript{+}+ \nu_{e}
\]

Il nucleo di ogni stella però è formato in più o meno egual numero dei protoni ($\textsuperscript{1}H$) anche da elettroni ($e$), un tempo legati insieme a formare atomi di idrogeno ($H$). Per questo i positroni ($e\textsuperscript{+}$) hanno una vita molto breve: appena prodotti incontrano un elettrone e … bang! si annichiliscono con questi producendo 2 bei fotoni gamma da 1,02 MeV.

\[
e\textsuperscript{+}+ e\textsuperscript{+}\rightarrow 2\gamma
\]

Tutta questa energia viene assorbita dai protoni circostanti dando loro la forza necessaria per tentare di fondersi con altri protoni. Non sempre la fusione avviene e l’energia ricevuta viene riemessa per essere catturata da altri protoni, meno quella spesa nel tentativo di fondersi, è ovvio.
E così, con un lento processo di assorbimento e riemissione che può durare anche 15 milioni di anni, pian pianino i fotoni prodotti da quella lontana fusione raggiungono la superficie del Sole, stremati e spenti da quella fatica che è costata loro quasi tutta la loro energia 1.
Ma la loro strada non è ancora finita. Finalmente liberi dalla densa materia del Sole si tuffano giù in un’ultima folle corsa che dura poco più di 8 dei nostri minuti e si infrangono sotto i miei occhi sull’altare della Basilica di San Pietro, dopo aver attraversato le vetrate orientali della chiesa.

Sapere la natura del raggio di luce, come è nato e quando, comprendere la dualità onda-particella dei fotoni, la sua energia e tutto il resto, non svilisce la maestosità della scena che ho visto accadere sotto i miei occhi. Al contrario, me l’ha resa più bella e misteriosa nel suo accadere.
Tutta la scienza possibile può aiutarmi a comprendere come avvengono le cose che mi circondano; il perché io le possa osservare, no.

Buon Natale


Note:

 

L’oscura origine della Luna (II parte)

Dee pianeti che condividevano la stessa orbita finirono per scontrarsi 50 milioni di anni dopo la loro formazione, Dando origine così al sistema Terra-Luna.

Due pianeti che condividevano la stessa orbita finirono per scontrarsi 50 milioni di anni dopo la loro formazione, Dando origine così al sistema Terra-Luna.

È chiaro a chiunque che la Terra e la Luna siano diverse, non solo nelle dimensioni.
Il nucleo della Terra è composto soprattutto di ferro e occupa circa il 30% della sua massa, mentre quello della Luna è proporzionalmente molto più piccolo: appena un decimo della massa del satellite è costituito dal ferro e il suo nucleo rappresenta solo il 20% circa delle sue dimensioni. Inoltre la scarsità di elementi piuttosto volatili come il potassio nella composizione chimica indicano che probabilmente la Luna si è formata in un ambiente piuttosto caldo dove questi siano evaporati.
Eppure i campioni di suolo riportati dalle missioni Apollo mostrano che i silicati terrestri e lunari sono virtualmente identici: i rapporti isotopici di elementi come l’ossigeno [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11598294[/cite], il cromo e il silicio sono gli stessi, indicando pertanto una origine comune per la crosta e il mantello superiore della Terra con la Luna [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18097403[/cite] [cite]http://dx.doi.org/10.1038/ngeo1429[/cite].
Di pari passo, lo studio del campo gravitazionale della Luna per merito della misssione Gravity Recovery and Interior Laboratory (GRAIL) della NASA, combinato con i dati topografici prodotti dal Lunar Reconnaissance Orbiter sempre della NASA, hanno ridimensionato lo spessore della crosta della Luna e la sua percentuale relativa di alluminio. Anche questi dati suggeriscono che la percentuale di metalli con alte temperature di condensazione  sia la stessa su entrambi i corpi celesti.
Tutti questi dati fisici mostrano che la Luna e il mantello superiore terrestre si siano originati insieme, quindi o la Luna si è staccata dal mantello terrestre ancora fluido oppure l’opposto, il mantello e la Luna si sono generati con lo stesso materiale in un ambiente estremamente caldo che, nel caso della Luna,  ha conservato solo i materiali più refrattari e fatto evaporare gli altri.

Una giornata memorabile

Ormai si vedeva a occhio nudo quando si apriva uno squarcio nella giusta direzione tra le perenni nubi di vapore e metano che uscivano copiose dalla roccia. Dapprima era come una macchiolina nel cielo, tanti giorni fa, e adesso, dopo essere stata grande come una moneta occupava minacciosa più di metà del cielo a occidente. Toglieva  il respiro, sembrava quasi che cascasse dal cielo. E così fu. Nel giro di appena un’ora almeno metà del globo fuse e venne scagliato a 25000 chilometri di quota mentre il nucleo di ferro rovente del piccolo mondo era rimbalzato nell’urto e stava per crollare di nuovo. Dopo cinque ore tutta la crosta e il mantello del mondo era fuso, mentre tutta l’atmosfera venne spazzata via. Un quarto del piccolo mondo si vaporizzò nell’impatto mentre questo pianeta iniziò a ruotare su sé stesso all’impazzata: un giro in appena 5 ore! Dopo poche altre ore il materiale  che non era ancora ricaduto sulla nuova Terra formò un anello instabile di detriti  in orbita  che nell’arco di un centinaio d’anni avrebbe poi generato la Luna.

Nel 1975 William K. Hartmann e Donald R. Davis proposero la teoria dell’Impatto Gigante riprendendo l’idea originale del geologo canadese Reginald Aldworth Daly proposta nel 1946.
Questa teoria riesce abbastanza bene a tener conto di molte delle similitudini che ho elencato qui sopra, del momento angolare totale del sistema Terra – Luna, e anche delle divergenze più importanti, come l’estrema scarsità degli elementi chimici più volatili della Luna rispetto alla Terra.
Ma solo recentemente è stato potuto studiarla in dettaglio grazie alle simulazioni computerizzate [cite]http://www.nature.com/nature/journal/v412/n6848/abs/412708a0.html[/cite].
Gli scenari che portano alla formazione della Luna richiedono la presenza di due pianeti formatisi sui punti lagrangiani di  una stessa orbita, uno con una massa simile a quella attuale del nostro pianeta, la proto-Terra, e un altro più piccolo, grande più o meno come Marte come dimensioni e massa, che gli scienziati hanno battezzato Theia.
Il gigante Giove destabilizza l’orbita dei due pianeti che nell’arco di 50 milioni di anni finiscono per scontrarsi con un angolo di 45 gradi rispetto alla proto-Terra a una velocità relativa piuttosto bassa, inferiore a 4 km/s. 1. Il risultato dello scontro è che fino a un quarto di Theia si vaporizza nell’impatto e la primordiale atmosfera della proto-Terra viene dispersa, mentre almeno il 20% della massa dei due pianeti si disperde in un anello incandescente attorno ai 4 raggi terrestri, poco fuori al limite di Roche.
La maggior parte del materiale eiettato e il nucleo ferroso di Theia ricade sulla proto-Terra nelle ore successive all’impatto, invece una minuscola frazione della massa del disco originale, il 6%, rimane in orbita, e nel giro di un secolo dà origine a più corpi distinti che poi si uniranno per creare la Luna 2.

I meriti di questa teoria sono molti. In primis riesce a spiegare tutte le similitudini isotopiche riscontrate tra le rocce terrestri e lunari:  l’anello successivo all’impatto ha mescolato il materiale di Theia e della proto-Terra rendendo di fatto indistinguibile ogni differenza. Il calore sprigionato nell’impatto e trasferito all’anello ha alterato di poco la composizione chimica di questo nelle poche ore prima che ricadesse sulla Terra, mentre quello rimasto in orbita ha avuto più tempo per perdere gli elementi più volatili, forse anche grazie all’azione del vento solare e al bombardamento dei raggi cosmici che ne hanno in parte modificato la composizione chimica [cite]http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18097403 [/cite].
Infine, riesce a spiegare il notevole momento angolare complessivo del sistema Terra-Luna, parametro che ogni modello deve riuscire a spiegare.

Una delle obiezioni principali a questo modello è che la composizione di Theia porta con sé percentuali isotopiche diverse da quelle della Terra 3, e tracce di questa differenza dovrebbero essere ancora visibili.
Secondo me no, sia la proto-Terra che Theia si formarono alla stessa distanza dal Sole, quindi la differenza isotopica dei vari elementi deve essere stata nulla o quasi, tanto da non essere oggi significativamente rilevabile.
In seguito, il degassamento tardivo del mantello e della crosta ha ricreato una primitiva atmosfera, forse un po’ più sottile rispetto alla prima, mentre il bombardamento cometario proveniente dalla fascia di Kuiper [cite]http://ilpoliedrico.com/2011/10/oceani-di-comete.html[/cite] avrebbe portato acqua e sostanze organiche che poi si sarebbero evolute in esseri viventi [cite]http://tuttidentro.wordpress.com/2013/12/17/come-gli-impatti-meteoritici-e-cometari-hanno-portato-la-vita-sulla-terra[/cite] sulla nuova Terra..
L’azione mareale del nuovo satellite combinata a quella del Sole avrebbe poi rallentato la Terra fino alle attuali 24 ore, mentre l’orbita della Luna sarebbe passata da 30000 chilometri a 384000 nei successivi 4,5 miliardi di anni.,

 

L’oscura origine della Luna

Se visto dallo spazio il sistema Terra-Luna pare decisamente un pianeta doppio. Credit: Illustration by AOES Medialab, ESA 2002

Se visto dallo spazio il sistema Terra-Luna pare decisamente un pianeta doppio.
Credit: Illustration by AOES Medialab, ESA 2002

Vedere la Luna nel cielo fa tornare alla mente immagini legate alle nostre emozioni; tantissima letteratura e musica è stata dedicata alla sorella più piccola della Terra. Alcuni di noi magari rivivranno per un attimo le eroiche gesta dei primi passi umani su un altro mondo frutto delle missioni Apollo, mentre i più pratici penseranno alle maree o ai tempi improcrastinabili dell’orto.

Ben pochi pensano però che alla Luna dobbiamo molto di più, forse l’esistenza della vita stessa, o almeno quella come noi la conosciamo. Questa infatti governa le condizioni ambientali del nostro pianeta.

Al contrario di Phobos e Deimos, i due satelliti naturali di Marte, l’unico altro pianeta roccioso del Sistema Solare ad avere compagni, la Luna è molto più grande e massiccia 1, abbastanza da stabilizzare il moto di rotazione della Terra attorno al suo asse in modo che esso sia quasi 2 perpendicolare all’eclittica. Senza la Luna l’asse terrestre varierebbe caoticamente di diverse decine di gradi, con conseguenze davvero estreme in fatto di abitabilità del pianeta .
Escursioni stagionali terribili, importanti porzioni di un emisfero sarebbero in ombra per metà anno mentre l’altra metà arrostisce letteralmente in estati senza notti. Sicuramente la vita come oggi conosciamo sul nostro pianeta sarebbe ben diversa nel Mondo senza la Luna.

Per questo oggi chiedersi come si sia formata la Luna e come mai l’unico posto del Sistema Solare abitato da una specie senziente sia anche quello con il satellite così grande rispetto al pianeta, sono due delle domande più urgenti a cui la scienza deve dare risposta.
La più grande sfida che un modello sulle origini del sistema Terra-Luna deve superare è  paradossalmente l’enorme mole di dati che si hanno su di questo.
Le analisi chimiche e isotopiche sui campioni che le missioni Apollo hanno restituito, le ricognizioni dallo spazio delle altre missioni che ci hanno mostrato la forte disomogeneità tra l’emisfero visibile e quello opposto, e così via, ma occorre tener sempre tenere conto del dato più importante di tutti: il momento angolare totale del sistema 3.
La composizione chimica della Luna è molto simile a quella del mantello terrestre, tanto da far pensare un’origine comune per entrambi, e spiegare questa similitudine non è affatto facile.
Ma ci sono anche alcune differenze che devono essere prese in considerazione. Non importa quanto queste possano sembrare insignificanti, ognuna di loro può essere la chiave per comprendere ciò che veramente accadde 4,5 miliardi di anni fa.

(continua …)


Note:

Requiem per la Ison

La C/2012 S1 (ISON) è stata una delle più seguite e studiate comete di tutti i tempi. Questo sicuramente per l’enorme curiosità suscitata dalle sue aspettative di Cometa del Secolo poi rivelatesi infondate. La mole di dati, di spettri, di fotografie e di ipotesi del dopo perielio – era una sungrazing – sono immense. Ora, anche alla luce di come è finita, è giunto il momento di rimettere insieme tutte le tessere di questo mosaico per comprendere meglio l’evoluzione di questa straordinaria cometa.

Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

A questo punto è ormai certo, la C/2012 S1 (ISON) non esiste più.
Quella che appena un anno fa veniva descritta come la cometa del secolo adesso non c’è più.
Della famosa cometa è rimasta solo una nuvola di detriti ormai invisibile che si allontana dal Sole e dal piano dell’eclittica, negandoci così anche lo spettacolo di una pioggia meteorica con pochi precedenti per la fine dell’anno.
La traiettoria seguita dalla cometa nel suo avvicinamento al Sole passa molto vicino al piano terrestre 1 2 [cite]http://comets-asteroids.findthedata.org/l/621233/C-2012-S1-ISON[/cite], e la Terra la attraverserà intorno la metà del mese di gennaio 2014.

Anche se alcuni parametri fondamentali dell’orbita cometaria (argomento al perielio, distanza eliocentrica dei nodi) paiono essere simili a quelli di altre comete che danno origine a piogge meteoriche, questi non paiono però sufficienti a produrne una, in quanto la velocità media del materiale espulso dalla cometa, 1 km/sec-1, non pare essere sufficiente a disperdere abbastanza la polvere affinché questa intercetti la Terra nel posto giusto al momento giusto [cite]arXiv:1310.3171[/cite].
Inoltre l’attività della Ison da metà maggio a metà novembre è stata piuttosto scarsa rispetto al periodo della scoperta (indice Af[rho] di 341 cm nel periodo, equivalenti a circa 340 kg di polvere al secondo), il che non è poi molto rispetto alle attese, quindi anche la densità dello sciame è sicuramente piuttosto basso.
Questo significa che molto probabilmente non avremo alcuna pioggia meteorica legata alla Ison nel mese di gennaio, forse avremo un lieve aumento delle meteore sporadiche di fondo per qualche giorno, ma niente di più.


Note:

La storia infinita della Ison

 

Nelle ultime ore si sono levate voci piuttosto allarmate sulle sorti di C/23012 S1 (ISON). E anche se, al momento in cui scrivo, queste non sono state affatto né confermate o smentite, riassumo i fatti finora accertati.

La C/2012 S1 (ISON) nel campo della LASCO C3 della SOHO. Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

La C/2012 S1 (ISON) nel campo della LASCO C3 della SOHO.
Credit: ESA/NASA Solar and Heliospheric Observatory

Tutto è partito il 25 novembre da una segnalazione sulla mailing list di un gruppo su Yahoo.com che si occupa di comete 1.

Il radioastronomo Michael Drahus, del Caltech / NRAO, che lavora con il radiotelescopio millimetrico Iram, a Granada in Spagna, ha riferito di un rapido calo, circa 20 volte tra il 21 e il 25, delle emissioni molecolari nella Ison. Questo calo è netto contrasto con le altre (poche) osservazioni che continuano a indicare la presenza di una chioma 2.
Intanto, anche il telescopio robotico TRAPPIST dell’ESO, in Cile, ha rilevato un calo nel tasso di produzione delle polveri di un fattore 3.
Poi pure la posizione non torna: la Ison appare essere circa 3000 chilometri  – dalla Terra sono circa 5 arcosecondi – più indietro nella sua orbita. Questo potrebbe significare che il nucleo solido si è dissolto e la pressione della radiazione solare ora frena una nube di detriti sciolti tra loro.
In più alcuni osservatori non sono riusciti a vedere la Ison la mattina del 25,  ma qui i motivi possono essere diversi, la cometa era troppo bassa all’orizzonte prima della levata del Sole, circa 10° di elevazione, e velature di nubi nell’alta atmosfera possono aver estinto la luce di questa che era prevista essere di magnitudine 2,5.

Comunque adesso la Ison è entrata nel campo visivo dei diversi strumenti dei telescopi solari Stereo A e B e della SOHO, per cui  è possibile seguirla di nuovo fino al suo perielio.
E anche qui le voci di una completa dissoluzione del nucleo non si fermano. Anche se le diverse camere a bordo degli osservatori solari mostrano ancora una cometa intera, salta subito all’occhio l’irregolarità della coda, non si sa bene se per effetto di una CME che in queste ore avrebbe sconvolto la coda di ioni 3,  oppure se è la coda di polveri generata dalla dissoluzione del nucleo che inizia a disperdersi.
D’altronde la Ison non ha mai generato grandi quantità di polveri, o almeno non quante ci se ne aspettava poco dopo la sua scoperta, come  anche i dati Afrho della cometa finora hanno confermato. Questa invece adesso potrebbe essere la pistola fumante di una dissoluzione, almeno parziale, del nucleo.

 


Note:

 

La coda di sodio della Ison

Credit: Hisayoshi Kato -Tokyo, Japan Source: flickr.com

La C/2012S1 (ISON) ripresa nel visibile e con il filtro passa banda a 589 nm (riquadro giallo).
Credit: Hisayoshi Kato -Tokyo, Japan
Source: flickr.com

Ormai la C/2012 S1 (ISON) è sprofondata nelle luci dell’alba, rendendosi di nuovo praticamente invisibile ad occhio nudo prima del perielio.

Il 20 novembre scorso l’astrofilo giapponese Hisayoshi Kato dal Monte Fuji ha ottenuto queste due immagini della Ison 1.
L’immagine superiore mostra la cometa come si presentava quel giorno nell’intera banda visibile dello spettro, mentre quella inferiore mostra la stessa immagine a colori invertiti per evidenziare meglio le diverse componenti della coda. Nell’immagine a colori invertiti sono assai evidenti i due getti (qui arancioni) che partono dal nucleo della cometa che in alcune immagini si mostrano come ali. Nel riquadrino arancione, ripreso con un filtro a banda stretta centrato a 589 nm. 2 è evidente invece come il nucleo stesso della cometa sia avvolto da una nube di atomi di sodio.

Credit: Hisayoshi Kato -Tokyo, Japan
Rielaborazione: Il Poliedrico

Nell’immagine da me rielaborata, si evidenzia anche una tenue coda di sodio dispersa dalla chioma.
I meccanismi che possono generare atomi di sodio non sono ancora del tutto noti. Possono essere prodotti dalle collisioni dei granelli di polvere che circondano il nucleo, oppure dall’evaporazione di questi quando sono riscaldati dalla radiazione solare [cite]http://iopscience.iop.org/1538-4357/585/2/L159/fulltext/16936.text.html[/cite] [cite]http://adsabs.harvard.edu/abs/1970A%26A…..5..286H[/cite]. Quello che è certo è che finora di code di sodio ne sono state osservate ben poche: solo alcune comete più brillanti manifestano la presenza di atomi neutri di sodio nella chioma quando scendono al di sotto di 0,7 unità astronomiche dal Sole e solo una, la Hale-Bopp del 1997, aveva mostrato una coda di sodio di ben 30 milioni di chilometri [cite]http://dx.doi.org/10.1023/A%3A1005281611036[/cite]!
Questo conferma anche la precedente osservazione spettrografica del 16 novembre scorso [cite][/cite] di Vikrant Kumar Agnihotri, di Kota, in India. Anche lui aveva osservato un interessante picco non meglio identificato attorno ai 590-600 nm. ma la scarsa risoluzione disponibile ne rendeva incerta l’identificazione. Allora la Ison era a 0,6 U.A. dal Sole, e già mostrava la sua interessante traccia di sodio.


Note:

La lunga coda della Terra

Il vento solare colpisce la parte anteriore del campo magnetico della Terra e viene deviata verso il lato notturno del pianeta.
Credit: NASA Goddard Space Flight Center – Minoru Yoneto.

Grazie a un particolare allineamento di ben otto satelliti, tra cui Artemis e Themis, finalmente è stato possibile studiare in dettaglio le interazioni tra il vento solare e il campo magnetico terrestre che sono all’origine delle aurore polari.
Piccoli eventi di riconnessione magnetica della durata stimata in millisecondi avvengono nella coda del campo magnetico terrestre e permettono il passaggio di flussi di energia che possono durare anche mezz’ora e che si estendono per superfici vaste anche dieci volte la Terra. [cite”NASA”]http://svs.gsfc.nasa.gov/vis/a010000/a011300/a011368/index.html[/cite]


Credit: NASA Goddard Space Flight Center 

La Ison si sta frantumando?

Ancora i dati sono alquanto incerti e piuttosto sparsi. Ma ho deciso di parlarne, giusto per informazione.

Immagine della C/2012 S1 (ison) del 16 novembre 2013. I getti si sono resi visibili col gli algoritmi di deconvoluzione e il Larson-Sekanina. Credit:  Maximilian Teodorescu Dumitrana, Romania

Immagine della C/2012 S1 (ISON) del 16 novembre 2013. I getti si sono resi visibili col gli algoritmi di deconvoluzione e il Larson-Sekanina.
Credit: Maximilian Teodorescu Dumitrana, Romania

Negli ultimi giorni C/201S1 (ISON) ha mostrato una piuttosto vivace attività rispetto a quando stava attraversando l’orbita terrestre.
La sua curva di luce indica appunto che dal 14 al 18 la sua luminosità è salita di almeno 8 grandezze in appena quattro giorni, portandola dalla 7a magnitudine del giorno 13 alla 5a del 18 (m1 1  = 4,8).
Spiegare questo improvviso incremento di attività del nucleo non è facile. Le possibilità per ora sono due: o si sono aperte delle nuove vene particolarmente friabili e quindi più sensibili alla sublimazione nel nucleo ghiacciato o la Ison si è frantumata in due o più parti.
È difficile per ora stabilire quale delle due ipotesi sia quella corretta, la prudenza in questo caso è d’obbligo, ma è innegabile che qualcosa di nuovo è successo tra il 13 e il 1 4 novembre scorso alla cometa Ison.
Alcune elaborazioni derivate da immagini protette da copyright 2 spingono a pensare che il nucleo della Ison si sia frantumato in due parti distinte.
I getti qui ben visibili in questa immagine non dicono espressamente cosa sta succedendo nel nucleo, possono essere due getti provocati da due fenditure piuttosto profonde che stanno espellendo massicce quantità di polvere (indice Afrho oltre 4000 cm), oppure da una scissione completa del nucleo che sta rilasciando le stesse quantità.
Una scissione del nucleo dovrebbe produrre una serie di piccole perturbazioni visibili nella coda di ioni e di polveri causate dai microframmenti che inevitabilmente una frattura del nucleo produce e una progressiva separazione dei resti dovuta alla loro diversa massa dovrebbe riflettersi inizialmente in una progressiva distorsione della chioma (o coma) ed è quello che probabilmente sta avvenendo.
Per alcuni osservatori l’evoluzione sin qui mostrata è simile a quella della sfortunata C/2012 T5 (BRESSI) 3. Per contro le dimensioni e la curva di luce mostrano che la Ison è completamente diversa dalla Bressi, che dopo l’outburst rimane abbastanza costante. Altri invece la paragonano ad un’altra cometa abbastanza sfortunata, la C/1999 S4 (LINEAR), che subì una frammentazione del nucleo nel luglio del 2000 e si dissolse in soli quattro giorni quando era al perielio a 0,7 U.A. dal Sole. La forma attuale del nucleo della Ison ricorda in qualche modo il nucleo della Linear prima della sua scomparsa [cite]http://www.mps.mpg.de/en/aktuelles/pressenotizen/pressenotiz_20131119.html[/cite]

Credit: Vikrant Kumar Agnihotri  Kota India

Credit: Vikrant Kumar Agnihotri – Kota, India

Intanto spettri amatoriali indicano la probabile presenza di un altro composto radicale già individuato anche in  altre comete: l’amidogeno (NH2) intorno ai 600 nm. Però da quelle parti (a 589,6nm e a  589 nm) emette anche il sodio (Na), per cui con una scarsa risoluzione spettrale è assai difficile distinguere le due diverse emissioni.
Anche qui occorrono altri dati e nuovi studi per comprendere meglio la Ison, forse una delle più studiate comete del decennio.


Note:

La Ison a occhio nudo!

Credit: Michael Jäger, Austria

Le due code della C/2012 S1 (ISON)
Credit: Michael Jäger, Austria

Finalmente ci siamo!
La lunga attesa iniziata poco dopo la sua scoperta avvenuta nel settembre 2012 con l’arrivo dei primi dati riguardanti l’orbita e le prime estrapolazioni della curva di luce, è finita.
Adesso la C/2012 S1 (ISON) è visibile ad occhio nudo.
L’astronomo francese Nicolas Biver segnala da uno dei luoghi più bui rimasti in Europa (Pico del Veleta, Spagna) che stanotte la Ison è apparsa di magnitudine visuale di 6,3 – 6,5 contro l’oltre 7,4 del giorno precedente.
La notizia è stata confermata anche da Alexandre Amorim, brasiliano, che ha stimato la cometa a magnitudine 6,1.
Ricordo che la sesta magnitudine è il limite dell’occhio umano nei cieli veramente bui e lontani da ogni forma di inquinamento, sia luminoso che atmosferico. Quindi prima che la Ison sia visibile ad occhio nudo  anche dalle nostre regioni dove il cielo è molto più sporco 1 dovrà passare ancora qualche giorno, ma nel frattempo forse sarà troppo vicina al Sole da rendersi distinguibile nelle luci dell’alba prima del perielio.

Comunque anche con binocoli e piccoli telescopi è possibile già apprezzare la doppia coda della cometa, una più lunga e in direzione esattamente antisolare che è la coda di ioni di gas come il radicale cianogeno, l’ossidrile e il carbonio biatomico (è quello che fa apparire la cometa verde), e l’altra, composta dalle polveri disperse dall’astro, che flette un po’ come ben spiegato nel precedente articolo 2 di Sabrina Masiero.

Cieli sereni


Note: